Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2016/01/31
Podcast del Disinformatico del 2016/01/29
È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di venerdì del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!
2016/01/29
Ci vediamo stasera a Lecco?
Questa sera alle 21 sarò al Planetario di Lecco, in corso Matteotti 22, per una conferenza pubblica intitolata “Leggende e bufale scientifiche: quando la bugia prende il posto della realtà”. La serata è organizzata dall’associazione Deep Space.
Le foto intime sugli smartphone si rubano troppo facilmente
Credit: Wikipedia/Gage Skidmore |
I verbali dell’FBI descrivono il modo in cui una delle vittime, identificata soltanto come J.L. (presumibilmente Jennifer Lawrence), si è fatta delle foto intime con il proprio iPhone, non le ha mai condivise pubblicamente, mandandole soltanto al proprio partner e cancellandole subito dopo averle inviate.
Detta così, si direbbe che la vittima abbia preso tutte le precauzioni normalmente sufficienti; ma dai verbali emerge che la vittima ha ricevuto una mail di phishing, che simulava un messaggio dell’assistenza clienti di Apple con il mittente appleprivacysecurity@icloud.com:
Your Apple ID was used to login into iCloud from an unrecognized device on Wednesday, August 20th, 2014. Operating System: iOS 5.4. Location: Moscow, Russia (IP=95.108.142.138). If this wasn't you, for your protection we recommend you change your password immediately. In order to make sure it is you changing the password, we have given you a one time passcode, 0184737, to use when resetting your password at http://applesecurity.serveuser.com/. We apologize for the inconvenience and any concerns about your privacy. Apple Privacy Protection.
La vittima ha dichiarato di averlo ritenuto autentico, anche se non ricorda se ha seguito le sue istruzioni. Se lo ha fatto, ha regalato la propria password di iCloud al ladro di foto, che a quel punto poteva scaricare via Internet, senza che la vittima lo sapesse, tutte le copie delle fotografie della vittima salvate automaticamente su iCloud.
Sul caso ticinese c'è stretto riserbo da parte degli inquirenti, per cui per ora non è da escludere che alcune delle foto di minorenni non siano state condivise in pubblico volontariamente ma siano state rubate via Internet con una tecnica come quella che ha descritto l’FBI, peraltro assolutamente standard nel settore. Una perizia tecnica sugli smartphone delle persone coinvolte potrebbe togliere questo dubbio importante, visto che per molti genitori (e probabilmente anche per l’opinione pubblica) c’è una grande differenza di responsabilità fra fare un autoscatto intimo tenendolo per sé o per il partner e condividerlo intenzionalmente con chiunque su un social network. Prima di giudicare, insomma, è meglio chiarire come le foto in questione sono diventate pubblicamente accessibil.
Cosa altrettanto importante, episodi come questo dimostrano che rubare le foto dagli smartphone è più facile di quel che si pensa comunemente, perché non è necessario l’accesso fisico al telefonino e quindi le normali precauzioni di buon senso non bastano. L’unica soluzione sicura per garantire che un selfie intimo non finisca in giro è, molto drasticamente, non farne, per nessun motivo. Quello che non c’è non si può rubare.
Antibufala: gli X-Files della CIA
Sono arrivate parecchie segnalazioni perplesse a proposito di una pagina del sito Web della CIA (sì, quella CIA) che propone ai visitatori un invito davvero insolito: “Date una sbirciata ai nostri ‘X-Files’” e mostra foto d’epoca di dischi volanti. C’è anche un’altra pagina intitolata “Come indagare su un disco volante”.
C’è chi ha pensato a una bufala, a uno scherzo, a un sito finto, ma le pagine sono realmente ospitate presso il sito pubblico della Central Intelligence Agency, ossia Cia.gov, e i documenti presentati sono davvero quelli dell’agenzia di intelligence statunitense dedicati alle segnalazioni di avvistamenti di oggetti volanti non identificati. Questi documenti fanno parte della vasta serie resa pubblica alla fine degli anni Settanta e includono resoconti impressionanti e insoliti, come quello di Oscar Linke, che insieme alla figlia nel 1952 avvistò un oggetto “simile a una grande padella volante” in una radura in un bosco della Germania Est, dalla quale era scappato di recente.
Le istruzioni su come indagare su un disco volante sono affascinanti e molto pratiche: sarebbe magnifico se le usassero gli ufologi.
1. Stabilire un gruppo che indaghi e valuti gli avvistamenti
2. Decidere quali sono gli obiettivi dell’indagine
3. Consultare gli esperti
4. Creare un sistema di gestione dei resoconti per organizzare i casi che arrivano
5. Eliminare i falsi positivi
6. Sviluppare metodi per identificare gli aerei comuni e altri fenomeni aerei spesso scambiati per UFO
7. Esaminare la documentazione dei testimoni
8. Effettuare esperimenti controllati
9. Raccogliere ed esaminare i reperti fisici e forensi
10. Disincentivare le segnalazioni fasulle.
Probabilmente queste pagine della CIA sono nate come tentativo di agganciarsi alla messa in onda della nuova miniserie di X-Files in onda negli Stati Uniti in queste settimane e di riparare i danni all’immagine dei servizi di sicurezza derivanti dalla rivelazione delle sue attività non legali da parte di Edward Snowden. In ogni caso i consigli organizzativi per gli ufologi e i documenti d’epoca proposti non sono affatto da buttare.
Microsoft Edge, successore di Internet Explorer, ha la navigazione privata... poco privata
La navigazione privata è molto utile: permette per esempio di cercare online un regalo per il proprio partner senza che rimanga memoria dei siti visitati e permette di usare il computer altrui per leggere la propria mail o il proprio profilo su un social network senza lasciare tracce dei propri dati personali. Naturalmente permette di fare anche altri generi di navigazione solitaria, ma lasciamo stare: quello che conta è che si può sfogliare Internet senza che ne rimanga traccia locale (il fornitore di accesso a Internet, invece, sa esattamente quali siti sono stati visitati).
Gli utenti si fidano della navigazione privata, insomma, per tutelare aspetti molto personali della propria attività informatica: ma nel caso di Edge, il nuovo browser di Microsoft che mira a sostituire Internet Explorer, questa fiducia non è ben riposta, secondo il ricercatore di sicurezza Ashish Singh di Forensic Focus, che spiega che Edge in modalità di navigazione privata conserva memoria dei siti visitati. In altre parole, la navigazione privata non è affatto privata.
I nomi dei siti visitati in modalità privata, infatti, vengono scritti nel file \Users\user_name\AppData\Local\Microsoft\Windows\WebCache, dal quale sono quindi facilmente recuperabili; anzi, sono etichettati chiaramente come siti visitati durante la navigazione privata.
Microsoft dice di essere al corrente della segnalazione del problema e si è impegnata a risolvere la magagna il più presto possibile. In attesa di questa risoluzione è opportuno evitare di fidarsi della navigazione privata con Edge e usare quella di browser alternativi.
Gli utenti si fidano della navigazione privata, insomma, per tutelare aspetti molto personali della propria attività informatica: ma nel caso di Edge, il nuovo browser di Microsoft che mira a sostituire Internet Explorer, questa fiducia non è ben riposta, secondo il ricercatore di sicurezza Ashish Singh di Forensic Focus, che spiega che Edge in modalità di navigazione privata conserva memoria dei siti visitati. In altre parole, la navigazione privata non è affatto privata.
I nomi dei siti visitati in modalità privata, infatti, vengono scritti nel file \Users\user_name\AppData\Local\Microsoft\Windows\WebCache, dal quale sono quindi facilmente recuperabili; anzi, sono etichettati chiaramente come siti visitati durante la navigazione privata.
Microsoft dice di essere al corrente della segnalazione del problema e si è impegnata a risolvere la magagna il più presto possibile. In attesa di questa risoluzione è opportuno evitare di fidarsi della navigazione privata con Edge e usare quella di browser alternativi.
Safari in tilt anche senza visitare Crashsafari? Ecco come rimediare
Non è stata una settimana positiva per Apple: oltre a subire la burla pesante di Crashsafari.com, che manda in crisi il browser Safari, molti utenti sono stati afflitti da dei crash occasionali di questo browser visitando altri siti, sia sotto iOS, sia sotto OS X. Il problema è legato ai suggerimenti di Safari: quando si inizia a digitare il nome di un sito, quello che è stato digitato viene inviato ad Apple, che lo usa per proporre un completamento automatico del nome del sito.
Apple ha annunciato poche ore fa di aver risolto il problema del suo servizio, ma se vi capita ancora di avere crash casuali di Safari, potete provare i seguenti rimedi.
Sui dispositivi iOS, andate in Impostazioni - Safari e disattivate Suggerimenti di Safari. Se questo non basta, mettete il dispositivo in modalità aereo e poi rimettetelo in modalità normale: questo svuota la cache DNS che altrimenti può conservare traccia del problema.
Sui computer Apple, invece, andate in Safari, scegliete Preferenze e poi Cerca e infine disattivate Includi suggerimenti Safari.
Un’altra soluzione è usare la navigazione privata: sui dispositivi iOS, si va in Safari, si tocca l'icona in basso a destra (i due quadrati sovrapposti), si tocca Privata e poi Fine; sui Mac, si va in Safari, si sceglie il menu File e poi la voce Nuova finestra privata.
Fonti: 9to5mac, Ars Technica, The Inquirer.
Crashsafari.com manda in tilt Mac e iPhone
Scherzo informatico pesante per gli utenti dei prodotti Apple: i suoi smartphone e computer vanno in crisi semplicemente visitando con il browser Safari un sito, Crashsafari.com, e così molti burloni dispettosi hanno pubblicato sui social network il link a questo sito, spesso mascherandolo con gli abbreviatori di indirizzi come Bit.ly o Tinyurl.com, e poi hanno convinto gli utenti a cliccare sul link con un pretesto (per esempio una foto provocante o divertente).
Su un iPhone con iOS 9.2.1, ossia la versione più recente del sistema operativo per i tablet, iPod touch e smartphone di Apple, la visita al sito produce il blocco del dispositivo, che poi si riavvia come se fosse stato spento; su un Mac aggiornato (con OS X 10.11.3 e Safari 9.0.3), la stessa visita paralizza Safari e poco dopo blocca completamente il computer, obbligando a un riavvio che comporta la perdita di tutti i dati non salvati. Lo scherzo, insomma, può causare danni e perdite di tempo.
Il funzionamento di Crashsafari.com è spiegato da Sophos qui: in sostanza si tratta di una piccola serie di istruzioni in Javascript, presenti sul sito, che Safari esegue ripetutamente fino a esaurire la memoria disponibile.
In attesa che Apple aggiorni Safari per correggere questa falla, conviene evitare di cliccare sui link abbreviati; in alternativa si può navigare con un browser alternativo, come Firefox, che annaspa un po’ ma alla fine resiste a questo trabocchetto (Chrome, invece, va in crash). Inoltre alcuni programmi di sicurezza, come per esempio SAFE di F-Secure, bloccano l’accesso a Crashsafari.com. E se sono i vostri amici a mandarvi link mascherati per farvi uno scherzo pensando che sia divertente farvi perdere tempo e lavoro, cambiate amici.
2016/01/28
Trent’anni fa il disastro del Challenger
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento).
Doveva essere il volo spaziale dell’americano comune, con una maestra di scuola a bordo, scelta fra migliaia di candidati, per fare lezione dallo spazio: un’idea fortemente voluta dal presidente Reagan. Doveva essere la dimostrazione che il volo spaziale era ormai diventato normale, una routine, un altro successo della tecnologia americana, anni avanti rispetto ai normali razzi usati dai paesi rivali come l’Unione Sovietica, e che lo Shuttle – la farfalla abbracciata ad un proiettile, come la chiamavano – era davvero l’autobus orbitale che era stato promesso più di dieci anni prima.
E invece il 28 gennaio 1986, esattamente trent’anni fa, lo Shuttle Challenger si disintegrò durante il decollo, 73 secondi dopo aver lasciato la rampa di lancio del Kennedy Space Center, sotto gli occhi dei genitori, dei mariti, dei figli e degli amici dell’equipaggio: Ellison Onizuka, Sharon Christa McAuliffe, Greg Jarvis, Judy Resnik. Davanti, da sinistra a destra: Mike Smith, Dick Scobee, Ron McNair.
L’inchiesta fece emergere che il freddo intenso della notte aveva fatto contrarre e irrigidire le guarnizioni dei booster laterali a propellente solido; queste guarnizioni, che avevano già dato problemi in precedenza, non erano più state in grado di fare tenuta e una di esse aveva lasciato passare una fiammata del getto rovente dei booster, che aveva colpito il serbatoio esterno pieno di idrogeno e ossigeno liquidi, innescando una disintegrazione catastrofica. Fu la prima volta che gli Stati Uniti persero un equipaggio spaziale in volo. La NASA, simbolo dell’infallibilità americana, si era adagiata in una cultura della normalizzazione delle anomalie, in una burocrazia che aveva dimenticato il proprio scopo fondamentale – gestire a ogni lancio un’esplosione controllata – e aveva deluso un’intera nazione.
