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Il Disinformatico

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2003/03/11

[IxT] #2003-017 (11/3/2003). Antibufala: come ti risolvo il caro-benzina? Boicottando Shell e Esso

Sembra esserci un boom di catene di sant'Antonio riguardanti i prezzi di benzina e petrolio; sarà l'effetto Iraq. La bufala di oggi riguarda in particolare un appello che dichiara di provenire dalla Francia. “Siamo venuti a sapere di un'azione comune per esercitare il nostro potere nei confronti delle compagnie petrolifere: semplice e geniale! “ inizia l'appello.

“I petrolieri e l'OPEC ci hanno condizionati a credere che un prezzo che varia tra 0,95 e 1 euro al litro sia un buon prezzo, ma noi possiamo far loro scoprire che il prezzo conveniente è la metà.... La proposta è che, da qui alla fine dell'anno, non si compri più benzina delle due più grosse compagnie, SHELL e ESSO, che peraltro ormai formano una compagnia soltanto. Se non venderanno più benzina, saranno obbligate a calare i prezzi. Se queste due compagnie calano i prezzi, le altre dovranno per forza adeguarsi.”

L'appello si conclude con due perle di prima grandezza: “Inviate dunque questo messaggio a dieci persone, chiedendo loro di fare altrettanto. Abbiamo calcolato che, se tutti sono abbastanza veloci nell'agire, potremmo sensibilizzare circa 300 milioni di persone in otto giorni.”. Più che “sensibilizzare”, direi “spammare”, dato che l'idea di diffondere trecento milioni di messaggi inutili è proprio tipica dello spamming più abietto. “E' certo che, ad agire così, non abbiamo niente da perdere, non vi pare ?!” Certo, niente da perdere se non la faccia.

Il progetto proposto dall'appello, infatti, non sta in piedi. L'appello dichiara di ambire a dimezzare il prezzo della benzina (“noi possiamo far loro scoprire che il prezzo conveniente è la metà”), ma si scontra con un piccolo particolare: perlomeno in Italia e in gran parte dei paesi europei, il prezzo della benzina alla pompa è costituito per oltre la metà da tasse. Di queste tasse non va nulla in tasca a “petrolieri e OPEC”. Va tutto al fisco.

Per la precisione, in Italia il prezzo della benzina è composto da prezzo industriale (quello che va ai produttori), accisa e IVA al 20% (che vanno al fisco). Secondo dati di febbraio 2003, citati da Il Nuovo del 5 febbraio 2003 (http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,169190,00.html) e confermati da altri siti come http://www.tecnici.it/indici/default.asp?nam=benzina, che dichiara “dati forniti dal Ministero dell'Industria”, quasi tre quarti di quello che si paga al distributore va al Fisco.

Per dirla con Il Nuovo, i prezzi finali dei carburanti “sono infatti la risultante del prezzo industriale a cui va aggiunta l'accisa e l'Iva al 20% applicata sul totale delle prime due voci. Dunque, degli 1,095 euro che arriva a costare agli automobilisti un litro di verde, solo 0,371 euro circa sono legati all'effettivo costo del carburante. La parte rimanente, pari a 0,724 euro, è invece costituita da tasse (0,542 euro il peso dell'accisa e 0,1825 quello del'Iva)”.

In altre parole, i produttori possono decidere di ridurre quei 37 eurocent al litro; sulle altre voci non hanno modo di intervenire. Supponiamo, giusto per ridere, che in un impeto di mirabile generosità, magari scossi da questo appello, i produttori decidano di lavorare gratis (e come loro i loro dipendenti e i benzinai) e rinuncino completamente alla loro quota, regalando benzina. La benzina scenderebbe da 109,5 eurocent a 72,4 eurocent (ossia da 2120 a 1400 vecchie lire), ma di certo non si dimezzerebbe come promette l'appello.

E' comprensibilmente difficile che i produttori di petrolio decidano di rinunciare a tutti i loro ricavi: diventerebbe un tantinello difficile pagare gli stipendi ai loro dipendenti. Ma chissà, magari un appello del genere potrebbe perlomeno indurli a ridurre la loro quota di ricavi.

Può darsi. Ma l'effetto della riduzione dei ricavi sul prezzo della benzina sarebbe modesto. Per esempio, supponiamo che le società petrolifere, messe sotto pressione dalla campagna promossa dall'appello, riducano del 20% i propri ricavi. Sarebbe un risultato industrialmente ragguardevole, dato che come qualsiasi azienda, le società petrolifere hanno alcuni costi di produzione non comprimibili: stipendi e tasse, ammortamento degli impianti, materie prime e materiali di consumo, eccetera.

Ho fatto due conti, e persino in un caso così improbabile, la riduzione alla pompa ammonterebbe in totale a 9,5 eurocent. In altre parole, quand'anche le società riducessero miracolosamente del 20% i propri ricavi (sottolineo ricavi, non guadagni) senza schiattare, la benzina calerebbe soltanto di 180 lire al litro. Meno del dieci per cento.

Insomma, questi appelli al boicottaggio selettivo dei distributori di benzina sono rivolti al bersaglio sbagliato. E' il fisco, non l'OPEC, che si mangia i tre quarti di quello che paghiamo alla pompa. Ma col fisco non si può discutere e non si possono fare boicottaggi, per cui questi appelli si sfogano prendendosela con chi invece c'entra poco: la classica sindrome del “se la moglie ti rimprovera, dai un calcio al cane”. Non andare a far benzina presso una catena di distributori e farla invece in un'altra, naturalmente, per il fisco non fa nessunissima differenza.

In realtà il modo per ridurre subito la spesa affrontata al distributore c'è, e non richiede catene di sant'Antonio o improbabili boicottaggi. Basta guidare un po' più piano e meno nervosamente, magari rispettando i limiti di velocità cittadini, visto che il ciclo urbano di continue brusche accelerazioni e brusche frenate è quello che fa schizzare verso l'alto i consumi. Rispettare i limiti di velocità, inoltre, avrebbe anche il non trascurabile effetto collaterale di ridurre il numero impressionante di morti per incidenti stradali.

Novemila l'anno, in Italia. Pensateci.

L'indagine antibufala completa è a vostra disposizione presso

http://www.attivissimo.net/antibufala/caro_benzina_idea_francese.htm

Nuovo Office, documenti in formato Palladium

La prossima versione di Office consentirà di cifrare con una semplice cliccata e-mail, spreadsheet e documenti, consentendone stampa e lettura soltanto agli utenti autorizzati. Rivoluzione nella tutela della riservatezza o tattica per creare ulteriore dipendenza negli utenti? Ho scritto un'analisi in proposito, la trovate qui:

http://www.apogeonline.com/webzine/2003/03/11/01/200303110101

Webcam!

Visto che alcuni lettori particolarmente amanti dell'orrido si sono lamentati che la mia webcam è spenta da mesi, l'ho riaccesa alla fine di una soffertissima installazione di un nuovo PC sul quale coabitano Windows XP e Linux. Un giorno vi racconterò cosa mi è capitato, ma devo aspettare che mi passino i travasi di bile causati, stranamente, più da XP (che pure era preinstallato e avrebbe dovuto funzionare subito) che da Linux.

Se volete inquietarvi, la webcam è disponibile (in orari di lavoro e ogni tanto anche di notte) qui:

http://members.xoom.virgilio.it/attivissimo/webcam.htm

Recensione su Repubblica

Grazie a tutti coloro che mi hanno inviato la scansione della recensione del Servizio Antibufala sul Venerdì di Repubblica!

Antibufala del Politecnico: aggiornamento

Il 10/3/2003 ho ricevuto dal professor Rodolfo Soncini Sessa, del Politecnico di Milano, una sua nota di chiarimento. Il professore mi ha chiesto di pubblicarla, e così ho fatto. La trovate qui:

http://www.attivissimo.net/antibufala/perche_si_fa_guerra2.htm

L'indagine completa è invece qui:

http://www.attivissimo.net/antibufala/perche_si_fa_guerra.htm

Ciao da Paolo.

