Ultimo aggiornamento: 2020/12/22 10:40.
La parapsicologia mi ha affascinato sin da ragazzino. L’idea che si potessero
leggere i pensieri o trasmetterli a distanza, o che quei piegatori di cucchiai
che vedevo alla TV fossero realmente una nuova frontiera della conoscenza, mi
entusiasmava. Poi mi accaddero due cose che contribuirono tantissimo a farmi
diventare il cacciatore di bufale e debunker che sono oggi.
La prima fu la lettura folgorante di
Viaggio nel Mondo del Paranormale di Piero Angela (ho ancora qui la mia
copia del 1979, che decenni dopo riuscii a farmi autografare da Angela e da
James Randi), ispirata dalla visione della sua serie di documentari
Indagine sulla parapsicologia alla Rai (1978). In TV avevo anche visto
il prestigiatore Silvan che faceva un’operazione chirurgica a mani nude come i guaritori filippini
(come descritto nel libro di Angela): persino sulla mia TV in bianco e nero era
particolarmente impressionante. Coincidenza delle coincidenze, in quella serie
di Piero Angela c’era anche un allievo di James Randi che anni dopo avrei
ritrovato come figura chiave del complottismo sull’11 settembre, ma questa è
un’altra storia.
Scoprire che quei fenomeni erano frodi o autoinganni fu un misto di delusione,
incredulità e rabbia verso chi ingannava il prossimo, che però fu compensato
dalla scoperta delle loro tecniche e dei meccanismi di autoinganno che si
annidano in ciascuno di noi. Una porta si chiudeva, ma se ne apriva una ancora
più interessante.
La seconda cosa che mi capitò fu una seduta spiritica. Ve la racconto come me
la ricordo: i dialoghi sono grosso modo quelli reali, ossia ne rispecchiano il
senso anche se non sono letterali.
All’epoca ero sedicenne e
abitavo
a Bereguardo, uno dei tanti nebbiosi e soporiferi paesini della Lombardia:
quattro case, sei cascine, una chiesa, una rosticceria, una scuola, una
scritta “Credere obbedire combattere” ancora leggibile sul
muro
nella piazza principale, uno scalcinato cinema all’oratorio, tante zanzare e
poco altro. Una famiglia che arrivava da fuori, come noi, era talmente strana
che eravamo noti semplicemente come “gli inglesi”. Una delle poche
amiche di mia madre era convinta che noi avessimo la bocca fatta in modo
diverso perché sapevamo pronunciare il th di toothpaste. C’era
anche una
“discoteca”, poco più di uno stanzone con un impianto audio, un po’ di luci colorate,
qualche divano igienicamente discutibile e un modesto spazio centrale dove
ballare, ma era sufficiente ad attirare i giovani della zona che non avevano
l’auto per andare altrove. Purtroppo attirava anche gente poco raccomandabile
da fuori, tanto che una sera la quiete del paesino fu scossa dalla notizia
dell’uccisione di uno dei buttafuori.
Il locale rimase chiuso a lungo dopo la tragedia, e ad alcuni ragazzi della
mia compagnia venne un’idea macabra: organizzare una seduta spiritica proprio
in quella discoteca. Erano gli anni in cui andava in onda in TV lo sceneggiato
La Traccia Verde (1975), in cui il testimone principale di un assassino era
una pianta con la quale si poteva comunicare e che captava le
“vibrazioni” del colpevole, ed erano di moda i piegatori di cucchiai “col
pensiero” come Uri Geller. Alla TV si facevano esperimenti per trovare i
“mini-Geller” italiani (la trash TV non è un’invenzione di oggi) e
spopolavano i maneggiatori di pendolini (non i treni, ma i ciondoli appesi a
un filo da far girare sopra un oggetto per estrarne messaggi ultraterreni). Il
paranormale era, si direbbe oggi, diventato mainstream. Per cui la
proposta fu accolta con brivido e interesse da molti di noi, me compreso.
La seduta sarebbe avvenuta usando la cosiddetta Ouija board: una tavola
sulla quale si appoggiava un bicchiere capovolto, sul quale tutti i
partecipanti appoggiavano un solo dito. Il bicchiere si sarebbe spostato,
guidato dagli “spiriti”, verso le lettere dell’alfabeto disposte in cerchio
sulla tavola (per facilitare le cose, oltre all’alfabeto molte Ouija board
avevano anche un “Sì” e un “No” e le cifre).
Ispirato da una scena analoga di Le guide del tramonto di Arthur C.
Clarke, in cui veniva descritta una Ouija board altamente tecnologica e
ipersensibile grazie a cuscinetti che consentivano una scorrevolezza
eccezionale e risultati straordinari, mi offrii di fornire io la tavola Ouija
per la seduta. Invece del solito legno, che aveva un attrito notevole, mi
procurai una lastra di alluminio levigatissima (mio padre lavorava come
dirigente alla Alucaps, che faceva tappi partendo appunto da fogli di
alluminio, per cui c’era parecchio materiale di scarto) e vi applicai delle
lettere adesive. Un calice di vetro vi scivolava magnificamente.
