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Il Disinformatico

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2023/11/10

Promemoria: ci vediamo a Pescara oggi e domani per InnovAzioni?

Sono in viaggio verso Pescara a bordo di un veicolo elettrico molto confortevole e spazioso, dotato di un sistema di guida completamente autonoma che mi lascia libero di togliere gli occhi dalla strada e di lavorare: si chiama treno. Domani sarò ospite dell’evento InnovAzioni, promosso dalla Sezione Servizi Innovativi di Confindustria Chieti Pescara.

Come ho anticipato qualche giorno fa, parlerò di tecniche e strumenti, anche basati sull’onnipresente intelligenza artificiale, per distinguere fra fatti e bufale nei media moderni.

Trovate il programma e l’elenco degli ospiti e relatori presso www.innovazioni.camp L'evento è aperto al pubblico e la partecipazione è gratuita, previa prenotazione.

Questo è il testo del comunicato stampa dell’evento:

InnovAzioni: Intelligenza artificiale tra tecnologia ed etica
Pescara, 8 novembre 2023 - A Pescara i prossimi 10 e 11 novembre si terrà la decima edizione del Festival nazionale dell’Innovazione, promosso dalla Sezione Servizi Innovativi di Confindustria Chieti Pescara con il patrocinio del Comune di Pescara, di CCIAA Chieti Pescara e di FIRA Spa, Finanziaria Regionale Abruzzese, Ordine Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e Ordine degli ingegneri di Pescara.

InnovAzioni di Confindustria Chieti Pescara significa 48 ore dedicate all’innovazione:

  • gruppi di studenti universitari si sfidano nella gara di idee InnovAtion Hackathon
  • PMI, STARTUP e SPINOFF universitari presentano i loro progetti innovativi al contest Campioni di InnovAzioni
  • imprenditori, divulgatori scientifici, visionari e testimonial d’eccezione si confrontano sui grandi temi dell’innovazione del presente e del futuro.

Sulla longevità del progetto, Cristiano Fino, Coordinatore del progetto e Vicepresidente Sezione Servizi Innovativi, sottolinea: “Quest’anno sono pervenute oltre 60 candidature di progetti innovativi da tutta Italia per il Contest “Campioni di Innovazione”, 24 le best practice ammesse alla finale dalla Commissione di valutazione dopo una difficile selezione. Con questo evento portiamo Pescara al centro del mondo dell’innovazione. In 10 anni abbiamo presentato 276 Progetti Innovativi, 24 Campioni di InnovAzioni Grandi Aziende, 21 Innovation Speakers (dal 2022) e nelle precedenti 9 edizioni abbiamo premiato 27 Campioni di InnovAzioni PMI e 15 Campioni di InnovAzioni Start-Up. Durante la finale di venerdì pomeriggio ascolteremo casi innovativi nei settori d’impresa più diversi: hospitality e turismo 4.0, intelligenza artificiale applicata ai gestionali, all’agricoltura alla pesca e all’allevamento, business matching, controllo predittivo per efficientamento dell’energia sostenibile, app per il welfare in azienda, l’ottimizzazione dei trasporti cittadini, per la moda e il design; e ancora benessere animale, sensibilizzazione alla sostenibilità in azienda, il metaverso per il gaming e per la socializzazione, IoT per ridurre i consumi di acqua e ottimizzare il riciclo dei rifiuti, l’alimentazione etica, la stampa 3d, sonde stratosferiche per le missioni spaziali, il biorisanamento da inquinanti.
Moderatrice d'eccezione dell'evento sarà Paola Catapano, divulgatrice scientifica e responsabile dei contenuti editoriali per la comunicazione al CERN di Ginevra; avremo poi la possibilità di ascoltare la testimonianza di autorevoli voci dal mondo dell’innovazione in vari ambiti della vita economica, sociale e culturale, come ad esempio
Giammaria de Paulis, Imprenditore - Divulgatore scientifico
Giuseppe Biffi, Head Digital Enterprise Discrete Siemens
Andrea Ciucci, Pontificia Accademia per la Vita – Segretario generale Fondazione Vaticana RenAIssance per l’Etica dell’Intelligenza Artificiale
Irene Di Deo, Ricercatrice Senior Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano.
Vincenzo Di Nicola, Imprenditore digitale ed esperto di Intelligenza Artificiale
Maurizio Gobbi, Capo Allenatore di Pallanuoto Presso la Federazione Italiana Nuoto
Alessandra Luksch, Direttore dell’Osservatorio Startup Thinking School of Management - Politecnico di Milano
Marta Bertolaso, Professoressa di Filosofia della Scienza e Sviluppo Umano – Università Campus Bio-Medico di Roma
Alessandro Lorenzano, Head of Sales Excellence Center Mercuri International Italia
Andrea Monti, Professore incaricato di Digital Law - Università di Chieti-Pescara
Ezio Previtali, INFN Gran Sasso Laboratory Director
Paolo Attivissimo, Giornalista informatico e cacciatore di bufale
Barbara Beltrame Giacomello, Vice Presidente Confindustria con delega all'Internazionalizzazione

Il Presidente di Confindustria Abruzzo Silvano Pagliuca che aprirà i lavori sabato 11 novembre lancia il suo invito: “Se c’è una cosa che i periodi di incertezza e transizione sembrano insegnare è che l’innovazione diventa il principale modo per superare le difficoltà. Vi aspettiamo: faremo il pieno di nuove idee e relazioni di valore, per vincere insieme questa sfida."
InnovAzioni: due giorni in cui si respirerà la voglia di fare, di imparare, di ascoltare, di innovare!
L’ingresso all’evento sarà gratuito – previa registrazione sul sito ufficiale - e per chi non potesse recarsi a Pescara, è prevista la diretta streaming dai principali social e dal sito http://www.innovazioni.camp.

Come ogni anno, un gioco di squadra importante per un grande evento che vede coinvolti prestigiosi partners tra i quali Gruppo Giovani Imprenditori Confindustria Chieti Pescara, Università degli Studi "G. d'Annunzio" Chieti – Pescara, Università degli Studi dell'Aquila, Luiss Guido Carli University, Politecnico di Milano, CCIAA di Chieti Pescara, FIRA S.p.A. - Finanziaria Regionale Abruzzese, Hi!Founders, Fondazione Ordine Ingegneri Pescara, ODCEC Pescara - evento accreditato con n.9 crediti formativi, Premio Best Practices per l'Innovazione - Confindustria Salerno, CDTI - Club Dirigenti Tecnologie dell'Informazione.
Molte anche le aziende del territorio e le multinazionali che credono nel valore del fare impresa unendo creatività, valori ed economia. I main sponsor dell’edizione 2023 sono METAMER e Audi – Pasquarelli Auto, i golden sponsor Cyberoo, Istituto Acustico MAICO, GI-Group, SKILLA, i silver sponsor Assiunion, BPER, DAY e Società Chimica Bussi; il bronze sponsor Studio legale e tributario Torcello; le imprese e i media partner che offrono il loro supporto per la realizzazione dell’evento sono Abruzzo Magazine, Business121, Coesum, Cantine Bosco Nestore, L’Imprenditore, Meta business services, Radio Delta 1, Radio ISAV, Rete8, Secretel Digital Comunication, Studio Legale e Tributario Torcello, TwinDigit.

Podcast RSI - John Lennon restaurato dall’IA: nuove opportunità nell'elaborazione audio su computer

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui. Se ho fatto bene i conti, con questa puntata arrivo a quota 800 episodi dal 2006 a oggi. Niente male.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Spezzone della voce restaurata di Lennon da “Now and Then”]

La voce di John Lennon, recuperata da un’audiocassetta registrata a casa sua oltre quarant’anni fa e usata per il brano dei Beatles Now and Then appena uscito, stupisce non solo per le emozioni che evoca ma anche per la qualità tecnica del restauro, considerato a lungo impossibile, perché la voce era coperta dal pianoforte suonato dallo stesso Lennon. Questo restauro è ora reso possibile dall’informatica e specificamente dall’intelligenza artificiale.

Dappertutto ci sono discussioni animate su quanto sia “vera” o “falsa” un’operazione di questo genere, ma il clamore intorno a Now and Then è un’ottima occasione per esplorare il mondo ben più vasto del restauro sonoro basato sul software e per scoprire quali meraviglie e nuove possibilità ci offre non solo in campo musicale ma anche in termini di vera e propria archeologia sonora.

