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Il Disinformatico: febbraio 2021

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2021/02/26

Puntata del Disinformatico RSI del 2021/02/26

È disponibile la puntata di stamattina del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a Tiki. Grandi novità bollono in pentola: ve ne parlerò da metà marzo. La puntata di venerdì prossimo salta per fare spazio a Sanremo. A 56:00 circa salgo cautamente sul mio skateboard classe 1980 :-)

Argomenti trattati:

Podcast solo audio: link diretto alla puntata; link alternativo.

App RSI (iOS/Android): qui.

Video (con musica): è qui sotto.

Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.

Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.

Buona visione e buon ascolto!

Come difendersi da un robot di Boston Dynamics

Uno dei tormentoni di Internet è recuperare un post o un tweet di qualche tempo fa che faceva una previsione rivelatasi poi sbagliata e citarlo commentando che “non è invecchiato bene”. Se la previsione si rivela obsoleta molto rapidamente, allora la si commenta dicendo che il post “è invecchiato in fretta.” 

Ecco un esempio di affermazione che purtroppo non è invecchiata bene (Kayleigh McEnany è stata la portavoce dell’ex presidente statunitense Donald Trump):

 

Però di solito l’invecchiamento si misura almeno in giorni, se non in mesi o anni. Invece oggi ho fatto un commento che è invecchiato (non so se bene o male) nel giro di poche ore.

Un utente su Twitter ha pubblicato le istruzioni per disabilitare immediatamente un robot quadrupede della Boston Dynamics in caso di aggressione o altro pericolo: si tira la maniglia di sgancio del pacco batterie, situata sulla “pancia” del robot, e così si interrompe tutta l’alimentazione. 


 

Ho commentato definendola una cosa utile da sapere in un prossimo futuro.

Il guaio è che quel “prossimo futuro” era già arrivato, come documenta la notizia che proprio uno di questi robot quadrupedi viene usato dalla polizia di New York per pattugliare le strade del Bronx.

Il robot viene impiegato per entrare in ambienti dove c’è pericolo per gli agenti, per esempio in caso di persone armate e barricate in scantinati, ed è dotato di luci e telecamere per consentirgli di perlustrare gli spazi circostanti.

Ma è fin troppo ovvio che c’è una forte tentazione di fare il passo logico successivo, che è quello di dotare il robot di armi. Invece di mettere in pericolo la vita di un agente o di un soldato, perché non mandare un robot?

A questo proposito, un collettivo online denominato MSCHF ha montato su uno di questi robot un fucile da paintball e l’ha fatto girare in una stanza nella quale sparava a statue e pupazzi. Il messaggio è chiaro.


Forse è il caso di cominciare a discutere di come usare e regolamentare queste tecnologie.

Le parole di Internet: necroposting

Il gergo di Internet ha una definizione per tutto. Avete presente quando qualcuno ripesca un commento fatto online anni fa e lo ripresenta, facendo ripartire la discussione e magari anche il bisticcio?

Questo si chiama necroposting: il gesto di prendere un post o un commento passato, quindi “morto” secondo gli standard di frettolosità di Internet e soprattutto dei social network, e ridargli nuova vita, a volte senza che gli altri si rendano conto che stanno dibattendo in realtà su una vicenda vecchia ed esaurita.

È considerata una pratica da dilettanti, perché non ha alcun senso ribattere a qualcuno mesi o anni dopo che è avvenuta la discussione e tutti l’hanno abbandonata, per cui la replica non verrà vista da nessuno. Di conseguenza, viene spesso bandita in molti forum.  

Ecco un esempio di necroposting tratto da questo blog:

Il termine esiste almeno dal 2004, secondo KnowYourMeme (da cui ho tratto l’illustrazione in testa all’articolo).

 

La “truffa alla nigeriana” è un classico. Un classico del sedicesimo secolo

Ultimo aggiornamento: 2021/02/26 20:15.

Se avete un indirizzo di mail avete ricevuto almeno una volta nella vita un messaggio contenente la classica “truffa alla nigeriana”: uno sconosciuto si presenta dicendo di essere un membro di una famiglia nobile vittima di una persecuzione e aggiungendo di avere un’ingente somma di denaro, alcuni milioni di dollari, che può recuperare soltanto con il vostro aiuto. 

Il vostro nome gli è stato raccomandato da un amico che avete in comune ma che non viene nominato per prudenza. In cambio della vostra assistenza è disposto a darvi una percentuale molto consistente di quei milioni. Per avviare la procedura di recupero, però, ha bisogno che gli anticipiate una piccola somma.

La truffa è diventata particolarmente popolare in Nigeria, dove operano molti dei truffatori che la praticano. Da questa diffusione nel paese è nato il soprannome di “truffa alla nigeriana”, e dal numero della sezione pertinente del codice penale nigeriano è nato il nome alternativo di questo raggiro, ossia 419 scam

Tuttavia questa truffa non è affatto nata con Internet, come molti pensano. Girava già su carta negli anni Novanta, chiedendo risposta tramite l’allora modernissimo fax, come segnala Silvano, che mi ha mandato questa copia di una lettera del 1998:


 

Ma Atlas Obscura segnala che il New York Times del 1898 (sì, milleottocentonovantotto) parlava già della faccenda dicendo che era una truffa “comune” e “vecchia” che stava riemergendo. Ovviamente non c’era Internet nel 1898, per cui i truffatori comunicavano per posta cartacea.

Scrive il NYT:  

“L’autore della lettera è sempre in carcere a causa di qualche reato politico. Ha sempre una grossa somma di denaro nascosta, ed è immancabilmente ansioso che venga recuperata e usata affinché qualche uomo onesto possa prendersi cura della figlia giovane e indifesa. È al corrente della prudenza e del buon carattere del destinatario della lettera tramite un amico comune, che non nomina per cautela, e gli chiede aiuto in un momento di grande difficoltà.”

In cambio, spiega il giornale, il mittente “è disposto a dare un terzo del tesoro nascosto all’uomo che lo recupererà”. Ma prima ha bisogno di ricevere una piccola somma di denaro.

