È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della
Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate
qui sul sito della RSI
(si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare
qui.
È la voce di Michelle Hunziker, che in un post vocale su Threads ha
brillantemente riassunto la reazione di molti all’arrivo anche in Europa
dell’ennesimo social network, legato a doppio filo a Instagram e agli altri
servizi di Meta. Threads, presentato come rivale e possibile sostituto di
Twitter (o X, come si chiama ora), sta suscitando curiosità, sfinimento e
disorientamento, e questi sentimenti hanno fatto passare in secondo piano una
sua novità ben più importante: la cosiddetta federazione, che rende
possibile partecipare a un social network senza dovervi per forza aprire un
account e installare un’app apposita, senza essere bombardati dalla pubblicità
o da post indesiderati e senza regalare dati personali. E Threads non è
l’unico servizio online che sta abbracciando questo nuovo corso di Internet,
in cui una volta tanto siamo noi utenti a ricevere benefici e semplificazioni.
Benvenuti alla puntata del 22 dicembre 2023 del Disinformatico, il
podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie
strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo, e proverò a raccontarvi
Threads e questa novità chiamata fediverso.
[SIGLA di apertura]
Miniguida a Threads
Il 14 dicembre scorso è stato reso ufficialmente disponibile anche in Europa
Threads, il nuovo social network di Meta [disponibile fuori UE da luglio 2023, come ho raccontato qui], visto da molti addetti ai lavori
come l’ammazza-Twitter. In effetti Threads somiglia molto al rivale: serve a
pubblicare aggiornamenti e fare conversazioni pubbliche con altri utenti,
principalmente sotto forma di testi lunghi fino a 500 caratteri accompagnati
da foto, registrazioni audio e video* e link, usando l’app per smartphone
oppure l’interfaccia Web di Threads.
* La dimensione massima di default delle foto è 1440 pixel, contro i 1080 di Instagram, e si può aumentare almeno fino a 4080 pixel andando in Impostazioni - Account - Qualità dei contenuti multimediali e scegliendo Carica contenuti multimediali nella qualità più elevata. Il limite di durata dell’audio è 30 secondi; quello dei video è 5 minuti.
Chi è già su Instagram può scaricare l’app di Threads e collegarla al proprio
account Instagram, senza doversi inventare e ricordare un nuovo nome utente o
una password aggiuntiva.
La schermata di Threads che propone di creare un profilo Threads associato al profilo Instagram.
Questo semplifica molto la creazione di un account
rispetto agli altri social network, e infatti le iscrizioni iniziali sono
state molto numerose. Prima del rilascio in Europa, il nuovo social network di
Meta contava già circa
100 milioni
di utenti attivi mensili, sia pure con un certodeclino dopo gli entusiasmi iniziali [stando a Quiver Quantitative, gli utenti totali sarebbero circa 160 milioni].
A differenza di Twitter e Instagram, Threads per ora non offre messaggi
diretti, ossia indirizzati a specifici utenti e non visibili agli
altri. Offre invece la possibilità estremamente utile di pubblicare link
cliccabili nei normali post, cosa che Instagram invece non consente. Inoltre i
testi dei post sono modificabili anche dopo la pubblicazione, cosa che Twitter
consente solo agli utenti paganti; però la modifica su Threads è possibile soltanto entro
i primi cinque minuti,
che di solito comunque è quanto basta per sistemare gli errori di scrittura più
frequenti.
Un’altra particolarità di Threads è il modo in cui usa gli hashtag. Se li
scrivete nella maniera normale, ossia digitando il simbolo di cancelletto (#)
davanti alla parola che volete usare come tag, il simbolo sparisce e tutto
quello che scrivete da quel punto in poi diventa un tag cliccabile, anche se
inserite degli spazi. Inoltre si può mettere un solo hashtag per ogni post. Un
po’ disorientante, per chi è abituato a riempire i propri post di hashtag e farli
diventare una selva puntuta di cancelletti.
C’è anche un’altra differenza importante rispetto a Instagram: Threads
funziona benissimo anche su computer, in una scheda del browser, e offre
praticamente le stesse funzioni presenti nell’app, a parte in alcuni casi i
post vocali, mentre la versione browser di Instagram è estremamente limitata
rispetto all’app. Visto che Threads è un social network basato principalmente
sul testo, è utile poterlo usare su un computer, che ha una tastiera adatta
per scrivere grandi quantità di parole.