 

Questo articolo è una ripubblicazione della newsletter Internet per tutti che gestivo via mail all’epoca. L’orario di questa ripubblicazione non corrisponde necessariamente a quello di invio della newsletter originale. Molti link saranno probabilmente obsoleti.

2003/03/08

[IxT] #2003-016 (8/3/2003). Festa delle donne, chi si ricorda di Amina?

Sembra purtroppo scivolato nel dimenticatoio il caso di Amina Lawal, la donna nigeriana condannata alla lapidazione come in precedenza era capitato a Safiya Hussaini. Mi ero permesso cinicamente di commentare che la prima Safiya vende (copie di giornali), la seconda stufa, e purtroppo ci ho azzeccato. La maggior parte dei media sta trascurando il suo caso, e soltanto pochi siti Web dedicati ai diritti umani se ne occupano.

Sul caso di Amina circola una catena di sant'Antonio che invita a sottoscrivere un appello di Amnesty International: a parte i suoi dettagli truculenti e discutibili (“Manca solo un mese e poi la nuova vincitrice nigeriana del concorso "sforna un bambino e muori con la testa sfasciata" verrà dovutamente lapidata. L'altra notte ho visto come lapidano la gente secondo la Sharia” eccetera) l'invito, una volta tanto, non è affatto una bufala, dato che presso il sito italiano di Amnesty citato nella catena

http://www.amnesty.it/primopiano/nigeria/nigeria.php3

c'è un dossier sul caso di Amina, che include un appello da sottoscrivere e inviare (presumibilmente via e-mail) al presidente nigeriano Obasanjo. L'appello di Amnesty, al momento in cui scrivo, ha raccolto circa 270.000 adesioni.

Ho sempre molti dubbi sull'efficacia degli appelli inviati via e-mail (una lettera scritta è psicologicamente molto più tangibile), ma vista la posta in gioco, non mi sento di invitare a bloccare questa catena di sant'Antonio. Considerato inoltre il disinteresse dei media ufficiali, l'unico modo di informare il pubblico di questa terribile situazione è la Rete.

Se decidete pertanto di diffondere l'appello, consiglio di aggiungervi una precisazione importante: la data di scadenza, in modo che non circoli in eterno, e magari il riferimento ad alcuni dei siti che si occupano del caso di Amina che cito qui sotto.

Infatti è previsto un aggiornamento a breve: secondo quanto riportato dal sito Amnistiaporsafiya.org e dal sito inglese di Amnesty International

http://web.amnesty.org/web/content.nsf/pages/gbr_nigeria

il 25 marzo 2003 si terrà l'udienza di ricorso contro la condanna di Amina alla lapidazione (ringrazio ezio.f***o per la segnalazione). La catena attuale, invece, parla genericamente di “solo trenta giorni di tempo”, senza dare date precise. Il che significa, ovviamente, che anche fra un mese o fra un anno ci saranno sempre “solo trenta giorni di tempo”, rendendo quindi inutilmente eterna questa catena.

Se vi saranno aggiornamenti al caso di Amina, li troverete sicuramente segnalati sul sito di Amnesty International, sul sito antibufala Snopes.com

http://www.snopes.com/inboxer/petition/amina.htm

che vi invito a visitare (è in inglese) perché spiega le differenze fra il caso di Amina e quello di Safiya (Safiya fu salvata grazie al cavillo che l'”adulterio” era avvenuto prima dell'entrata in vigore della Sharia) e i motivi per cui l'appello al presidente Obasanjo difficilmente avrà effetto (Obasanjo, cristiano, è contrario alla sentenza, ma in pratica non ha poteri che gli consentano di interferire nella decisione, a causa del sistema federale sul quale è basata la Nigeria, musulmana al nord e cristiana al sud).

Naturalmente, nei limiti delle mie scarse risorse, terrò aggiornata anche la mia pagina antibufala:

http://www.attivissimo.net/antibufala/amina_lawal.htm

Ciao da Paolo.

 

Questo articolo è una ripubblicazione della newsletter Internet per tutti che gestivo via mail all’epoca. L’orario di questa ripubblicazione non corrisponde necessariamente a quello di invio della newsletter originale. Molti link saranno probabilmente obsoleti.

2003/03/07

[IxT] #2003-015 (7/3/2003). Gonne giapponesi, guerra e Politecnico

Antibufala: quelle maliziose gonne “trasparenti” giapponesi

“Prima o poi arrivano anche da noi.............” inizia l'appello che circola in Rete da metà febbraio. “Non sono gonne trasparenti. Sono stampe sulle gonne che fanno sembrare che si vedano le mutande: attualmente molto di moda in Giappone. Non mi sembra ci siano anche per l'uomo, dovremo attendere un po'.”

L'appello è accompagnato da una serie di foto che sembrano mostrare gonne sulle quali sono stampate immagini di gambe e posteriori mutandati che danno l'illusione di essere quelli della persona che indossa la gonna.

Altro che nuova moda giapponese! Le immagini sono dei fotomontaggi digitali. Lo si nota da un particolare rivelatore in una delle immagini, quella della donna con la borsetta marrone: il bordo della mutandina, sul gluteo sinistro, si vede attraverso la maniglia della borsetta. Basta ingrandire l'immagine per notarlo.

Inoltre, come segnalato dal famoso sito antibufala Snopes.com presso http://www.snopes.com/photos/skirts.asp, in tutte le foto le immagini delle mutande e delle gambe sono sempre perfettamente allineate con la posizione del sedere e delle gambe delle “modelle”, cosa impossibile da ottenere nella realtà. Il fotomontaggio è ottenuto abbastanza semplicemente, scattando due foto alla “modella” nella medesima posizione: una con la gonna e una senza. Poi con il fotoritocco digitale si fondono le due immagini.

Il fatto che sia una bufala è confermato ulteriormente da altre fonti come ad esempio il sito Web di moda Japanese Streets (http://www.japanesestreets.com/jsnews), che il 22 febbraio 2003 ha pubblicato un articolo, “Fashion Hoax Fools People Worldwide”, che riporta il testo inglese di questa bufala, grosso modo corrispondente a quello italiano: “What you see below are not see-thru skirts. They are actually prints on the skirts to make it look as if the panties are visible and the current rage in Japan.”

Japanese Streets riferisce che “in molti hanno scritto a Kjeld Duits, giornalista e fotografo di moda operante in Giappone” nonché gestore del sito stesso “chiedendo aiuto per trovare chi produce questi indumenti”, ma Duits chiarisce che la gente “non si rende conto che questo tipo di fotomontaggi è molto popolare nelle riviste porno giapponesi più economiche”. Duits, in una intervista per il Toronto Star (http://www.thestar.com/NASApp/cs/ContentServer?pagename=thestar/Layout/Article_Type1&c=Article&cid=1035778292167&call_pageid=973280119494&col=969048867776) racconta che queste riviste spesso affermano di aver scattato queste immagini usando “un obiettivo speciale che consente loro di fotografare attraverso i vestiti”. Se a qualcuno questo ricorda certi “occhiali a raggi X” pubblicizzati da certi fumetti in epoche ormai passate e più ingenue, è in buona compagnia.

Chi ci è cascato? A parte i tanti utenti della Rete che hanno propagato questa bufala, lo stesso articolo del Toronto Star riferisce che ha abboccato anche il giornale Sunday Mail del Queensland, in Australia, con un articolo intitolato "A Cheeky Skirt" che sostiene (senza prendersi la briga di verificare) che questi indumenti “stanno impazzando a Tokyo”. A riprova che le penne rubate all'agricoltura non sono un'esclusiva italiana.

Attenzione, però: in in certo senso, la bufala potrebbe diventare realtà: infatti Duits riferisce che un importatore israeliano, al quale ha spiegato che quelle gonne non esistevano, avrebbe deciso di fabbricarle. In tal caso, però, le leggi dell'ottica obbligheranno a risultati molto meno realistici di quelli mostrati nei fotomontaggi di questo appello.