Gli ingredienti di oltre centoventi anni fa, insomma, sono gli stessi di oggi. Ma si può andare ancora più indietro nel tempo, alla fine del Settecento. Eugène François Vidocq (1775-1857), uno dei padri della criminologia, racconta nelle sue memorie di quando fu condannato a otto anni di carcere per “falso in conti pubblici ed autentici”, nel 1797. In prigione a Bicêtre vide che i carcerati scrivevano le cosiddette “lettere di Gerusalemme”, con la complicità dei carcerieri, e ne descrisse il contenuto:

Signore,

Indubbiamente lei sarà stupito nel ricevere una lettera da una persona che non conosce, che sta per chiederle un favore; ma dalla triste condizione nella quale mi trovo, sono perduto se una persona d’onore non mi presterà soccorso: questa è la ragione per la quale mi rivolgo a lei, di cui ho sentito così tante cose che non posso esitare un istante nel confidare tutti i miei affari alla sua cortesia....

La lettera standard prosegue spiegando che lo scrivente diceva sempre di essere il cameriere personale di un noto marchese che aveva dovuto abbandonare il proprio tesoro in un luogo ben occultato per evitare che finisse nelle mani dei malfattori. Il luogo era nelle vicinanze del destinatario della lettera. L‘autore della lettera spiegava che in cambio di un piccola somma si sarebbe potuto liberare dal carcere e avrebbe potuto così condurre il destinatario al tesoro per dividerselo.

Questa è la spiegazione, tratta da Les Mémoires authentiques de Vidocq a partire da pagina 211 (scansione trovata grazie a vivamega e testo trovato da andpagl):






Trascrizione:

[...] l’impudence des voleurs et l’immoralité des employés [de la prison] étaient portées si loin, qu’on préparait ouvertement dans la prison des tours de passe-passe et des escroqueries dont le dénouement avait lieu à l’extérieur. Je ne citerai qu’une de ces opérations, elle suffira pour donner la mesure de la crédulité des dupes et de l’audace des fripons. Ceux-ci se procuraient l’adresse de personnes riches habitant la province, ce qui était facile au moyen des condamnés qui en arrivaient à chaque instant : on leur écrivait alors des lettres, nommées en argot lettres de Jérusalem, et qui contenaient en substance ce qu’on va lire. Il est inutile de faire observer que les noms de lieux et de personnes changeaient en raison des circonstances.

“Monsieur,

“Vous serez sans doute étonné de recevoir cette lettre d’un inconnu qui vient réclamer de vous un service : mais dans la triste position où je me trouve, je suis perdu si les honnêtes gens ne viennent pas à mon secours, c’est vous dire que que je m’adresse à vous, dont on m’a dit trop de bien pour que j’hésite un instant à vous confier toute mon affaire. Valet de chambre du marquis de..., j’émigrai avec lui. Pour ne pas éveiller les soupçons, nous voyagions à pied et je portais le bagage, y compris une cassette contenant seize mille francs en or et les diamants de feue madame la marquise. Nous étions sur le point de joindre l’armée de ..., lorsque nous fûmes signalés et poursuivis par un détachement de volontaires. Monsieur le marquis, voyant qu’on nous serrait de près, me dit de jeter la cassette dans une mare assez profonde, près de laquelle nous nous trouvions, afin que sa présence ne nous trahît pas dans le cas où nous serions arrêtés. Je comptais revenir la chercher la nuit suivante ; mais les paysans, ameutés par le tocsin que le commandant du détachement faisait sonner contre nous, se mirent avec tant d’ardeur à battre le bois où nous étions cachés qu’il ne fallut plus songer qu’à fuir. Arrivés à l’étranger, monsieur le marquis reçut quelques avances du prince de ...; mais ces ressources s’épuisèrent bientôt, et il songea à m’envoyer chercher la cassette restée dans la mare. J’étais d’autant plus sûr de la retrouver, que le lendemain du jour où je m’en étais dessaisi, nous avions dressé de mémoire le plan des localités, dans le cas où nous resterions longtemps sans pouvoir y revenir. Je partis, je rentrai en France, et j’arrivai sans accident jusqu’au village de ..., voisin du bois où nous avions été poursuivis. Vous devez connaître parfaitement ce village, puisqu’il n’est guère qu’à trois quarts de lieue de votre résidence. Je me disposais à remplir ma mission, quand l’aubergiste chez lequel je logeais, jacobin enragé et acquéreur de biens nationaux, remarquant mon embarras quand il m’avait proposé de boire à la santé de la république, me fit arrêter comme suspect. Comme je n’avais point de papiers, et que j’avais le malheur de ressembler à un individu poursuivi pour arrestation de diligences, on me colporta de prison en prison pour me confronter avec mes prétendus complices. J’arrivai ainsi à Bicêtre, où je suis à l’infirmerie depuis deux mois.

“Dans cette cruelle position, me rappelant avoir entendu parler de vous par une parente de mon maître, qui avait du bien dans votre canton, je viens vous prier de me faire savoir si vous ne pourriez pas me rendre le service de lever la cassette en question, et de me faire passer une partie de l’argent qu’elle contient. Je pourrais ainsi subvenir à mes pressants besoins, et payer mon défenseur, qui me dicte la présente, et m’assure qu’avec quelques cadeaux, je me tirerais d’affaire.

“Recevez, Monsieur, etc.

“Signé N...”

Sur cent lettres de ce genre, vingt étaient toujours répondues. On cessera de s’en étonner si l’on considère qu’elles ne s’adressaient qu’à des hommes connus par leur attachement à l’ancien ordre de choses, et que rien ne raisonne moins que l’esprit de parti. On témoignait d’ailleurs au mandataire présumé cette confiance illimitée qui ne manque jamais son effet sur l’amour-propre ou sur l’intérêt ; le provincial répondait donc en annonçant qu’il consentait à se charger de retirer le dépôt. Nouvelle missive du prétendu valet de chambre, portant que, dénué de tout, il avait engagé à l’infirmier pour une somme assez modique, la malle où se trouvait, dans un double fond, le plan dont il a déjà été question. L’argent arrivait alors, et l’on recevait jusqu’à des sommes de douze et quinze cents francs. Quelques individus, croyant faire preuve d’une grande sagacité, vinrent même du fond de leur province à Bicêtre, où on leur remit le plan destiné à les conduire dans ce bois mystérieux qui, comme les forêts fantastiques des romans de chevalerie, devait fuir éternellement devant eux. Les Parisiens eux-mêmes donnèrent quelquefois dans le panneau ; et l’on peut se rappeler encore l’aventure de ce marchand de drap de la rue des Prouvaires, surpris minant une arche du Pont-Neuf, sous laquelle il croyait trouver les diamants de la duchesse de Bouillon.