Come Instagram e gli altri servizi social di Meta, anche Threads è gratuito nella sua versione base: l’azienda vive di pubblicità e di profilazione degli
utenti, e quindi usare Threads comporta riversare negli archivi di Meta grandi
quantità di dati personali. In sostanza, adottare Threads al posto di Twitter
significa affidarsi comunque agli umori di un altro ultramiliardario, Mark
Zuckerberg al posto di Elon Musk, e questo oggi suona un po’ come saltare
dalla padella nella brace, visto il caosperdurante su Twitter, dove numerosi
personaggi impresentabili (come il complottista statunitense Alex Jones) sono
stati riammessi, Musk fa dichiarazioni e prende decisioni dirigenziali sempre
più bislacche e imbarazzanti, gli account di numerose testate giornalistiche
sono stati silenziati o si sono autosospesi, e
gli inserzionisti pubblicitari
hanno
dimezzato
i loro investimenti perché sono preoccupati per gli accostamenti dei loro
marchi a post di odio, discriminazione e antisemitismo promossi dallo stesso
Elon Musk.
John Oliver elenca i dettagli del caos di Twitter e delle dichiarazioni di Elon Musk.
E se Zuckerberg facesse la stessa cosa? In fin dei conti, ha già
dimostrato anche lui in passato di dare precedenza alla propria convenienza rispetto a
quella degli utenti.
Se aggiungiamo a tutto questo la fatica di costruire da capo su Threads la
rete di amicizie, contatti e account seguiti su Twitter o su altri social
network, è comprensibile che l’arrivo di questo nuovo social network sia stato
accolto con parecchie espressioni di sfinimento.
Ma nel caso di Threads c’è una differenza importantissima rispetto a tutti i
social network commerciali precedenti e a quelli nascenti che tentano di
prendere il posto di Twitter, come per esempio Bluesky. Questa differenza si
chiama interoperabilità, ed è potenzialmente una rivoluzione nel modo
in cui usiamo i social network e tutta Internet.
Threads entra nel fediverso
Da pochi giorni su Threads è possibile fare una cosa che finora sembrava
impensabile: scambiare messaggi con chi è su Threads
senza dover essere iscritti a Threads.
Siamo ormai abituati all’idea, e ci sembra assolutamente normale e
inevitabile, che per comunicare con chi usa WhatsApp ci si debba iscrivere a
WhatsApp, per parlare con chi sta su Telegram ci si debba iscrivere a
Telegram, per seguire e commentare su Instagram si debba aprire un account su
Instagram, e così via. Il risultato è che ci troviamo a dover gestire una
caterva di app social, tutte incompatibili tra loro, e abbiamo su ciascun
social network tanti contatti, che non possono parlarsi tra loro e sono
costretti a restare dove sono perché i loro
contatti sono su quel social network.
È come se nella telefonia mobile chi ha uno smartphone Samsung potesse
telefonare solo agli altri possessori di telefoni della stessa marca e non
potesse assolutamente comunicare con chi ha un iPhone oppure un operatore
telefonico differente. Una situazione che sarebbe demenziale per il
consumatore, ma vantaggiosissima per le aziende, perché nessun loro cliente
oserebbe mai cambiare marca o operatore e passare alla concorrenza, perché
perderebbe tutti i propri contatti.
Con Threads non è così. Threads, infatti, sta iniziando a usare lo standard
aperto di comunicazione denominato
ActivityPub. È uno standard, più propriamente un protocollo,che permette
ai social network di diventare compatibili tra loro, ossia
interoperabili,e anche di federarsi, ossia consentire lo scambio di messaggi,ed è infatti già usato da molti servizi online, come Pixelfed, Peertube
o Mastodon e, da pochi giorni, anche da Flipboard. L’universo dei servizi uniti dal questo protocollo comune si chiama
fediverso.
Flipboard annuncia il proprio ingresso nel fediverso.