National Geographic ha commemorato il trentennale del disastro del Challenger con un documentario, Challenger Disaster - The Lost Tapes, che presenta molto materiale inedito. Nessuna rivelazione, nessuno scoop, nessun compiacimento morboso nel ripresentare le immagini di quella palla di fuoco e di quei razzi laterali impazziti nei quali si disintegravano sette vite e i sogni di una nazione, ma solo un ritratto intimo, dietro le quinte, della preparazione della maestra Christa McAuliffe e dei suoi compagni di viaggio. Tutti consapevoli del rischio mortale che c’è in ogni lancio spaziale e pronti ad accettarlo, ma probabilmente ignari di quanto i dirigenti della NASA avessero sottovalutato il pericolo di quel lancio nonostante gli avvertimenti dei tecnici.
Per chi ama lo spazio, ancora oggi quelle immagini sono difficili da guardare. Ma le lezioni vanno imparate e ripetute, affinché gli sbagli commessi una volta a caro prezzo non avvengano di nuovo.
Doveva essere il volo spaziale dell’americano comune, con una maestra di scuola a bordo, scelta fra migliaia di candidati, per fare lezione dallo spazio: un’idea fortemente voluta dal presidente Reagan. Doveva essere la dimostrazione che il volo spaziale era ormai diventato normale, una routine, un altro successo della tecnologia americana, anni avanti rispetto ai normali razzi usati dai paesi rivali come l’Unione Sovietica, e che lo Shuttle – la farfalla abbracciata ad un proiettile, come la chiamavano – era davvero l’autobus orbitale che era stato promesso più di dieci anni prima.
E invece il 28 gennaio 1986, esattamente trent’anni fa, lo Shuttle Challenger si disintegrò durante il decollo, 73 secondi dopo aver lasciato la rampa di lancio del Kennedy Space Center, sotto gli occhi dei genitori, dei mariti, dei figli e degli amici dell’equipaggio: Ellison Onizuka, Sharon Christa McAuliffe, Greg Jarvis, Judy Resnik. Davanti, da sinistra a destra: Mike Smith, Dick Scobee, Ron McNair.
L’inchiesta fece emergere che il freddo intenso della notte aveva fatto contrarre e irrigidire le guarnizioni dei booster laterali a propellente solido; queste guarnizioni, che avevano già dato problemi in precedenza, non erano più state in grado di fare tenuta e una di esse aveva lasciato passare una fiammata del getto rovente dei booster, che aveva colpito il serbatoio esterno pieno di idrogeno e ossigeno liquidi, innescando una disintegrazione catastrofica. Fu la prima volta che gli Stati Uniti persero un equipaggio spaziale in volo. La NASA, simbolo dell’infallibilità americana, si era adagiata in una cultura della normalizzazione delle anomalie, in una burocrazia che aveva dimenticato il proprio scopo fondamentale – gestire a ogni lancio un’esplosione controllata – e aveva deluso un’intera nazione.
National Geographic ha commemorato il trentennale del disastro del Challenger con un documentario, Challenger Disaster - The Lost Tapes, che presenta molto materiale inedito. Nessuna rivelazione, nessuno scoop, nessun compiacimento morboso nel ripresentare le immagini di quella palla di fuoco e di quei razzi laterali impazziti nei quali si disintegravano sette vite e i sogni di una nazione, ma solo un ritratto intimo, dietro le quinte, della preparazione della maestra Christa McAuliffe e dei suoi compagni di viaggio. Tutti consapevoli del rischio mortale che c’è in ogni lancio spaziale e pronti ad accettarlo, ma probabilmente ignari di quanto i dirigenti della NASA avessero sottovalutato il pericolo di quel lancio nonostante gli avvertimenti dei tecnici.
Per chi ama lo spazio, ancora oggi quelle immagini sono difficili da guardare. Ma le lezioni vanno imparate e ripetute, affinché gli sbagli commessi una volta a caro prezzo non avvengano di nuovo.
2016/01/27
Geni svizzeri (e non solo) lasciano una stampante esposta a Internet. Indovinate che cosa succede
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/27 19:45.
Oggi Mikko Hypponen di F-Secure ha tweetato questa segnalazione: una stampante HP affacciata a Internet. Non era soltanto possibile vederne lo stato: era possibile comandarla.
Credo che pochissimi dei suoi follower abbiano resistito alla tentazione di far stampare una pagina demo o un elenco completo di font, facendo sembrare che la stampante fosse posseduta da uno spirito maligno.
Già può sembrare poco furbo affacciare una stampante a Internet, ma addirittura renderla accessibile come home page del proprio sito richiede un talento particolare. Se poi si considera che il sito in questione si chiama Bit.ch, ossia bitch, che in inglese significa grosso modo “puttana, cagna, stronza”, direi che la genialità scorre potente.
La stampante ora non risponde più. Posso solo immaginare le facce esterrefatte di chi l’ha vista impazzire e sfornare pagine su pagine.
Lo so, è una goliardata, ma tenete presente che non c'era altro modo pratico di avvisarli, visto che il Whois di Bit.ch è mascherato e non ci sono fonti online che forniscano un numero di telefono o una mail degli amministratori di Bit.ch.
Questa stampante non è l’unica mal configurata da amministratori di sistema incompetenti: per trovarne altre basta usare Google, digitando inurl:info_configuration.html come argomento di ricerca. Con pochi clic chiunque può trovare e comandare stampanti come questa, questa, questa, questa presso Uniroma1.it o questa. Peccato che non si possa far stampare a queste stampanti un bell’avviso “Salve, sono la tua stampante. Mi hai configurato in modo che chiunque da Internet mi possa controllare. Sono stufa di essere trattata così. Guadagnati il tuo stipendio e configurami bene, altrimenti stamperò i selfie porno che hai sul tuo telefonino”.
Oggi Mikko Hypponen di F-Secure ha tweetato questa segnalazione: una stampante HP affacciata a Internet. Non era soltanto possibile vederne lo stato: era possibile comandarla.
https://t.co/HSv75gx48M, please. Your printer is on the wrong side of the firewall. pic.twitter.com/OkSYNpyeOa
— Mikko Hypponen (@mikko) 27 Gennaio 2016
Credo che pochissimi dei suoi follower abbiano resistito alla tentazione di far stampare una pagina demo o un elenco completo di font, facendo sembrare che la stampante fosse posseduta da uno spirito maligno.
Già può sembrare poco furbo affacciare una stampante a Internet, ma addirittura renderla accessibile come home page del proprio sito richiede un talento particolare. Se poi si considera che il sito in questione si chiama Bit.ch, ossia bitch, che in inglese significa grosso modo “puttana, cagna, stronza”, direi che la genialità scorre potente.
La stampante ora non risponde più. Posso solo immaginare le facce esterrefatte di chi l’ha vista impazzire e sfornare pagine su pagine.
Lo so, è una goliardata, ma tenete presente che non c'era altro modo pratico di avvisarli, visto che il Whois di Bit.ch è mascherato e non ci sono fonti online che forniscano un numero di telefono o una mail degli amministratori di Bit.ch.
Questa stampante non è l’unica mal configurata da amministratori di sistema incompetenti: per trovarne altre basta usare Google, digitando inurl:info_configuration.html come argomento di ricerca. Con pochi clic chiunque può trovare e comandare stampanti come questa, questa, questa, questa presso Uniroma1.it o questa. Peccato che non si possa far stampare a queste stampanti un bell’avviso “Salve, sono la tua stampante. Mi hai configurato in modo che chiunque da Internet mi possa controllare. Sono stufa di essere trattata così. Guadagnati il tuo stipendio e configurami bene, altrimenti stamperò i selfie porno che hai sul tuo telefonino”.
Vi interessa un livetweet per il 45mo di Apollo 14?
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Sto pensando di fare un livetweet per seguire in tempo reale con dati, video e foto la missione lunare di Apollo 14, di cui ricorre tra pochi giorni il quarantacinquesimo anniversario. È una delle missioni più trascurate e poco conosciute, nonostante abbia la sua buona dose di disavventure e di chicche, come il fatto che gli astronauti si persero sulla Luna e che un guasto al sistema di attracco portò la missione a un passo dall’essere annullata in volo. È la missione nella quale Alan Shepard si mise a giocare a golf sulla Luna, per intenderci.
Se la cosa vi interessa, fatemelo sapere e ditemi come preferireste che si svolgesse: ho attivato un sondaggio apposito su Twitter, valido 24 ore. La questione fondamentale è se farlo su @disinformatico, disseminandolo a circa 240.000 follower (probabilmente non tutti interessati a un flusso massiccio di tweet sul tema), oppure su @attivissimoLIVE, che è il mio account Twitter dedicato agli eventi dal vivo ma ha molti meno follower e al quale chi è interessato dovrebbe iscriversi.
Insieme a Gianluca Atti, intanto, sto aggiungendo man mano materiale al blog cronologico Apollo 14 Timeline, ricco di foto poco conosciute e in alta risoluzione. Qui sotto trovate il sondaggio.
Aggiornamento (2016/01/28 20:00): Il sondaggio si è chiuso dopo 24 ore, secondo lo standard di Twitter, con il 30% dei 342 voti a “Su @disinformatico”, il 51% a “Su @attivissimoLive” e il 19% a “Mi è indifferente”. Per cui farò il livetweet su @attivissimoLive; se vi interessa, diventate follower di quest’ultimo account.
Sto pensando di fare un livetweet per seguire in tempo reale con dati, video e foto la missione lunare di Apollo 14, di cui ricorre tra pochi giorni il quarantacinquesimo anniversario. È una delle missioni più trascurate e poco conosciute, nonostante abbia la sua buona dose di disavventure e di chicche, come il fatto che gli astronauti si persero sulla Luna e che un guasto al sistema di attracco portò la missione a un passo dall’essere annullata in volo. È la missione nella quale Alan Shepard si mise a giocare a golf sulla Luna, per intenderci.
Se la cosa vi interessa, fatemelo sapere e ditemi come preferireste che si svolgesse: ho attivato un sondaggio apposito su Twitter, valido 24 ore. La questione fondamentale è se farlo su @disinformatico, disseminandolo a circa 240.000 follower (probabilmente non tutti interessati a un flusso massiccio di tweet sul tema), oppure su @attivissimoLIVE, che è il mio account Twitter dedicato agli eventi dal vivo ma ha molti meno follower e al quale chi è interessato dovrebbe iscriversi.
Insieme a Gianluca Atti, intanto, sto aggiungendo man mano materiale al blog cronologico Apollo 14 Timeline, ricco di foto poco conosciute e in alta risoluzione. Qui sotto trovate il sondaggio.
45mo di Apollo 14 tra pochi giorni: come preferireste un mio livetweet?
— Paolo Attivissimo (@disinformatico) 27 Gennaio 2016
Aggiornamento (2016/01/28 20:00): Il sondaggio si è chiuso dopo 24 ore, secondo lo standard di Twitter, con il 30% dei 342 voti a “Su @disinformatico”, il 51% a “Su @attivissimoLive” e il 19% a “Mi è indifferente”. Per cui farò il livetweet su @attivissimoLive; se vi interessa, diventate follower di quest’ultimo account.
Dietro le quinte degli effetti di “The Martian” e del nuovo “Star Wars”
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Ho da sempre un debole per gli effetti speciali e adoro vedere come vengono realizzati, sia quelli fisici sia quelli digitali. Il guaio di quelli digitali, in particolare, è che quando sono fatti veramente bene diventano invisibili e non si apprezza quanto lavoro richiedono. Tanti gli spettatori superficiali dicono “Ah, sì, è fatto al computer, che ci vuole”. Come se il computer sapesse fare l’artista da solo.
Anche se i video qui sotto sono materiale promozionale e quindi riconfezionano un po’ il processo di creazione degli effetti, è impressionante vedere quanti dettagli vengono aggiunti o modificati per ottenere l’illusione finale. Per esempio, avevate notato che in molte scene le visiere dei caschi di The Martian sono state aggiunte digitalmente?
Ho da sempre un debole per gli effetti speciali e adoro vedere come vengono realizzati, sia quelli fisici sia quelli digitali. Il guaio di quelli digitali, in particolare, è che quando sono fatti veramente bene diventano invisibili e non si apprezza quanto lavoro richiedono. Tanti gli spettatori superficiali dicono “Ah, sì, è fatto al computer, che ci vuole”. Come se il computer sapesse fare l’artista da solo.
Anche se i video qui sotto sono materiale promozionale e quindi riconfezionano un po’ il processo di creazione degli effetti, è impressionante vedere quanti dettagli vengono aggiunti o modificati per ottenere l’illusione finale. Per esempio, avevate notato che in molte scene le visiere dei caschi di The Martian sono state aggiunte digitalmente?
49 anni fa, il disastro di Apollo 1
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Il 27 gennaio 1967, alle 18:31 ora locale (mezzanotte e mezza del 28 in Italia), gli astronauti Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee persero la vita in un incendio a bordo della propria capsula Apollo durante una prova tecnica a terra alla rampa 34 del centro di lancio di Cape Kennedy. Ancora oggi, i veterani del programma spaziale statunitense ne parlano chiamandolo semplicemente e sommessamente The Fire. Tutti sanno cosa si intende.