On comprend, du reste, que de pareilles manœuvres ne pouvaient s’effectuer que du consentement et avec la participation des employés, puisqu’eux-mêmes recevaient la correspondance des chercheurs de trésors. Mais le concierge pensait qu’indépendamment du bénéfice indirect qu’il en retirait, par l’accroissement de la dépense des prisonniers, en comestibles et en spiritueux, ceux-ci, occupés de cette manière, en songeaient moins à s’évader.

Vidocq spiega tutto: di cento lettere di questo tipo, venti ricevevano sempre risposta. I carcerati si procuravano gli indirizzi delle persone ricche della provincia dai nuovi prigionieri. I ricchi abboccavano a questa storia improbabile, mandando a volte fino a 1500 franchi dell’epoca. E non c’era verso di far capire alle vittime che erano state raggirate: Vidocq racconta del “mercante di stoffe della Rue des Prouvaires, che fu colto a scavare sotto un arco del Pont Neuf [a Parigi], dove si aspettava di trovare i diamanti della duchessa di Bouillon”.

Ma secondo France Culture si può andare ancora più indietro nel tempo, fino al sedicesimo secolo, quando prosperava la truffa della “prigioniera spagnola”: la lettera del truffatore parlava di una principessa (inesistente) che era prigioniera dei turchi, che chiedevano un riscatto per liberarla. La principessa, diceva la lettera, aveva inoltre promesso di sposare chiunque l’avesse liberata, e quindi si chiedeva al ricco che riceveva la missiva di contribuire alla liberazione della prigioniera.

I secoli passano, le tecnologie cambiano, ma le debolezze umane sono sempre le stesse.

2021/02/25

A proposito di Byoblu demonetizzato

Vedo che Giorgia Meloni protesta per la demonetizzazione di Byoblu: “YouTube ha revocato al canale di @byoblu le pubblicità e ha sospeso tutti gli abbonamenti. Un inaccettabile atto discriminatorio contro una testata giornalistica libera e indipendente. FDI esprime solidarietà alla redazione e presenterà un'interrogazione parlamentare sul caso”.

Faccio fatica a capire perché si debba esprimere solidarietà con un sito che fa soldi su bugie e notizie false e pericolose. Tipo questa (copia permanente):


Per chi volesse sapere la storia di quell’articolo, i dettagli sono qui.

Non è neanche la prima volta che Byoblu viene demonetizzato. Ricordo che avvenne nel 2017.

Giusto per chiarezza: Byoblu è ancora perfettamente in grado di pubblicare le proprie opinioni. Semplicemente non può monetizzarle. L'articolo 21 della Costituzione italiana parla di libertà d'espressione, non di diritto di farci soldi. Tutto qui.

 

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2021/02/24

Storie di Scienza 16: Le strane ali del signor Lanchester

Il signor Frederick William Lanchester, quello nella foto qui accanto, vi fa risparmiare su ogni volo aereo che prendete e su ogni pacco spedito per posta aerea che ricevete. No, non è il proprietario segreto della Ryanair o di Amazon. Anche perché è morto, povero in canna, nel 1946. Frederick William Lanchester era un ingegnere britannico, classe 1868.

L’ingegner Lanchester era il tipo di persona che affrontava un problema quando il resto del mondo nemmeno sapeva dell’esistenza del problema. Nel 1897, a ventinove anni, stava già risolvendo i problemi dell’efficienza aerodinamica dei velivoli ancora prima dello storico, primo volo a motore dei fratelli Wright nel 1903. 

Nel 1897, Frederick Lanchester concepì e brevettò le winglet. Avete presente quelle strane pinne triangolari alle estremità delle ali degli aerei moderni? Quelle. Sono dell’Ottocento. Il brevetto è il British Patent No. 3608, Improvements in and relating to Aerial Machines.

Lanchester aveva già intuito che l’incontro fra il flusso d’aria che passa sopra l’ala e quello che le passa sotto genera invisibili vortici di estremità, che creano resistenza. Aveva anche capito che un piano verticale collocato a queste estremità avrebbe ridotto i vortici e migliorato l’efficienza del velivolo: lo stesso principio per cui le auto da corsa hanno pareti verticali agli estremi degli alettoni. 

Questo è Lanchester nel 1894, alle prese con uno dei suoi eleganti modelli di aereo a eliche spingenti:

 

E questo è uno dei disegni del brevetto di Lanchester, in cui si vede l’ala troncata e dotata di un capping plane o piano terminale (dettaglio e di Figura 12):

 

Nel suo brevetto, Lanchester parla specificamente di applicare questi piani terminali “allo scopo di minimizzare la dissipazione laterale dell’onda portante.”


Non è che Lanchester avesse già in mente eleganti Jumbo Jet per andare alle Maldive spendendo meno: a quell’epoca il velivolo da ottimizzare e brevettare era un aliante-bomba, da usare in guerra, una sorta di siluro dell’aria. Anzi, a fine Ottocento l’aviazione civile era ritenuta tecnicamente impossibile, visto che mancava un motore sufficientemente leggero. Fra l’altro, Lanchester propose anche di progettarne e costruirne uno, ma gli fu detto che nessuno lo avrebbe preso sul serio e così si dedicò a fabbricare automobili. I fratelli Wright non furono avvisati che quel motore era impossibile e lo costruirono, e il resto è storia. 

Lanchester aveva anche definito i concetti fondamentali di portanza, stallo e resistenza aerodinamica, ma le riviste scientifiche britanniche dell’epoca snobbarono e respinsero i suoi scritti. Pochi anni più tardi arrivò la conferma scientifica delle sue intuizioni da parte del tedesco Ludwig Prandtl, padre della meccanica dei fluidi, ma l’apporto di Lanchester all’aviazione fu riconosciuto pubblicamente solo verso la fine della sua vita. Nel 1931 ricevette la Daniel Guggenheim Medal per il suo contributo alla teoria fondamentale dell’aerodinamica.