In sintesi, l’adozione dello standard ActivityPub permetterà di interagire con
gli utenti di Threads senza avere un account su Threads, usando
semplicemente la propria app social compatibile preferita per seguire e
commentare, e quindi senza dare dati personali e senza sorbirsi
pubblicità. Con l’interoperabilità tutti possono comunicare con tutti.
Uno dei primi account interoperabili in questo modo è quello di
Adam Mosseri, responsabile di Instagram, che può essere seguito da qualunque utente di
qualunque social network aderente allo standard ActivityPub. Mosseri ha
dichiarato,
ovviamente in una serie di post su Threads, che nel corso del 2024 tutti gli
account di questo social network potranno essere seguiti stando fuori da
Threads e usando qualunque app che aderisca allo standard, mentre chi sarà su
Threads potrà seguire anche chi ne sta fuori, per esempio su Mastodon, e potrà
comunicare in modo diretto e trasparente con tutti. Cosa ancora più
innovativa, un utente potrà abbandonare Threads e portare con sé altrove tutti
i propri follower.
Per esempio, io ho un account su Mastodon, che è uno dei social network che
aderiscono allo standard ActivityPub. Potrò seguire qualunque utente di Threads,
ma anche di Flipboard, Firefish, Pleroma, GoToSocial, Pixelfed, Lemmy,
PeerTube, Friendica o BookWyrm, standomene su Mastodon, usando la singola app
che preferisco, senza sorbirmi pubblicità e senza pagare per non vederla: mi
basterà aggiungere @threads.net dopo il nome dell’account Threads che
voglio seguire. Tutto qui.
[CLIP: Gandalf dal Signore degli Anelli: “un anello per domarli tutti, un
anello per trovarli, un anello per ghermirli e nell'oscurità
incatenarli” (colonna sonora musicale rimossa con Lalal.ai)]
Rischio fagocitazione?
Può sembrare tutto molto complicato, ma se ci pensate un momento noterete che
facciamo già tutti la stessa cosa con la mail senza batter ciglio: mandiamo
continuamente mail a gente che sta su server di posta diversi dal nostro.
Per esempio, chi ha una casella di mail su Gmail scambia messaggi con chi ce
l’ha su Hotmail o sul server di posta della propria azienda, e viceversa; quando vogliamo mandare una mail, scriviamo il nome dell’utente destinatario seguito
dal nome del server di posta di quel destinatario, che di solito è il nome del suo
sito. Per mandare una mail a me presso la RSI, per esempio, scrivete il mio
nome utente, che è paolo.attivissimo, seguito dal nome del server,
che è rsi.ch. Fra i due mettete una chiocciolina e il gioco è fatto.
La cosa vi sembra normalissima perché Internet è nata proprio per consentire agli utenti di qualunque dispositivo di comunicare tra loro: sono stati i
social network a erigere muri e recinti artificiali per impedire agli utenti
di andarsene o di comunicare con chi sta fuori.
In altre parole,
l’introduzione dell’interoperabilità su Threads significa che questi recinti
possono cadere e che non ci deve per forza essere un colosso unico, come Meta,
che diventa padrone e arbitro delle comunicazioni di miliardi di persone e
milioni di organizzazioni, testate e aziende. Tutti possono comunicare con
tutti, appunto, e possono farlo usando l’app che preferiscono, senza dover
sottoscrivere le regole di un gestore unico, accettare i suoi algoritmi, i
suoi account suggeriti da seguire, la sua moderazione arbitraria e la sua
profilazione commerciale. Per miliardi di persone online, questo è un
cambiamento enorme.
Threads sta entrando insomma nel fediverso, ma non tutti ne sono entusiasti.
Cento milioni di utenti che sbarcano di colpo nell’universo
dell’interoperabilità rischiano di sovraccaricare di traffico molti gestori di
servizi online abituati finora a numeri ben più modesti. E il traffico ha un
costo economico, che può diventare insostenibile per le isole più piccole
dell’arcipelago che costituisce il fediverso. Più che entrare nel
fediverso, Threads rischia di inglobarlo e fagocitarlo, travolgendo i gestori
alternativi con costi di traffico che Meta può sostenere con disinvoltura,
grazie agli introiti pubblicitari, ma che i gestori, spesso basati su donazioni
e volontariato, non possono sopportare.
