Questo articolo è tratto dall’Almanacco dello Spazio e vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2017/01/28 2:40.
È il 27 gennaio 1967. Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, i tre astronauti assegnati alla missione
Apollo 204 (successivamente rinominata
Apollo 1), primo volo orbitale con equipaggio del veicolo
Apollo che dovrebbe portare l’America sulla Luna, muoiono nell’incendio della capsula nella quale sono sigillati da un triplice portello, durante una prova tecnica a terra, sulla rampa 34 del centro di lancio di Cape Kennedy. Sono le 18:31 ora locale; in Italia sono le 00:31 del 28 gennaio.
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Ed White, Gus Grissom e Roger Chaffee. |
L’incendio, violentissimo, è innescato da una scintilla prodotta nei cavi elettrici a contatto con i materiali infiammabili della capsula
Apollo, che ardono nell’atmosfera di ossigeno puro a 1,13 atmosfere: una pressione
superiore a quella atmosferica normale al livello del mare, necessaria per le esigenze della prova in corso. I soccorritori impiegano cinque interminabili minuti a farsi largo tra le fiamme e il fumo e ad aprire i complicatissimi portelli d’accesso, ma è troppo tardi: gli astronauti muoiono per asfissia in meno di un minuto.
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L’interno carbonizzato della capsula Apollo nella quale perirono Grissom, White e Chaffee. |
È il primo incidente mortale direttamente causato dal programma spaziale statunitense: altri astronauti sono periti prima di Grissom, White e Chaffee, ma in incidenti aerei. L’incendio sarebbe stato perfettamente evitabile se solo fossero state rispettate le buone norme di sicurezza e di progettazione, messe in disparte dalla
“go fever”, la febbre di andare verso la Luna a qualunque costo. Lo shock per chi lavora alla NASA è talmente potente che per decenni questo disastro sarà ricordato chiamandolo semplicemente e sommessamente
The Fire (
“l’Incendio”). Tutti sanno cosa s’intende.
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Credit: Gianluca Atti. |
La tragedia avrà un enorme impatto sull’opinione pubblica mondiale e imporrà un drastico riesame delle procedure NASA e di tutti i materiali usati per la capsula
Apollo, che probabilmente contribuirà ad evitare disastri durante i voli spaziali veri e propri. Il rapporto della NASA sul disastro (
Report of Apollo 204 Review Board – Findings, Determinations and Recommendations) descriverà senza mezzi termini
“carenze di progettazione, fabbricazione, installazione, rilavorazione e controllo qualità... assenza di soluzioni progettuali di protezione antincendio... installazione di componenti non certificati”.
Nel corso di 21 mesi (tanti ne trascorreranno prima del primo volo con equipaggio,
Apollo 7), tutti i materiali infiammabili verranno rimpiazzati adottando alternative autoestinguenti, le tute in nylon verranno sostituite con modelli in materiale non infiammabile e resistente alle alte temperature e il portello verrà riprogettato per aprirsi verso l’esterno in meno di dieci secondi. Per le missioni successive verrà usata una miscela di ossigeno e azoto (60/40%) al decollo, sostituita per il resto del volo con ossigeno puro a pressione ridotta (0,33 atm).
Grissom e White erano veterani dello spazio ed eroi nazionali: Grissom, 40 anni, era stato il secondo americano a volare nello spazio, con una capsula monoposto missione
Mercury, ed aveva effettuato con John Young il volo inaugurale delle capsule
Gemini (con la missione
Gemini 3); Ed White, 36 anni, aveva compiuto la prima “passeggiata spaziale” statunitense e la seconda al mondo durante la missione
Gemini 4). Roger Chaffee, 31 anni, non aveva ancora volato nello spazio ed era considerato uno dei massimi esperti nei sistemi di comunicazione e manovra del programma
Apollo.
Gus Grissom e Roger Chaffee sono sepolti ad Arlington; la tomba di Ed White è a West Point.
Vicino alla Rampa 34 c’è un ricordo poco conosciuto dei tre astronauti: tre panchine con i loro nomi.
Una replica della capsula verrà esposta al Tellus Science Museum di Cartersville, in Georgia; il veicolo originale, dopo le perizie, verrà custodito per decenni dalla NASA al Langley Research Center, in Virginia, in un contenitore ermetico all’interno di un capannone fatiscente. Il 17 febbraio 2007 verrà traslocato in una struttura climatizzata adiacente.
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Il capannone che ha custodito Apollo 1 per quarant’anni. Credit: J.L. Pickering, Mark Gray. |
Dal 27 gennaio 2017, in occasione del cinquantenario del disastro, i portelli originali della capsula sono stati esposti al pubblico per la prima volta presso il Kennedy Space Center in un grande allestimento commemorativo intitolato
Ad Astra per Aspera.
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A sinistra, il triplice portello originale di Apollo 1; a destra, il portello semplificato usato per le missioni lunari.
Credit: CollectSpace. |
Nei decenni successivi alla tragedia, Scott Grissom, figlio di Gus Grissom, ha sostenuto che l’incidente fu causato intenzionalmente per zittire gli astronauti prima che denunciassero la pericolosità e l’inadeguatezza della capsula
Apollo, ma l’idea di insabbiare i difetti della capsula spaziale facendo morire gli astronauti in un rogo che rivela i difetti della capsula stessa non sembra particolarmente logica.
C’è molto materiale d’archivio di questo disastro che raramente viene pubblicato, e che scelgo di non includere qui, perché troppo straziante: ho visto le foto di quello che resta dei corpi degli astronauti, fusi insieme alle loro tute e trovati in posizioni che dimostrano che ciascuno stava diligentemente, fino all’ultimo, seguendo le rispettive procedure d’emergenza; ho le registrazioni delle loro voci che avvisano del divampare delle fiamme, ma confesso che non ho il coraggio di ascoltarle.
L’incendio di
Apollo 1 resterà per sempre un drammatico promemoria del fatto che volare nello spazio a bordo di un missile stracarico di propellente altamente infiammabile era, ed è tuttora, straordinariamente pericoloso e richiede un’attenzione suprema ai dettagli e alla valutazione dei rischi. Lo spazio è un maestro severo e inesorabile: per questo fa emergere il meglio dell’umanità.
Segnalo questi video di tributo a White, Grissom e Chaffee, realizzati da Mark Gray di Spacecraft Films.
Fonti: Klabs.org; NASA; SSA; SSA; CollectSpace; Scientific American; CollectSpace; Roger Launius, 2014; About.com; CollectSpace; CollectSpace; Apolloarchive.