Frederick Lanchester morì senza un quattrino, fiaccato dal morbo di Parkinson e dalla perdita della vista, poco dopo la fine di una guerra mondiale nella quale i frutti delle sue idee “impossibili” avevano dominato i cieli e deciso le sorti di intere nazioni. 

Le sue alette finirono sostanzialmente nel dimenticatoio per settant’anni: provò a riprenderle un altro pioniere tedesco, Sighard Hoerner, negli anni Cinquanta, ma le compagnie aeree erano in piena espansione, il carburante costava poco, si progettavano aerei di linea supersonici e a nessuno interessava risparmiare. Fino alla crisi petrolifera del 1973, che cambiò tutto. 

Quell’improvviso ed enorme aumento dei prezzi del carburante spinse la NASA a investire urgentemente in ricerca aerodinamica. Uno dei suoi ingegneri aeronautici, Richard Whitcomb, rispolverò e migliorò le winglet di Lanchester, ispirandosi alle vele delle navi, non solo per risparmiare carburante ma anche per ridurre le pericolose turbolenze lasciate dal passaggio dei grandi aerei di linea. 

Questo è un quadrigetto KC-135 dell’aviazione militare statunitense, prestato alla NASA e modificato nel 1979 per valutare gli effetti delle winglet.


Un dettaglio di una di queste winglet:


I risultati furono notevolissimi: oltre il 6% di autonomia in più, corse di decollo ridotte, pause più corte fra il decollo di un aereo e quello del successivo, minor rumore. Le alette furono adottate prontamente dai jet privati e poi dagli aerei di linea in numerose varianti e oggi sono onnipresenti. Questa, per esempio, è una winglet raccordata di un Airbus A350 (credit: Julian Herzog/Wikipedia): 


 

Dietro quel piccolo dettaglio che scorgiamo dal finestrino del nostro volo vacanziero low-cost, insomma, c’è un secolo di storia, ci sono drammi di talenti incompresi e miopi ottusità, e c’è tanta scienza che merita di essere raccontata e ricordata. In particolare c’è tanta ricerca di base: quella che si fa senza sapere in anticipo a cosa serve e che nessuno vuole finanziare perché ritenuta “inutile”.

 

Credits: Wikipedia; NASA; Princeton.edu; F.W. Lanchester and the Great Divide; NASA; The Shadow of the Eagle. Una versione ridotta di questo articolo è comparsa su Le Scienze nel 2017. Questo articolo fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!

2021/02/23

Il Fatto Quotidiano annuncia la morte segreta del Principe Filippo. Da un anno

Da un anno, ormai, sul sito del Fatto Quotidiano c’è un articolo a firma di Januaria Piromallo, che dà per morto il Principe Filippo. “La mia fonte molto, molto vicino a Buckingham Palace è autorevole”, scrive Piromallo il 26 marzo 2020: sì, duemilaventi. Poco importa, a quanto pare, che il principe Filippo sia stato poi visto in giro in buona salute. Meno male che Piromallo precisa che “il rischio che potesse essere anche una fake news mi ha portato alla prudenza e a non pubblicare niente.”

L’articolo non è stato corretto o rettificato. Copia permanente: https://archive.is/qggy8

Ripeto, questo screenshot è di marzo 2020:


Sul Fatto Quotidiano c‘è anche un altro articolo di un anno fa (25 marzo 2020) che riporta la stessa notizia falsa, stavolta firmata da “F.Q.”. Copia permanente: https://archive.is/Dv8DN.


Come se non bastasse, a luglio 2020 il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo che dice che “i “cattivoni” della rete insinuavano che il “nostro” fosse passato a miglior vita. Dimenticando che fra i cattivoni c’è anche il Fatto Quotidiano. Copia permanente: https://archive.is/bbqb6.


Però mi raccomando, le fake news sono colpa di Internet.

 

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2021/02/22

Video, foto e audio stupefacenti da Marte: l’atterraggio di Perseverance

Ultimo aggiornamento: 2021/02/26 16:30.

La NASA ha appena rilasciato una serie di video assolutamente, inimmaginabilmente spettacolari ripresi dalle telecamere di bordo durante l’atterraggio di Perseverance, insieme a una bordata di fotografie, alcune delle quali sono già state elaborate per creare immagini panoramiche a 360° come questa (che vista in un visore per realtà virtuale è totalmente immersiva, sembra proprio di essere seduti sul Rover a guardare il panorama di Marte):

O queste:

Non c’è niente da fare: il video a colori batte completamente la fotografia statica nel dare la sensazione di essere lì e nel permettere di capire concretamente la dinamica degli eventi. E oltre al valore mediatico spettacolare, viscerale di questi video, c’è il fatto che vediamo per la prima volta con immagini fluide in movimento cosa succede realmente durante un atterraggio su Marte. Anche gli scienziati e i progettisti dei veicoli spaziali sono entusiasti, perché finalmente vedono direttamente i comportamenti dei materiali e della polvere che prima potevano soltanto stimare.

Pubblicherò le altre man mano che mi riprendo dall’emozione: e questo non è che l’inizio, visto che a bordo ci sono telecamere stereoscopiche da 20 megapixel e c’è persino un elicottero con una telecamera tutta sua. 

Per ora chiarisco che le immagini sono grezze e non sono ancora state elaborate per fornire i colori reali (ossia come li vedrebbe il nostro occhio) e segnalo che le immagini vengono pubblicate man mano a questo indirizzo: 

https://mars.nasa.gov/mars2020/multimedia/raw-images/

---

Questa è la zona di atterraggio di Perseverance, vista dall’orbita marziana grazie allo strumento HiRise a bordo della sonda Mars Reconnaissance Orbiter. Da sinistra, il paracadute e la carenatura posteriore; lo stadio di discesa; il rover vero e proprio; lo scudo termico. Ognuno dei riquadri ha un lato di circa 200 metri (credit: NASA/JPL/University of Arizona). Stando ai dati dichiarati nella conferenza stampa dalla NASA (la trovate più sotto), rispetto a Percy lo stadio di discesa si trova a circa 700 metri, il paracadute sta a circa 1200 metri e lo scudo termico è a 1500 metri.