Benvenuti alla puntata del 10 novembre 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Sottrazioni e isolamenti

L’elaborazione digitale delle voci dei cantanti ha radici molto lontane: già nel 1975, per esempio, la voce di Alan Parsons veniva trasformata digitalmente da uno dei primi vocoder digitali nel brano The Raven. Adesso non stupisce più nessuno, ma all’epoca tutto questo era molto innovativo.

[CLIP: Spezzone di “The Raven”]

Un altro tipo di elaborazione vocale digitale molto noto, e per alcuni famigerato, è l’Autotune, che corregge le intonazioni e crea effetti di distorsione particolari: è stato introdotto nel 1997 e reso celebre dalla canzone Believe di Cher nel 1998.

[CLIP: Spezzone di “Believe”, con la voce isolata dalla musica]

Oggi il trattamento digitale delle voci in campo musicale conosce mille sfumature ed è disponibile in quasi tutti i programmi per la produzione di musica. Ma si tratta sempre di elaborazione: si parte da una sorgente audio esistente e la si manipola in qualche modo per ottenere un determinato risultato.

L’intelligenza artificiale, però, consente di fare ben di più, vale a dire generare voci che nella realtà non esistono oppure isolare una voce da altri rumori o suoni. È quello che è successo con la voce di Lennon per Now and Then, che nell’audiocassetta originale era sovrastata dal suono del pianoforte di accompagnamento, impossibile da filtrare con tecniche convenzionali. È così che si è passati da questo…

[CLIP: Spezzone dell’audiocassetta di Lennon]

…a questo:

[CLIP: Spezzone della voce ripulita di Lennon]

in cui il pianoforte è completamente rimosso e la voce sembra registrata da un microfono professionale in studio.

L’isolamento di uno strumento o di un rumore indesiderato tramite software di intelligenza artificiale, specificamente di machine learning, lavora per sottrazione: al software vengono forniti molti campioni dello strumento o del rumore che si vuole rimuovere, e questo gli permette di riconoscere gli elementi della registrazione che corrispondono a quello strumento o rumore e quindi di sottrarli, lasciando così la voce originale e offrendola pulita per ulteriori elaborazioni.

Questa tecnica di isolamento è oggi liberamente disponibile anche in molte applicazioni, anche online, come Lalal.ai, al quale basta inviare una registrazione digitale per riottenerne, nel giro di qualche decina di secondi, una versione che isola la voce dagli strumenti oppure estrae solo la percussione, le chitarre elettriche o acustiche, il pianoforte e altri strumenti.

Software come questo, e come Magic Dust AI, possono anche rimuovere i rumori di fondo, per esempio da un’intervista in un ambiente affollato e rumoroso, diventando strumenti preziosissimi non solo per musicisti ma anche per giornalisti e anche per chi ha problemi di udito o più in generale fatica a isolare una conversazione in un ambiente pieno di persone che parlano.

Per esempio, se si addestra un software di machine learning dandogli campioni puliti delle voci di due persone, quel software diventa in grado di isolare le loro singole voci da una registrazione in cui parlano entrambe contemporaneamente, come negli esempi che vi proporrò tra poco, pubblicati dal professor Paris Smaragdis dell’Università dell’Illinois, che ha lavorato al restauro audio del documentario “Get Back” dedicato ai Beatles, realizzato con tecniche simili a quelle utilizzate per recuperare la voce di John Lennon. Queste sono le voci sovrapposte, che parlano in inglese:

[CLIP: voci sovrapposte]

E queste sono le singole voci:

[CLIP: voci separate]

Anche isolare una voce da un rumore di fondo particolarmente invadente è fattibile con ottimi risultati. Sentiamo la registrazione originale e poi la voce estratta dal software:

[CLIP: campione di voce con denoising]

Fin qui si tratta di togliere dei suoni indesiderati lasciando la parte che interessa. Ma si può fare di più. Molto di più.

Restauro troppo creativo?

L’elaborazione del suono tramite intelligenza artificiale può essere sottrattiva, come avete sentito fino a questo punto, ma può anche essere generativa: in altre parole, aggiunge all’originale delle parti mancanti. Per esempio, una registrazione molto vecchia o fatta usando microfoni di bassa qualità può essere elaborata per renderla qualitativamente più gradevole.

Magic Dust AI, per esempio, è in grado di prendere una registrazione fatta con i modestissimi microfoni integrati negli auricolari dei telefonini ed elaborarla per darle una qualità più vicina a quella di un microfono professionale.

Lo stesso principio è utilizzabile anche per i brani musicali. Un altro esempio pubblicato dal professor Smaragdis riguarda la cosiddetta bandwidth expansion, cioè l’espansione della larghezza di banda. Le registrazioni musicali d’epoca perdevano gran parte delle frequenze sonore più basse e più alte, ma con questa tecnica è possibile ricreare quelle frequenze mancanti. Il software viene addestrato dandogli dei campioni musicali equivalenti registrati con qualità migliore, che vengono aggiunti alla registrazione originale.

Per esempio, si prende questo brano musicale registrato in bassa qualità:

[CLIP: brano in bassa qualità]

poi si fornisce al software questo breve campione di strumenti analoghi registrati meglio:

[CLIP: campione strumenti]

e questo è il risultato dell’elaborazione:

[CLIP: risultato]

Il problema di fondo di questa elaborazione generativa è che aggiunge suoni che non erano presenti nella registrazione originale ma probabilmente erano presenti durante l’esecuzione dal vivo e si sono persi. Si tratta insomma di una approssimazione ragionevole, non di una elaborazione certa di un segnale esistente. In questo caso, si può ancora parlare di restauro puro o stiamo sconfinando nell’invenzione, in una sorta di equivalente sonoro del ridare le braccia alla Venere di Milo basandosi sulle braccia di altre statue analoghe?

Non è chiaro, al momento, se la voce di John Lennon sia stata elaborata da un software di questo secondo tipo o se sia stata fatta solo una sottrazione dei suoni indesiderati seguita da un’elaborazione del contenuto sonoro effettivamente esistente. E anche se dovesse trattarsi di elaborazione generativa per ridare ricchezza e corpo alla voce originale, si tratterebbe comunque di un’elaborazione basata su campioni di alta qualità della voce di Lennon, per cui la voce sarebbe comunque la sua. Forse quello che conta è che all’orecchio la voce che si sente in Now and Then sembra proprio quella dello scomparso John Lennon, fresca come se fosse stata registrata ieri, e alla fine l’emozione prevale sulla disquisizione tecnica.

E se schiudiamo le porte al restauro audio generativo diventano possibili scenari inaspettati e recuperi di suoni davvero straordinari.

Archeologia sonora

Il professor Smaragdis ha pubblicato anche altre dimostrazioni di usi inattesi dell’elaborazione dei suoni tramite intelligenza artificiale. Per esempio, il riconoscimento dei suoni può essere usato per l’analisi dei contenuti video, come nel rilevamento dei momenti salienti di un evento sportivo registrato. Normalmente è necessario far scorrere il video registrato fino a trovare l’istante del gol, del punto o dell’azione di gioco importante, ma se un software riconosce suoni come gli applausi o le esclamazioni di gruppo può localizzare automaticamente gli istanti che interessano.

Il machine learning applicato all’audio ha anche applicazioni interessanti nella sicurezza. È molto difficile rilevare automaticamente un evento nelle immagini di una telecamera di sorveglianza se ci si basa appunto sulle immagini, perché il riconoscimento delle immagini ha un tasso d’errore molto alto. Ma se ci si basa sull’audio, per esempio riconoscendo grida, voci sotto stress o rumori improvvisi, diventa relativamente facile identificare queste situazioni e inviare un avviso automatico che consenta di intervenire più prontamente.

[CLIP: Spezzone di aggressione simulata, usato per testare il sistema]

Ma l’applicazione più affascinante resta l’archeologia sonora. Generando i suoni mancanti, è possibile rendere fruibili registrazioni la cui qualità scadente le relegherebbe nell’oblio, come nel caso delle registrazioni tremolanti e gracchianti degli inizi dell’era del fonografo o dei cilindri di cera, ed è possibile estrarre suoni da fonti quasi inimmaginabili.