Arrivò la sera della seduta. I proprietari del locale davano spesso il
permesso ai ragazzi del paese di usare la sala per delle feste private, per
cui ci trovammo sul posto con il loro consenso. Semplicemente ci, uhm,
dimenticammo di dire loro che quella sera avremmo svolto una seduta
spiritica e l’avremmo fatta proprio lì perché c’era morto qualcuno.
Con le luci basse e il silenzio in sala, ragazzi e ragazze appoggiarono
leggermente un dito sul fondo del bicchiere rovesciato e lo feci anch’io. Uno
dei ragazzi chiese ad alta voce, con un filo d’imbarazzo:
“C’è qualcuno?”
Il bicchiere tremò un istante, poi cominciò a scivolare sull’alluminio,
dirigendosi con crescente decisione verso il “Sì”, fra lo stupore di
tutti. Beh, quasi tutti. Io e un’altra persona, alla quale avevo
confidato il segreto sulle tecniche di manipolazione delle tavole Ouija,
rimanemmo impassibili a osservare le espressioni degli altri. Alcune ragazze
erano già agitatissime e volevano andarsene.
Cominciarono le domande: chi sei, con chi vuoi parlare, cosa ci vuoi dire. Il
bicchiere si mosse a velocità impressionante: alcuni non riuscivano neppure a
inseguirlo e le loro dita si staccavano dal calice. Le risposte degli
“spiriti” erano vaghe: singole parole, che poi i partecipanti interpretavano
in vari modi molto personali.
Dopo alcuni minuti, visto che avevo osservato a sufficienza gli indizi
rivelatori suggeriti dal libro di Piero Angela e da altri libri di
illusionismo, capii cosa stava succedendo. Avevo pensato inizialmente che
fosse soltanto una questione di
movimenti ideomotori, ossia dei tremolii inconsapevoli delle mani che, moltiplicati dal numero di
dita appoggiate, generano gli spostamenti del bicchiere e lo rendono libero di
scorrere in ogni direzione. Questi spostamenti inizialmente casuali poi
vengono guidati inconsciamente dai partecipanti: quando tutti cominciano a
notare che il bicchiere va verso una direzione, senza rendersene conto lo
assecondano. Questo è quello che avviene normalmente nelle sedute spiritiche
condotte in buona fede.
Ma qui era diverso. Due ragazzi fra i più grandi della compagnia stavano
manovrando il bicchiere per farci paura, e io avevo capito chi erano. Non posso
spiegare qui come era possibile accorgersene, perché queste tecniche di
smascheramento possono tornare utili per altri debunking di altri
imbroglioni, ma era un fenomeno fisico relativamente semplice che era evidente
per qualunque osservatore attento che ne fosse a conoscenza ma passava
inosservato agli occhi del profano incantato dall‘emozione di una seduta
spiritica. Lo aveva notato anche la persona alla quale avevo confidato quelle
tecniche segrete.
Guardando la paura sui volti delle persone presenti, decisi che una frode del
genere era pericolosa e andava fermata in qualche modo prima che i due ragazzi
approfittassero del loro potere di suggestione e la cosa sfuggisse di mano. Ma
c’erano due rischi: il primo era di non essere creduto nella spiegazione (la
superstizione abbondava) e il secondo era di essere menato dai due ragazzi,
che non erano dei santarellini.
Così ebbi l’idea di usare contro i truffatori le loro stesse armi: presi il
controllo del bicchiere.
Può sembrare strano, ma è molto più facile di quel che si pensa, e non se ne
accorge nessuno. Feci scrivere al bicchiere una sola parola molto corta:
M… O… R… T… E. I presenti ebbero un sussulto già dopo le prime
lettere.
Mentre comandavo il bicchiere, guardavo le espressioni dei due sospettati: si
stavano scambiando sguardi increduli, domandandosi con gli occhi
“Ma lo stai muovendo tu?” e rendendosi conto che nessuno dei due stava
pilotando il bicchiere. Si guardavano intorno, esplorando i volti dei
presenti, cercando di capire chi avesse preso il controllo, e soprattutto
come lo avesse preso.
“Morte? Di chi?” chiese qualcuno.
Il bicchiere cominciò a scrivere la risposta, muovendosi con risolutezza. I
due ragazzi imbroglioni continuavano a guardarsi senza capire cosa stesse
succedendo, perché io sapevo qual era la loro tecnica per muovere il
bicchiere, mentre loro non sapevano quale fosse la mia (ci sono vari
modi per farlo, alcuni più evidenti di altri) e quindi non riuscivano a
identificare chi (o cosa) stesse spostando il bicchiere, che oltretutto
spesso si muoveva anche mentre sembrava che mi sfuggisse da sotto il dito.
Non ricordo le parole esatte che feci scrivere agli “spiriti” quella sera, ma
il senso della risposta fu molto chiaro: qualcuno sarebbe dovuto morire molto
presto. Poi, all’ennesima richiesta di rivelare chi era il predestinato, il
bicchiere cominciò a scrivere i cognomi dei due ragazzi che avevano tentato
l’inganno.
Lo spavento fu tale che la seduta fu interrotta immediatamente e nella nostra
compagnia non se ne fecero mai più. Per superstizione o per timore di essere
stati smascherati, i due ragazzi non provarono più a imbrogliare nessuno con
lo spiritismo.
Cosa più importante, nessuno mi menò.
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