Alcuni di questi gestori hanno già alzato barriere di silenziamento preventivo contro
Threads; altri si preparano allo tsunami di nuovi utenti, spammer e postatori
compulsivi di “buongiornissimo caffè” con video di gattini da dieci megabyte
l’uno. Il bello del fediverso è che ogni gestore, ogni istanza per
usare il termine tecnico,può scegliere la propria strategia in base
alle proprie risorse tecniche ed economiche
senza che ne facciano le spese i suoi utenti.
Ma se Meta rischia di essere il proverbiale elefante nella cristalleria,
allora non conviene semplicemente usare tutti Threads e lasciar perdere
Mastodon e tutti gli altri? Non è così semplice. In Europa, Meta potrebbe
entrare in conflitto con le norme contro il cosiddetto
self-preferencing, ossia il trattamento preferenziale che una piattaforma offre a un proprio
prodotto o servizio a scapito di quelli dei concorrenti [esempio su Agendadigitale.eu]. Threads, in altre
parole, ha ricevuto una spinta molto speciale dal fatto di essere legato a
Instagram. Mastodon e tutti gli altri servizi del fediverso non hanno questo
rischio di conflitto.
Sia come sia, oltre a Threads ci sono
tanti altri servizi online
che stanno annunciando l’adozione dello standard ActivityPub o l’hanno già adottato, e
il 2024 potrebbe essere l’anno in cui fediverso non è più la parola di
moda del momento ma diventa un’industria concreta e una trasformazione dalla
quale, una volta tanto, abbiamo benefici anche noi utenti.
Oggi alle 19 sarò in diretta streaming su YouTube con Tesla Owners Italia per parlare di auto elettriche, viste le ultime notizie di cronaca sugli incendi di questi veicoli, sul “richiamo” di due milioni di Tesla, sulla produzione delle batterie che emette più CO2 di un’auto termica e sull’aumento dei consumi di carbone che sarebbe legato alle auto elettriche. Parleremo insomma della malinformazione e le fake news in circolazione sul tema, e ci sarà spazio per parlare delle conclusioni della COP28 con chi ha vissuto dal vivo a Dubai le fasi finali della conferenza: Domenico Vito di Climate Reality Project. Si parlerà anche del Cybertruck e del mercato delle auto elettriche con Carlo Bellati di Automoto.it, e parteciperanno anche Daniele Invernizzi e Pierpaolo Zampini. La diretta sarà coordinata da Luca De Bo.
Ieri a Lainate si è tenuto l’incontro per la consegna di
Carrying the Fire e dei relativi gadget ai sostenitori del
crowdfunding: ecco qualche foto scattata da
Massimo Belloni. Come noterete, ha
fatto da sfondo all’incontro una magnifica replica della capsula Apollo in scala
1:1. Ringrazio l’azienda D’Andrea e
l‘associazione ASIMOF per l’ospitalità e
l’organizzazione dell’evento.
Noterete inoltre che finalmente possiamo svelare i gadget che abbiamo creato
esclusivamente per i sostenitori del progetto: il segnalibro a forma di Saturn
V, il cappellino con il logo creato appositamente da mio figlio Liam (artista
grafico) e la replica di una delle schede perforate usate per caricare il
programma di volo nel computer dei veicoli Apollo.
È stata una giornata molto bella, anche se per me la Dama del Maniero è stata
anche parecchio frenetica, fra coordinamento delle copie da consegnare e
firmare con dedica, risoluzione all’ultimo minuto dei problemi di
videocollegamento per partecipare alla Giornata Nazionale dello Spazio (la registrazione è qui su YouTube) e
preparazione del mio intervento pubblico, e quindi mi scuso con chi non ho
potuto salutare di persona e per le chiacchierate che ho dovuto interrompere
sul più bello perché dovevo scappare a portare pacchi di libri e riviste (gentilmente BBC Sky at Night edizione italiana ha portato una copia per tutti i presenti) o risolvere
qualche magagna.
Mi raccomando: se volete ordinare una copia cartacea del libro, per leggerla o
regalarla in tempo per Natale, ordinatela subito sulla
pagina apposita
del sito dell’editore, Cartabianca Publishing (https://cartabianca.com), perché la settimana prossima inizierà il picco delle spedizioni natalizie
e ci sarà il delirio.