Nel 1860, quando negli Stati Uniti iniziava la presidenza di Abramo Lincoln, Garibaldi [in Italia] iniziava la spedizione dei Mille e in Francia c'era Napoleone III, il francese Édouard-Léon Scott de Martinville usò un apprecchio rudimentale, il fonautografo, per catturare suoni su un foglio di carta coperto di nerofumo, quella finissima fuliggine prodotta dalle lampade a olio. Il suono veniva inciso nel nerofumo usando una setola di maiale collegata a una membrana di pergamena che si muoveva in base al suono raccolto da un cilindro o da un corno. Queste incisioni all’epoca erano impossibili da riascoltare, ma sono state conservate e ricostruite digitalmente già alcuni anni fa, sia pure con un fortissimo fruscio di fondo:

[CLIP: ricostruzione originale]

Ora sono elaborabili anche con l’intelligenza artificiale. E così oggi possiamo sentire, sia pure con una certa fatica, una persona che nel 1860 cantava Au clair de la lune.

[CLIP: versione ripulita]

Con i progressi dell’elaborazione dei suoni che prima venivano considerati irrecuperabili, viene da chiedersi quale sarà la prossima frontiera inattesa del restauro sonoro.

Nel 1969, la rivista scientifica Proceedings of the Institute of Electrical and Electronics Engineers ospitò sulle sue auguste pagine una lettera firmata da un certo R.G. Woodbridge [Acoustic recordings from antiquity], che affermava di aver scoperto registrazioni sonore accidentali sulle superfici di oggetti antichi e in particolare su vasi lavorati sui torni da vasai, in cui il tornio poteva essere immaginato come una sorta di primitivo giradischi e la mano del vasaio come una puntina da incisione sonora molto grossolana.

[Il testo della lettera è dietro paywall, ma Bldblog.com ne ospita qualche estratto, notando che secondo Woodbridge i suoni sarebbero registrati anche nei quadri dipinti a olio e sarebbero riascoltabili tenendo la puntina di un giradischi in contatto con la superficie del vaso in questione, che viene fatto girare, oppure muovendo la puntina sopra una pennellata di un quadro: “positioned against a revolving pot mounted on a phono turntable (adjustable speed) ‘stroked’ along a paint stroke, etc.” Grazie a questo gesto, “low-frequency chatter sound could be heard in the earphones.”

Woodbridge suggerisce anche applicazioni alternative:“This is of particular interest as it introduces the possibility of actually recalling and hearing the voices and words of eminent personages as recorded in the paint of their portraits or of famous artists in their pictures.” Inoltre descrive un esperimento: “With an artist’s brush, paint strokes were applied to the surface of the canvas using “oil” paints involving a variety of plasticities, thicknesses, layers, etc., while martial music was played on the nearby phonograph. Visual examination at low magnification showed that certain strokes had the expected transverse striated appearance. When such strokes, after drying, were gently stroked by the “needle” (small, wooden, spade-like) of the crystal cartridge, at as close to the original stroke speed as possible, short snatches of the original music could be identified. […] Many situations leading to the possibility of adventitious acoustic recording in past times have been given consideration. These, for example, might consist of scratches, markings, engravings, grooves, chasings, smears, etc., on or in “plastic” materials encompassing metal, wax, wood, bone, mud, paint, crystal, and many others. Artifacts could include objects of personal adornment, sword blades, arrow shafts, pots, engraving plates, paintings, and various items of calligraphic interest.”]

Le sue affermazioni non furono mai verificate, ma di fronte a queste nuove meraviglie del restauro dei suoni la sua proposta sembra un pochino meno fantascientifica. Staremo a vedere; anzi, a sentire.

Ci ha lasciato l’astronauta lunare Frank Borman

È giunta oggi la notizia della morte dell’astronauta lunare Frank Borman, protagonista della storica missione Apollo 8, la prima a portare esseri umani a circumnavigare la Luna nel 1968.

Borman è morto il 7 novembre scorso a 95 anni a Billings, in Montana.

Durante il suo primo volo spaziale, nel 1965, restò per quasi quattordici giorni in orbita intorno alla Terra, rinchiuso nello strettissimo e caldissimo abitacolo della capsula Gemini 7 insieme a Jim Lovell. La missione era concepita per verificare se era possibile resistere fisiologicamente e psicologicamente nello spazio per il tempo necessario per una missione fino alla Luna e ritorno. 

Nel corso del volo, di cui era comandante, Borman effettuò con Lovell il primo rendez-vous nello spazio, incontrando la Gemini 6A di Schirra e Stafford e volando insieme in formazione: anche questo era un obiettivo essenziale per dimostrare la capacità di due veicoli spaziali di incontrarsi in un punto preciso con velocità e traiettorie coincidenti, come sarebbe stato necessario per le complesse manovre di discesa verso la Luna nelle successive missioni Apollo.

Nel 1967 fece parte della commissione che ebbe il difficilissimo compito di appurare le cause dell’incendio della capsula Apollo 1 sulla rampa di lancio, costato la vita a tre suoi compagni (Ed White, Roger Chaffee e Gus Grissom).

Nel dicembre del 1968 fu comandante della missione Apollo 8 e volò intorno alla Luna insieme a Jim Lovell, con il quale aveva già condiviso due settimane di volo spaziale, e Bill Anders. Durante questa missione, i tre uomini trasmisero immagini televisive in diretta della Terra vista dalla Luna e furono i primi nella storia dell’umanità a vedere la Luna con i propri occhi da una distanza di circa cento chilometri, fotografandola in dettaglio e catturando la storica immagine della Terra che si staglia nel nero dello spazio sopra l’orizzonte lunare.

Non era la prima foto del suo genere, ma era la più bella della prima serie scattata da persone che erano lì a vedere quel panorama, e questo fece tutta la differenza. La foto divenne, ed è tuttora, uno dei simboli di quello che allora era il nascente movimento ecologista: aiutò a diffondere senza parole il concetto che la Terra è un gioiello fragile, un’oasi di vita in un universo ostile e inabitabile, e che se lo roviniamo non c’è nessun altro posto dove possiamo andare a ripararci. Non tutti, ancora oggi, sono riusciti a ficcarsi in testa questo semplice concetto.

Mai nessuno si era avventurato così lontano dalla Terra; ancora oggi, 55 anni dopo, sono solo 24 le persone che hanno raggiunto la Luna. È tempo di tornare. Ed è tempo, urgentemente, di mettere a frutto quella lezione di vita di oltre mezzo secolo fa.

La NASA ricorda Frank Borman con queste pagine biografiche.

2023/11/07

(AGGIORNAMENTO 2023/11/18) Mi tocca fare un po’ di body hacking: installo cristallini nuovi - quarta parte

Il mio occhio operato,
il giorno dopo l’intervento.
Pubblicazione iniziale: 2023/11/07 14:47. Ultimo aggiornamento: 2023/11/18. Le altre parti di questa storia sono disponibili qui: prima, seconda, terza.

Piccolo aggiornamento sulla mia vicenda di body hacking (sostituzione dei cristallini a entrambi gli occhi): stamattina ho sostituito anche il secondo cristallino.

La procedura è stata notevolmente più rapida e meno dolorosa della precedente; ho fatto mettere una lente per visione ravvicinata (monofocale che mette a fuoco gli oggetti vicini), diversa da quella installata nell’altro occhio (che mette a fuoco gli oggetti lontani), con l’intento di avere una visione nitida a qualunque distanza senza occhiali e con l’opzione di fare una leggera correzione ulteriore per le sessioni di lettura o lavoro al computer.

Per ora l’occhio operato è coperto da una conchiglia e da una benda, che toglierò domani. Sto bene e sono al lavoro, anche se avere il campo visivo parzialmente oscurato mi rallenta un po’; nei prossimi giorni aggiornerò questo post con i risultati.

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Una lente intraoculare simile alle mie.
Fonte: Wikipedia.
2023/11/08. Stamattina ho tolto la benda e fatto il primo esame di controllo: tutto bene. Posso tenere l’occhio operato scoperto durante il giorno, coprendolo solo di notte (per proteggerlo da impatti o sfregamenti involontari nel sonno), e posso già riprendere a guidare. Devo mettere delle gocce quattro volte al giorno e una pomata di notte.

La lente nell’occhio appena operato (il destro) è gialla, come quella già installata nell’altro occhio mesi fa, e il mio cervello non ha ancora imparato a correggere la tinta; di conseguenza vedo tutto più scuro e giallognolo con l’occhio destro e per ora sono in preda a un divertente effetto Pulfrich, per cui vedo gli oggetti con un effetto tridimensionale esagerato (anche nelle immagini 2D in leggero movimento).