Alcuni dettagli dell’immagine di HiRise: ecco Perseverance (fonte).


Lo stadio di discesa o “gru volante”, il cui impatto intenzionale ha creato un ventaglio di detriti:

 

Il paracadute:


Suoni! Uno dei microfoni di bordo ha registrato il rumore di bordo del veicolo e una folata di vento marziano. Altri campioni audio sono qui. Siamo talmente abituati al silenzio delle riprese nel vuoto che non pensiamo mai al fatto che questi veicoli sono pieni di motorini, attuatori, parti mobili che fanno rumore. E il fatto che si possa sentire questo rumore ci ricorda molto potentemente che questa sonda è su un pianeta, un pianeta che ha un’atmosfera, non un deserto senz’aria come la Luna.

Il paracadute, con la sua colorazione asimmetrica usata per rilevare eventuali rotazioni o deformazioni e contenente un codice da decifrare (ne parlo più sotto):

 

La gru volante a razzo, uno dei veicoli spaziali più pazzeschi mai concepiti, vista da sotto, dal punto di vista di Percy durante lo sgancio. Notate che i motori non emettono fiammate: sono alimentati a idrazina con catalizzatore, che brucia senza produrre fiamme colorate. È lo stesso fenomeno che si nota nelle missioni lunari Apollo, in cui i motori del Modulo Lunare usavano una miscela di Aerozine 50 (50% idrazina, 50% dimetil idrazina asimmetrica) e tetrossido di diazoto che non produceva fiammate visibili (cosa che i lunacomplottisti non hanno ancora capito).

 

Andy Saunders ha ricalibrato e ripulito un’altra immagine della skycrane:

 

Questa è un’elaborazione stereoscopica delle immagini riprese dalla “gru volante” (servono gli occhialini rossi e blu), creata da Nathaniel Bradford:


La conferenza stampa di presentazione delle immagini e dell’audio (da 38:22), che fornisce moltissimi dettagli della manovra di atterraggio (compresa la presenza di un messaggio nascosto nel paracadute e già scoperto dagli appassionati in poche ore) e spiega bene cosa si vede nei video:

Una chicca fra le tante: le telecamere hanno ripreso fino a ben 75 fotogrammi al secondo (il triplo della cadenza normale). A parte le riprese su pellicola sulla Luna delle missioni Apollo, che comunque arrivarono solo a 12 fotogrammi al secondo (e 10 in video), non credo che ci sia mai stata una ripresa su un corpo celeste fatta con cadenze vicine a quelle necessarie per ottenere immagini realmente fluide. Notate inoltre che una di queste telecamere, montata sulla gru volante, ha trasmesso immagini fino all’ultimo istante, quando è stato sganciato il rover, sfruttando il cavo spiralato che si vede nelle foto qui sopra, e il file video è sopravvissuto al tranciamento improvviso del cavo.

Sul rover ci sono dei pannelli di riferimento per la calibrazione del colore nelle foto. La calibrazione e i suoi pannelli sono spiegati in grande dettaglio, insieme al significato delle icone e delle diciture, qui):


 

Uno dei pannelli è questo, segnalato da @Rainmaker1973:


 

Chicca: c’è anche una “foto di famiglia” dei vari rover marziani, che ricorda molto gli adesivi che si mettono sulle automobili per rappresentare le famiglie a bordo:

 

C’è anche una foto della colonna di fumo prodotta dallo schianto della gru volante, vista da una delle telecamere di Perseverance. Spettacolare.

Vale la pena di confrontare la potenza di calcolo di Perseverance con quella di uno smartphone: il suo processore principale è una terna di BAE RAD 750, che operano fino a 200 MHz (un iPhone 11, classe 2019, opera a dieci volte questa frequenza). Lentissimo, ma è protetto contro le radiazioni, cosa di cui l’iPhone non ha bisogno (per questo nello spazio si usano processori “vecchi”: essendo meno densi di componenti, sono meno sensibili alle radiazioni). Percy include anche dei processori FPGA Virtex-5 usati per la navigazione e per l’elaborazione delle immagini.

Il rover ha 2 GB di memoria flash, 256 MB di RAM dinamica e 256 KB di EEPROM. Oggi uno smartphone con meno di 16 GB di memoria flash è impensabile: l’iPhone 12 parte da 64 GB. Per cui se le immagini arrivano da Marte un po’ a rilento, non lamentatevi. State usando tecnologia degli anni Novanta. Vi ricordate com’era l’informatica di quei tempi? Appunto.

Le specifiche complete dei processori e delle telecamere di Perseverance sono su Nasa.gov (anche qui).

Le fotocamere di Perseverance sono posizionate in modo da consentire foto stereoscopiche in altissima risoluzione. Già ora gli appassionati stanno estraendo le parti comuni delle foto scattate da fotocamere differenti per ottenere immagini 3D. Fra questi appassionati c’è anche Brian May, che insieme a Claudia Manzoni ha creato queste foto:


2021/02/21

Hai dimenticato la password? Nessun problema: questo sito di e-commerce italiano non la controlla

Mi è stato segnalato un sito di commercio online italiano che ha definitivamente risolto il problema degli utenti che dimenticano le password usando una soluzione decisamente originale: non controlla la password.

Incuriosito e leggermente incredulo che qualcuno possa commettere uno scivolone del genere, vado alla home page del sito, clicco su Login e mi registro. 

Il sito è perentorio: la password deve essere lunga almeno sei caratteri e deve contenere almeno un numero. Perché la sicurezza è una cosa seria. Va bene: immetto una password conforme.

Ricevo dal sito la mail che mi invita a cliccare su un link o immettere un codice per confermare e attivare il mio account. Faccio quanto richiesto, e mi scollego.

L’account funziona: posso entrare e vedere il mio profilo. Posso scegliere prodotti e metterli nel carrello.

Faccio logout, rientro facendo login, scrivo il mio indirizzo di mail e lettere a caso nel campo della password, ed ecco che mi ritrovo nel mio account.

Ma dai, sarà un errore mio. Magari il sito usa un cookie per fare a meno di digitare la password. Però la password me l’ha chiesta.