L’e-book costa 11,99 euro; il libro cartaceo costa 25 euro. È bello massiccio
(462 pagine), ampiamente illustrato e corredato da un sito gratuito, aperto a
tutti, pieno di foto personali e storiche di Michael Collins:
Carryingthefire.it. Potete
leggere gratuitamente un assaggio del libro sul sito dell’editore.
Panoramica dei sostenitori presenti.
Un intenso e piacevole firmacopie, coordinato impeccabilmente dalla Dama del Maniero accanto a me.
Alcuni dei modelli portati da ASIMOF.
La spettacolare replica della capsula Apollo (interni compresi).
Morando (con in mano i campioni di maroon inviati dal mitico Milt Windler), Elena Albertini e Marco Cannavacciuolo (due dei collaboratori alla traduzione) e il sottoscritto.
Il logo di Carrying the Fire, realizzato da Liam Attivissimo solo per i sostenitori.
I gadget riservati ai sostenitori del crowdfunding.
Segnalo di nuovo l’incontro organizzato dall’Unione Astrofili Italiani e da ASIMOF che si terrà a Lainate per la Giornata Nazionale dello Spazio e che sarà trasmesso pubblicamente in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell'UAI.
Lo streaming è incluso qui sotto [2023/12/17: io inizio a 1h09m circa].
È disponibile subito il podcast di oggi de
Il Disinformatico
della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto:
lo trovate
qui sul sito della RSI
(si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare
qui.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle
fonti di questa puntata, sono qui sotto.
---
[CLIP: Spezzoni rimontati da video di YouTuber e canali di notizie
internazionali che parlano di Aitana Lopez: 1, 2,
3,
4]
Aitana Lopez è una modella spagnola dai caratteristici capelli rosa. Ha
231.000 follower su Instagram, dove posta foto curatissime e commentatissime, che mettono in mostra la sua
bellezza, e
altrove su Internet mostra a
pagamento tutte le proprie grazie. Ultimamente i media le hanno
dedicato molte attenzioni, titolando che
“guadagna 10.000 dollari al mese"[Corriere della Sera;
La Stampa; HWupgrade;
Wired.it]
grazie ai contratti pubblicitari, ma Aitana ha una particolarità: non esiste.
È una influencer virtuale: le sue foto sono tutte sintetiche, generate
dall’onnipresente intelligenza artificiale, pilotata da un’agenzia di moda di
Barcellona.
Una delle immagini più note di Aitana Lopez. Credit: Rubén Cruz/The Clueless.
Se state pensando che 10.000 dollari al mese per delle foto siano una cifra
perlomeno interessante e che però ci vogliano chissà quali tecnologie e
competenze tecniche per creare una modella virtuale, metterla in posa e per
farle indossare indumenti e prodotti da sponsorizzare, non è così. Lo so
perché ci ho provato. Ho speso in tutto sei dollari, non ho dovuto
acquistare macchinari particolari, e il risultato è sicuramente paragonabile a
quello di Aitana Lopez in termini di aspetto, flessibilità di posa e
vestiario, e soprattutto realismo fotografico: ne trovate qualche esempio su
Disinformatico.info.
La modella virtuale che ho creato io si veste e mette in posa per imitare
Aitana Lopez.
Questa è la storia di come ho creato una modella digitale, di come e perché la
gente si entusiasma per delle immagini totalmente sintetiche, e del
sorprendente sottobosco di persone e ditte che guadagnano dal boom degli
aspiranti creatori di influencer virtuali, attratti dalla speranza di
facili guadagni. Spoiler: i guadagni non sono affatto facili. Perlomeno non
per i creatori.
Benvenuti alla puntata del 15 dicembre 2023 del Disinformatico, il
podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie
strane dell’informatica. Io, come al solito, sono Paolo Attivissimo.
Ne parlò persino, all’epoca, il compassato
Wall Street Journal: nonostante il suo aspetto chiaramente sintetico, che visto oggi fa
sorridere, e la camminata inconfondibilmente robotica, Webbie Tookay era una
chiara anticipazione di un’idea che aveva senso economicamente da tutti i
punti di vista: le modelle sintetiche
“non invecchiano, non aumentano di peso e non fanno capricci”, per
citare il Journal [“Won't Age, Gain Weight or Throw Tantrums”].