Anche nell’occhio appena operato, come nel precedente, ho al momento un puntino colorato al centro del campo visivo; è un effetto simile a quello che si prova quando si guarda il sole e poi si sposta lo sguardo. A differenza dell’altro occhio, questo puntino non è stellato. Ho anche dei residui fluttuanti nell’occhio, simili a filamenti (chiamate in gergo “mosche volanti”), che dovrebbero riassorbirsi nei prossimi giorni, ma comunque ci vedo più che a sufficienza da poter lavorare.

Ho provato oggi a guidare e non ho avuto assolutamente problemi; ho notato solo che i fanali delle auto in galleria e le sorgenti luminose puntiformi hanno delle punte di diffrazione (diffraction spike) molto pronunciate a ore 11 e a ore 5, come nell’altro occhio.

L’aspetto esteriore dell’occhio è molto meno pesto rispetto a quello che aveva l’occhio precedentemente operato alla stessa distanza di tempo dall’intervento: sembra che mi sia sfregato troppo l’occhio con le mani, ma niente di più.

Ho un’altra visita di controllo domattina; aggiornerò ulteriormente questo post se ci saranno novità.

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2023/11/14. Una settimana dopo l’intervento, non noto più alcuna differenza di tinta delle immagini fra i due occhi. Il puntino centrale c’è ancora, e per ora impedisce la lettura delle scritte più piccole, ma sta scomparendo. Le punte di diffrazione sono scomparse. Giro ormai sempre senza occhiali, perché vedo bene sia da vicino, sia da lontano (il cervello seleziona automaticamente l’immagine più nitida).

Uso gli occhiali solo quando devo stare molto tempo a guardare oggetti vicini, per esempio davanti allo schermo del computer. In questo caso indosso un paio di quelli che avevo già per la lettura da vicino, al quale ho rimosso la lente per l’occhio destro (che ha la lente intraoculare tarata per la vista da vicino e quindi non ha bisogno di correzione; l’occhio sinistro sì). Direi che la scelta leggermente insolita di installare due cristallini differenti è andata benissimo.

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2023/11/18. Mi sono fatto dare i dati tecnici delle due lenti intraoculari: sono delle Hoya Vivinex iSert, modello XY1, asferiche e gialle, da +21.00D (occhio sinistro) e +22.00D (occhio destro), con un diametro ottico di 6 millimetri.


Schema del posizionamento della lente nell’occhio.

Questo è un video che mostra l’inseritore e la procedura di inserimento di una di queste lenti. Attenzione: nella seconda metà il video include immagini di chirurgia.

2023/11/05

Ci vediamo a Pescara l’11 novembre per InnovAzioni?

Il prossimo 11 novembre sarò a Pescara, ospite dell’evento InnovAzioni, giunto alla sua decima edizione e promosso dalla Sezione Servizi Innovativi di Confindustria Chieti Pescara. Parlerò sul tema “Quali tecniche e strumenti per distinguere fra fatti e bufale nei media moderni?”. portando la mia esperienza di giornalista e debunker confrontato con le nuove sfide della disinformazione amplificata dai social network e dell’erosione della realtà attraverso l’intelligenza artificiale.

Trovate il programma e l’elenco degli ospiti e relatori presso www.innovazioni.camp. L'evento è aperto al pubblico e la partecipazione è gratuita, previa prenotazione.

“Now and Then” dei Beatles: la voce di John Lennon è da considerare autentica o sintetica?

Pubblicazione iniziale: 2023/11/05 11:13. L’articolo è stato aggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale per tenere conto di nuove informazioni. Ultimo aggiornamento: 2023/11/09 18:45.

I Beatles hanno rilasciato pochi giorni fa una nuova canzone, Now and Then. È surreale che i Beatles escano con un brano nel 2023, ma grazie al machine learning è possibile. Lasciando da parte la bellezza del brano in sé e il suo valore emotivo, rimane la questione tecnica e quasi filosofica di decidere se lo si possa considerare “autentico”, e più in generale cosa voglia dire oggi questa parola.

Questo è il video ufficiale della canzone:

John Lennon aveva registrato una demo della propria voce, mentre cantava questo brano, su una semplice audiocassetta, nel 1977, accompagnandosi al pianoforte (questo dovrebbe essere un suo riversamento grezzo; fonte alternativa [2023/11/09: i link sono stati rimossi]). La voce di Lennon era in buona parte coperta dal pianoforte e prima d’ora era impossibile filtrare o separare il pianoforte per recuperare solo la voce e poi completare la canzone registrando oggi gli strumenti e le voci di accompagnamento, come si fa di solito e come fu fatto nel 1995 per Free as a Bird, altra canzone dei Beatles che usa la voce di Lennon tratta da una demo registrata su audiocassetta.

Così i Beatles ancora in vita, Paul McCartney e Ringo Starr (Lennon fu ucciso nel 1980 e George Harrison è morto di malattia nel 2001), hanno deciso di usare la tecnica di ricostruzione e demixing (isolamento e separazione dei singoli strumenti e delle voci, portandole su tracce separate) usata da Peter Jackson con grande successo per l’audio del documentario Get Back (esempio).

Il procedimento è descritto nel video qui sotto, che spiega la genesi di Now and Then: l’audio originale di Lennon è ascoltabile brevemente a 3:04, 4:10 e 4:46; a 7:08 si sente la voce ricostruita, prima dell’aggiunta dell’accompagnamento musicale usato per il brano finale.


Come descritto in dettaglio in questo video, la demo originale di Lennon è stata inoltre accelerata leggermente, una porzione è stata rimossa ed è stata aggiunta una parte nuova che sfrutta dei cori tratti da altre canzoni dei Beatles, come Eleanor Rigby e Because.

I dettagli pubblicamente disponibili di questo procedimento di demixing sono scarsi, e per ora non ho trovato documentazione tecnica specifica su come è stato applicato a Now and Then. Però ho trovato questa intervista, che usa con molta circospezione i termini inglesi “generative” e “regenerative” (a partire a 8:53), questo video e questo articolo di New Scientist (paywall; copia su Archive.is), che accennano a tecniche sottrattive. Tutte queste fonti sono dedicate a Get Back, ma sembra che la tecnica usata per il nuovo brano dei Beatles sia sostanzialmente la stessa, e nei video ufficiali dedicati a Now and Then si parla esplicitamente di machine learning e si nomina il software MAL usato per Get Back e gestito, per Now and Then, da Emile de la Ray, Hunter Jackson e Tyrone Frost, come indicato nei titoli di coda del secondo video incorporato qui sopra.

Da quel che ho capito, ci sono due scenari possibili:

  • Sottrazione: i suoni del pianoforte nella cassetta di Lennon sarebbero stati rimossi dando al software moltissimi campioni di suoni di pianoforti e addestrandolo a riconoscere e sottrarre solo quei suoni, lasciando quindi pulita la voce originale di Lennon, che sarebbe stata poi elaborata digitalmente con tecniche convenzionali.
  • Generazione: il software sarebbe stato addestrato su un gran numero di campioni di alta qualità della voce di Lennon e poi avrebbe usato l’audio registrato da Lennon sulla cassetta come riferimento per aggiungere le frequenze mancanti o generare i suoni vocali corrispondenti in alta qualità, attingendo ai campioni forniti, come nel modello di bandwidth expansion che potete ascoltare verso il fondo di questa pagina.

Qualche indizio sulla tecnica effettivamente usata può emergere da questo brano dell’articolo di New Scientist riferito a Get Back, che indica che i dati usati per addestrare la rete neurale includevano campioni di persone generiche che parlano e di strumenti suonati separatamente (non dai Beatles) e spezzoni dell’audio originale di Get Back nei quali i Beatles parlavano senza altri suoni estranei oppure suonavano i propri strumenti uno alla volta:

The team consulted with Paris Smaragdis at the University of Chicago and started to create a neural network called MAL (machine assisted learning), named after the Beatles’ longstanding road manager Mal Evans. The team also started to build a set of training data that was higher quality than datasets used in academic experiments.

This training data began as generic clips of people talking and instruments played separately that team members recorded themselves, roping in friends and colleagues. In time, the team added to this data with real sections of the 1969 audio in which the Beatles could be heard speaking alone or playing their instruments solo, to add specificity.

Se si tratta di pura sottrazione, allora mi sembra ragionevole dire che la voce che si sente è effettivamente quella di Lennon. Ma se i suoni originali sono stati ricostruiti o sostituiti con suoni analoghi di migliore qualità, sia pure provenienti da campioni della voce di Lennon, si può ancora parlare di voce autentica?