Provo con un altro browser, che non ho mai usato per fare login a quel sito. Scrivo il mio indirizzo di mail, scrivo lettere a caso nel campo della password.... e sono dentro di nuovo.

Provo a questo punto su un altro computer. Vado alla home page, clicco su Login, immetto il mio indirizzo di mail e tre caratteri random nel campo della password, violando quindi anche la regola dei sei caratteri minimi obbligatori... e sono di nuovo nel mio account.

Posso vedere i dati del mio profilo: nome, cognome, indirizzo di casa, numero di telefono. Se avessi fatto ordini, probabilmente potrei vedere anche quelli.

Ho trovato sul sito l’indirizzo del responsabile della protezione dei dati (DPO) e gli ho scritto oggi quanto segue:

Buongiorno,

sono Paolo Attivissimo, giornalista informatico. Vi segnalo che è possibile entrare nel vostro sito di e-commerce [omissis] digitando qualunque cosa al posto della password, anche semplicemente tre lettere a caso.

Questo consente a chiunque di accedere ai dati personali dei vostri clienti semplicemente conoscendone l'indirizzo di mail.

Ritengo che questo configuri una grave violazione della sicurezza e della privacy dei vostri clienti, con potenziali ripercussioni in termini di GDPR.

Vi invio questa segnalazione affinché possiate rimediare. Qualora dovessero trascorrere 15 giorni di calendario dalla segnalazione senza un vostro riscontro, riterrò assolto il mio dovere di "responsible disclosure" e mi riserverò a quel punto l'opzione di pubblicare i dettagli la notizia nell'interesse dei vostri clienti.

Ho pubblicato un articolo preliminare, senza citare il vostro nome, presso Disinformatico.info.

Cordiali saluti
Paolo Attivissimo
Lugano, Svizzera

Vediamo che succede.


2021/02/21 19:50. Stando alle prime indicazioni, il problema riguarda gli account creati di recente; gli utenti che hanno account sul sito da parecchio tempo segnalano che per loro le password sbagliate vengono rifiutate.


2021/02/21 20:30. Ora il sito non accetta più qualunque cosa al posto della password, ma in compenso non accetta neanche la password effettiva dell’account che ho creato. Ho cliccato su “Ho dimenticato la password” per resettarla e mi è arrivato correttamente via mail il link per resettarla. L’ho cambiata e ora non mi accetta neppure questa.


2021/02/22 16:20. Oggi ho ricevuto una mail dal DPO che mi ha ringraziato per la segnalazione, che è stata presa in carico dall’azienda. Sono in corso verifiche e l’accesso, mi dice sempre il DPO, è ora possibile soltanto immettendo nome utente e relativa password. Dice inoltre che mi aggiornerà sui risultati delle verifiche. Ho fatto di nuovo il reset della password e ora entro correttamente soltanto con la mia password effettiva.


2021/02/22 20:05. Su richiesta dell’azienda, ho modificato l’immagine che rappresenta il tentativo di login.

2021/02/20

Storie di Scienza 15: Quando il piombo nella benzina faceva diventare ottusi e violenti, ma l’industria del petrolio negava il problema

Un po' di gente se l'è presa per un mio recente tweet sul ruolo della scienza. Questo:

Molti di questi critici hanno tirato in ballo gli errori o i disastri combinati dalla scienza: le bombe atomiche, l’inquinamento, eccetera. In realtà in quegli errori la scienza non aveva colpa. La colpa stava altrove. Vi racconto una storia che spiega cosa intendo con "scienza" e con il suo ruolo reale nella nostra vita. È una piccola fetta di una storia più grande di cui ho scritto qualche anno fa su Le Scienze.

Negli anni Ottanta le auto andavano a benzina contenente piombo tetraetile (un antidetonante per migliorare il funzionamento dei motori). Alcuni genitori si preoccupavano dei danni che il piombo rilasciato nei gas di scarico poteva arrecare ai bambini. Se avete meno di quarant’anni, probabilmente non sapete nulla di questa storia e sicuramente non l’avete vissuta. Non avete il ricordo viscerale, impiantato nelle narici, di quei gas di scarico. Io purtroppo sì.

Nel Regno Unito come in tanti altri paesi, in quegli anni, i genitori si organizzarono in comitati anti-piombo, volantinando e facendo proteste. Erano gli antivax di allora? No, perché portarono prove robuste e indiscutibili.

Queste prove furono fornite dalla scienza, e furono fornite nonostante politici e imprenditori cercassero di sminuire la gravità del problema.

Questo è Robin Russell Jones, uno degli scienziati che mise in guardia a proposito dei danni cognitivi e comportamentali causati dal piombo. Danni misurabili e quantificabili.


Esposti ai livelli di piombo presenti nell'aria delle città, i bambini erano più violenti, più aggressivi, meno capaci di concentrarsi. Nel 1971 nel mondo furono immesse quattrocentomila tonnellate di piombo, aggiunte alla benzina delle nostre auto.


Il governo britannico rispose minimizzando il problema e negando l'evidenza scientifica. Octel, l'azienda che produceva il piombo, negò che il problema dei bambini fosse colpa del suo prodotto. La scienza parlava chiaro, ma andava contro gli interessi della politica e delle aziende.

Questo è Jack Winterbottom, direttore della Octel, che disse pubblicamente che "i rischi... sono stati grossolanamente esagerati".

Si sostenne che i problemi cognitivi e comportamentali fossero colpa delle classi sociali più povere, che vivevano in case tinteggiate con pitture fatiscenti o tubature vecchie. Tutto pur di non dare la colpa a Madama Automobile e all'industria che la circondava.

Insomma, i bambini dei poveracci erano deficienti per colpa dei poveracci. Bastava vivere in una bella villa in un parco per risolvere il problema. Ergo, i ricchi erano per definizione più intelligenti e più adatti a governare e dirigere. I poveracci s'arrangiassero.

Se a questo punto vi viene in mente Star Trek, state pensando alla puntata "The Cloud Minders" ("Una città tra le nuvole"), in cui c'è un pianeta dove i ricchi vivono nell'atmosfera pulita e i minatori che li riforniscono vengono considerati bruti e inferiori per natura: impossibili da includere in una società civile. Ma i nostri eroi scoprono che in realtà i minatori sono resi aggressivi e violenti non solo dalla discriminazione che subiscono, ma anche dal gas che respirano.