Non si stancano, non hanno mai le borse sotto gli occhi, non hanno partner
discutibili, non fanno dichiarazioni imbarazzanti, non arrivano mai in ritardo
agli appuntamenti di lavoro e azzerano le spese per voli e alberghi.
Nel 2016 è arrivata
Lil Miquela[ne avevo
scritto
nel 2018], modella virtuale che ha quasi
tre milioni di follower su Instagram
e ha ottenuto contratti con Samsung, Calvin Klein e Prada, diventando il primo
avatar digitale sotto contratto con un’agenzia di moda.
Miquela è decisamente più realistica di Webbie Tookay e nei suoi video
interagisce con persone reali, comprese molte celebrità, ma c’è un trucco: il
suo corpo è reale e solo il volto è creato digitalmente, sovrapponendolo a
quello di una modella in carne e ossa.
Un video in cui la modella virtuale Lil Miquela “canta” e interagisce con
persone.
Aitana Lopez, invece, è completamente sintetica, concepita nel 2022 da Rubén
Cruz dell’agenzia di moda spagnola The Clueless. Non usa più un corpo di una
persona reale, e non è neppure un modello digitale tradizionale, un
rendering 3D da posizionare e animare come Webbie Tookay o come i Na’vi
di Avatar, Spider-Man e tanti altri personaggi digitali ai quali ci ha
abituato il cinema. Aitana è generata direttamente tramite software di
intelligenza artificiale.
L’artista che la gestisce descrive a parole il suo aspetto, la posa e
l’espressione che deve assumere, la sua acconciatura, il suo trucco, il
vestiario che deve indossare, l’illuminazione della scena e l’ambientazione in
cui deve collocarsi, e una quarantina di secondi dopo ottiene una serie di
immagini praticamente indistinguibili da foto reali che corrispondono alla sua
richiesta.
Diecimila dollari al mese per scrivere una serie di descrizioni e postare sui
social network qualche foto sembrano soldi facili, e infatti ci stanno
provando in molti. Ci ho provato anch’io per questo podcast, e in effetti
generare queste immagini di persone virtuali è sorprendentemente facile e a
buon mercato, e i follower e le richieste di collaborazione economica arrivano
molto rapidamente.
Ma non fatevi troppe illusioni: la parte difficile è un’altra, e i vari
tutorial sull’argomento fatti dagli YouTuber tendono a non parlarne.
Modelle facili, guadagni difficili
Prima di tutto va chiarito che quei diecimila dollari mensili raccontati dai
media a proposito di Aitana Lopez non sono reali: Rubén Cruz, il suo
creatore, ha dichiarato
[Euronews]
che la sua modella virtuale guadagna in media circa tremila
euro al mese, e che diecimila sono solo il picco massimo; ma la cifra grossa è
più sensazionale, e così i giornalisti hanno citato solo quella.
Comunque anche tremila euro al mese sono una cifra allettante, e Aitana Lopez
non è l’unico caso di
personaggio sintetico che fa incassare cifre mensili di tutto rispetto, soprattutto se l’offerta include immagini intime e piccanti, che sono
vietate su Instagram ma accettabili su altre piattaforme. Prevengo subito un
dubbio inevitabile: no, Onlyfans non accetta immagini fotorealistiche
completamente sintetiche: almeno la faccia deve essere la vostra. Ho
verificato e mi hanno bannato.
Se per caso a questo punto i vostri scrupoli morali all’idea di diffondere
stereotipi di bellezza impossibili, inarrivabili e deprimenti insieme a luoghi
comuni sessisti sono temporaneamente accantonati, perché quei soldi
comprensibilmente sono una tentazione, e vi state chiedendo come si fa in
concreto a generare immagini fotorealistiche di persone in pose specifiche e
con indumenti specifici, fatte così bene da indurre aziende e follower a
pagarle, chiarisco subito che praticamente tutti i generatori di immagini più
famosi disponibili online non sono all’altezza del compito, perché producono
volti umani dall’aspetto plasticoso e dallo sguardo vitreo, con mani
malformate, e oltretutto vietano le immagini eccessivamente sessualizzate,
perché c’è l’enorme problema delle foto sintetiche di minori e dei
deepfake
in cui il volto di una persona viene applicato perfettamente al corpo di
un’altra in situazioni intime o imbarazzanti allo scopo di umiliare o
molestare.