L’incendio fu innescato da una scintilla prodotta nei cavi elettrici a contatto con i materiali infiammabili della capsula, che arsero violentemente nell’atmosfera di ossigeno puro a 16,7 psi, ossia 1.15 bar o 1,13 atm: una pressione leggermente superiore a quella atmosferica normale al livello del mare, necessaria per esigenze tecniche. I soccorritori impiegarono cinque interminabili minuti a farsi largo tra le fiamme e il fumo e ad aprire i complicatissimi portelli d’accesso, ma fu troppo tardi: gli astronauti morirono per asfissia in meno di un minuto.
Fu il primo incidente mortale direttamente causato dal programma spaziale statunitense: altri astronauti erano periti prima di Grissom, White e Chaffee, ma si era trattato di incidenti aerei. L’incendio, perfettamente evitabile se solo fossero state rispettate le buone norme di sicurezza e di progettazione, fu un drammatico promemoria del fatto che volare nello spazio a bordo di un missile stracarico di propellente altamente infiammabile era, ed è tuttora, pericoloso e richiede un’attenzione suprema ai dettagli e alla valutazione dei rischi. Lo spazio è un maestro severo e inesorabile.
Anni dopo, Scott Grissom, figlio di Gus Grissom, finirà al centro di una tesi di complotto secondo la quale l’incidente fu causato intenzionalmente per zittire gli astronauti prima che denunciassero la pericolosità e l’inadeguatezza della capsula Apollo. Ne parlo nel mio libro Luna? Sì, ci siamo andati!, ma in sintesi l’idea di insabbiare i difetti della capsula spaziale facendo morire gli astronauti in un rogo che rivela i difetti della capsula spaziale non sembra particolarmente logica ed illustra molto chiaramente le acrobazie mentali alle quali è disposto chi è affetto dalla visione complottista.
Maggiori dettagli su questo episodio funesto della corsa allo spazio sono in questo articolo su Complotti Lunari.
Fonti aggiuntive: Scientific American.
Il 27 gennaio 1967, alle 18:31 ora locale (mezzanotte e mezza del 28 in Italia), gli astronauti Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee persero la vita in un incendio a bordo della propria capsula Apollo durante una prova tecnica a terra alla rampa 34 del centro di lancio di Cape Kennedy. Ancora oggi, i veterani del programma spaziale statunitense ne parlano chiamandolo semplicemente e sommessamente The Fire. Tutti sanno cosa si intende.
L’incendio fu innescato da una scintilla prodotta nei cavi elettrici a contatto con i materiali infiammabili della capsula, che arsero violentemente nell’atmosfera di ossigeno puro a 16,7 psi, ossia 1.15 bar o 1,13 atm: una pressione leggermente superiore a quella atmosferica normale al livello del mare, necessaria per esigenze tecniche. I soccorritori impiegarono cinque interminabili minuti a farsi largo tra le fiamme e il fumo e ad aprire i complicatissimi portelli d’accesso, ma fu troppo tardi: gli astronauti morirono per asfissia in meno di un minuto.
L’interno carbonizzato della capsula Apollo nella quale perirono Grissom, White e Chaffee. |
Fu il primo incidente mortale direttamente causato dal programma spaziale statunitense: altri astronauti erano periti prima di Grissom, White e Chaffee, ma si era trattato di incidenti aerei. L’incendio, perfettamente evitabile se solo fossero state rispettate le buone norme di sicurezza e di progettazione, fu un drammatico promemoria del fatto che volare nello spazio a bordo di un missile stracarico di propellente altamente infiammabile era, ed è tuttora, pericoloso e richiede un’attenzione suprema ai dettagli e alla valutazione dei rischi. Lo spazio è un maestro severo e inesorabile.
Anni dopo, Scott Grissom, figlio di Gus Grissom, finirà al centro di una tesi di complotto secondo la quale l’incidente fu causato intenzionalmente per zittire gli astronauti prima che denunciassero la pericolosità e l’inadeguatezza della capsula Apollo. Ne parlo nel mio libro Luna? Sì, ci siamo andati!, ma in sintesi l’idea di insabbiare i difetti della capsula spaziale facendo morire gli astronauti in un rogo che rivela i difetti della capsula spaziale non sembra particolarmente logica ed illustra molto chiaramente le acrobazie mentali alle quali è disposto chi è affetto dalla visione complottista.
Maggiori dettagli su questo episodio funesto della corsa allo spazio sono in questo articolo su Complotti Lunari.
Fonti aggiuntive: Scientific American.
2016/01/25
Antibufala micro: la foto dell’aereo di linea sepolto dalla neve in America
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Avevo osato sperare che non servisse uno sbufalamento per la foto qui sopra, ma sono stato troppo ottimista: a quanto pare c’è al mondo parecchia gente che non sa cosa sia la prospettiva e crede che le compagnie aeree siano così cretine da lasciare che i loro costosissimi aerei di linea finiscano sepolti dalla neve.
La foto sta girando con riferimento alla grande tempesta di neve che sta affliggendo in questi giorni gli Stati Uniti e non è fotoritoccata: è semplicemente una foto scattata vicino a un cumulo di neve, in primo piano; sullo sfondo, molto lontano, c'è un aereo di linea della JetBlue.
I dettagli di questa foto sono su Snopes.com.
Avevo osato sperare che non servisse uno sbufalamento per la foto qui sopra, ma sono stato troppo ottimista: a quanto pare c’è al mondo parecchia gente che non sa cosa sia la prospettiva e crede che le compagnie aeree siano così cretine da lasciare che i loro costosissimi aerei di linea finiscano sepolti dalla neve.
La foto sta girando con riferimento alla grande tempesta di neve che sta affliggendo in questi giorni gli Stati Uniti e non è fotoritoccata: è semplicemente una foto scattata vicino a un cumulo di neve, in primo piano; sullo sfondo, molto lontano, c'è un aereo di linea della JetBlue.
I dettagli di questa foto sono su Snopes.com.
Un altro incredibile autoritratto da Marte: il robot Curiosity ai piedi di una duna
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Il veicolo robotico Curiosity sta ancora esplorando Marte: è facile dimenticarsi di quanto sia incredibilmente eccezionale questa frase. A decine di milioni di chilometri da noi, su un altro pianeta, c’è un nostro emissario meccanico. Un emissario che oltre ad analizzare il suolo marziano scatta migliaia di foto e le manda a Terra, dove sono a disposizione di chiunque. C’è chi preferisce sprecare il proprio tempo trovando in queste foto piramidi, umanoidi e altre allucinazioni, e chi invece mette insieme queste foto per creare autoritratti incantevoli come questo, che è opera di Paul Hammond e mostra Curiosity alla base di una duna sabbiosa che sta esplorando con molta cautela per non incagliarsi.
Non fermatevi alla versione piccola che ho pubblicato qui: andate a prendervi l’originale su Flickr, che misura 10400 per 4732 pixel, e divertitevi considerando che state guardando granelli di polvere che stanno su un altro pianeta.
Tanto per darvi un assaggio di cosa vuol dire una risoluzione come quella di questa foto composita, questa è la ruota posteriore sinistra del veicolo:
Ringrazio @Rainmaker1973 per la segnalazione.
Il veicolo robotico Curiosity sta ancora esplorando Marte: è facile dimenticarsi di quanto sia incredibilmente eccezionale questa frase. A decine di milioni di chilometri da noi, su un altro pianeta, c’è un nostro emissario meccanico. Un emissario che oltre ad analizzare il suolo marziano scatta migliaia di foto e le manda a Terra, dove sono a disposizione di chiunque. C’è chi preferisce sprecare il proprio tempo trovando in queste foto piramidi, umanoidi e altre allucinazioni, e chi invece mette insieme queste foto per creare autoritratti incantevoli come questo, che è opera di Paul Hammond e mostra Curiosity alla base di una duna sabbiosa che sta esplorando con molta cautela per non incagliarsi.
Non fermatevi alla versione piccola che ho pubblicato qui: andate a prendervi l’originale su Flickr, che misura 10400 per 4732 pixel, e divertitevi considerando che state guardando granelli di polvere che stanno su un altro pianeta.
Tanto per darvi un assaggio di cosa vuol dire una risoluzione come quella di questa foto composita, questa è la ruota posteriore sinistra del veicolo:
Ringrazio @Rainmaker1973 per la segnalazione.
2016/01/24
Nufologia: avvistato un robot fra le nuvole
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Se pensate che l’ufologia non venga presa sul serio perché c’è un’omertosa congiura degli scienziati e dei poteri forti per insabbiare la verità, siete fuori strada: non viene presa sul serio perché è stracolma di persone incapaci di fare un minimo di ricerca e per le quali qualunque cosa che non capiscono è sicuramente un vascello alieno. In altre parole: il danno peggiore all’ufologia lo fanno gli ufologi da strapazzo.
Prendiamo per esempio una delle perle pubblicate recentemente da Pompeo De Franco, del Centro Ufologico Mediterraneo: “Mazinga Robot avvistato da un Aereo passeggeri”. Non chiedetemi perché Aereo sia in maiuscolo, ma così è.
L’avvistamento è documentato fotograficamente da questa immagine:
Secondo il De Franco, che cita un altro sito (f)ufologico, Mistero UFO, la foto sarebbe stata scattata da un certo “Flyer Nick O’Donoghue”, descritto come “un programmatore di software irlandese”. Sì, scrive proprio così: “Flyer Nick O’Donoghue, 30 anni, un programmatore di software irlandese, era a bordo di un volo della EasyJet decollato da un aeroporto austriaco e diretto a Cork.”
Se non avete già cominciato a ridere, chiedetevi come mai un irlandese dovrebbe chiamarsi di nome “Flyer”, cioè “aviatore” o “passeggero”. Semplice: perché la notizia è stata copiata a neuroni spenti prendendola da un giornale inglese, specificamente dal Daily Mail, dove il signor Nick O’Donoghue veniva descritto come un passeggero di un volo di linea: “Flyer Nick O'Donoghue, 30, a software support team manager from Ireland, was on board an EasyJet flight from Austria to London Gatwick when he noticed the bizarre figure in the sky and grabbed his camera.”
A quanto pare, il signor De Franco e i suoi colleghi di Mistero UFO non si sono resi conto che “Flyer” non fa parte del nome del signor O’Donoghue ma è semplicemente un sostantivo: “Il passeggero Nick O’Donoghue, 30 anni, irlandese, responsabile di una squadra di assistenza software, era a bordo di un volo EasyJet...”. In altre parole, gente che pretende di aver capito tutto sugli abitanti di altri mondi non sa neanche capire cosa dicono i terrestri della porta accanto.
A parte questo, sarebbe sufficiente che gli ufologi frequentassero dei siti meno autocontemplativi, come per esempio Metabunk.org, che il 16 gennaio scorso ha pubblicato la spiegazione di questa foto: il “robot” è semplicemente la nube prodotta dalle torri di raffreddamento gemelle di una centrale per la produzione di energia elettrica. Sapendo la rotta percorsa dal testimone (dall’Austria a Londra, secondo il Mail) si può anche tentare di identificare la centrale specifica in Germania o Belgio.
Per chi avesse dubbi che le torri di raffreddamento possano produrre questi effetti, Metabunk fornisce anche una collezione di foto dimostrative, come questa, che mostrano quanto può essere bassa la coltre di nubi o foschia sopra la quale emerge il pennacchio doppio della centrale:
Ed ecco perché l’ufologia non ha rispetto: perché viene rovinata e ridicolizzata da chi vede misteri dappertutto e da chi si definisce “ricercatore” ma a quanto risulta avrebbe seri problemi a trovare persino un paio di calzini appaiati nel cassetto.
Se pensate che l’ufologia non venga presa sul serio perché c’è un’omertosa congiura degli scienziati e dei poteri forti per insabbiare la verità, siete fuori strada: non viene presa sul serio perché è stracolma di persone incapaci di fare un minimo di ricerca e per le quali qualunque cosa che non capiscono è sicuramente un vascello alieno. In altre parole: il danno peggiore all’ufologia lo fanno gli ufologi da strapazzo.
Prendiamo per esempio una delle perle pubblicate recentemente da Pompeo De Franco, del Centro Ufologico Mediterraneo: “Mazinga Robot avvistato da un Aereo passeggeri”. Non chiedetemi perché Aereo sia in maiuscolo, ma così è.
L’avvistamento è documentato fotograficamente da questa immagine:
Secondo il De Franco, che cita un altro sito (f)ufologico, Mistero UFO, la foto sarebbe stata scattata da un certo “Flyer Nick O’Donoghue”, descritto come “un programmatore di software irlandese”. Sì, scrive proprio così: “Flyer Nick O’Donoghue, 30 anni, un programmatore di software irlandese, era a bordo di un volo della EasyJet decollato da un aeroporto austriaco e diretto a Cork.”