Star Trek sapeva affrontare già negli anni Sessanta temi che nessuno osava toccare. Lo faceva con contorno di azione, alieni, fantascienza e graziose fanciulle, ma sotto traccia c'erano lezioni morali a badilate.


In quella puntata di Star Trek bastò una dimostrazione molto pratica e drammatica per far cambiare idea a tutti. Qui sulla Terra, invece, servì la scienza. Gli studi sugli animali furono decisivi.

I topi da laboratorio non vivevano in case fatiscenti o con tubature tossiche; erano tutti nello stesso ambiente ed erano biologicamente uguali. Ma quelli esposti al piombo dei gas di scarico delle auto lottavano fra loro molto di più e diventavano aggressivi.

Nel Regno Unito fu fatta trapelare alla stampa una lettera del consulente medico primario del governo, Sir Henry Yellowlees, che diceva chiaramente al governo stesso che era altamente probabile che il piombo nella benzina stesse riducendo permanentemente il quoziente intellettivo di molti bambini britannici.

A quel punto la posizione di governo e industria di far finta di nulla divenne insostenibile e nel 1983 il governo britannico decise di bandire il piombo dalla benzina. Ma la benzina senza piombo costava più della "normale".

E ovviamente serviva un'automobile nuova, dotata di marmitta catalitica e di un motore in grado di gestire il carburante senza piombo. Insomma, chi voleva contribuire un pochino, nel suo piccolo, a migliorare l'ambiente doveva spendere di più. Qualunque parallelo con la situazione attuale delle auto elettriche rispetto a quelle diesel o benzina è assolutamente non casuale.

Sei anni dopo, nel 1989, fu finalmente introdotta una tassa sulla benzina con piombo. La senza piombo costava così meno della normale. Bastarono sei soli anni di incentivazione della benzina senza piombo per veder crollare dell'80% i livelli di piombo nei bambini britannici.

Nel 2011 l'ONU dichiarò che l'eliminazione del piombo aveva fatto risparmiare 2,4 mila miliardi di dollari l'anno in costi medici e sociali. Con buona pace di chi dice che l'ecologia costa.

Questa rivoluzione, questo successo nel migliorare le cose, è merito della scienza. Andando contro la politica e l'industria. Quelli che molti commentatori al mio tweet hanno additato come errori o contraddizioni della scienza sono in realtà bugie o manipolazioni della politica o dell'industria.

Sono passati 40 anni da quelle decisioni sulla benzina e sul piombo. Guardatevi intorno e chiedetevi in quali altri campi le evidenze scientifiche vengono ignorate o liquidate dai politici e dall'industria in cambio di un tornaconto immediato, senza pensare al lungo termine.

Questo è il ruolo della scienza, del metodo scientifico, nella nostra vita. Tirar fuori i fatti, verificarli pazientemente, correggerli se necessario, e presentarli per quelli che sono, non importa quanto siano sgradevoli o politicamente scomodi, non importa quanto siano irritanti o sovversivi agli occhi dei benpensanti e dei tradizionalisti, per darci modo di decidere cosa fare. 

La scienza scopre l'atomo: ma sono i politici a usarlo per fare bombe "per difendere i bambini". Sono i politici a decidere se fare o non fare lockdown, se vendere sigarette, se consentire l'uso di diserbanti o di additivi nei cibi. E i politici li eleggiamo noi.

---

La fonte di questa storia è The petrol that was poisoning children, della BBC. Le considerazioni sociali e politiche sono mie.

Questo articolo fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!

2021/02/19

Prime immagini straordinarie da Perseverance su Marte

Questa non è un’illustrazione digitale: è una foto reale. State guardando un robot grosso come un’automobile mentre viene calato su Marte dalla gru volante a razzo che lo sta trasportando. Il robot è Perseverance, atterrato ieri, e l’inquadratura è presa da una fotocamera montata sulla gru e rivolta verso il basso.

La foto è stata ripresa mentre Perseverance era ancora appesa alla gru volante. Si notano le striature nel terreno prodotte dai getti dei razzi della gru che stanno spostando la polvere. I tre cavi rettilinei sono quelli che reggono il rover e lo calano dalla gru che rimane fermo a mezz’aria; il cavo spiralato è quello che trasporta i dati dalla gru a Perseverance. Se volete la versione a massima risoluzione, è qui

La foto qui sotto, invece, mostra Perseverance mentre è ancora appesa al paracadute che la sta portando verso il sito di atterraggio. L’immagine è stata scattata dalla fotocamera HiRISE montata a bordo della sonda orbitante Mars Reconnaissance Orbiter da una distanza di circa 700 chilometri, mentre MRO si spostava a circa 3 chilometri al secondo. La precisione e abilità necessarie per riuscire a sincronizzare e orientare un veicolo orbitante in modo che riesca a fotografare l’altro mentre sta scendendo -- e fare tutto questo su Marte -- sono straordinarie.


Questa (tratta da qui) è la prima immagine a colori ad alta risoluzione trasmessa da una delle telecamere montate a bordo di Perseverance:


La foto qui sotto mostra una ruota del rover e le rocce estremamente porose sul suolo marziano.


Pensiamo un momento al fatto che riceviamo queste immagini da un altro pianeta, situato attualmente a duecento milioni di chilometri di distanza (11 minuti-luce), e le vediamo tutti insieme su Internet grazie alla tecnologia creata dall’ingegno di tantissime persone di enorme talento.

Le immagini di Perseverance vengono pubblicate man mano a questi indirizzi:

Moltissimo materiale, compresi i modelli 3D interattivi del veicolo, è disponibile nel Resource Kit

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

Puntata del Disinformatico RSI del 2021/02/19: è la numero 666

È disponibile la puntata di stamattina del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a Tiki.

Argomenti trattati:

Podcast solo audio: link diretto alla puntata; link alternativo.

App RSI (iOS/Android): qui.

Video (con musica): è qui sotto.

Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.

Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.

Buona visione e buon ascolto!

chmod 666, il “comando di Satana”

Può sembrare comico oggigiorno, ma agli albori dell’informatica c’era parecchia gente che vedeva questa scienza come una sorta di stregoneria. 