Anche i principali software scaricabili, come Stable Diffusion, hanno delle
salvaguardie molto severe sui tipi di immagini generabili. Toglierle richiede
notevole competenza informatica e in ogni caso usare software di questo genere
richiede computer molto potenti e costosi, con schede grafiche dedicate,
altrimenti generare un’immagine richiede decine di minuti. Se aspirate a
diventare gestori di una influencer virtuale nella speranza di fare
qualche soldo, insomma, non è questa la via da seguire.
Ci sono però alcuni siti e servizi online che hanno molti meno scrupoli etici
e consentono di generare immagini anatomicamente corrette e con espressioni
naturali: non li cito perché contengono, e permettono di generare, immagini
decisamente discutibili sia in termini di sessualità che in termini di
violenza, persecuzione e discriminazione. Quello che conta è che esistono, e
sono sorprendentemente a buon mercato. Quello che ho usato io per generare la
mia versione di influencer virtuale mi è costato in tutto sei dollari.
Con questa cifra ho potuto generare centinaia di immagini di prova intanto che
imparavo l’oscuro linguaggio dei prompt, ossia delle descrizioni
estremamente precise delle immagini desiderate, che vanno fatte in una sorta
di inglese telegrafico con una sintassi tutta sua e per nulla intuitiva.
Nel giro di una settimana sono passato da rigide bambole di porcellana, la cui
anatomia da incubo avrebbe fatto la gioia di David Cronenberg...
Due esempi di immagini generate da DALL-E incluso nella versione a pagamento
di ChatGPT di fine novembre 2023.
Qualche tentativo successivo, meno plasticoso ma comunque anatomicamente discutibile.
[Le quattro foto seguenti sono esattamente come le ha generate il software,
senza alcun ritocco da parte mia a parte un ritaglio di inquadratura e
l’eliminazione di un piccolo artefatto digitale su un avambraccio]
Un primo piano della modella virtuale che ho creato per questo articolo e
podcast. Notate l’espressione vivace, le piccole imperfezioni della pelle, i
nei e l’accenno di rasatura sotto le ascelle.
Cambio di vestiario e ambientazione per la mia modella virtuale.
Cose che mancano, va detto,
anche nelle foto di persone
reali
mostrate dalle riviste di moda e dai social network, che ci hanno assuefatto a
un aspetto profondamente artificiale del corpo umano.
Jennifer Lopez in una recente campagna pubblicitaria. Notate la pelle
assolutamente perfetta e priva di qualunque dettaglio.
Ho anche scoperto che il problema delle mani, che i generatori di immagini
tramite intelligenza artificiale faticano a creare realisticamente, si risolve
in un modo molto banale: quelle venute deformi vengono semplicemente escluse
dall’inquadratura finale pubblicata. Fateci caso: è quello che succede anche
con le immagini di Aitana Lopez.
Altre immagini di Aitana Lopez in cui le mani vengono escluse strategicamente
dalle inquadrature.
Fra l’altro, questo è un buon metodo per riconoscere, almeno per ora, le
immagini sintetiche: se le dita sono guarda caso appena fuori
dall’inquadratura, è probabile che la foto sia generata. Guardate anche i nei:
anche se oggi le intelligenze artificiali sono in grado di generare immagini
multiple dello stesso volto, non riescono ancora a piazzare i nei sempre negli
stessi punti del corpo. E il vestiario di queste modelle sintetiche,
specialmente quello intimo, ha spesso delle asimmetrie innaturali.
Ma se è possibile accorgersi facilmente che si tratta di persone inesistenti,
perché la gente segue le influencer virtuali e addirittura paga per
vederle?
Cecità da allupamento
La risposta è che la maggior parte delle persone, quando guarda le foto di
questi personaggi sintetici, non vede avvisi che dicono che si tratta di
immagini sintetiche, usa lo schermo piccolo del telefonino, che nasconde
moltissimo questi dettagli rivelatori, e comunque è talmente distratta
dall’aspetto fisico provocante di quello che sta guardando che, per dirla
educatamente, la razionalità passa del tutto in secondo piano
[avete notato, per esempio, i bitorzoli sulle clavicole della foto notturna
della mia modella sintetica? Appunto]. Nessuno guarda le foto virtuali delle mutandine di pizzo virtuale indossate
dalla formosissima modella virtuale e si accorge che il ricamo virtuale è
asimmetrico.