Se non avete già cominciato a ridere, chiedetevi come mai un irlandese dovrebbe chiamarsi di nome “Flyer”, cioè “aviatore” o “passeggero”. Semplice: perché la notizia è stata copiata a neuroni spenti prendendola da un giornale inglese, specificamente dal Daily Mail, dove il signor Nick O’Donoghue veniva descritto come un passeggero di un volo di linea: “Flyer Nick O'Donoghue, 30, a software support team manager from Ireland, was on board an EasyJet flight from Austria to London Gatwick when he noticed the bizarre figure in the sky and grabbed his camera.”
A quanto pare, il signor De Franco e i suoi colleghi di Mistero UFO non si sono resi conto che “Flyer” non fa parte del nome del signor O’Donoghue ma è semplicemente un sostantivo: “Il passeggero Nick O’Donoghue, 30 anni, irlandese, responsabile di una squadra di assistenza software, era a bordo di un volo EasyJet...”. In altre parole, gente che pretende di aver capito tutto sugli abitanti di altri mondi non sa neanche capire cosa dicono i terrestri della porta accanto.
A parte questo, sarebbe sufficiente che gli ufologi frequentassero dei siti meno autocontemplativi, come per esempio Metabunk.org, che il 16 gennaio scorso ha pubblicato la spiegazione di questa foto: il “robot” è semplicemente la nube prodotta dalle torri di raffreddamento gemelle di una centrale per la produzione di energia elettrica. Sapendo la rotta percorsa dal testimone (dall’Austria a Londra, secondo il Mail) si può anche tentare di identificare la centrale specifica in Germania o Belgio.
Per chi avesse dubbi che le torri di raffreddamento possano produrre questi effetti, Metabunk fornisce anche una collezione di foto dimostrative, come questa, che mostrano quanto può essere bassa la coltre di nubi o foschia sopra la quale emerge il pennacchio doppio della centrale:
Ed ecco perché l’ufologia non ha rispetto: perché viene rovinata e ridicolizzata da chi vede misteri dappertutto e da chi si definisce “ricercatore” ma a quanto risulta avrebbe seri problemi a trovare persino un paio di calzini appaiati nel cassetto.
Giornale svizzero pubblica la falsa foto del poster “stupro libero per rifugiati”
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento; 2016/01/27 1:10.
Me la prendo spesso con i giornali italiani che pubblicano bufale, ma non vorrei dare l’impressione che siano gli unici a sbagliare. Infatti stamattina il giornale ticinese Il Mattino ha pubblicato la foto-bufala del poster che (stando a chi la fa circolare) informerebbe gli africani che in Finlandia possono stuprare impunemente le donne bianche.
La foto è un grossolano fotomontaggio che altera un poster di Medici Senza Frontiere che in realtà offre cure alle donne liberiane vittime di stupro: i dettagli dell’indagine antibufala sono in questo mio articolo di pochi giorni fa.
Ancora una volta viene confermata una delle regole chiave del successo delle bufale: si crede facilmente che sia vero ciò che si vuole che sia vero.
Me la prendo spesso con i giornali italiani che pubblicano bufale, ma non vorrei dare l’impressione che siano gli unici a sbagliare. Infatti stamattina il giornale ticinese Il Mattino ha pubblicato la foto-bufala del poster che (stando a chi la fa circolare) informerebbe gli africani che in Finlandia possono stuprare impunemente le donne bianche.
La foto è un grossolano fotomontaggio che altera un poster di Medici Senza Frontiere che in realtà offre cure alle donne liberiane vittime di stupro: i dettagli dell’indagine antibufala sono in questo mio articolo di pochi giorni fa.
Ancora una volta viene confermata una delle regole chiave del successo delle bufale: si crede facilmente che sia vero ciò che si vuole che sia vero.
2016/01/23
La Gazzetta del Mezzogiorno mi fa dire che le vaccinazioni “sono solo una truffa”
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“E un saggio denuncia «Vaccinazioni a rischio? Sono solo una truffa»”. Questo è il titolo che campeggia sopra la mia foto e presenta un articolo firmato da Nicola Simonetti sulla Gazzetta del Mezzogiorno di oggi (23/1/2016), come mostrato dalla foto mandatami da @myrthus e dalla copia online.
Sopra il titolo c'è scritto “L’autore Paolo Attivissimo evidenzia rischi e scorrettezze”.
Forse sarò cretino io che non capisco l’italiano, ma secondo me chi legge queste parole pensa che io stia dicendo che le vaccinazioni sono una truffa e che ne evidenzio i rischi e le scorrettezze. O magari è cretino questo modo di fare giornalismo, visto che il testo dell’articolo dice l’esatto contrario, ossia spiega che ho scritto un capitolo di un libro, Vaccini, complotti e pseudoscienza (disponibile anche come e-book su Amazon.it), che rivela le truffe, i rischi e le scorrettezze degli antivaccinisti.
I contatti della Gazzetta sono qui. Siate educati. Io ho già scritto al direttore chiedendo rettifica. Dopo tutti questi anni di impegno contro le pseudoscienze, vedermi etichettato pubblicamente come un idiota antivaccinista non è particolarmente entusiasmante.
“E un saggio denuncia «Vaccinazioni a rischio? Sono solo una truffa»”. Questo è il titolo che campeggia sopra la mia foto e presenta un articolo firmato da Nicola Simonetti sulla Gazzetta del Mezzogiorno di oggi (23/1/2016), come mostrato dalla foto mandatami da @myrthus e dalla copia online.
Sopra il titolo c'è scritto “L’autore Paolo Attivissimo evidenzia rischi e scorrettezze”.
Forse sarò cretino io che non capisco l’italiano, ma secondo me chi legge queste parole pensa che io stia dicendo che le vaccinazioni sono una truffa e che ne evidenzio i rischi e le scorrettezze. O magari è cretino questo modo di fare giornalismo, visto che il testo dell’articolo dice l’esatto contrario, ossia spiega che ho scritto un capitolo di un libro, Vaccini, complotti e pseudoscienza (disponibile anche come e-book su Amazon.it), che rivela le truffe, i rischi e le scorrettezze degli antivaccinisti.
I contatti della Gazzetta sono qui. Siate educati. Io ho già scritto al direttore chiedendo rettifica. Dopo tutti questi anni di impegno contro le pseudoscienze, vedermi etichettato pubblicamente come un idiota antivaccinista non è particolarmente entusiasmante.
Il razzo di Bezos vola nello spazio di nuovo
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Ieri il vettore New Shepard di Blue Origin, l’azienda spaziale di Jeff Bezos (Amazon), è tornato nello spazio ed è atterrato verticalmente, dimostrando di essere riutilizzabile. Ha sostanzialmente ripetuto il volo del 23 novembre scorso: ha superato la linea di Karman (la quota di 100 chilometri alla quale, per convenzione, si definisce l’inizio dello spazio e la fine dell’atmosfera) ed è tornato al punto di lancio per un atteraggio verticale usando esclusivamente la spinta del proprio motore a razzo.
“Il primo razzo a superare la linea di Karman e poi atterrare verticalmente sulla Terra... è ora il primo ad averlo fatto due volte”, annuncia orgogliosamente il video del nuovo volo, pubblicato da Blue Origin:
Come per il precedente, anche per questo volo è importante sottolineare che la velocità laterale, quella che conta veramente per un veicolo che voglia entrare in orbita intorno alla Terra e costituisce la sfida maggiore per un vettore spaziale, è stata zero: New Shepard, nella sua configurazione attuale, consente soltanto di fare una capatina nello spazio ma poi ricade a terra, perché senza velocità laterale (e tanta: servono 28.000 km/h) non si resta in orbita.
Neanche il primo stadio del Falcon 9 di SpaceX raggiunge la velocità orbitale, però ha una velocità laterale che gli permette di contribuire alla messa in orbita di un carico. New Shepard, invece, non può mettere in orbita nulla.
Anche con questa limitazione, il secondo volo di New Shepard è un grande risultato tecnico, perché dimostra una capacità di riutilizzo e di atterraggio verticale controllato di un veicolo spaziale (sia pure suborbitale) senza le spese eccessive e i tempi di manutenzione e riparazione esagerati che furono la palla al piede dell’unico veicolo spaziale orbitale riutilizzabile entrato in servizio: lo Shuttle statunitense (lo shuttle russo Buran prometteva bene, in questo senso, ma fece un solo volo, per cui non sapremo mai quanto fosse realmente riutilizzabile).
Stando al comunicato di Blue Origin, Jeff Bezos ha piani molto ambiziosi: vuole creare versioni progressivamente più grandi e dice di avere in corso da più di tre anni lo sviluppo del suo primo veicolo orbitale, che pur essendo il più piccolo della famiglia di veicoli orbitali sarà parecchie volte più grande del New Shepard.
Mi manca il tempo di tradurre tutto il comunicato, ma lo ripubblico in originale qui sotto.
Fonti aggiuntive: NasaSpaceflight.
Ieri il vettore New Shepard di Blue Origin, l’azienda spaziale di Jeff Bezos (Amazon), è tornato nello spazio ed è atterrato verticalmente, dimostrando di essere riutilizzabile. Ha sostanzialmente ripetuto il volo del 23 novembre scorso: ha superato la linea di Karman (la quota di 100 chilometri alla quale, per convenzione, si definisce l’inizio dello spazio e la fine dell’atmosfera) ed è tornato al punto di lancio per un atteraggio verticale usando esclusivamente la spinta del proprio motore a razzo.
“Il primo razzo a superare la linea di Karman e poi atterrare verticalmente sulla Terra... è ora il primo ad averlo fatto due volte”, annuncia orgogliosamente il video del nuovo volo, pubblicato da Blue Origin:
Come per il precedente, anche per questo volo è importante sottolineare che la velocità laterale, quella che conta veramente per un veicolo che voglia entrare in orbita intorno alla Terra e costituisce la sfida maggiore per un vettore spaziale, è stata zero: New Shepard, nella sua configurazione attuale, consente soltanto di fare una capatina nello spazio ma poi ricade a terra, perché senza velocità laterale (e tanta: servono 28.000 km/h) non si resta in orbita.
Neanche il primo stadio del Falcon 9 di SpaceX raggiunge la velocità orbitale, però ha una velocità laterale che gli permette di contribuire alla messa in orbita di un carico. New Shepard, invece, non può mettere in orbita nulla.
Anche con questa limitazione, il secondo volo di New Shepard è un grande risultato tecnico, perché dimostra una capacità di riutilizzo e di atterraggio verticale controllato di un veicolo spaziale (sia pure suborbitale) senza le spese eccessive e i tempi di manutenzione e riparazione esagerati che furono la palla al piede dell’unico veicolo spaziale orbitale riutilizzabile entrato in servizio: lo Shuttle statunitense (lo shuttle russo Buran prometteva bene, in questo senso, ma fece un solo volo, per cui non sapremo mai quanto fosse realmente riutilizzabile).
Stando al comunicato di Blue Origin, Jeff Bezos ha piani molto ambiziosi: vuole creare versioni progressivamente più grandi e dice di avere in corso da più di tre anni lo sviluppo del suo primo veicolo orbitale, che pur essendo il più piccolo della famiglia di veicoli orbitali sarà parecchie volte più grande del New Shepard.
Mi manca il tempo di tradurre tutto il comunicato, ma lo ripubblico in originale qui sotto.
The very same New Shepard booster that flew above the Karman line and then landed vertically at its launch site last November has now flown and landed again, demonstrating reuse. This time, New Shepard reached an apogee of 333,582 feet (101.7 kilometers) before both capsule and booster gently returned to Earth for recovery and reuse.
Watch the re-flight at: www.blueorigin.com/news
Data from the November mission matched our preflight predictions closely, which made preparations for today’s re-flight relatively straightforward. The team replaced the crew capsule parachutes, replaced the pyro igniters, conducted functional and avionics checkouts, and made several software improvements, including a noteworthy one. Rather than the vehicle translating to land at the exact center of the pad, it now initially targets the center, but then sets down at a position of convenience on the pad, prioritizing vehicle attitude ahead of precise lateral positioning. It’s like a pilot lining up a plane with the centerline of the runway. If the plane is a few feet off center as you get close, you don’t swerve at the last minute to ensure hitting the exact mid-point. You just land a few feet left or right of the centerline. Our Monte Carlo sims of New Shepard landings show this new strategy increases margins, improving the vehicle’s ability to reject disturbances created by low-altitude winds.
Though wings and parachutes have their adherents and their advantages, I’m a huge fan of rocket-powered vertical landing. Why? Because — to achieve our vision of millions of people living and working in space — we will need to build very large rocket boosters. And the vertical landing architecture scales extraordinarily well. When you do a vertical landing, you’re solving the classic inverted pendulum problem, and the inverted pendulum problem gets a bit easier as the pendulum gets a bit bigger. Try balancing a pencil on the tip of your finger. Now try it with a broomstick. The broomstick is simpler because its greater moment of inertia makes it easier to balance. We solved the inverted pendulum problem on New Shepard with an engine that dynamically gimbals to balance the vehicle as it descends. And since New Shepard is the smallest booster we will ever build, this carefully choreographed dance atop our plume will just get easier from here. We’re already more than three years into development of our first orbital vehicle. Though it will be the small vehicle in our orbital family, it’s still many times larger than New Shepard. I hope to share details about this first orbital vehicle this year.