Un altro modo in cui le immagini riprese attraverso i vestiti potrebbero diventare realtà è la tecnologia del terahertz imaging, descritta ad esempio presso Space.com (http://www.space.com/businesstechnology/technology/t-ray_camera_020613.html), che racconta delle prove pratiche condotte dall'agenzia spaziale europea: l'articolo mostra una foto di una mano ripresa attraverso un ostacolo opaco di un centimetro e mezzo di spesso (un blocco note) e un'immagine di una persona vestita, “denudata” da questa tecnologia.

Non eccitatevi: le immagini vanno bene per rivelare un'arma nascosta, ma per il resto non sono paragonabili ai fotomontaggi giapponesi, che sono e restano bufale.

Scansioni e recensioni

Grazie ai lettori che mi hanno mandato la citazione del Servizio Antibufala della rivista Max. Nel numero del mese prossimo dovrebbe esserci una mia intervista, per cui avete finalmente un motivo serio (donnine a parte, insomma) per acquistarla.

Un lettore mi ha segnalato che il Servizio Antibufala è stato citato dal Venerdì di Repubblica di oggi 7/3/2003. Siccome non abito in Italia, se qualcuno fosse così gentile da appagare la mia smisurata vanità e scansionarmene una copia, gliene sarei grato.

Quel benedetto “Manuale di autodifesa telefonica”

Molti ma molti anni fa scrissi un testo, il “Manuale di autodifesa telefonica” (una guida ai trucchi della telefonia italiana dell'epoca), e lo distribuii in Rete, o per meglio dire su Fidonet. Misteriosamente, nei miei archivi non ne ho più traccia, salvo una bozza assai incompleta. Qualcuno ne ha una copia?

Antibufala: perché si fa una guerra, rispondono professore e studente

Sono stato contattato direttamente dal professor Rodolfo Soncini-Sessa, del Politecnico di Milano (citato qui con il suo permesso), che tiene il corso da cui sarebbero state tratte le informazioni citate nell'appello “Perché si fa una guerra”, già descritto nella newsletter scorsa, che mi ha chiarito la sua estraneità all'appello. Come già accennato, l'appello è invece una libera interpretazione, da parte di uno studente, di una risposta fornita dal professore al termine di una lezione.

Mi ha scritto anche lo studente autore della presentazione PowerPoint che accompagna l'appello, chiedendo di pubblicare una rettifica. Il testo integrale della rettifica e un massiccio aggiornamento dell'indagine antibufala sono disponibili presso

http://www.attivissimo.net/antibufala/perche_si_fa_guerra.htm

I punti salienti della rettifica sono questi. “Ho appreso che la presentazione da me creata contiene parecchi errori, anche gravi, che stanno causando un danno di immagine al Politecnico di Milano, ad un suo docente ed ai soggetti che ho erroneamente menzionato nel file, a cui vanno le mie scuse” spiega lo studente, che ha richiesto l'anonimato. “questo file non è in alcun modo uno studio del Politecnico [..] la presentazione, che avevo creato per un ristretto gruppo di amici, non voleva in alcun modo essere un atto diffamatorio nei confronti dei soggetti relativamente ai quali ho detto cose non vere.”

Lo studente prosegue chiarendo alcuni degli errori più vistosi: “nessuna delle compagnie petrolifere è di proprietà statale americana [...] in particolare non lo sono la Tamoil, la Shell e la Esso, da me esplicitamente menzionate [...] in Venezuela non operano compagnie petrolifere straniere da quando, 26 anni fa, la gestione dell'estrazione del greggio è stata nazionalizzata [...] L'organizzazione umanitaria Emergency, di cui invitavo a sottoscrivere l'appello contro la guerra, non ha avuto alcun ruolo nella vicenda della creazione e della diffusione del file.”

Insomma, sul fatto che i dati siano palesemente errati non ci piove. Resta il dubbio che possa essere vero il ragionamento di fondo dell'appello, ossia che la Guerra del Golfo sarebbe stata pagata da “noi”, dove non è chiaro se “noi” significa “noi consumatori europei” o “noi consumatori (compresi quelli americani)”.

Un sito Web, Tempi.it, ha analizzato questo appello in un documentato articolo di Rodolfo Casadei (http://www.tempi.it/archivio/articolo.php3?art=4893), che osserva in proposito che “viene da chiedersi perché sauditi e yankees abbiano voluto liberare il Kuwait, se col petrolio a 42 dollari ci guadagnavano tanto” e che “all’impennata del prezzo del greggio nel ’91 seguirono tre anni di depressione economica: se il fisco americano ci aveva guadagnato qualcosa nei 6 mesi di prezzi alle stelle, ci ha sicuramente rimesso di più negli anni seguenti per la flessione del Pil.”

Difficile, dunque, sostenere anche il ragionamento proposto dall'appello. Visto però che ci sono quelli che vogliono solo sentire ciò che soddisfa i loro preconcetti, anche se è falso, per questa indagine mi sono beccato del “servo dei servi” e compagnia bella. Non preoccupatevi, non mi scaldo per gli insulti degli incapaci. Incapaci di leggere la premessa che avevo scritto nella pagina Web proprio per scoraggiare questo tipo di reazione, e che mi permetto di ripetere qui: “Questa non è un'indagine pro o contro l'intervento militare in Iraq. Intende semplicemente valutare quanto sia corretta una serie di affermazioni che circola in Rete con l'apparenza di provenire da fonti autorevoli. L'esattezza o meno di queste affermazioni non ha nulla a che vedere con le mie e vostre opinioni sugli aspetti militari descritti nell'appello. La disinformazione è un danno sempre e comunque.”

Ma si vede che a certa gente la verità e la correttezza dei dati non interessano. Pronta ad accusare governi e politici di manipolare ad arte le notizie e di diffondere dati falsi, non esita però ad abbassarsi ad usare le stesse squallide tattiche, purché servano ai propri interessi. Che pena. Spero che la pace sia difesa più concretamente da gente con un briciolo di onestà intellettuale in più.

Il più grande database del mondo

Immaginate un archivio di dati che cresce al ritmo di un terabyte al giorno. Per chi non ha dimestichezza coi prefissi, “tera” sta per mille miliardi. Significa che quell'archivio riempirebbe un disco rigido da cento giga ogni due ore, o se preferite un CD al minuto. Chi genera queste quantità impressionanti di dati è lo SLAC (http://www.slac.stanford.edu) di Stanford, dove i fisici delle particelle studiano i componenti fondamentali della materia. Secondo Harvey Newman, professore di fisica al Caltech, gli ultimi esperimenti ad alta energia già devono gestire dati dell'ordine dei petabyte (un milione di miliardi di byte) e si prevede che nei prossimi dieci anni questa cifra aumenti di altre mille volte.

Tutto questo fa sembrare veramente misero il vostro nuovissimo PC? C'è di peggio: anche la vostra connessione a Internet fa schifo, qualunque essa sia, in confronto a quella offerta dai nuovi record di trasmissione offerti dall'Internet prossima ventura, denominata Internet2 (http://www.internet2.edu). Il nuovo record di velocità, raggiunto il 6 marzo 2003 con la partecipazione appunto dello SLAC, è di 923 megabit al secondo, pari a quattro ore di film in DVD in meno di un minuto, fra Sunnyvale (USA) ed Amsterdam.

Quattro ore di DVD in meno di un minuto? Aspettate che lo sappiano quelli dell'antipirateria...

Web: cellulare batte PC due a uno

Che cosa succederà al Web quando lo strumento di accesso principale non sarà più il PC, ma il cellulare? Cifre alla mano, ormai manca poco. Meglio prepararsi per tempo. L'abbinamento del Sony P800 con il browser Opera promette rivoluzioni in Rete. Ho scritto un articoletto in proposito per Apogeonline, lo trovate qui:

http://www.apogeonline.com/webzine/2003/03/04/01/200303040101

Ciao da Paolo.

 

Questo articolo è una ripubblicazione della newsletter Internet per tutti che gestivo via mail all’epoca. L’orario di questa ripubblicazione non corrisponde necessariamente a quello di invio della newsletter originale. Molti link saranno probabilmente obsoleti.