La biancheria intima di Aitana Lopez esibisce asimmetrie vistose.
E infatti la mia influencer sintetica sperimentale ha fatto subito
colpo. Sono arrivati presto i primi follower e i primi like, sia su Instagram
sia sull’altra piattaforma che ho usato,
Fanvue[la stessa usata da Aitana Lopez, dove non ci sono restrizioni di nudo e ho
usato l’intelligenza artificiale per aiutarmi a generare anche le
descrizioni delle foto]. Un ragazzo, in una lunga chat [su Instagram], ha detto che voleva
portarla fuori e farle visitare la sua città in Scandinavia. È stato gentile e
molto sincero, e mi è spiaciuto non potergli dire che stava chattando con me e
non con la sorridente ventiseienne che aveva ammirato. Solo una persona ha
avuto qualche dubbio sulla realtà delle immagini; le altre hanno creduto tutte
che si trattasse di foto reali.
Nel giro delle prime ventiquattro ore sono arrivati anche i primi contatti di
lavoro, e persino i primi soldi. Ma è qui che è venuto a galla l’aspetto
nascosto di questa recente foga di creare influencer virtuali: i
contatti di lavoro erano proposte di pagare per farsi conoscere, per
avere più follower, o per entrare in discutibili giri di marketing
multilivello di bigiotteria, e quei primi soldi arrivati, ben cinque dollari,
sono stati probabilmente versati – virtualmente, come tutto il resto – dalla
piattaforma stessa per incoraggiarmi a pubblicare contenuti. Dopo non è
arrivato più nulla. In pratica, finora ho chiuso più o meno in pareggio, ma di
tremila o diecimila dollari al mese proprio non se ne parla.
Aitana, invece, incassa perché i suoi creatori hanno saputo farla promuovere
in maniera virale dai media; era una novità e le sue immagini erano
giornalisticamente accattivanti. Così tutti ne hanno parlato, ed è
questo l’ingrediente del successo di un’influencer virtuale che
i tanti aspiranti del settore difficilmente riusciranno a procurarsi.
Una delle “offerte di collaborazione” ricevute su Instagram dalla mia modella
virtuale.
Intorno alla speranza di facili guadagni, insomma, si è creata un’industria di
servizi che monetizza questa speranza, offrendo tutorial su YouTube che
incassano soldi grazie alle visualizzazioni pubblicitarie e agli sponsor,
generatori di immagini specificamente orientati al vestiario o ad alcune parti
anatomiche facilmente immaginabili, modelle e modelli virtuali chiavi in mano,
voci sintetiche, servizi di sostituzione automatica dei volti e della voce in
tempo reale per far credere a chi paga di stare davvero in videochiamata
personale con il modello o la modella, chat automatizzate con i follower per
spingerli ad abbonarsi e a spendere soldi, tutto nell’illusione di aver fatto
colpo su una bella ragazza o su un bel ragazzo che in realtà nemmeno esiste. E
ci sono naturalmente anche i follower automatizzati, che si comprano per dare
l’impressione di essere popolari e quindi piazzarsi bene tra i profili
consigliati dagli algoritmi dei social network.
Una delle tante offerte di servizi per creare influencer virtuali chiavi in
mano.
È quindi importante rendersi conto che a questo punto non possiamo più credere
a nulla di quello che vediamo su uno schermo, né in foto né in video, se non
proviene da una fonte più che attendibile. Grazie all’uso distorto
dell’intelligenza artificiale abbinata alla furbizia naturale, Internet si sta
trasformando rapidamente in un universo popolato da persone sintetiche che
dialogano con altre persone sintetiche a proposito di immagini false di
bellezze che non esistono: Siri che chatta con Alexa e ChatGPT a proposito di
Aitana Lopez.
In altre parole, per parafrasare Mark Twain, quando c’è una corsa all’oro, gli
unici che guadagnano sicuramente sono i venditori di pale e picconi.