Also this year, we’ll start full-engine testing of the BE-4 and launch and land our New Shepard rocket – again and again. If you want to stay up to date with all the interesting work that our team is doing, sign up for email updates at www.blueorigin.com/interested.
Gradatim Ferociter!
Jeff Bezos
Fonti aggiuntive: NasaSpaceflight.
2016/01/22
Podcast del Disinformatico del 2016/01/22
È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!
Samsung accusata di troppa pigrizia nell’aggiornare Android; 82% degli utenti ha versioni obsolete
Avete un telefonino Samsung? Allora guardate che versione di software Android usa (è indicato nelle Impostazioni, sotto Info sul telefono): è importante, perché le versioni vecchie sono tutte vulnerabili ad attacchi informatici per rubare soldi o dati personali semplicemente visitando un sito Web appositamente confezionato.
Il problema è che secondo un sondaggio dell'associazione olandese dei consumatori ben l’82% dei telefonini Samsung esaminati e messi in vendita negli ultimi due anni non ha installato gli aggiornamenti alla versione più recente di Android (attualmente la 6.0.1). In altre parole, milioni di utenti sono facilmente attaccabili sfruttando falle di sicurezza ben note.
Ma il vero problema è che questa percentuale altissima di utenti non solo non è aggiornata, ma non ha alcun modo di aggiornarsi, se non comprando un telefonino nuovo, perché Samsung spesso non fornisce agli utenti gli aggiornamenti di Android preparati da Google (che è responsabile di questo software), specialmente per i telefonini di fascia bassa o non recenti. Non lo fanno neanche molte altre case produttrici di telefonini, ma Samsung è quella di gran lunga dominante ed è per questo che l’associazione olandese l’ha portata in tribunale con l’accusa di pratiche commerciali sleali.
Samsung inoltre è rimproverata di non dire agli utenti per quanto tempo fornirà aggiornamenti software ai vari modelli e di non informare chiaramente gli utenti quando ci sono problemi critici di sicurezza (come per esempio il recente Stagefright). Il risultato è che gli utenti rimangono vulnerabili e se comprano un telefonino nuovo non sanno se e per quanto tempo verrà tenuto aggiornato.
L’unico rimedio molto parziale che ha il consumatore che sceglie Android è acquistare periodicamente un telefonino nuovo e di fascia alta, con i costi che ne conseguono, e leggere attentamente, prima dell’acquisto, le indicazioni sulla confezione, che riportano il numero di versione di Android preinstallato. Se non è troppo lontano da quello dell’Android più recente, è probabile che il fabbricante offrirà gli aggiornamenti di sicurezza per un tempo ragionevole.
L’alternativa è acquistare telefonini Android che vengono aggiornati direttamente da Google, come per esempio i suoi Nexus, oppure lasciar perdere il mondo Android e rifugiarsi da Apple o Microsoft, che hanno una politica di aggiornamento più coerente e durevole. Apple, per esempio, dichiara che i dispositivi iOS che usano versioni non aggiornate di iOS 9 sono soltanto il 25%, mentre i telefonini Microsoft non aggiornati sono il 21%.
L’azienda coreana ha risposto ufficialmente dicendo che sta migliorando i propri aggiornamenti e le informazioni di sicurezza ai clienti, ma al momento quell’82% di telefonini Android obsoleti e intenzionalmente non aggiornabili è un dato che fa riflettere.
Il problema è che secondo un sondaggio dell'associazione olandese dei consumatori ben l’82% dei telefonini Samsung esaminati e messi in vendita negli ultimi due anni non ha installato gli aggiornamenti alla versione più recente di Android (attualmente la 6.0.1). In altre parole, milioni di utenti sono facilmente attaccabili sfruttando falle di sicurezza ben note.
Ma il vero problema è che questa percentuale altissima di utenti non solo non è aggiornata, ma non ha alcun modo di aggiornarsi, se non comprando un telefonino nuovo, perché Samsung spesso non fornisce agli utenti gli aggiornamenti di Android preparati da Google (che è responsabile di questo software), specialmente per i telefonini di fascia bassa o non recenti. Non lo fanno neanche molte altre case produttrici di telefonini, ma Samsung è quella di gran lunga dominante ed è per questo che l’associazione olandese l’ha portata in tribunale con l’accusa di pratiche commerciali sleali.
Samsung inoltre è rimproverata di non dire agli utenti per quanto tempo fornirà aggiornamenti software ai vari modelli e di non informare chiaramente gli utenti quando ci sono problemi critici di sicurezza (come per esempio il recente Stagefright). Il risultato è che gli utenti rimangono vulnerabili e se comprano un telefonino nuovo non sanno se e per quanto tempo verrà tenuto aggiornato.
L’unico rimedio molto parziale che ha il consumatore che sceglie Android è acquistare periodicamente un telefonino nuovo e di fascia alta, con i costi che ne conseguono, e leggere attentamente, prima dell’acquisto, le indicazioni sulla confezione, che riportano il numero di versione di Android preinstallato. Se non è troppo lontano da quello dell’Android più recente, è probabile che il fabbricante offrirà gli aggiornamenti di sicurezza per un tempo ragionevole.
L’alternativa è acquistare telefonini Android che vengono aggiornati direttamente da Google, come per esempio i suoi Nexus, oppure lasciar perdere il mondo Android e rifugiarsi da Apple o Microsoft, che hanno una politica di aggiornamento più coerente e durevole. Apple, per esempio, dichiara che i dispositivi iOS che usano versioni non aggiornate di iOS 9 sono soltanto il 25%, mentre i telefonini Microsoft non aggiornati sono il 21%.
L’azienda coreana ha risposto ufficialmente dicendo che sta migliorando i propri aggiornamenti e le informazioni di sicurezza ai clienti, ma al momento quell’82% di telefonini Android obsoleti e intenzionalmente non aggiornabili è un dato che fa riflettere.
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Antibufala: avvistato il Pianeta X!
Molti giornali e siti, come per esempio Repubblica, hanno annunciato pochi giorni fa la “scoperta” di un nuovo pianeta del Sistema Solare. La fantasia dei seguaci delle teorie di fantastronomia, che da anni parlano di un misterioso Pianeta X, sta correndo a briglia sciolta, perché questa scoperta sembra indicare che aveva ragione Zecharia Sitchin, che nel 1976 scriveva di aver tradotto antichi documenti sumeri che identificano un pianeta lontano, denominato Nibiru, che a suo dire sarebbe legato a una civiltà aliena denominata Annunaki o più correttamente Anunnaki.
Ma andando a spulciare i fatti originali si scopre che non è il caso di parlare di “scoperta”: infatti l’annuncio pubblicato dai ricercatori Konstantin Batygin e Mike Brown del California Institute of Technology (“Evidence for a Distant Giant Planet in the solar system,” nel numero di febbraio 2016 dell’Astronomical Journal) riguarda una ipotesi basata su indizi scientifici. Non c’è nessuna osservazione diretta di questo ipotetico pianeta.
Il presunto pianeta, per ora, è semplicemente una possibile spiegazione di un fenomeno curioso: i sei corpi celesti più lontani del nostro Sistema Solare, ben oltre l’orbita di Nettuno, seguono orbite ellittiche disposte tutte nello stesso modo (con la stessa inclinazione e con direzioni molto simili), come se ci fosse una forza che li raggruppa. Secondo i calcoli e le simulazioni di Brown e Batygin, questa forza sarebbe l’attrazione di un pianeta non ancora avvistato, che avrebbe una massa circa dieci volte quella della Terra e orbiterebbe a 96 miliardi di chilometri dal Sole (per fare un paragone, il pianeta più lontano, ossia Nettuno, orbita a 4,5 miliardi di chilometri).
Ma si tratta soltanto di una congettura, sia pure basata su dati concreti: manca ancora la conferma diretta, ossia un avvistamento con un telescopio.
I fan di Zecharia Sitchin, inoltre, non hanno di che gioire: questo ipotetico pianeta descritto dai ricercatori del CalTech non ha nulla in comune con Nibiru. Per esempio, Nibiru orbiterebbe intorno al Sole ogni 3600 anni, mentre il pianeta annunciato in questi giorni orbiterebbe ogni 20.000 anni circa e non passerebbe mai nelle vicinanze della Terra.
Ma andando a spulciare i fatti originali si scopre che non è il caso di parlare di “scoperta”: infatti l’annuncio pubblicato dai ricercatori Konstantin Batygin e Mike Brown del California Institute of Technology (“Evidence for a Distant Giant Planet in the solar system,” nel numero di febbraio 2016 dell’Astronomical Journal) riguarda una ipotesi basata su indizi scientifici. Non c’è nessuna osservazione diretta di questo ipotetico pianeta.
Il presunto pianeta, per ora, è semplicemente una possibile spiegazione di un fenomeno curioso: i sei corpi celesti più lontani del nostro Sistema Solare, ben oltre l’orbita di Nettuno, seguono orbite ellittiche disposte tutte nello stesso modo (con la stessa inclinazione e con direzioni molto simili), come se ci fosse una forza che li raggruppa. Secondo i calcoli e le simulazioni di Brown e Batygin, questa forza sarebbe l’attrazione di un pianeta non ancora avvistato, che avrebbe una massa circa dieci volte quella della Terra e orbiterebbe a 96 miliardi di chilometri dal Sole (per fare un paragone, il pianeta più lontano, ossia Nettuno, orbita a 4,5 miliardi di chilometri).
Ma si tratta soltanto di una congettura, sia pure basata su dati concreti: manca ancora la conferma diretta, ossia un avvistamento con un telescopio.
I fan di Zecharia Sitchin, inoltre, non hanno di che gioire: questo ipotetico pianeta descritto dai ricercatori del CalTech non ha nulla in comune con Nibiru. Per esempio, Nibiru orbiterebbe intorno al Sole ogni 3600 anni, mentre il pianeta annunciato in questi giorni orbiterebbe ogni 20.000 anni circa e non passerebbe mai nelle vicinanze della Terra.
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Aggiornate il vostro iOS per non farvi rubare gli account tramite Wi-Fi
Pochi giorni fa è uscito un aggiornamento per iOS che chiude una falla particolarmente grave, che consente a un accesso Wi-Fi di prendere il controllo degli account delle vittime. Come se non bastasse, la falla esiste da anni: è stata segnalata ad Apple dagli esperti di sicurezza di Skycure a giugno del 2013 ed è stata risolta soltanto ora.
La falla sta nel modo in cui iOS gestisce i cosiddetti captive portal, ossia quelle finestre che compaiono automaticamente sullo schermo quando un utente di iPhone, iPad o iPod touch si collega a un Wi-Fi pubblico. Queste finestre consentono di navigare nelle pagine Web locali (per esempio quelle dell’albergo o aeroporto in cui si trova l’utente) o di dare le proprie credenziali per connettersi a Internet.
Fino all’aggiornamento alla versione 9.2.1 di iOS appena uscito, questa finestra veniva gestita in modo promiscuo: aveva accesso ai cookie di Safari, col risultato che l’aggressore che creava un accesso Wi-Fi ostile poteva rubare questi cookie e usarli per spacciarsi per l’utente per esempio in un social network, prendendo temporaneamente il controllo dei suoi account. Il fatto che la finestra del captive portal si apre automaticamente facilita notevolmente il lavoro del truffatore.
Dalla versione 9.2.1 in poi questa falla non è più sfruttabile perché i cookie non vengono più condivisi. Aggiornarsi, insomma, non è un optional. Complimenti a Skycure, fra l’altro, per aver saputo mantenere il segreto per più di due anni in attesa che Apple sistemasse il problema.
La falla sta nel modo in cui iOS gestisce i cosiddetti captive portal, ossia quelle finestre che compaiono automaticamente sullo schermo quando un utente di iPhone, iPad o iPod touch si collega a un Wi-Fi pubblico. Queste finestre consentono di navigare nelle pagine Web locali (per esempio quelle dell’albergo o aeroporto in cui si trova l’utente) o di dare le proprie credenziali per connettersi a Internet.
Fino all’aggiornamento alla versione 9.2.1 di iOS appena uscito, questa finestra veniva gestita in modo promiscuo: aveva accesso ai cookie di Safari, col risultato che l’aggressore che creava un accesso Wi-Fi ostile poteva rubare questi cookie e usarli per spacciarsi per l’utente per esempio in un social network, prendendo temporaneamente il controllo dei suoi account. Il fatto che la finestra del captive portal si apre automaticamente facilita notevolmente il lavoro del truffatore.
Dalla versione 9.2.1 in poi questa falla non è più sfruttabile perché i cookie non vengono più condivisi. Aggiornarsi, insomma, non è un optional. Complimenti a Skycure, fra l’altro, per aver saputo mantenere il segreto per più di due anni in attesa che Apple sistemasse il problema.