2003/03/04

[IxT] #2003-014 (4/3/2003). Perché si fa una guerra? Te lo spiega il Politecnico

Sta imperversando nella Rete italiana un documento in formato PowerPoint, del peso di circa 170K, che descrive uno “studio del Politecnico di Milano”, secondo il quale la presunta imminente guerra in Iraq sarebbe un colossale affare che agli Stati Uniti non costerebbe un centesimo, ma dal quale anzi gli USA trarrebbero circa 20 miliardi di dollari di guadagno, e che la guerra sarebbe in realtà pagata da “noi”, che presumibilmente saremmo noi europei.

L'indagine antibufala completa, con il testo integrale dell'appello e le smentite del Politecnico e di Emergency, è disponibile qui:

http://www.attivissimo.net/antibufala/perche_si_fa_guerra.htm

L'appello dichiara di provenire da una fonte apparentemente autorevole: uno “studio” (o una “lezione”) del Politecnico di Milano. Questo fa pensare che si tratti di una serie di dati raccolta scrupolosamente, attingendo alle fonti più affidabili e sottoposta al vaglio scientifico che ci si aspetta da uno studio condotto da esperti universitari. Purtroppo non è così.

Infatti non si tratta di uno studio del Politecnico di Milano, ma semplicemente di “una risposta a una domanda al termine di una lezione”, data da un professore, e poi ripresa da uno studente che l'ha trasformata in un documento PowerPoint, aggiungendovi parecchi svarioni. Inoltre il professore in questione ha dichiarato (come potete leggere nell'indagine completa) che l'unica fonte di tutti i dati è un libro di Lucia Annunziata, sulla cui affidabilità non mi permetto dubbi, ma che rimane comunque una fonte piuttosto indiretta e poco ufficiale dalla quale attingere informazioni.

Non solo: i dati sono stati riportati “a memoria”, come spiegato dal professore del Politecnico, quindi senza verificarli sul testo dell'Annunziata. Con tutto il rispetto per le capacità mnemoniche del professore, questo che non promette bene per la loro esattezza. Infatti il professore ha dichiarato, come potete leggere nell'indagine completa, che le cifre sono diverse da quelle riportate nell'appello.

C'è di peggio: come accennavo, l'appello che circola non è stato redatto direttamente da un responsabile del Politecnico, ma semplicemente ripreso da uno studente che, racconta il professore, “ha creato a mia insaputa il file che sta circolando, indicando solo indirettamente che la redazione non è mia (“Tratto da …”), senza precisare che citavo a memoria (le cifre reali sono più alte da quelle da me riportate), introducendo alcune imprecisioni (ad esempio che le "sette sorelle [sono], tutte americane, di cui 5 di proprietà statale”) e notizie di cui non conosco l’attendibilità”.

Riassumendo: l'appello si basa su dati citati andando a memoria, tratti da un'unica fonte giornalistica, e conditi con imprecisioni aggiunte da terzi. Altro che “studio del Politecnico”.

I risultati di questa catena di leggerezze sono piuttosto vistosi. L'appello, infatti, contiene numerose inesattezze. Per esempio, il petrolio è salito sì a 42 dollari il barile durante la Guerra del Golfo, ma per un periodo breve, ed è sceso subito dopo a livelli inferiori a quelli prebellici; pertanto sembra assai poco plausibile un fulmineo “guadagno di 60 miliardi di dollari”.

L'affermazione che “nel Medio oriente l'estrazione ed il commercio del petrolio è TOTALMENTE in mano alle 7 sorelle (Shell, Tamoil, Esso...) tutte americane, di cui 5 di proprietà statale americana” è clamorosamente errata, e per ben tre ragioni:

-- primo, l'estrazione ed il commercio del petrolio mediorientale non è affatto "totalmente" in mano a società americane: per esempio, società russe, cinesi e francesi hanno sostanziosi contratti per l'estrazione del petrolio iracheno, bloccati dall'embargo ONU (http://www.msnbc.com/news/824407.asp?cp1=1). La presenza statunitense è preponderante, ma non assoluta.

-- secondo, non esistono compagnie petrolifere “statali” negli USA. Sono tutte società private. Pertanto la ripartizione dei presunti “guadagni” fra “governo USA” e “privati USA” non ha senso. Al massimo, si può dire che gli ipotetici guadagni sono andati tutti alle società petrolifere statunitensi, ma non certo al governo USA.

-- terzo, la Tamoil è una società libica e non una multinazionale USA, come si rileva facilmente da una ricerca in Google.

L'appello afferma anche che le armi di distruzione di massa sarebbero “sviluppabili solo con un'altissima tecnologia e notevoli capitali, due cose che l'Iraq proprio non possiede”. Purtroppo, invece, le tecnologie necessarie per le armi chimiche sono molto modeste e l'Iraq dispone sì dei capitali per fabbricarle, come ben sanno i curdi e come dimostrato dalle recenti operazioni ONU di distruzione di testate chimiche all'iprite e dalla distruzione dei missili al-Samoud II, che di certo non costano noccioline. Così come di certo non costano quattro soldi i numerosi palazzi faraonici di Saddam.

Ovviamente la presenza di errori così macroscopici nel documento pone seri dubbi sull'esattezza delle altre informazioni riportate. Il vero problema è che nessuna di queste informazioni viene citata fornendo una fonte, e questo è un pessimo modo di operare. Ci viene chiesto di credere sulla fiducia a quanto viene detto: altro che “ragionare con la propria testa” come dice l'appello.

Ma soprattutto, a prescindere dall'esattezza o meno delle cifre citate, non sta in piedi il ragionamento “la Guerra del Golfo l'abbiamo pagata noi”. Secondo l'appello, l'avrebbero pagata “quelli che utilizzano il petrolio... cioè noi!”. Questa frase sembra creare una contrapposizione tra “noi” europei e “loro” americani, per cui si ha l'impressione che gli USA, da bravi capitalisti purosangue, abbiano fatto la guerra e intascato miliardi di dollari spillandoli tutti agli europei.

Ma se il prezzo del petrolio aumenta, aumenta in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. E mi pare proprio che anche gli americani consumino petrolio nelle loro auto, nel riscaldamento e nell'industria, proprio come noi europei (forse di più), e se il petrolio rincara, rincara anche per gli americani. In altre parole, un rincaro del petrolio ricade su tutti i paesi del mondo e persino sui militari e sui governi, dato che anche loro devono pagare il carburante ai prezzi maggiorati.

La Guerra del Golfo, pertanto, l'hanno pagata anche gli USA sotto forma di petrolio più caro. Si può argomentare forse che c'è stato un arricchimento da parte delle compagnie petrolifere a danno dei consumatori (di tutto il mondo, americani compresi) e dei governi (di tutto il mondo, americani compresi), ma si tratta di un arricchimento che ha beneficiato anche le compagnie petrolifere non-USA (arabe, russe, venezuelane, libiche, cinesi, francesi e britanniche, per esempio). Di certo, insomma, la situazione non è così semplice come viene dipinta dall'appello.

Il mio consiglio è pertanto di non distribuire l'appello, in quanto contiene dati e ragionamenti errati che di certo non aiutano la causa della pace come invece dichiarano di voler fare. Non è certo con dati falsi e ragionamenti incoerenti che si aiuta la gente a”ragionare con la propria testa“.

Sul fatto che nell'intervento militare in Iraq vi siano in gioco interessi economici enormi, come in qualsiasi operazione militare, non vi è alcun dubbio. L'aspetto bufalino sta nell'uso di dati errati, nelle dichiarazioni di falsa autorevolezza e nel ragionamento “paghiamo soltanto noi europei”. In tutti questi sensi, l'appello è una bufala.

Un'altra ottima ragione per non distribuire l'appello è che diffonderlo potrebbe causare dei danni di immagine al Politecnico e/o ad Emergency, che un lettore distratto potrebbe ritenere ideatori e "autenticatori" della cosa. Visto il lavoro che fa Emergency in giro per il mondo, non mi sembra il caso di distribuire dei documenti che rischiano di provocargli un danno di immagine.