Comunque sia, il risultato all’ascolto è indiscutibilmente notevolissimo: emotivamente, la voce è quella di Lennon. Però mi sembra che questa tecnica generativa, se è stata usata, rischi di sconfinare nel deepfake se non addirittura nel falso. In questo caso era disponibile come riferimento una registrazione di Lennon che cantava effettivamente quella canzone; ma quanto sono accurati i campioni che sostituiscono gli originali (nell’ipotesi di una generazione)? E cosa impedisce di usare questa tecnica per far cantare a Lennon qualunque altro brano? 

Mi sembra insomma che ci sia una differenza tecnica e di principio fondamentale fra ripulire ed elaborare una voce esistente, effettivamente registrata, e sostituirne ogni singolo suono con un altro preso da un campionario, anche se si tratta di campioni della voce del cantante originale. 

Per fare un paragone, è come se si decidesse di restaurare il Colosseo usando materiali dello stesso tipo degli originali, con tecniche di costruzione identiche a quelle originali, per ridare all’edificio l’aspetto che aveva prima di cadere in rovina. Sarebbe ancora un edificio autentico? È il paradosso della nave di Teseo in versione musicale.

L’intelligenza artificiale, di cui il machine learning è una branca, sta cambiando il modo in cui pensiamo a concetti fondamentali come vero e falso, autentico e sintetico. Credo sia importante fermarci a riflettere se è questo il tipo di cambiamento che vogliamo, e come vogliamo dirigerlo. 

2023/11/03

È morto Ken Mattingly, astronauta lunare reso celebre dalla rosolia che non prese

È morto il 31 ottobre scorso a 87 anni Ken Mattingly, astronauta lunare con la missione Apollo 16, protagonista di una “passeggiata spaziale” fra la Terra e la Luna e comandante di due missioni Shuttle (STS-4 nel 1982 e STS 51-C nel 1985). Ne danno notizia CollectSpace e la NASA.

Molti lo ricordano per un episodio reso celebre dal film Apollo 13 di Ron Howard: Mattingly (interpretato da Gary Sinise nel film) era stato assegnato alla missione da cui trae nome il film, con il ruolo delicatissimo di pilota del modulo di comando, ma fu tolto dall’equipaggio tre giorni prima della partenza, dopo anni di addestramento, perché risultò che era stato esposto a un possibile contagio di rosolia, malattia che non aveva già fatto, dal collega astronauta Charlie Duke. 

Se Mattingly si fosse contagiato, la rosolia lo avrebbe debilitato proprio nei giorni cruciali della missione, per cui la NASA prese la decisione senza precedenti di sostituirlo con la sua riserva, Jack Swigert.

Mattingly rimase a terra e si trovò ad aiutare via radio con la propria competenza tecnica l’equipaggio dell’Apollo 13 dopo lo scoppio che danneggiò gravemente il veicolo durante il viaggio di andata verso la Luna. 

Ken Mattingly non si prese mai la rosolia, e fu assegnato alla missione Apollo 16 nel 1972 insieme a John Young e a quello stesso Charlie Duke che involontariamente gli aveva fatto perdere il volo precedente. Ebbe anche stavolta il ruolo di pilota del modulo di comando. 

La biografia ufficiale di Ken Mattingly è qui sul sito della NASA.

2023/11/02

Podcast RSI – Timori per Temu, blocco delle pubblicità online infettanti, Google “nega” il Kenya

logo del Disinformatico

Pubblicazione iniziale: 2023/11/02. Ultimo aggiornamento: 2023/11/17 8:30.

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare qui.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: spezzoni di YouTuber che parlano di Temu e spot di Temu]

Pochi giorni fa, mentre stavo facendo lezione di informatica in una scuola, uno studente mi ha chiesto cosa ne pensassi di Temu, la popolarissima app di shopping cinese, e se fosse pericolosa. È un dubbio che hanno in tanti, e le opinioni degli YouTuber sono molto contrastanti. Lo so, le opinioni degli YouTuber probabilmente non sono in cima alla vostra classifica delle fonti informatiche attendibili, per cui ho provato a rispondere alla domanda dello studente consultando gli esperti del settore. In particolare, è stata pubblicata una ricerca tecnica che sembra inchiodare Temu, ma anche così la questione non è proprio chiara come potrebbe sembrare.

Benvenuti alla puntata del 3 novembre 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo, e tra poco vi parlerò di Temu e anche dello stranissimo consiglio delle agenzie di sicurezza informatica statunitensi che raccomandano di usare gli adblocker, cioè le app che bloccano le pubblicità online, e vi racconterò dell’errore imbarazzante di Google, che addirittura dice in sostanza che il Kenya non esiste.

[SIGLA di apertura]

Temu è un’app pericolosa?

Secondo una ricerca pubblicata a settembre dalla società di sicurezza informatica Grizzly Research, la popolarissima app di shopping cinese Temu sarebbe un malware e spyware estremamente pericoloso. Tutte le app per fare acquisti sono piuttosto invadenti, ma Temu è tutta un’altra storia, stando alle analisi tecniche.

Per esempio, notano i ricercatori, Temu chiede per impostazione predefinita la localizzazione precisa dell’utente in quel momento, cosa che non ha senso se l’utente vuole semplicemente acquistare un prodotto e ha già dato il proprio indirizzo per la spedizione. Se l’app rimane attiva, i gestori di Temu possono tracciare l’utente per tutto il tempo.

Temu, secondo questa ricerca, ha anche un altro comportamento molto pericoloso: la cosiddetta compilazione dinamica. L’app può scaricare da Internet del codice software aggiuntivo e compilarlo, cioè renderlo eseguibile sul dispositivo dell’utente. Questo vuol dire che l’app può superare tranquillamente i controlli di sicurezza di Google Play, per esempio, perché non contiene codice pericoloso, ma una volta installata può scaricare altro codice ed eseguirlo, eludendo completamente le verifiche di sicurezza.

La lista delle caratteristiche pericolose di Temu è molto lunga, secondo questa ricerca, e va detto che i toni di Grizzly Research sono un po’ sensazionalisti e che gli esperti esterni citati da questa ricerca non vengono nominati, ma la sostanza delle asserzioni sembra robusta e ben documentata, anche con il supporto di una società di sicurezza informatica svizzera. E una delle caratteristiche sospette di Temu è stata confermata indipendentemente: è la cosiddetta obfuscation, una tecnica nella quale il software dell’app è scritto in modo intenzionalmente poco chiaro, usando metodi che rendono estremamente difficile capire cosa stia facendo realmente.

Però l’app è ancora disponibile sul Play Store di Google per i dispositivi Android e nell’App Store di Apple, sia pure con una dettagliata elencazione dei dati personali che raccoglie e che sono davvero tanti.

Allo stesso tempo, la piattaforma di commercio elettronico Pinduoduo, legata a Temu, è stata sospesa da Google perché conteneva malware, e pochi giorni fa nel Regno Unito alcune pubblicità su Temu sono state bandite perché mostravano una bambina in bikini “in posa molto adulta”, come dice molto signorilmente la Advertising Standards Authority britannica, e presentavano altre immagini che, sempre secondo l’autorità britannica, “oggettificavano le donne”. Temu ha rimosso l’immagine della bambina, ammettendo che violava le sue regole, ma si è opposta alle altre contestazioni.

Inoltre Apple ha dichiarato che in passato Temu ha violato le regole di privacy, ingannando gli utenti sul modo in cui usa i loro dati, ma la questione è stata poi risolta.

I sospetti sulla sicurezza e la privacy di Temu, insomma, non mancano, per cui è sconsigliabile perlomeno installarla su smartphone usati per lavoro o per altre attività sensibili, ma forse il problema non è solo informatico.

Molte delle recensioni indipendenti di questa app notano che i prezzi dei prodotti sono semplicemente insostenibili, considerato che vengono quasi sempre spediti dalla Cina, e quindi fare shopping su tutte queste app che fanno viaggiare i propri prodotti per decine di migliaia di chilometri ma li fanno pagare una manciata di euro, dollari o franchi ha non solo un probabile impatto informatico, ma anche un indubbio impatto ambientale, che va preso in considerazione.

[Fonti aggiuntive: privacy policy di Temu; Agenda Digitale; Cybersecurity360.it]

Agenzia di sicurezza informatica USA: bloccate le pubblicità, possono trasportare malware

Non capita spesso che un’agenzia di sicurezza governativa includa le parole “installate software che blocchi le pubblicità online nelle proprie raccomandazioni, ma è quello che si legge in un documento della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency del governo statunitense (Cisa.gov), un’autorità indiscussa nel campo della sicurezza informatica. 