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Mail-truffa fingono di provenire da Facebook e WhatsApp: regole generali di difesa
L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/01/22 15:20.
L’allerta diramato a proposito delle finte mail della Polizia Federale svizzera è una buona occasione per ripassare le regole di difesa principali contro questi attacchi molto diffusi, visto che oltretutto è stata segnalata un’ondata internazionale di spam rivolto agli utenti di Facebook e WhatsApp.
– Non sono attacchi personali e i truffatori non sanno niente di voi. Sanno soltanto il vostro indirizzo di e-mail, ma non sanno se avete o no WhatsApp o Facebook: vanno a caso. Molte vittime si fidano del messaggio-truffa perché hanno l’impressione che sia rivolto personalmente a loro e pensano che solo i legittimi gestori di questi servizi possano sapere chi è utente e chi no.
– ll mittente è quasi sempre un indirizzo che non c’entra nulla con quello legittimo del servizio citato dal messaggio. Per esempio, vedere un messaggio che dice di provenire dal servizio clienti di Whatsapp ma ha come mittente un indirizzo di Yahoo è un chiaro segno truffaldino. Tuttavia alcuni truffatori falsificano bene anche il mittente, per cui un indirizzo anomalo è sicuramente un sintomo d’inganno, mentre un indirizzo autentico non è garanzia di nulla.
– Se vedete che da qualche parte nel titolo del messaggio c’è una sequenza di caratteri senza senso, è una trappola. Si tratta solitamente di codici usati dai truffatori per gestire l’ondata di messaggi che inviano.
– Non cliccate sui link presenti nei messaggi inattesi che sembrano provenire dal servizio clienti di nessuna azienda. Spesso questi messaggi contengono link che portano a siti-trappola, dove risiede il malware o c’è una pagina che sembra quella legittima nella quale si immette la propria password per accedere a un servizio ma è in realtà una copia gestita dai truffatori. Se non siete stati voi a chiedere di ricevere una mail dal servizio clienti, per esempio perché avete richiesto un recupero password, cestinate tutto.
– Non aprite nessun allegato a messaggi di questo tipo. Il malware di solito si annida lì. Se cestinate il messaggio senza aprire il suo allegato o cliccare sui suoi link non dovreste correre pericoli.
– Usate applicazioni e sistemi operativi aggiornati e procuratevi un antivirus aggiornato.
– Prevenire è molto più facile che curare. L’attacco che sta bersagliando gli utenti di Facebook, per esempio, convince la vittima ad aprire un allegato. Questo allegato è malware che, spiega Microsoft, scrive nel Registro di Windows in modo da riavviarsi automaticamente ogni volta che viene riacceso il computer, blocca l’accesso ai siti dei produttori di antivirus, così il computer non può scaricare gli aggiornamenti che rivelerebbero l’infezione, e inibisce le notifiche del Centro Sicurezza di Windows. Fatto questo, si mette a rubare dati dal computer infettato.
L’allerta diramato a proposito delle finte mail della Polizia Federale svizzera è una buona occasione per ripassare le regole di difesa principali contro questi attacchi molto diffusi, visto che oltretutto è stata segnalata un’ondata internazionale di spam rivolto agli utenti di Facebook e WhatsApp.
– Non sono attacchi personali e i truffatori non sanno niente di voi. Sanno soltanto il vostro indirizzo di e-mail, ma non sanno se avete o no WhatsApp o Facebook: vanno a caso. Molte vittime si fidano del messaggio-truffa perché hanno l’impressione che sia rivolto personalmente a loro e pensano che solo i legittimi gestori di questi servizi possano sapere chi è utente e chi no.
– ll mittente è quasi sempre un indirizzo che non c’entra nulla con quello legittimo del servizio citato dal messaggio. Per esempio, vedere un messaggio che dice di provenire dal servizio clienti di Whatsapp ma ha come mittente un indirizzo di Yahoo è un chiaro segno truffaldino. Tuttavia alcuni truffatori falsificano bene anche il mittente, per cui un indirizzo anomalo è sicuramente un sintomo d’inganno, mentre un indirizzo autentico non è garanzia di nulla.
– Se vedete che da qualche parte nel titolo del messaggio c’è una sequenza di caratteri senza senso, è una trappola. Si tratta solitamente di codici usati dai truffatori per gestire l’ondata di messaggi che inviano.
– Non cliccate sui link presenti nei messaggi inattesi che sembrano provenire dal servizio clienti di nessuna azienda. Spesso questi messaggi contengono link che portano a siti-trappola, dove risiede il malware o c’è una pagina che sembra quella legittima nella quale si immette la propria password per accedere a un servizio ma è in realtà una copia gestita dai truffatori. Se non siete stati voi a chiedere di ricevere una mail dal servizio clienti, per esempio perché avete richiesto un recupero password, cestinate tutto.
– Non aprite nessun allegato a messaggi di questo tipo. Il malware di solito si annida lì. Se cestinate il messaggio senza aprire il suo allegato o cliccare sui suoi link non dovreste correre pericoli.
– Usate applicazioni e sistemi operativi aggiornati e procuratevi un antivirus aggiornato.
– Prevenire è molto più facile che curare. L’attacco che sta bersagliando gli utenti di Facebook, per esempio, convince la vittima ad aprire un allegato. Questo allegato è malware che, spiega Microsoft, scrive nel Registro di Windows in modo da riavviarsi automaticamente ogni volta che viene riacceso il computer, blocca l’accesso ai siti dei produttori di antivirus, così il computer non può scaricare gli aggiornamenti che rivelerebbero l’infezione, e inibisce le notifiche del Centro Sicurezza di Windows. Fatto questo, si mette a rubare dati dal computer infettato.
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Bolletta da quasi 5000 euro per aver giocato a FIFA sulla X-Box
L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/01/22 15:15.
La settimana scorsa ho segnalato il caso di un bambino inglese che ha speso oltre 5000 euro giocando con l’iPad a un gioco inizialmente gratuito; stavolta è il turno di un ragazzo canadese di diciassette anni, che sulla sua Xbox One ha giocato a FIFA spendendo quasi 8000 dollari canadesi in acquisti all’interno del gioco.
Il padre, Lance Perkins di Pembroke, in Ontario, ha infatti ricevuto a fine 2015 una fattura da 7625.88 dollari canadesi (circa 4916 euro, 5370 franchi), addebitati sulla carta di credito che aveva affidato al figlio per le emergenze e per fare acquisti per il negozio di famiglia.
Il signor Perkins ha contattato immediatamente la casa produttrice di Xbox One, che è Microsoft, e dice che gli è stato risposto che l’addebito è valido e che la console di gioco ha varie funzioni di controllo parentale che impediscono gli acquisti non autorizzati. Il fatto che questi acquisti siano stati effettuati da un minore ha comunque spinto il servizio clienti di Xbox a dichiarare che riesaminerà il caso, ma finora non ci sono state novità. Invece la società che gestisce la carta di credito ha risposto al signor Perkins che l’unico modo per farsi annullare l’addebito sarebbe denunciare il figlio per frode.
Trovarsi in situazioni come questa è decisamente spiacevole e per molte economie domestiche addebiti di questo genere possono essere un problema molto serio. Meglio evitare, quindi, usando alcune precauzioni:
– usare i controlli parentali presenti sulle console di gioco;
– non affidare a minori carte di credito con limiti di spesa così elevati;
– attivare un avviso via SMS o mail per ogni transazione della carta di credito superiore a un certo ammontare;
– usare carte di credito prepagate, oppure le carte prepagate del produttore della console;
– imparare a gestire gli account di gioco, come descritto da Microsoft qui e qui.
Soprattutto è importante ricordare chiaramente ai minori (e probabilmente non solo a loro) che quando un videogioco parla di soldi o gemme o gioielli, molto spesso si tratta di oggetti virtuali che però si pagano in denaro molto reale.
Fonti: CBC, Inquisitr.
La settimana scorsa ho segnalato il caso di un bambino inglese che ha speso oltre 5000 euro giocando con l’iPad a un gioco inizialmente gratuito; stavolta è il turno di un ragazzo canadese di diciassette anni, che sulla sua Xbox One ha giocato a FIFA spendendo quasi 8000 dollari canadesi in acquisti all’interno del gioco.
Il padre, Lance Perkins di Pembroke, in Ontario, ha infatti ricevuto a fine 2015 una fattura da 7625.88 dollari canadesi (circa 4916 euro, 5370 franchi), addebitati sulla carta di credito che aveva affidato al figlio per le emergenze e per fare acquisti per il negozio di famiglia.
Il signor Perkins ha contattato immediatamente la casa produttrice di Xbox One, che è Microsoft, e dice che gli è stato risposto che l’addebito è valido e che la console di gioco ha varie funzioni di controllo parentale che impediscono gli acquisti non autorizzati. Il fatto che questi acquisti siano stati effettuati da un minore ha comunque spinto il servizio clienti di Xbox a dichiarare che riesaminerà il caso, ma finora non ci sono state novità. Invece la società che gestisce la carta di credito ha risposto al signor Perkins che l’unico modo per farsi annullare l’addebito sarebbe denunciare il figlio per frode.
Trovarsi in situazioni come questa è decisamente spiacevole e per molte economie domestiche addebiti di questo genere possono essere un problema molto serio. Meglio evitare, quindi, usando alcune precauzioni:
– usare i controlli parentali presenti sulle console di gioco;
– non affidare a minori carte di credito con limiti di spesa così elevati;
– attivare un avviso via SMS o mail per ogni transazione della carta di credito superiore a un certo ammontare;
– usare carte di credito prepagate, oppure le carte prepagate del produttore della console;
– imparare a gestire gli account di gioco, come descritto da Microsoft qui e qui.
Soprattutto è importante ricordare chiaramente ai minori (e probabilmente non solo a loro) che quando un videogioco parla di soldi o gemme o gioielli, molto spesso si tratta di oggetti virtuali che però si pagano in denaro molto reale.
Fonti: CBC, Inquisitr.
Videochicche spaziali: Saturno e ISS, Soyuz in time-lapse, ping pong acquatico sulla Stazione, test di SpaceX
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/27 13:30.
Aggiornamento (2016/01/24): ho rimosso il video di Julian Wessel che mostrava un passaggio della Stazione Spaziale Internazionale davanti a Saturno (JWAstronomy) perché è quasi sicuramente un falso, secondo le analisi tecniche.
Aggiornamento (2016/01/25): L’autore del video della Stazione ha ammesso la falsificazione, ma non prima che il video diventasse per qualche giorno la Astronomy Picture of the Day (APOD) della NASA nonostante le documentate analisi e proteste dei massimi esperti del settore. La APOD è stata rimpiazzata oggi.
Aggiornamento (2016/01/27): Phil Plait ha un’ottima analisi della vicenda e un vero video du un transito della ISS davanti a Saturno.
Un video in time-lapse a 4K del decollo della Soyuz che ha portato nello spazio il primo astronauta britannico, Tim Peake.
Nello spazio si può giocare a ping-pong con una pallina fatta d’acqua: basta avere delle racchette super-idrorepellenti, come dimostra Scott Kelly in questo video in 4K.
Intanto SpaceX sta collaudando la propria capsula per equipaggi, che sarà dotata di razzi di frenata e di atterraggio. Qui la vedete in un breve test di volo librato, sostenuta soltanto dalla spinta dei motori.
Questi stessi motori serviranno anche come propulsori d'emergenza per catapultare la capsula e l’equipaggio in caso di problemi gravi sulla rampa di lancio e poco dopo il decollo, portandola da 0 a 160 km/h in 1,2 secondi e raggiungendo una velocità massima di 555 km/h, con i risultati visibili in questi video di un pad abort test effettuato a maggio 2015.
Aggiornamento (2016/01/24): ho rimosso il video di Julian Wessel che mostrava un passaggio della Stazione Spaziale Internazionale davanti a Saturno (JWAstronomy) perché è quasi sicuramente un falso, secondo le analisi tecniche.
Aggiornamento (2016/01/25): L’autore del video della Stazione ha ammesso la falsificazione, ma non prima che il video diventasse per qualche giorno la Astronomy Picture of the Day (APOD) della NASA nonostante le documentate analisi e proteste dei massimi esperti del settore. La APOD è stata rimpiazzata oggi.
Aggiornamento (2016/01/27): Phil Plait ha un’ottima analisi della vicenda e un vero video du un transito della ISS davanti a Saturno.
Un video in time-lapse a 4K del decollo della Soyuz che ha portato nello spazio il primo astronauta britannico, Tim Peake.
Nello spazio si può giocare a ping-pong con una pallina fatta d’acqua: basta avere delle racchette super-idrorepellenti, come dimostra Scott Kelly in questo video in 4K.
Intanto SpaceX sta collaudando la propria capsula per equipaggi, che sarà dotata di razzi di frenata e di atterraggio. Qui la vedete in un breve test di volo librato, sostenuta soltanto dalla spinta dei motori.