Insomma, questa è una classica dimostrazione dei danni involontari che può causare la diffusione di un appello senza le debite precauzioni: lo studente l'ha fatto circolare, e chi ci rimette adesso è il professore, tempestato di richieste di chiarimento e diffamato, in un certo senso, dal fatto che gli vengono attribuite dichiarazioni grossolanamente superficiali e inesatte.

Come craccare un PIN nella pausa pranzo

Qualche giorno fa ho scritto per Apogeonline un articolo sui sistemi che proteggono le carte di credito: è saltato fuori che sono molto più vulnerabili di quanto si pensi. La scoperta di un esperto di sicurezza, che ha dimostrato che bastano in media tredici tentativi a un addetto ai lavori per scoprire il PIN di una carta i credito, ha mandato nel panico la Diners, che ha tentato istericamente (e c'è riuscita) di censurare la pubblicazione scientifica della notizia, anche se ormai è di dominio pubblico. Un clamoroso esempio di come la "security through obscurity" non funziona, eppure viene ostinatamente utilizzata da banche e governi:

http://www.apogeonline.com/webzine/2003/02/25/01/200302250101

Trovate anche un approfondimento sulla vulnerabilità delle carte di credito sulla rivista Wired (in inglese):

http://www.wired.com/news/privacy/0,1848,57823,00.html

Ciao da Paolo.

 

Questo articolo è una ripubblicazione della newsletter Internet per tutti che gestivo via mail all’epoca. L’orario di questa ripubblicazione non corrisponde necessariamente a quello di invio della newsletter originale. Molti link saranno probabilmente obsoleti.

2003/02/22

[IxT] #2003-013 (22/2/2003). “Asereje“, canzone del diavolo (o del cavolo)

Sta circolando ormai da ottobre del 2002 la diceria secondo la quale Asereje, la canzone delle Las Ketchup, sarebbe un inno a Satana. L'appello che circola più frequentemente presenta la vicenda in questi termini:

“E così viene fuori che la canzone dell'anno, Asereje, è in realtà un inno a Satana. In pratica le Ketchup (la salsa rossa che sembra sangue) hanno fatto sì che tutti cantassimo questa canzone senza sapere esattamente cosa cantavamo, e facendoci credere che le parole erano senza senso.

E così tutti a cantare inni a Satana, cosa che al principe delle tenebre avrà fatto sicuramente piacere. Sembra addirittura che nella repubblica Domenicana, a Porto Rico e in Honduras questa canzone sia stata proibita.

Asereje vuol dire "essere eretico", o in spagnolo "un ser hereje", dove A sta per "uno" o "un".

Il coro: "Asere je ja de je de jebe tu jebere seibunouva Majabi an de buguni an de buididipi". Ecco la traduzione: "Sii eretico (asereje) Jehovah (Ja - il nome di Dio) ti permette di esistere (je de jebe tu jebere). Inchinati (Majabi) e noi ti guideremo" (la combinazione delle ultime parole in spagnolo).

Sembra quindi molto grave che un sacco di persone ripetano più e più volte questa canzone senza sapere cosa stanno dicendo. Secondo questi rituali le parole hanno un potere, e per questo vanno ripetute.

Anche il nome Ketchup può essere diviso in "Shit Up", inteso come attacco ai Cieli.

Il vero significato dell'intera canzone è in effetti molto simile ad alcuni rituali satanici. Per esempio si parla di brujeria, che vuol dire stregoneria... Eccolo nella traduzione inglese:

friday night it's party time

feeling ready looking fine,

viene diego rumbeando,

with the magic in his eyes

checking every girl in sight,

grooving like he does the mambo

he's the man alli en la disco,

playing sexy felling hotter,

he's the king bailando et ritmo ragatanga,

and the dj that he knows well,

on the spot always around twelve,

plays the mix that diego mezcla con la salsa,

y la baila and he dances y la canta



Chorus:

aserejè ja de jè de jebe tu de jebere seibiunouva,

majavi an de bugui an de buididipi,

aserejè ja de jè de jebe tu de jebere seibiunouva,

majavi an de bugui an de buididipi

many think its brujeria,

how he comes and disappears,

every move will hypnotize you,

some will call it chuleria,

others say that its the real,

rastafari afrogitano

he's the man alli en la disco,

playing sexy felling hotter,

he's the king bailando et ritmo ragatanga,

and the dj that he knows well,

on the spot always around twelve,

plays the mix that diego mezcla con la salsa,

y la baila and he dances y la canta



Infine avete notato che nel video, nelle nuvole dietro il tetto sulla spiaggia c'è la faccia del Diavolo?”

Trovo particolarmente difficile spiegare come mai il testo di Asereje non è un inno a Satana, perché è assolutamente ovvio che non lo è. O almeno dovrebbe essere ovvio a qualsiasi persona di buon senso. E' un po' come tentare di spiegare perché l'acqua è bagnata. Ma ci provo lo stesso: la versione più dettagliata di questa indagine è nell'archivio del Servizio Antibufala, presso

http://www.attivissimo.net/antibufala/asereje.htm

Vediamo quali sono gli indizi che “proverebbero” la natura demoniaca del testo. Si comincia con quell'accenno al fatto che il ketchup, il prodotto che dà il nome al gruppo musicale, “sembra sangue”. Perché il sangue debba essere un riferimento al demonio non è chiaro, ma sono sicuro che quelli dell'AVIS saranno entusiasti di essere involontari satanisti. E tutte le volte che abbiamo messo il ketchup sulle patatine, forse abbiamo fatto un'invocazione a Satana? Siamo seri.

Secondo indizio: “Sembra addirittura che nella repubblica Domenicana, a Porto Rico e in Honduras questa canzone sia stata proibita.”. Sarebbe interessante avere qualche riscontro a quest'affermazione, ma in realtà tutto quello che si trova in Rete è un sito, Laparoladellafede.it (http://www.laparoladellafede.it/News/News4/Asereje.htm), che sembra riportare integralmente un articolo tratto dalla “Sezione Spettacoli, pag. 21” di un giornale, forse La Stampa. Secondo questo articolo, "la clamorosa denuncia viene dall´Honduras dove alcuni religiosi hanno proibito ai ragazzi di ascoltare la canzone... Il testo, decifrato, nasconderebbe nientemeno che un'ode al Diavolo. La strabiliante rivelazione è arrivata lunedí scorso in un reportage di «Tiempo», il principale giornale della capitale honduregna Tegugicalpa. Le accuse sulle presunte intenzioni demoniache delle Las Ketchup... sono arrivate in Honduras via e-mail dal Messico. La band ha già replicato, assicurando che la sua Aserejé non significa assolutamente niente."

L'articolo ripete le argomentazioni presenti nell'appello e ne aggiunge qualcuna ancora più strampalata, commentando che "dopo tante panzane, l'unico effetto che ci si aspetterebbe sarebbe una bella risata alla faccia del buontempone che si è spremuto il cervello per partorire tali stramberie. E invece i religiosi dell'Honduras hanno «abboccato». «Se la canzone non ha significato apparente, è perché nasconde qualcosa. É meglio non ascoltare canzoni di dubbio contenuto», dice Rolando Sánchez, assistente di Vita Spirituale dell'Istituto Dipartimentale Evangelico. E padre Saturnino Senis, parroco della Cattedrale San Pedro Apóstol, sottolinea sempre su «Tiempo»: «Chiedo a tutta la società e ai giovani in particolare di avere un senso critico, di essere intelligenti e di non lasciarsi influenzare dai messaggi subliminali che nascondono le canzoni».”

L'articolo insomma parla sì di Honduras, ma accenna soltanto a un'esortazione di un religioso a “non ascoltare canzoni di dubbio contenuto” (si vede che da quelle parti non hanno certi cantanti nostrani) e di certo non parla di divieti ufficiali.