E non è l’unico caso: raccomandazioni analoghe sono state pubblicate anche da un’altra agenzia di sicurezza informatica piuttosto ben conosciuta, la NSA (National Security Agency) statunitense.

Prevengo subito il vostro comprensibile dubbio che queste raccomandazioni siano in qualche modo legate alle decisioni recenti di Facebook e Instagram di offrire anche versioni a pagamento e senza pubblicità e siano una sottile forma di incoraggiamento a pagare per usare questi servizi, soprattutto alla luce della decisione dell’Unione Europea di vietare la raccolta di dati personali per la profilazione pubblicitaria: queste raccomandazioni di CISA e NSA, infatti, risalgono a tempi non sospetti, ossia al 2021 e al 2018, e sono tuttora valide, ma richiedono qualche spiegazione.

Le pubblicità su Internet non sono come quelle che vedete o ascoltate alla radio, alla televisione o sui giornali e nelle riviste: non sono informazioni passive, scelte e approvate manualmente dall’editore. Le pubblicità online sono codice, ossia sono software che può essere eseguito dal vostro smartphone, tablet o computer, e sono spesso inserite nelle pagine del Web e nei social network senza alcun controllo significativo di sicurezza da parte di chi le pubblica. Questa situazione permette agli aggressori informatici di creare quello che in gergo si chiama malvertising, ossia pubblicità che trasportano attacchi informatici.

CISA e NSA segnalano che questa tecnica di attacco è sempre più diffusa, e proprio ieri, 2 novembre, l’azienda di sicurezza informatica Bitdefender ha pubblicato una ricerca su una campagna di crimine online che prende di mira gli account Facebook usando in modo improprio la rete pubblicitaria di Meta, che possiede Facebook. L’obiettivo di questi attacchi è rubare gli account e acquisire dati personali. Se un utente clicca sulle pubblicità create dagli aggressori, scarica automaticamente un malware, chiamato NodeStealer, che ruba dati di mail, wallet di criptovalute e altro ancora.

La pubblicità online diventa un canale di diffusione di malware molto potente, fra l’altro: Bitdefender stima che siano stati almeno 100.000 i download potenziali in questo recente attacco e nota che con un singolo annuncio infettante si possono produrre 15.000 scaricamenti nel giro di 24 ore dal lancio della campagna pseudo-pubblicitaria.

Ci sono vari modi per difendersi da questo tipo di attacco: le autorità e le aziende di sicurezza informatica raccomandano di usare solo browser noti e aggiornati, e suggeriscono inoltre di installare un adblocker, cioè un’app che blocchi tutte le pubblicità. Tuttavia notano che è necessario scegliere gli adblocker con molta cautela, perché queste app vedono tutto il traffico di dati dell’utente (e devono farlo, per poter funzionare) e quindi potrebbero raccogliere dati personali. Inoltre ci sono stati casi di adblocker che hanno accettato pagamenti da alcuni inserzionisti per far passare indisturbate le loro pubblicità.

Un altro rimedio è impostare un filtro sulla propria rete informatica che blocchi il traffico dei siti pubblicitari conosciuti, come fa per esempio il software libero e gratuito Pi-hole, disponibile presso Pi-hole.net e installabile anche su dispositivi a bassissima potenza come i Raspberry Pi. In pratica si ottiene una sorta di scatolotto hardware che filtra e blocca tutti i siti pubblicitari ed è completamente controllabile dall’utente. Installare questi filtri, però, richiede competenze tecniche notevoli: se non le avete, potete chiedere aiuto a una persona esperta di fiducia.

Ne vale la pena: gli spot spariscono e la navigazione diventa molto più veloce, perché viene eliminato il peso delle immagini e dei video pubblicitari. Ma attenzione: molti siti, soprattutto quelli più piccoli, dipendono dalla pubblicità per vivere. Non a caso, YouTube ha avviato una campagna per tentare di bloccare l’uso di adblocker.

Se decidete di bloccare le pubblicità di un sito che trovate utile, insomma, è opportuno compensarlo in modi alternativi, come per esempio un abbonamento o una donazione. E se tutto questo vi sembra troppo complicato, c’è sempre la difesa più semplice: non cliccare mai sulle pubblicità, così non potranno scaricare malware sul vostro dispositivo.

Secondo Google, nessun paese africano inizia con la K

Google è di gran lunga il motore di ricerca più usato al mondo, ma ultimamente i suoi risultati lasciano un po’ a desiderare, tanto che numerosi utenti stanno passando ad alternative come DuckDuckGo.

La differenza è notevole, soprattutto perché DuckDuckGo non fa tracciamento delle attività di ricerca a scopo pubblicitario e non mette in primo piano risultati palesemente falsi, come quello che da qualche tempo sta generando parecchia ilarità fra gli utenti di Google: se chiedete a Google in inglese di dirvi il nome di un paese africano che inizia con la lettera K (sì, so che avete già in mente la risposta), Google risponde mettendo al primo posto un delirio senza senso: dice che “Benché vi siano in Africa 54 paesi riconosciuti, nessuno di essi inizia con la lettera K”, e già così commette un errore imbarazzante, ma poi prosegue dicendo che “quello che più vi si avvicina è il Kenya, che inizia con un suono ‘K’ ma viene effettivamente scritto con un suono ‘K’”.

DuckDuckGo, invece, risponde fornendo semplicemente link a elenchi di nomi di paesi africani, dai quali è facile estrarre quello che inizia con la K.

Perché Google fa un errore così ridicolo? La colpa è dell’azienda, che ha introdotto i cosiddetti snippet in primo piano, che sono risultati che dovrebbero “aiutare gli utenti a trovare più facilmente quello che stanno cercando” e sarebbero “particolarmente utili per le ricerche vocali o su dispositivi mobili”.

Ma questi snippet non stanno funzionando molto bene. A ottobre scorso ho segnalato in questo podcast il caso di Google che spiegava (si fa per dire) come fondere le uova. Anche in questo nuovo caso c’è lo zampino dell’intelligenza artificiale, usata maldestramente, perché Google ha preso questo risultato demenziale da una risposta di ChatGPT pubblicata su Emergent Mind

Ma gli algoritmi di Google non si sono resi conto che quella risposta è stata pubblicata, ed è stata linkata da molti utenti, non perché è corretta, ma perché è ridicolmente sbagliata.

Al momento in cui chiudo questo podcast Google continua a dichiarare che il Kenya non esiste, ma probabilmente anche questo errore sparirà a breve se verrà segnalato da un numero sufficiente di utenti tramite l’apposito link di feedback presente sotto il risultato. Ma per ora sembra che gli utenti si stiano divertendo troppo per segnalare questi e altri errori, e quindi non ci resta che ridere e diffidare dei risultati proposti dagli snippet in primo piano di Google.

2023/10/31

(AGGIORNAMENTO 2023/11/03) 93 anni fa nasceva a Roma Michael Collins, astronauta lunare: la traduzione italiana della sua autobiografia è pronta

Pubblicazione iniziale: 2023/10/31 19:01. Ultimo aggiornamento: 2023/11/03 10:20.

Il 31 ottobre 1930 nasceva a Roma, in via Tevere, l’astronauta statunitense Michael Collins, protagonista della storica prima missione di allunaggio umano insieme a Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Collins rimase a bordo del veicolo spaziale principale mentre i suoi colleghi raggiungevano per la prima volta la superficie della Luna, e trascorse così molte ore da solo a bordo, con l’incubo di dover rientrare sulla Terra abbandonando i suoi compagni a morte certa sulla Luna se non fossero riusciti a ripartire e raggiungerlo.

Collins ha scritto una bellissima autobiografia, Carrying the Fire, una delle più umane e poetiche fra quelle degli astronauti di quell’epoca pionieristica, e come probabilmente sapete se seguite abitualmente questo blog sto curando da oltre un anno, insieme a una squadra di persone esperte, la traduzione italiana di questo suo racconto di vita.

Mi fa molto piacere festeggiare l’anniversario della nascita di Collins, scomparso nel 2021, annunciando che la traduzione e l’impaginazione (cartacea e in e-book) sono completate e il libro attende ora solo l’approvazione del titolare statunitense dei diritti per andare in stampa, grazie alla pazienza editoriale sovrumana di Cartabianca Publishing, che ha saputo gestire le condizioni e le limitazioni molto impegnative imposte dalla casa editrice americana, estremamente attenta a proteggere l’immagine pubblica di Collins.