Questi stessi motori serviranno anche come propulsori d'emergenza per catapultare la capsula e l’equipaggio in caso di problemi gravi sulla rampa di lancio e poco dopo il decollo, portandola da 0 a 160 km/h in 1,2 secondi e raggiungendo una velocità massima di 555 km/h, con i risultati visibili in questi video di un pad abort test effettuato a maggio 2015.
2016/01/20
Allerta in Svizzera per false mail della polizia federale
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Se ricevete una mail come quella qui accanto, apparentemente proveniente dalla Polizia Federale svizzera, come sta succedendo da qualche giorno a molti utenti che hanno un indirizzo di e-mail .ch, cestinatela senza cliccare sui suoi link: è una trappola.
Anche se il suo testo in tedesco parla di un procedimento legale al quale bisogna replicare entro quindici giorni, si tratta infatti di una messinscena architettata da truffatori: la polizia non c’entra nulla (lo si nota dall’indirizzo del mittente, che non è delle autorità svizzere) e anzi ha messo in guardia gli utenti attraverso i media.
Chi la cestina senza cliccare sui suoi link non dovrebbe correre rischi: chi invece cade nella trappola e clicca sui link viene portato, secondo quanto riferisce la Polizia Cantonale, a una pagina Web nella quale, se si immette il numero di riferimento riportato nel messaggio “si scarica, molto probabilmente, un programma malevolo”.
Nel campione che ho esaminato io, i link portavano a un sito russo (lider07.ru) che al momento in cui scrivo effettua un redirect alla pagina di login di Google che non sembra particolarmente ostile (non è una finta pagina di login, fra l’altro). Può darsi che il redirect sia stato impostato da qualcuno per neutralizzare la campagna di e-mail truffaldine, o che nella pagina di login di Google ci sia del codice ostile in più: in ogni caso è meglio lasciar perdere cestinando il messaggio.
Nel frattempo ho segnalato a Netcraft il link contenuto nella mail truffaldina, per cui chi usa la barra anti-phishing di Netcraft verrà allertato se per caso clicca sui link.
Fonti: Giornale del Popolo, RSI, Tio.ch, TicinoNews.
Se ricevete una mail come quella qui accanto, apparentemente proveniente dalla Polizia Federale svizzera, come sta succedendo da qualche giorno a molti utenti che hanno un indirizzo di e-mail .ch, cestinatela senza cliccare sui suoi link: è una trappola.
Anche se il suo testo in tedesco parla di un procedimento legale al quale bisogna replicare entro quindici giorni, si tratta infatti di una messinscena architettata da truffatori: la polizia non c’entra nulla (lo si nota dall’indirizzo del mittente, che non è delle autorità svizzere) e anzi ha messo in guardia gli utenti attraverso i media.
Chi la cestina senza cliccare sui suoi link non dovrebbe correre rischi: chi invece cade nella trappola e clicca sui link viene portato, secondo quanto riferisce la Polizia Cantonale, a una pagina Web nella quale, se si immette il numero di riferimento riportato nel messaggio “si scarica, molto probabilmente, un programma malevolo”.
Nel campione che ho esaminato io, i link portavano a un sito russo (lider07.ru) che al momento in cui scrivo effettua un redirect alla pagina di login di Google che non sembra particolarmente ostile (non è una finta pagina di login, fra l’altro). Può darsi che il redirect sia stato impostato da qualcuno per neutralizzare la campagna di e-mail truffaldine, o che nella pagina di login di Google ci sia del codice ostile in più: in ogni caso è meglio lasciar perdere cestinando il messaggio.
Nel frattempo ho segnalato a Netcraft il link contenuto nella mail truffaldina, per cui chi usa la barra anti-phishing di Netcraft verrà allertato se per caso clicca sui link.
Fonti: Giornale del Popolo, RSI, Tio.ch, TicinoNews.
Ci vediamo a Invorio oggi?
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Oggi sarò a Invorio (Novara) per due incontri informatici: uno alle 11, riservato agli studenti, e uno alle 20:45, riservato agli adulti (per via dei temi trattati). Entrambi si svolgono alla Sala Curioni, in via Curioni 10.
Oggi sarò a Invorio (Novara) per due incontri informatici: uno alle 11, riservato agli studenti, e uno alle 20:45, riservato agli adulti (per via dei temi trattati). Entrambi si svolgono alla Sala Curioni, in via Curioni 10.
Apple, aggiornamenti per OS X e iOS
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Segnalo brevemente che sono usciti gli aggiornamenti Apple che portano OS X alla versione 10.11.3 (risolvendo alcuni problemi di funzionamento e di sicurezza) e iOS alla versione 9.2.1 (risolvendo anche qui varie magagne). Almeno una delle falle turate consente di prendere il controllo del dispositivo Apple semplicemente facendogli visitare un sito appositamente confezionato.
Segnalo brevemente che sono usciti gli aggiornamenti Apple che portano OS X alla versione 10.11.3 (risolvendo alcuni problemi di funzionamento e di sicurezza) e iOS alla versione 9.2.1 (risolvendo anche qui varie magagne). Almeno una delle falle turate consente di prendere il controllo del dispositivo Apple semplicemente facendogli visitare un sito appositamente confezionato.
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2016/01/19
Antibufala: il primo fiore cresciuto nello spazio!
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Moltissimi giornali e anche numerosi siti specialistici hanno annunciato pochi giorni fa che è sbocciato il “primo fiore nello spazio”: la zinnia mostrata qui accanto in una foto tweetata dall’astronauta Scott Kelly, che è a bordo della Stazione Spaziale Internazionale dove è spuntato questo fiore. Lo hanno fatto per esempio Repubblica, Corriere, Wired.it, Swissinfo, The Independent, CBS News, Engadget. Lo ha fatto persino Kelly stesso, annunciandola nel suo tweet come “First ever flower grown in space” (“Primo fiore mai cresciuto nello spazio”). L’ho fatto anch’io, fidandomi di Kelly e di altre fonti solitamente molto affidabili. Ma non è così.
NASAWatch, Science20 e CNN hanno infatti segnalato che nel 2012 l’astronauta Don Pettit fece sbocciare a bordo della Stazione un girasole nel corso di un esperimento personale, come documentato in queste foto. Pettit, fra l’altro, scriveva il proprio blog spaziale dal punto di vista delle piante di bordo, con risultati piuttosto surreali.
Ma anche il girasole di Pettit non detiene il record: infatti il Guinness dei Primati nota che nel 1982 l’equipaggio della stazione spaziale sovietica Salyut-7 fece crescere e sbocciare delle piante di Arabidopsis thaliana. Maggiori dettagli su questo vero primo fiore spaziale e sugli esperimenti di Don Pettit sono in questi vari articoli scientifici. Purtroppo sembra che non ci siano foto di quei primi fiori di Arabidopsis.
La zinnia sbocciata pochi giorni fa è quindi il primo esperimento formale di crescita di un fiore a bordo della Stazione, avvenuto nell’ambito della ricerca sul comportamento dei vegetali in assenza di peso (programma Veggie), ma non è affatto il primo fiore sbocciato nello spazio: i russi si aggiudicano anche questo delicato primato spaziale e lo fanno con ben 34 anni di vantaggio.
Fonti aggiuntive: NASA.
Moltissimi giornali e anche numerosi siti specialistici hanno annunciato pochi giorni fa che è sbocciato il “primo fiore nello spazio”: la zinnia mostrata qui accanto in una foto tweetata dall’astronauta Scott Kelly, che è a bordo della Stazione Spaziale Internazionale dove è spuntato questo fiore. Lo hanno fatto per esempio Repubblica, Corriere, Wired.it, Swissinfo, The Independent, CBS News, Engadget. Lo ha fatto persino Kelly stesso, annunciandola nel suo tweet come “First ever flower grown in space” (“Primo fiore mai cresciuto nello spazio”). L’ho fatto anch’io, fidandomi di Kelly e di altre fonti solitamente molto affidabili. Ma non è così.
NASAWatch, Science20 e CNN hanno infatti segnalato che nel 2012 l’astronauta Don Pettit fece sbocciare a bordo della Stazione un girasole nel corso di un esperimento personale, come documentato in queste foto. Pettit, fra l’altro, scriveva il proprio blog spaziale dal punto di vista delle piante di bordo, con risultati piuttosto surreali.
Ma anche il girasole di Pettit non detiene il record: infatti il Guinness dei Primati nota che nel 1982 l’equipaggio della stazione spaziale sovietica Salyut-7 fece crescere e sbocciare delle piante di Arabidopsis thaliana. Maggiori dettagli su questo vero primo fiore spaziale e sugli esperimenti di Don Pettit sono in questi vari articoli scientifici. Purtroppo sembra che non ci siano foto di quei primi fiori di Arabidopsis.
La zinnia sbocciata pochi giorni fa è quindi il primo esperimento formale di crescita di un fiore a bordo della Stazione, avvenuto nell’ambito della ricerca sul comportamento dei vegetali in assenza di peso (programma Veggie), ma non è affatto il primo fiore sbocciato nello spazio: i russi si aggiudicano anche questo delicato primato spaziale e lo fanno con ben 34 anni di vantaggio.
Foto ISS046E009646. Fonte: NASA Johnson su Flickr. |
Fonti aggiuntive: NASA.
2016/01/17
SpaceX, lancio di satellite riuscito ma test di atterraggio fallito per un soffio
Credit: NASA/Bill Ingalls |
Oggi SpaceX ha messo in orbita correttamente il satellite oceanografico Jason 3; il primo stadio lanciatore Falcon 9, partito dalla base di Vandenberg, in California, ha inoltre tentato un rientro controllato sperimentale, con l’intento di atterrare su una chiatta nell’Oceano Pacifico, ma le cose sono andate male: secondo quanto ha tweetato inizialmente SpaceX, l’atterraggio è stato centrato ma l’impatto è stato troppo duro e ha rotto una delle zampe.
Successivamente un tweet di Elon Musk ha dichiarato invece che la velocità di atterraggio era buona ma uno dei sistemi che bloccano le zampe in posizione estesa non si è innestato correttamente e quindi il razzo si è coricato dopo l’atterraggio, presumibilmente distruggendosi. Un altro tweet di SpaceX ha poi precisato che l’atterraggio è stato morbido, a 1,3 metri dal centro della chiatta, ma la zampa numero 3 non si è bloccata.
La diretta streaming dalla chiatta si è interrotta prima dell’arrivo del veicolo spaziale e le immagini dell’atterraggio presumibilmente registrate a bordo non sono ancora state rese disponibili: le segnalerò qui non appena verranno rese pubbliche.
2016/01/17 22:55
Ecco la prima immagine divulgata da Elon Musk, che ha tweetato: “almeno stavolta i pezzi erano più grossi! Non sarà l’ultimo Disassemblaggio Rapido Non Programmato, ma sono ottimista per il prossimo atterraggio su chiatta”.
In alcuni tweet pubblicati poco dopo l’atterraggio, Musk ha inoltre spiegato alcuni dettagli tecnici: la maggiore difficoltà di un atterraggio su chiatta, che è paragonabile a un appontaggio su portaerei, dove il bersaglio ha un’area molto più piccola e sta traslando e ruotando; gli atterraggi su chiatta sono necessari per le missioni che richiedono una velocità elevata, non per una questione di flessibilità o di risparmio sui costi del propellente, perché non è fisicamente possibile tornare al sito di lancio se la velocità alla separazione degli stadi è maggiore di circa 6000 km/h e una chiatta consente di non dover eliminare la velocità laterale e quindi la separazione degli stadi può avvenire fino a 9000 km/h.
2016/01/18 3:20
SpaceX ha tweetato un’altra immagine dell’atterraggio.
2016/01/18 10:55
È stato pubblicato un breve video dell’acchiattaggio.
Un video pubblicato da Elon Musk (@elonmusk) in data:
Elon Musk ha scritto su Instagram che la causa del mancato blocco di una delle zampe in posizione estratta potrebbe essere l’accumulo di ghiaccio condensatosi dalla nebbia fitta presente al decollo. Comunque sia, SpaceX ha dimostrato ancora una volta di essere in grado di centrare con precisione il punto di atterraggio (che è la cosa fondamentale in termini di sicurezza) e di atterrare in modo morbido; stavolta c'è mancato davvero poco. Fra l’altro, dal punto di vista ecologico è andata benissimo, visto che con questo sistema c’è un razzo in meno in fondo all’oceano.
Complotti veri: il disastro sfiorato e taciuto della Soyuz 5
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/23 19:00.
Si parla tanto di fantasiosi e improbabili complotti americani per simulare lo sbarco sulla Luna, ma ci si dimentica spesso dei veri complotti: quelli per insabbiare i fallimenti e i dettagli imbarazzanti delle missioni spaziali, specialmente (ma non solo) da parte russa. Questa è la storia di uno di questi complotti reali, tratta dal mio e-book Almanacco dello Spazio, di cui ho pubblicato stamattina un aggiornamento scaricabile gratuitamente.