Sulla teoria che certe canzoni contengano “messaggi subliminali” c'è un'amplissima letteratura, sulla quale non mi dilungo: sono decenni che le menti più sconsiderate, ossessionate dal ricercare il demonio nella musica rock quando invece ci sarebbero ben altri problemi cui dedicare le proprie energie e ben altre fonti alle quali attribuire i mali del mondo, ascoltano i dischi al contrario (all'epoca del vinile era più facile far girare un disco all'indietro) e si lanciano nelle più sfrenate interpretazioni e storpiature pur di far corrispondere ciò che sentono con ciò che vogliono sentire a tutti i costi.

E' gente che sentirebbe messaggi demoniaci anche in “Fratelli d'Italia”, che a proposito parla proprio di “sangue”, e contiene la parola “demonio”. Non ci credete? Rileggetevi il testo (http://www.liberliber.it/biblioteca/m/mameli/fratelli_d_italia/html/fratelli.htm): “Il sangue d'Italia e il sangue Polacco bevé col Cosacco”. Ribrezzo a parte, se il richiamo al ketchup delle cantanti di Asereje è satanico, che dire di un inno che parla di bere sangue? E se prendete il verso “Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma”, noterete che basta prendere una lettera ogni quattro per trovare la parola D-E-V-I-L.

Sto scherzando, ovviamente: mi sono appena inventato questo esempio di sana pianta, giusto per dimostrare che volendo si può trovare qualsiasi cosa in qualsiasi testo: basta usare delle regole arbitrarie, magari tentandone un po' a casaccio finché se ne trova una che calza, e scatenare un po' la fantasia, che galoppa bene specialmente se è malata.

Per calare un velo pietoso sull'illazione che “Asereje” voglia dire "essere eretico", o in spagnolo "un ser hereje", basta una semplice considerazione: tutto dipende da quanto siete disposti a considerare accettabile storpiare i suoni pur di “dimostrare” la tesi. C'è una bella differenza fra il suono “asereje” e “un ser hereje”: se non ci credete, chiedetelo a un amico spagnolo e ve lo chiarirà, sempre che riesca a star serio di fronte a una “tonteria” simile. Con questo criterio, allora “cavolo” e “diavolo” sono la stessa parola, e si può dimostrare tutto e il contrario di tutto. Quando mamma vi diceva che siete nati sotto un cavolo, intendeva forse dire che eravate il frutto di un rapporto con Lucifero?

Sulla “traduzione” del coro posso proporvi la stessa verifica: chiedete a uno spagnolo di leggere “Asere je ja de je de jebe tu jebere seibunouva Majabi an de buguni an de buididipi" e poi di tradurvelo (se ci riesce). A parte il fatto che comunque la “traduzione” proposta dall'appello è semmai un inno alla tolleranza religiosa (“sii eretico, Dio ti permette di esistere”) e di Satana non parla proprio.

Lo stesso vale per l'altra affermazione secondo la quale “il nome Ketchup può essere diviso in 'Shit Up', inteso come attacco ai Cieli.”. Che ci vuole? Basta cambiare una K in “sh”, una E in I, un “tch” in T, ossia fare qualche “trascurabilissima” modifica, e il gioco è fatto. Sempre ammesso che crediate che “shit up” (letteralmente “(fai / manda) la cacca all'insù”) si possa considerare come un “attacco ai Cieli”. Che pena.

Infine, sull'accenno alla “brujeria” (stregoneria), è interessante notare che secondo le versioni spagnole del testo disponibili online, ad esempio presso http://www.lyricsmania.com/l/lasketchup/001.html, la frase incriminata è “No es cosa de brujeria”, ossia “non è stregoneria” . Non mi sembra una frase a sostegno delle arti demoniache.

Un'ultima cosa: se qualcuno vuole cimentarsi nel trovare la “faccia del diavolo” che sarebbe nascosta nel video della canzone, presso Clarence.com c'è il filmato (http://www.clarence.com/contents/musica/speciali/020903lasketchup); lo trovate anche nel sito apposito del ketchup Heinz (http://www.terra.com.ve/especiales/lasketchup). Naturalmente, se trovate il faccione di Belzebù, mandatemi il fotogramma!

Cerco Max di febbraio

Qualcuno ha a portata di mano il numero di febbraio della rivista Max? Ho appena finito un'intervista con la loro redazione (dovrebbe uscire il mese prossimo), ma pare si sia parlato del Servizio Antibufala a proposito della celebre foto di Bush coi tappi sul binocolo:

http://www.attivissimo.net/antibufala/bush_binocolo.htm

Se qualcuno me ne potesse mandare una scansione per i miei archivi, gliene sarei grato!

Due o tre commenti sul Tablet PC

Avete visto tutta la pubblicità per i Tablet PC? Vi siete chiesti anche voi come mai zio Bill si è ridotto a fare il piazzista presso i capi di stato per questo strano oggetto? Trovate un mio commento in proposito in un articolo che ho scritto per Apogeonline. Si intitola "Prof, il cane mi ha mangiato il Tablet PC" e lo trovate qui:

http://www.apogeonline.com/webzine/2003/02/18/01/200302180101

Linux e Opera sul telefonino

Novità interessanti per il mondo dei cellulari. Motorola ha annunciato un cellulare, l'A760, il cui sistema operativo è basato su Linux e Java:

http://www.telefonino.net/cgi-bin/news.asp?n=7795

Nel frattempo esce la versione del browser Opera per cellulari, in particolare per il Sony Ericsson P800:

http://www.telefonino.net/cgi-bin/news.asp?n=7788

Questo è quello che intendevo quando dicevo che non è detto che Internet Explorer resti a lungo il browser più diffuso. Il numero dei cellulari in circolazione è dieci volte superiore a quello dei computer, per cui basta che il dieci per cento degli utenti cellulari abbia un telefonino dotato di Opera, e Internet Explorer passa in minoranza. Meditate, webmaster ottimizzati per Internet Explorer, meditate.

In Inghilterra più Jedi che buddisti

Nel 2001 si è tenuto qui in Inghilterra il censimento, e fra le domande c'era anche quella sulla religione. Un po' per scherzo, un po' per protesta contro una domanda considerata da molti piuttosto invadente, si è scatenata via Internet una campagna per rispondere "Jedi" (come i cavalieri Jedi di Guerre Stellari).

La campagna ha avuto un bel successo: secondo i dati ufficiali recentemente pubblicati, oltre 390.000 persone hanno dichiarato di essere di fede Jedi nel modulo: un numero maggiore di quello degli ebrei, dei buddisti e dei sikh. Questo è quanto riferisce Yahoo il 13/2/2003:

http://story.news.yahoo.com/news?tmpl=story&ncid=573&e=1&cid=573&u=/nm/20030213/od_nm/jedi_dc

Al successo della campagna ha contribuito la diceria (infondata) che bastassero diecimila aderenti per far riconoscere "Jedi" come una religione ufficiale.

Il rapporto ufficiale, con "Jedi" in bella mostra nelle categorie di analisi, è disponibile qui (guardate a pagina 18):

http://www.statistics.gov.uk/census2001/pdfs/section5part3.pdf

Chi usa Linux? Nessuno...

Per la serie "tanto Linux non lo usa nessuno", inaugurata qui:

http://www.zeusnews.com/news.php?cod=1348

ai nomi già citati di Amazon.com, British Petroleum e la DreamWorks (quelli di Shrek) ho il piacere di aggiungere quello della Pixar (Toy Story, per intenderci), come descritto in un articolo di Cnet:

http://news.com.com/2100-1001-983898.html

Non gioiscano coloro che detestano Microsoft: l'adozione di Linux da parte della Pixar infatti non avviene a danno di Windows, ma a danno di software e hardware Sun. Per generare tutta quella grafica ci vuole una bella potenza di calcolo, che finora è stata fornita (a caro prezzo) appunto da Sun: ora Pixar genererà i propri film digitali usando un sistema Linux costituito da 1024 processori Xeon di Intel.

Quindi quando andate a vedere il prossimo film della Pixar, state guardando Linux al lavoro.