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Aggiornamento (2023/11/03): L’approvazione del titolare statunitense dei diritti è arrivata e possiamo andare in stampa!

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I più attenti noteranno che la copertina (mostrata qui sopra) è leggermente cambiata rispetto alla versione presentata inizialmente, per garantire la maggiore fedeltà storica possibile: riuscite a vedere la differenza rispetto alla versione precedente?

Se tutto va bene, il libro sarà ordinabile a novembre su carta e in e-book. Chi ha partecipato al suo crowdfunding riceverà la sua copia con priorità rispetto a tutti gli altri acquirenti.

Ad agosto scorso vi ho raccontato alcuni esempi delle difficoltà traduttive che abbiamo incontrato e che molti lettori non immaginavano (alcune non ce le immaginavamo neanche noi). Se l’arte della traduzione letteraria e tecnica vi intriga e volete avere un’idea di quanto lavoro ci sia dietro una versione italiana curata e di quanto questo tipo di traduzione sia inarrivabile per i software automatici, ecco la seconda infornata di esempi.

LM o LEM? LEM!

Come discusso a settembre scorso in questo post, si poneva il problema degli acronimi delle parti del veicolo spaziale Apollo, che includeva un modulo lunare (Lunar Module), un modulo di comando (Command Module) e un modulo di servizio (Service Module). I rispettivi acronimi sono LM, CM e SM, e sono usatissimi in Carrying the Fire. Ma tradizionalmente in italiano il modulo lunare è noto come “il LEM”, perché all’inizio il suo acronimo era Lunar Excursion Module ed entrò nell’uso in questa forma, anche se poi perse la E di Excursion.

Un sondaggio fra i lettori di questo blog ha fatto prevalere l’acronimo classico, spiegato nel libro da una nota. Contravveniamo alla regola grammaticale, ma qui è più importante la comprensibilità che la pedanteria.

Citazioni sbagliate

  • Nel Capitolo 4, Collins scrive bête noir [sic], ma la grafia corretta è bête noire
  • In un altro punto cita la stella Formalhaut [sic] (il refuso è presente anche nella versione cartacea del 1973).
  • Nel Capitolo 14 scrive ad nauseum [sic] al posto di ad nauseam
  • Nell’Appendice, cita lo Shuttle Endeavor [sic], ma la grafia corretta è Endeavour, perché la navetta prese il nome dalla nave capitanata dall’esploratore britannico e matematico James Cook nel diciottesimo secolo, che da buon suddito di Sua Maestà usò la grafia British (anche la NASA riuscì a sbagliare, pur avendo dato il nome Endeavour a due veicoli, ossia a uno degli Shuttle e al modulo di comando di Apollo 15, quando espose un grande striscione con la scritta “Go Endeavor[sic] al Kennedy Space Center a luglio 2007, prima di una missione di quello Shuttle, come raccontato qui).
  • Nel Capitolo 5, Collins cita l'accelerazione di 9,8 m/s [sic], dimenticandosi l’esponente (la grafia giusta è 9,8 m/s2). 
  • Nel Capitolo 13 cita una persona che di cognome fa, secondo lui, Macleish [sic], ma in realtà si tratta di John E. McLeaish.

In tutti questi casi abbiamo deciso di correggere, invece di riportare pari pari gli errori, perché l’intenzione di Collins era di usare la grafia giusta, ma dato che lui stesso fa notare che il suo manoscritto è stato trascritto a macchina da altri, non possiamo attribuire sicuramente questi sbagli a lui. Se avessimo la certezza che gli errori furono suoi, allora avrebbe senso lasciarli, perché caratterizzerebbero la persona per quella che era invece di imbellettarla correggendone gli errori, ma non siamo affatto certi che Collins, altrove così forbito nelle citazioni letterarie, abbia commesso personalmente questi refusi. Oltretutto, se avessimo deciso di lasciarli per una (presunta) maggiore fedeltà, i lettori avrebbero pensato probabilmente a un nostro errore dilettantesco. Avremmo dovuto mettere una nota a piè pagina per spiegarlo ogni volta. E così abbiamo corretto.

Il problema principale, in casi come questi, è accorgersi dell’errore (per esempio insospettendosi per una grafia insolita di un cognome) e poi trovarne la correzione. Questo i traduttori software non lo fanno.

Correzioni ai dati di fatto

Si è posto anche un problema ben più spinoso per un altro tipo di errori: quelli riguardanti dati di fatto. Per esempio, nell’Appendice in originale citava la missione Apollo-Soyuz ancora come “scheduled” (pianificata), persino nella ristampa del 2001 e anche nell’attuale e-book inglese: abbiamo corretto mettendo le date di effettiva realizzazione della missione, perché presumiamo che Collins avrebbe corretto in questo modo se qualcuno avesse riletto il testo prima di ristamparlo.

Nel Capitolo 3 Collins dice che il 1964 fu un anno senza voli spaziali, ma non è vero, perché (come ha notato Gianluca Atti, una delle memorie storiche che hanno partecipato alla traduzione) ci fu un volo sovietico, quello della Voshkhod 1, con tre cosmonauti, a ottobre 1964: abbiamo scelto di aggiungere un semplice “per noi” per non mettere una nota che sarebbe suonata pedante.

Nel Capitolo 6 l’autore scrive che l’intenzione di effettuare una pericolosa “passeggiata spaziale”, la prima per gli americani, fu annunciata al mondo solo dopo che la missione (Gemini 4) si era alzata in volo, ma Gianluca ha notato che già il giorno del lancio sui quotidiani italiani (La Stampa) si riportava la notizia dell'EVA di White. Qui l’errore è di Collins e abbiamo deciso di mantenerlo.

Nel Capitolo 13, una lunga sequenza di dialoghi (un cosiddetto readback delle importantissime istruzioni per l’esecuzione dell’accensione del motore necessaria per centrare esattamente l’atmosfera terrestre senza rimbalzarvi e perdersi nello spazio e senza penetrarla troppo ripidamente e disintegrarsi) è riportata da Collins con molti errori: sembra essere in parte una versione riassunta e malamente trascritta di quanto trasmesso dal CAPCOM Charlie Duke, stando alla trascrizione pubblicata nell’Apollo 11 Flight Journal; lo stesso avviene nel Capitolo 7 con i dialoghi fra Collins e Young durante la loro missione Gemini 10. Anche qui, abbiamo deciso di mantenere l’aderenza all’originale, aggiungendo solo qualche puntino di sospensione per indicare che si tratta di una sintesi, perché una correzione completa sarebbe stata macroscopica e comunque i dettagli delle istruzioni non sono importanti per la comprensione del testo.

Riferimenti culturali

Nel Capitolo 5 e nel Capitolo 11, Collins parla del modulo di comando, denominato Columbia, descrivendolo come “gioiello dell'oceano”. Detto così non sembra avere senso, ma in realtà si tratta di un riferimento a una canzone popolare statunitense, Columbia, the Gem of the Ocean.

Nel Capitolo 9 a un certo punto scrive “back-to-back and belly-to-belly”; quanti traduttori (software o umani) saprebbero notare che si tratta di una citazione di Zombie Jamboree, una canzone di Harry Belafonte?

La citazione di “Amateur hour” (Capitolo 9) è un riferimento al titolo di un popolare programma di ricerca di nuovi talenti della TV statunitense. Abbiamo usato “dilettante allo sbaraglio” come riferimento sottile alla Corrida, programma equivalente della Rai di quegli anni.

L’espressione “...but this beast is best felt. Shake, rattle, and roll! Noise, yes, lots of it, but mostly motion...” usata da Collins per descrivere lo sballottamento prodotto dal suo veicolo spaziale include un riferimento alla canzone Shake, Rattle and Roll, popolarissima in quegli anni. Per rendere chiaro in italiano questo riferimento, che altrimenti si sarebbe perso completamente, abbiamo aggiunto “come dice la canzone”.

La citazione di una domanda da 64.000 dollari nel Capitolo 13 può sembrare stranamente specifica, ma bisogna ricordarsi che The $64,000 Question era il nome di un telequiz popolarissimo alla TV statunitense dell’epoca.

Per sapere come abbiamo risolto in italiano la citazione salace dell’espressione “rub-a-dub-dub” vi toccherà aspettare di leggere il libro tradotto: posso solo anticiparvi che ci abbiamo sudato parecchio.