Il 16 gennaio 1969, con la gara sovietica e americana per raggiungere la Luna nel massimo fermento, l’Unione Sovietica mette a segno una missione congiunta spettacolare. Nei giorni precedenti ha lanciato in orbita intorno alla Terra due veicoli con equipaggio, la Soyuz 4 (con a bordo un solo cosmonauta, Vladimir Shatalov) e la Soyuz 5 (che trasporta Boris Volynov, Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov), e ora la Soyuz 4 attracca alla Soyuz 5 con una manovra inizialmente automatica e successivamente manuale.
I due veicoli spaziali vengono interconnessi con alimentazione, comunicazioni e comandi e formano per quattro ore e mezza quello che la stampa sovietica definisce un po’ iperbolicamente “la prima stazione cosmica sperimentale al mondo”. Come vedete dall’immagine qui accanto, anche la stampa italiana (perlomeno quella comunista) non si discosta molto da questa descrizione epica, anche perché non ci sono altre fonti d’informazione a parte quelle sovietiche, controllatissime e censuratissime.
Retorica a parte, è comunque il primo attracco fra due veicoli spaziali entrambi dotati di equipaggio nella storia dell’astronautica. C’erano stati attracchi precedenti, ma soltanto fra veicoli senza equipaggio oppure fra uno con equipaggio e uno senza.
Dopo l’attracco, due dei cosmonauti della Soyuz 5, Yevgeny Khrunov e Alexei Yeliseyev, si trasferiscono alla Soyuz 4 effettuando una passeggiata spaziale, che viene registrata dalle telecamere di bordo: è il primo trasferimento extraveicolare di un equipaggio da un veicolo spaziale a un altro. Un altro primato, insomma, conquistato dai russi. Queste manovre servono a collaudare le tecniche di attracco e trasbordo che verranno usate per lo sbarco sulla Luna che i sovietici, in gran segreto, stanno tentando di realizzare.
La Soyuz 4 rientra a terra senza problemi il 17 gennaio con Shatalov, Khrunov e Yeliseyev (immagine qui accanto, tratta da Spacefacts). La Soyuz 5 resta in orbita fino al giorno successivo, pilotata dal trentaquattrenne Boris Volynov.
Fin qui tutto bene, insomma. Ma al momento del rientro della Soyuz 5 succede di tutto.
Il modulo di servizio, che sta sul retro del veicolo di Volynov, non si sgancia correttamente dalla capsula di rientro dopo l’inizio della manovra di discesa. Rimane attaccato alla capsula, e siccome è la parte del veicolo che offre la maggiore resistenza aerodinamica si dispone spontaneamente dietro, mettendo la capsula e Boris Volynov davanti. Il problema è che questo assetto è il contrario di quello necessario per sopravvivere al rientro, perché la Soyuz a questo punto ha lo scudo termico dietro anziché davanti.
Il calore del rientro agisce quindi sulla parte meno protetta della capsula: Volynov, invece di essere schiacciato contro il proprio sedile dalla decelerazione, viene spinto in senso contrario, contro le cinture di sicurezza che lo trattengono, e assiste impotente alla progressiva combustione delle guarnizioni del portello, che riempiono di fumo la capsula. Il cosmonauta, oltretutto, non ha una tuta pressurizzata che lo protegga.
I tecnici al Controllo Missione russo, informati via radio da Volynov della situazione, hanno già capito che non c’è nulla da fare e uno di loro si toglie il cappello, vi mette dentro tre rubli e lo passa agli altri per iniziare la colletta per l’imminente vedova.
Fortunatamente il calore esterno fonde i collegamenti fra il modulo di servizio e la capsula di rientro poco prima che ceda il portello e quindi il modulo di servizio si sgancia violentemente, permettendo alla capsula di riprendere il proprio assetto normale: il suo scudo termico, finalmente in posizione corretta, assorbe il calore prodotto dall’attraversamento dell’atmosfera e la capsula decelera, ma lo fa brutalmente, sottoponendo Volynov a ben 9 g, perché i razzi di manovra, che normalmente dovrebbero ridurre la decelerazione imponendo un assetto che genera portanza e quindi produce una planata, non funzionano: il loro propellente è stato esaurito dal computer di bordo nel vano tentativo di orientare correttamente la capsula mentre era ancora vincolata al modulo di servizio.
Non è finita: i cavi del paracadute della capsula si ingarbugliano parzialmente e i razzi che servono per la frenata finale sono danneggiati dal rientro e non funzionano, per cui l’impatto con il suolo è durissimo, anche se la neve lo smorza lievemente: Volynov viene sbalzato dal proprio sedile e si spezza alcuni denti. Oltretutto la capsula è atterrata nei monti Urali, a centinaia di chilometri dal punto previsto in Kazakistan, per cui i soccorsi non possono arrivare prontamente. Fuori la temperatura è -38°C e nella capsula non c’è riscaldamento, ma Volynov viene raggiunto dai soccorritori circa un’ora dopo il suo fortunoso atterraggio. Il disastro sfiorato verrà tenuto segreto dalle autorità sovietiche fino al 1997.
Le peripezie di Volynov non sono ancora finite: pochi giorni dopo, il 22 gennaio, sarà coinvolto in un attentato al premier sovietico Brezhnev. Ma questa è un’altra storia, che trovate nell’Almanacco dello Spazio.
2016/01/17 19:00. Dai commenti sono emerse versioni contraddittorie sulle fasi finali della disavventura di Volynov, in particolare sulla sua permanenza o meno nella capsula dopo l’atterraggio. Io qui ho pubblicato inizialmente quella presentata dalle fonti più affidabili, ma datemi un po’ di tempo per fare ulteriori controlli incrociati e riepilogare le varie fonti.
2016/01/20 00:05. Sto raccogliendo altri dati; intanto ho corretto la parte finale per tenere conto delle due versioni degli eventi.
2016/01/23 19:00. Ho riscritto la parte finale dell’articolo per tenere conto delle nuove informazioni e in particolare della rettifica pubblicata da James Oberg e delle dichiarazioni più recenti di Volynov. Ho anche corretto l’Almanacco dello Spazio. Tutte le fonti e i dettagli del mio approfondimento sono qui su Complotti Lunari. Un grazie speciale a Giovanni Pracanica per l’abile caccia alle informazioni che mi hanno permesso di correggere il finale della disavventura di Volynov.
Si parla tanto di fantasiosi e improbabili complotti americani per simulare lo sbarco sulla Luna, ma ci si dimentica spesso dei veri complotti: quelli per insabbiare i fallimenti e i dettagli imbarazzanti delle missioni spaziali, specialmente (ma non solo) da parte russa. Questa è la storia di uno di questi complotti reali, tratta dal mio e-book Almanacco dello Spazio, di cui ho pubblicato stamattina un aggiornamento scaricabile gratuitamente.
Il 16 gennaio 1969, con la gara sovietica e americana per raggiungere la Luna nel massimo fermento, l’Unione Sovietica mette a segno una missione congiunta spettacolare. Nei giorni precedenti ha lanciato in orbita intorno alla Terra due veicoli con equipaggio, la Soyuz 4 (con a bordo un solo cosmonauta, Vladimir Shatalov) e la Soyuz 5 (che trasporta Boris Volynov, Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov), e ora la Soyuz 4 attracca alla Soyuz 5 con una manovra inizialmente automatica e successivamente manuale.
Credit: Gianluca Atti |
Retorica a parte, è comunque il primo attracco fra due veicoli spaziali entrambi dotati di equipaggio nella storia dell’astronautica. C’erano stati attracchi precedenti, ma soltanto fra veicoli senza equipaggio oppure fra uno con equipaggio e uno senza.
Dopo l’attracco, due dei cosmonauti della Soyuz 5, Yevgeny Khrunov e Alexei Yeliseyev, si trasferiscono alla Soyuz 4 effettuando una passeggiata spaziale, che viene registrata dalle telecamere di bordo: è il primo trasferimento extraveicolare di un equipaggio da un veicolo spaziale a un altro. Un altro primato, insomma, conquistato dai russi. Queste manovre servono a collaudare le tecniche di attracco e trasbordo che verranno usate per lo sbarco sulla Luna che i sovietici, in gran segreto, stanno tentando di realizzare.
La Soyuz 4 rientra a terra senza problemi il 17 gennaio con Shatalov, Khrunov e Yeliseyev (immagine qui accanto, tratta da Spacefacts). La Soyuz 5 resta in orbita fino al giorno successivo, pilotata dal trentaquattrenne Boris Volynov.
Fin qui tutto bene, insomma. Ma al momento del rientro della Soyuz 5 succede di tutto.
Il modulo di servizio, che sta sul retro del veicolo di Volynov, non si sgancia correttamente dalla capsula di rientro dopo l’inizio della manovra di discesa. Rimane attaccato alla capsula, e siccome è la parte del veicolo che offre la maggiore resistenza aerodinamica si dispone spontaneamente dietro, mettendo la capsula e Boris Volynov davanti. Il problema è che questo assetto è il contrario di quello necessario per sopravvivere al rientro, perché la Soyuz a questo punto ha lo scudo termico dietro anziché davanti.
Il calore del rientro agisce quindi sulla parte meno protetta della capsula: Volynov, invece di essere schiacciato contro il proprio sedile dalla decelerazione, viene spinto in senso contrario, contro le cinture di sicurezza che lo trattengono, e assiste impotente alla progressiva combustione delle guarnizioni del portello, che riempiono di fumo la capsula. Il cosmonauta, oltretutto, non ha una tuta pressurizzata che lo protegga.
I tecnici al Controllo Missione russo, informati via radio da Volynov della situazione, hanno già capito che non c’è nulla da fare e uno di loro si toglie il cappello, vi mette dentro tre rubli e lo passa agli altri per iniziare la colletta per l’imminente vedova.
Fortunatamente il calore esterno fonde i collegamenti fra il modulo di servizio e la capsula di rientro poco prima che ceda il portello e quindi il modulo di servizio si sgancia violentemente, permettendo alla capsula di riprendere il proprio assetto normale: il suo scudo termico, finalmente in posizione corretta, assorbe il calore prodotto dall’attraversamento dell’atmosfera e la capsula decelera, ma lo fa brutalmente, sottoponendo Volynov a ben 9 g, perché i razzi di manovra, che normalmente dovrebbero ridurre la decelerazione imponendo un assetto che genera portanza e quindi produce una planata, non funzionano: il loro propellente è stato esaurito dal computer di bordo nel vano tentativo di orientare correttamente la capsula mentre era ancora vincolata al modulo di servizio.
Boris Volynov |
Le peripezie di Volynov non sono ancora finite: pochi giorni dopo, il 22 gennaio, sarà coinvolto in un attentato al premier sovietico Brezhnev. Ma questa è un’altra storia, che trovate nell’Almanacco dello Spazio.
2016/01/17 19:00. Dai commenti sono emerse versioni contraddittorie sulle fasi finali della disavventura di Volynov, in particolare sulla sua permanenza o meno nella capsula dopo l’atterraggio. Io qui ho pubblicato inizialmente quella presentata dalle fonti più affidabili, ma datemi un po’ di tempo per fare ulteriori controlli incrociati e riepilogare le varie fonti.
2016/01/20 00:05. Sto raccogliendo altri dati; intanto ho corretto la parte finale per tenere conto delle due versioni degli eventi.
2016/01/23 19:00. Ho riscritto la parte finale dell’articolo per tenere conto delle nuove informazioni e in particolare della rettifica pubblicata da James Oberg e delle dichiarazioni più recenti di Volynov. Ho anche corretto l’Almanacco dello Spazio. Tutte le fonti e i dettagli del mio approfondimento sono qui su Complotti Lunari. Un grazie speciale a Giovanni Pracanica per l’abile caccia alle informazioni che mi hanno permesso di correggere il finale della disavventura di Volynov.
2016/01/16
SpaceX esamina il razzo riciclato
Immagine tratta da uno dei tentati atterraggi su chiatta. |
Elon Musk ha tweetato che il primo stadio del lanciatore Falcon 9, recentemente tornato a terra dallo spazio con un atterraggio verticale senza precedenti, è stato sottoposto a un’accensione dei motori sulla rampa di lancio, e che “i dati complessivamente sembrano buoni ma il motore numero 9 ha rivelato delle fluttuazioni di spinta”. Ha poi aggiunto che “forse si è verificata un’ingestione di detriti” in questo motore, che è uno di quelli esterni della rosa di nove che stanno alla base del primo stadio.
Il test, stando a NasaSpaceflight, è avvenuto ieri. La stessa fonte dice che dopo l’atterraggio sono state effettuate alcune riparazioni allo stadio presso l’hangar al Kennedy Space Center, ma probabilmente si tratta di interventi minori, visto che l’intento di effettuare il test di accensione è stato annunciato pochi giorni dopo il rientro. L’accensione è stata effettuata alla rampa 40, non alla storica rampa 39 (quella dei lanci Shuttle e Apollo) come previsto inizialmente.
Domenica (domani) alle 18:42 UTC verrà lanciato un nuovo vettore Falcon 9, che tenterà di nuovo un atterraggio su una chiatta nell’Oceano Pacifico.
Fonti aggiuntive: The Register.
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