Le crepe dello Shuttle

Ho radunato le analisi e le indagini fatte in questi giorni a proposito della foto delle presunte "crepe" nello Shuttle Columbia. Se vi interessa, le trovate in forma riordinata e condita di moltissime foto nella pagina antibufala che ho preparato sul tema:

http://www.attivissimo.net/antibufala/shuttle_columbia_foto_crepe.htm

Ciao da Paolo.

 

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2003/02/06

[IxT] #2003-012 (6/2/2003). Bufale Shuttle, ne parliamo stasera a Caterpillar

Se vi interessa, stasera a Caterpillar (Rai Radiodue, dalle 18 alle 19) si parla delle bufale dello Shuttle: la profezia di Nostradamus e la foto fasulla delle crepe. Se tutto va bene, dovrei fare capolino in trasmissione, con gli ultimi aggiornamenti.

Ciao da Paolo.

 

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2003/02/05

[IxT] #2003-011 (5/2/2003). Foto Shuttle, spiegato il mistero

Grazie alle segnalazioni di Alex, un lettore di ZeusNews.it, il mistero della foto delle presunte "crepe" del Columbia è risolto. Presso questo sito

http://www.strangecosmos.com/view.adp?picture_id=8206

trovate una foto panoramica del vano di carico (la seconda, appena sotto la foto delle "crepe") che mostra inconfondibilmente, sulla destra, l'oggetto nero che nella foto misteriosa sembrava avere la forma di una freccia.

L'immagine è panoramica, e quindi all'estrema destra e sinistra mostra il retro della cabina dello Shuttle, visto _da fuori_. Nel vano di carico c'è infatti una telecamera, comandabile dall'interno della navetta. E' presumibile che sia stata questa telecamera a riprendere l'immagine delle "crepe".

Sul sito della Nasa c'è un'immagine panoramica in Quicktime VR:

liftoff.msfc.nasa.gov/shuttle/lms/vr/bay_vr4.mov

Scaricatela e ruotatela verso destra: compare indiscutibilmente l'oggetto nero, che è uno dei perni di accoppiamento sui quali si innestano i portelloni del vano di carico.

La superficie triangolare più scura che si nota in alto nella foto delle presunte crepe non è dunque un'ala, ma una porzione della superficie terrestre. Lo si vede bene osservando il filmato intero, nella sua versione trasmessa in televisione (a proposito, se qualcuno ne ha una copia digitale, me la può mandare?): la presunta "ala" si sposta rispetto al resto della struttura della navetta.

Non sono ancora riuscito a trovare un'altra immagine dell'oggetto che forma la "crepa" che nell'immagine misteriosa compare in basso a sinistra (quella che a detta di alcuni sarebbe tenuta insieme dal nastro adesivo), ma credo sia solo una questione di tempo (che non ho) da dedicare alla ricerca negli archivi foto e video della Nasa.

Una cosa è certa: l'immagine mostrata con tanto clamore da giornali e telegiornali è un'inquadratura del vano di carico e non c'entra niente con le ali.

Mistero risolto, dunque. Ora resta da vedere quanto tempo ci metteranno i media "ufficiali" a rimangiarsi lo scoop maldestramente sbattuto in prima pagina. Se sono riuscito a risolverlo io con l'aiuto dei lettori, come mai non ci sono riusciti loro pur avendo mezzi ben più potenti? Se vi vien voglia di mormorare "voglia di scoop", non siete soli.

Ciao da Paolo.

 

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2003/02/04

[IxT] #2003-010 (4/2/2003). Shuttle: si incrina la teoria delle crepe

Ho la triste impressione che questa storia delle crepe della navetta si stia trasformando in una bufala: non per malizia, ma seguendo il classico copione che seguono tante analisi fatte a caldo dopo le tragedie.

La cosa che più mi dispiace è che si stanno accavallando dichiarazioni anche apparentemente autorevoli che però si contraddicono, per cui vorrei fare il punto di quello che si sa veramente.

Cominciamo con ordine: anche ammettendo che quelle che si vedono siano crepe, sono sicuramente sulla parte superiore della navetta, non in quella inferiore dove si sospetta sia avvenuto l'impatto al decollo e si sia scatenato il danno che ha poi causato il disastro. Lo si capisce da due considerazioni molto semplici: la prima è che l'intera parte inferiore della navetta è nera (grigio molto scuro, per essere pignoli), mentre la zona mostrata nel filmato è bianca. La seconda è che sullo Shuttle non ci sono finestrini che guardano sotto. Nulla a che vedere, dunque, con i danni sotto l'ala sinistra di cui si parla tanto.

C'è poi una terza considerazione: siccome i finestrini della navetta sono soltanto nella cabina (guardano davanti, di lato, sopra e dietro), il punto di vista dell'immagine deve per forza essere dalla parte anteriore verso la coda. Pertanto quello inquadrato è il lato destro della navetta, sul quale però non c'è alcun sospetto di impatti che potrebbero aver causato danni. Insomma, le "crepe" sono sicuramente situate sopra (non sotto) e sul lato destro (anziché sul sinistro).

E veniamo alle dichiarazioni degli esperti. Con tutto il rispetto per le persone coinvolte, che non sono certo i primi arrivati, ci sono delle contraddizioni piuttosto evidenti.

Ricevo infatti da un lettore (luigi.f***o) questa nota: “Le "fessure" dello shuttle Columbia che si vedono oggi nelle foto delle prime pagine dei giornali di tutto il mondo non sono sull'ala. Ciò per il semplice motivo che da nessun finestrino della navetta è possibile vedere l'ala del veicolo. Lo ha reso noto l'ing. Andrea Lorenzoni, responsabile dell'Agenzia Spaziale Italiana per la International Space Station (ed ex candidato astronauta italiano) dopo che questa circostanza è stata appena confermata dagli esperti delle altre sei agenzie che partecipano alla realizzazione della Iss (la stazione spaziale internazionale): oltre a Nasa e Esa, le agenzie di Canada, Russia, Giappone, brasiliana.”

Una dichiarazione analoga è riportata qui, come segnalatomi da "glucrezi":

http://www.repubblica.it/online/esteri/navettatre/nasa/nasa.html

Lorenzoni ha probabilmente ragione sul fatto che le "crepe" non sono sulle ali, ma attenzione: lui e gli altri esperti citati si sbagliano nel dichiarare che "da nessun finestrino della navetta è possibile vedere l'ala del veicolo". Per verificarlo è sufficiente consultare questa foto dell'archivio NASA, relativa proprio all'ultima missione del Columbia e ripresa dai finestrini posteriori, guardando verso il vano di carico:

http://spaceflight.nasa.gov/gallery/images/shuttle/sts-107/html/s107e05354.html

shuttle ali visibili

Attenzione, dunque, nell'accettare ciecamente anche quello che dicono gli esperti.

Ma allora cosa si vede nella foto? E' questo il problema fondamentale: nessuno ha preso in mano un modello dello Shuttle, con il suo carico (lo Spacehab), e ha cercato di ottenere la stessa inquadratura. Per ora ci sono solo ipotesi, ma basterebbe questo semplice esperimento per risolvere il problema una volta per tutte.

Un lettore, dipendente di una società aerospaziale che desidera restare anonimo, mi ha segnalato questa foto:

http://www.esa.int/export/esaHS/SEMQKR39ZAD_research_1.html

spacehab

che mostra appunto il vano di carico di un'altra missione Shuttle, contenente lo Spacehab esattamente come il Columbia. Guardate la zona appena a sinistra della deriva (per chi guarda), intorno all'emblema "Nasa". Ci sono due strutture nere filiformi, molto simili alla "crepa" ritratta nel filmato, come si può notare in questo dettaglio:

dettaglio shuttle

Inoltre c'è lo Spacehab, che ha una guaina termica bianca flessibile composta di tanti pannelli quadrati, a mo' di trapunta, che si spiegazza non poco proprio perché è flessibile. La si vede bene in questa foto NASA:

http://spaceflight.nasa.gov/gallery/images/shuttle/sts-107/html/s107e05353.html

guaina Shuttle

Quella guaina è assai probabilmente la zona "ammaccata" visibile a destra nel filmato delle crepe.