Anche la citazione di Lew’s submarine (Capitolo 11), in un contesto per nulla navale, non è stata facile da sistemare. Quanti traduttori (automatici o meno) si accorgerebbero che non si tratta di terminologia navale ma di un riferimento a un particolare tipo di panino? Alla fine la soluzione l’ha trovata la co-traduttrice Paola Arosio. Voi come avreste tradotto?

“I decided it was time to move on, while I could still leave with my shield rather than on it!”: scrive così Collins nel Capitolo 14. Ma non si tratta di scudi termici per il rientro o altro: è una citazione greca (“con lo scudo o sullo scudo”), nel senso di “o vittoria o morte”, perché la locuzione originale greca si riferisce “al saluto che le madri spartane rivolgevano ai loro figli prima della partenza per la guerra: essi potevano ritornare a casa portando lo scudo oppure essere riportati morti sullo scudo. Va ricordato che perdere lo scudo era sinonimo di diserzione e codardia, poiché non si poteva scappare senza esserselo tolto, data la sua pesante mole.“

Riferimenti religiosi

La prosa di Collins è piena di citazioni dai testi sacri. Per esempio, nel Capitolo 6 parla di “fatted calf”, che è il vitello grasso dal Vangelo secondo Luca, e cita l’espressione “living right”, che non vuol dire semplicemente vivere correttamente, ma indica specificamente la condotta secondo la retta via religiosa.

Nel Capitolo 9 parla di “ruin and damnation”, che è un’espressione specifica del lessico cristiano (“rovina e dannazione”).

Nei Capitoli 8 e 10 Collins parla di “path of righteousness”, che è il “sentiero di rettitudine” nel lessico cristiano. Però bisogna accorgersene, altrimenti il riferimento si perde completamente.

Nel Capitolo 11 cita scherzosamente un “comandamento” degli astronauti, scrivendo “Thou shalt not screw up”. Collins usa il lessico arcaico della Bibbia tradizionale inglese, ma il lessico biblico italiano non ha nulla del genere e quindi abbiamo scelto di aggiungere un “Ricordati di”, come in “Ricordati di santificare le feste”, per richiamare con pari efficacia e chiarezza il testo dei comandamenti.

Nel Capitolo 12 Collins cita l’“original man”, che non è un uomo originale, ma è una citazione teologica che in italiano si rende normalmente con “Uomo originale” (con la U maiuscola) oppure “uomo primordiale”.

“The Jewish mother is in orbit”, scrive Collins a un certo punto nel Capitolo 13. Ma non si tratta di un’astronauta ebrea: è un riferimento allo stereotipo della mamma ebrea iperprotettiva, familiarissimo per gli americani ma molto meno per chi ha una cultura italiana. Come renderlo in italiano? Non è facile, ma si può.

Citazioni letterarie

Nel Capitolo 8 Collins cita “The Ballad of East and West” di Kipling; nel Capitolo 9 cita la poesia If, sempre di Kipling; nel 14 cita T.S. Eliot; in vari punti viene citato Omar Khayyam. In tutti questi casi occorre trovare l’equivalente italiano, se già esiste.

Una citazione meno aulica è nel Capitolo 13, quando parla di “huffing and puffing”: è un riferimento alla fiaba del lupo e dei tre porcellini, e bisogna cercare un modo per mantenerlo per il lettore italiano.

Questione cromatica: soluzione al limite dell’ossessivo-compulsivo

Nel Capitolo 10 viene citato il colore di una delle tre squadre di controllori che si avvicendavano nel corso delle ventiquattro ore durante le missioni spaziali, e il colore è maroon. Ma che colore è esattamente in italiano? Non è certo marrone; potrebbe essere bordeaux, vino, granata, insomma un rosso cupo tendente al marrone. Andando a vedere le tabelle Pantone emergono risultati contrastanti.

Soluzione (resa possibile dal provvidenziale intervento di un appassionato lettore, Morando 68): scrivere direttamente al direttore di quella squadra, Milt Windler, che è ancora con noi e ha risposto per lettera e (da bravo ingegnere preciso) allegando campioni di colore. E la risposta esatta è “granata”, come le maglie del Torino. Eccezionale.

L’ape regina leccata dai fuchi

Collins scrive, parlando di uno dei grandi computer dell’epoca (Capitolo 11), che sembrava “the queen bee, licked by drones and fed by workers”. Salta fuori che no, quel “licked” non è un errore di battitura ma è un comportamento reale dei fuchi, ma dopo lunga discussione e temendo che i lettori pensassero a un nostro errore abbiamo preferito evitare l’immagine mentale porno-entomologica.

Come si chiama la navicella spaziale in Dalla Terra alla Luna di Verne? Sbagliato, Neil!

Nel Capitolo 11 viene riportato il discorso fatto da Neil Armstrong in diretta TV durante il viaggio di ritorno dalla Luna, e Neil cita il fatto che il nome del modulo di comando è Columbia e nota che Columbiad è “il nome della navicella che Jules Verne mandò sulla Luna nel libro che scrisse cent’anni fa”. Ma in realtà è il nome del cannone che spara la navicella-proiettile, non della navicella stessa (che è senza nome). Collins, in un altro punto, specifica correttamente che si tratta del nome dato al cannone. Abbiamo lasciato intatto l’errore di Armstrong.

Collins dà ragione ai complottisti?

E per finire, un paio di quizzelli tecnici che a prima vista potrebbero sembrare delle prove a favore dei lunacomplottisti: nel Capitolo 12, Collins spiega che il veicolo spaziale raggiunge la velocità di “10,8 chilometri al secondo, oltre 39.000 chilometri l’ora, più che sufficiente per uscire dal campo gravitazionale terrestre” (“35,579 feet per second, more than enough to escape from the earth’s gravitational field”). Ma in realtà questa velocità non è sufficiente ad abbandonare completamente il campo gravitazionale terrestre, cosa per la quale occorrerebbe raggiungere la cosiddetta velocità di fuga, pari a 11,2 chilometri al secondo o 40.320 chilometri l’ora). Come si spiega questa anomalia? Se volete lo spoiler, la spiegazione è qui.

Sempre nello stesso capitolo, Collins nota che il terzo stadio del Saturno V viaggia alla stessa velocità del veicolo spaziale Apollo, eppure abbandona il campo gravitazionale della Terra e addirittura entra in orbita attorno al Sole, cosa che richiede molta più velocità di quella del veicolo Apollo (che invece non riesce neppure a sfuggire completamente alla Terra. E il terzo stadio ha esaurito il propellente. Ma allora da dove prende questa velocità aggiuntiva? Se vi arrendete, la soluzione è qui (in inglese). 

Questi quiz sono un ottimo esempio di come il mestiere del complottista sia facile e quello del debunker sia invece ben più arduo: il complottista non deve fare altro che notare l’anomalia e gridare al complotto. Il debunker, invece, deve informarsi sulle complicate ragioni di meccanica celeste che rendono possibile e realistica, anzi reale, questa apparente anomalia. Ed è per questo che nei dibattiti dal vivo il complottista di turno ha il gioco troppo facile, per cui conviene evitare di parteciparvi ma rispondere solo dopo essersi documentati.

Chi c’è nello spazio? Aggiornamento 2023/10/31: 10 persone

Tre astronauti cinesi, Jing Haipeng, Zhu Yangzhu e Gui Haichao sono rientrati sulla Terra poche ore fa a bordo del loro veicolo Shenzhou-16, di ritorno da una lunga permanenza (circa cinque mesi, dal 30 maggio 2023) a bordo della Stazione Nazionale Cinese. Questo porta il numero complessivo di persone attualmente nello spazio a dieci.

Stazione Spaziale Internazionale (7)

Jasmin Moghbeli (NASA) (dal 2023/08/26)

Andreas Mogensen (ESA) (dal 2023/08/26, attuale comandante della Stazione dal 2023/09/26)

Satoshi Furukawa (JAXA) (dal 2023/08/26)

Konstantin Borisov (Roscosmos) (dal 2023/08/26)

Loral O’Hara (NASA) (dal 2023/09/15)

Oleg Kononenko (Roscosmos) (dal 2023/09/15)

Nikolai Chub (Roscosmos) (dal 2023/09/15)

Stazione Nazionale Cinese (3)

Tang Hongbo (dal 2023/10/06)

Tang Shengjie (dal 2023/10/06)

Jiang Xinlin (dal 2023/10/06)


Fonte aggiuntiva: Whoisinspace.com.

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