Anche gli astronauti italiani Cheli e Guidoni hanno offerto delle spiegazioni: entrambi dubitano che si tratti di un'immagine di un'ala, ma la spiegazione data per la "crepa" inferiore a mio parere non regge (sarebbe un pezzo di filo tenuto attaccato alla superficie dello Shuttle da due pezzi di nastro adesivo). Suvvia, difficilmente si attaccano i pezzi di filo con lo Scotch all'esterno della navetta. Le due bande bianche hanno più l'aria di essere riflessi di fonti luminose nel finestrino.

Resta anche il mistero intorno all'oggetto a forma di freccia nera in alto nell'inquadratura. Nessuna delle fonti anche ufficiali che ho sentito l'ha saputa giustificare. Può anche darsi che sia davvero una freccia aggiunta graficamente per indicare un dettaglio, e sfuocata a furia di copiare e ritoccare l'immagine.

Grazie a tutti per il materiale che mi avete mandato. Appena si sono calmate le acque, preparo una pagina antibufala, nella speranza di scoraggiare i complottisti che ricameranno su quella foto per anni, proprio come per gli sbarchi lunari.

La radio a colori: truffe telefoniche con SMS e 899

Domani (5/2) dovrei essere in diretta a Radio Rai, nel programma "La Radio a Colori", intorno alle 12.30: si parlerà di quei pestiferi SMS che ti invitano a chiamare un numero dal prefisso 899 e ti spillano cinque euro. Farò nomi e cifre. Si spera intervenga anche Telecom.

Diritti digitali, dietrofront?

Nel frattempo, l'informatica va avanti, e ci sono delle novità interessanti sul fronte dei diritti digitali. Battono improvvisamente in ritirata le principali iniziative di legge per castrare la pirateria video e musicale e con essa i diritti dei consumatori onesti. Intanto si scopre che i peggiori pirati si annidano proprio a Hollywood. Qualcuno si sta svegliando?

Tutti i dettagli qui:

http://www.apogeonline.com/webzine/2003/02/04/01/200302040101

Ciao da Paolo.

 

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[IxT] #2003-009 (4/2/2003). Shuttle, ci mancava solo Nostradamus; le crepe

Nella missione della prima stella azzurra,
un figlio della terra santa tra i sette perirà,
mentre la nave discende cielo volta celeste,
stella solitaria sparsa di relitti.

Non poteva mancare, nella tragedia dello Shuttle Columbia, la profezia di Nostradamus, e non poteva fare a meno di circolare una catena di sant'Antonio che dice "guarda, Nostradamus aveva previsto tutto".

La "profezia" è invece inventata di sana pianta. Infatti nelle opere di Nostradamus, facilmente consultabili online per esempio presso

http://esoterism.com/nostradamus/bien2.htm

non vi è traccia di una quartina del genere.

La versione inglese in cui circola questa bufala di pessimo gusto è questa:

In the mission of the first blue star,
a child of the holy land among the seven shall perish,
as the ship descends heavens sky,
the lone star bescattered with wreckage.

La traduzione italiana è opera mia, per cui potrebbero circolarne altre varianti.

La "stella azzurra" sarebbe la stella di Davide, simbolo dell'israeliano Ilan Ramon, uno dei sette astronauti periti nel Columbia, e la "stella solitaria" sarebbe il simbolo del Texas (noto come "Lone Star State" per via della sua bandiera).

La falsa profezia ha iniziato a circolare subito dopo la notizia, l'1-2 febbraio 2003 (a seconda del fuso orario). Ulteriori conferme della falsità dei versi sono disponibili presso Snopes.com:

http://www.snopes.com/inboxer/hoaxes/shuttle.asp

Foto della crepa, prendere con le pinze

Repubblica.it, Rai.it, Corriere.it e sicuramente altri giornali stanno pubblicando sui propri siti una foto che circola in Israele e che sarebbe tratta da un filmato eseguito durante la missione del Columbia e mostrerebbe delle "crepe" o dei danni alla superficie della navetta.

La versione del Corriere è qui:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2003/02_Febbraio/03/crepe.shtml

crepe shuttle

Consiglio di prendere con estrema cautela queste immagini, perché mi sembrano presentate in modo estremamente affrettato e superficiale, alla ricerca dello scoop. Innanzi tutto non è assolutamente chiaro quale parte della navetta sia inquadrata: tenendo presente che i finestrini sullo Shuttle guardano davanti, verso il muso, in alto e verso il vano di carico (aperto durante la missione), non si capisce come sia possibile un'inquadratura come quella mostrata.

Secondo Corriere.it, "lo scatto è stato ricavato a partire dalle riprese di una telecamera che si trovava a bordo della navicella, e che è stata utilizzata in occasione di una telefonata tra il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il colonnello Ilan Ramon... durante la conversazione, Ramon ha voluto condividere con Sharon lo spettacolo della Terra vista dallo spazio. La telecamera allora ha inquadrato il Pianeta e parte dello Shuttle, compresa l'ala sinistra e quelle che oggi sembrano essere due lunghe fessure."

Può darsi che sia invece un'inquadratura dello Spacehab, il modulo-laboratorio situato nel vano di carico; sto raccogliendo foto e dettagli sullo Spacehab (ho già visitato il relativo sito), e ci sono strutture simili a quella mostrata nella foto, comprese delle coperture termiche che sono intenzionalmente flessibili e quindi fatte per ripiegarsi accartocciandosi. La crepa è comunque un'anomalia.

Non si capisce, inoltre, cosa sia quell'oggetto nero che sembra sporgere dalla superficie: non è un normale componente della superficie esterna dello Shuttle, dato che la navetta non può avere sporgenze non aerodinamiche sulla superficie esterna per ovvi motivi.

So che fra voi ci sono persone molto esperte in materia. Se avete modo di chiarire la faccenda, ve ne sarò grato.

Ciao da Paolo.

 

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2003/02/01

[IxT] #2003-008 (1/2/2003). Shuttle

Come probabilmente già sapete, la navetta Columbia si è disintegrata al rientro nell'atmosfera. Le possibilità di sopravvivenza delle sette persone dell'equipaggio sono minime.

I miei pensieri sono con i familiari dell'equipaggio e con tutti coloro che verranno coinvolti da questa tragedia. Volare nello spazio è rischioso, non è un mistero, e gli astronauti e i loro familiari affrontano questo rischio con serena consapevolezza. Ma quando succedono gli incidenti, fa male lo stesso.

Nei prossimi giorni si leveranno molte teste parlanti a blaterare delle possibili cause e inevitabilmente si faranno le ipotesi più assurde da parte dei soliti incompetenti. Si parlerà della presenza di un astronauta israeliano a bordo e di attentati, assolutamente impossibili alla quota e alla velocità a cui stava rientrando. Si farà notare ossessivamente che l'incidente è avvenuto proprio nella stessa settimana dell'incidente del Challenger del 1986 (il 28 gennaio) e sicuramente sentirete un sacco di altre stupidaggini, comprese le profezie di Nostradamus.

Proprio per questo, rileggo nauseato quello che ho scritto ieri in questa newsletter a proposito della sperimentazione dei protocolli Internet a bordo della navetta: "non fatevi venire il panico pensando che qualche aggressore possa prendere il controllo dello Shuttle e farvelo cadere in testa."

Vorrei tanto non aver scritto queste parole ora diventate così infelici.

A nessuno venga il dubbio, neppure per un momento, che questa sperimentazione possa aver avuto un ruolo nel disastro e che un "hacker", nel senso deteriore ormai consolidato di questo termine, possa aver influito sui sistemi di bordo durante il rientro. Spero solo di non aver suggerito un'altra ipotesi di complotto a qualche mentecatto.

Ciao da Paolo.

 

Questo articolo è una ripubblicazione della newsletter Internet per tutti che gestivo via mail all’epoca. L’orario di questa ripubblicazione non corrisponde necessariamente a quello di invio della newsletter originale. Molti link saranno probabilmente obsoleti.

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