A loro volta, gli informatici dissacranti rispondevano introducendo terminologie ispirate apparentemente all’horror o alla stregoneria, come daemon (demone in italiano) in Unix e negli altri sistemi operativi analoghi. Erano gli anni Sessanta e molti degli informatici più in vista dell’epoca avevano stili di vita, come dire, decisamente non convenzionali e amavano essere irriverenti.

A chi ci vedeva segnali di perdizione era inutile spiegare che il termine daemon derivava dalla mitologia greca, nella quale i dèmoni (accento sulla E) o dàimon erano servitori degli dei, che svolgevano compiti di cui gli dei in questione non potevano occuparsi; nulla a che vedere con i demòni (accento sulla O). I demoni informatici, analogamente, eseguono compiti di cui l’utente non vuole o non può occuparsi.

Un altro esempio di pseudosatanismo informatico è il 666 presente nel comando chmod dei sistemi Unix e simili (anche in Linux e MacOS): il comando chmod serve per cambiare i permessi a un file o a una cartella, e il parametro 666 serve a specificare che tutti gli utenti possono leggere e scrivere quel file o cartella ma non possono eseguirlo (o, nel caso di una cartella, non possono entrarvi). Tutto qui, ma è bastato a farlo diventare per alcuni “il comando di Satana”.

Per i gamer, invece, è famosa la storia della porta TCP/UDP 666, assegnata al gioco Doom. Dato che il gioco contiene creature demoniache, ovviamente la scelta non è stata casuale; ma si tratta di irriverenza, non di satanismo.

Alle origini del complotto dei microchip sottopelle

Ormai la tesi di complotto dei chip sottopelle che sarebbero strumenti segreti per il controllo mondiale della popolazione è diventata un classico e un tormentone. 

Se ne era parlato per esempio già nel 2013, quando si sosteneva che l’allora presidente Obama aveva un piano per rendere obbligatori i microchip sottopelle e un parlamentare italiano sosteneva che questi chip servivano “per registrare, per mettere i soldi, quindi è un controllo di tutta la popolazione”

Ultimamente è tornata alla ribalta in una nuova variante, secondo la quale i vaccini conterrebbero dei microchip segreti controllati nientemeno che da Bill Gates. Ovviamente la tesi circola senza alcuna prova concreta a sostegno.

Ma l'idea di un complotto mondiale per impiantare microchip nelle persone risale ad almeno venti anni fa (Rense.com) e ha origini religiose: l'impianto del microchip (più specificamente un RFID, simile a quello che si usa per l'identificazione dei cani e dei gatti) sarebbe un marchio della Bestia, cioè di Satana, secondo un'interpretazione della Bibbia che cita il libro dell'Apocalisse, nel quale si parla di un “marchio sulla mano destra o sulla fronte” messo dalla Bestia su “tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi” in modo che “nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio”. Pazienza che fra marchio (cosa visibile) e chip sottopelle (per definizione non visibile) ci sia un abisso.

A quell’epoca questa tesi prendeva di mira specificamente due marche di RFID impiantabili: Mondex e VeriChip. Se volete, c’è uno sbufalamento meticoloso delle asserzioni riguardanti il caso Mondex qui su Urban Legends, che si applica pari pari al caso VeriChip. Ma la smentita più forte è che sono appunto passati vent’anni e di questo fantomatico imminente obbligo di chipparsi non c’è alcuna traccia.

Puntata numero 666 del Disinformatico: informatica e numerologia

In occasione della seicentosessantaseiesima puntata del Disinformatico radiofonico ripesco questa storia del 2007 che mescola informatica e numerologia.

Ci sono persone che sostengono che i codici a barre presenti sulle confezioni dei prodotti contengano il numero 666, che secondo alcuni sarebbe legato alla “perdizione satanica."

Il “666” si anniderebbe nelle coppie di righe sottili all'estrema destra, all'estrema sinistra e al centro di ogni codice esistente, perché nel codice a barre due righe sottili affiancate rappresenterebbero il 6.

Non è così: queste righe estreme e centrali, infatti, non rappresentano alcuna cifra ma sono semplicemente le linee di riferimento che servono allo scanner che legge il codice per capire dove inizia e dove finisce il codice stesso.

La teoria è talmente diffusa che George J. Laurer, inventore del codice, aveva pubblicato anni fa un commento esasperato su questa storia; il commento sopravvive solo negli archivi di Archive.org.

Fra l'altro, l'attribuzione del numero 666 come simbolo di Satana è tutt'altro che conclamata ed è in effetti una leggenda metropolitana dentro la leggenda metropolitana: una credenza tramandata per sentito dire, ma di cui nessuno va a controllare le origini.

Infatti, come si può leggere per esempio sulla Wikipedia in inglese, le primissime fonti bibliche usavano invece il numero 616 o 665, e molti studiosi ritengono che la Bestia non sia Satana, ma l'imperatore Nerone o Domiziano (il cui nomignolo derisorio era, guarda caso, "la bestia" fra i romani, i greci, i cristiani e gli ebrei).

Le parole di Internet: input validation. La storia di un uomo alto 6,2 cm

Liam Thorp è un trentaduenne britannico in ottima salute che scrive per il Liverpool Echo. Normalmente dovrebbe essere in fondo alla lista d’attesa per le vaccinazioni anti-Covid, che vengono fatte prioritariamente a chi è più avanti negli anni o ha problemi di salute, ma la BBC racconta che gli è arrivato l’invito a vaccinarsi perché risultava clinicamente obeso. Aveva infatti un indice di massa corporea di 28.000 (ventottomila), quando i valori normali di questo indice oscillano fra 18 e 24.

Il disguido, che lui stesso racconta qui, è avvenuto perché la sua statura era stata registrata nei sistemi informatici della sanità britannica immettendo piedi e pollici in un campo fatto per contenere un valore espresso in centimetri. Thorp è alto 6 piedi e 2 pollici (187 cm), e così qualcuno ha immesso 6,2 (anzi, 6.2 secondo la notazione anglosassone).

Risultato: il sistema ha accettato senza batter ciglio che Thorp avesse una statura di 6,2 centimetri ed è poi andato a calcolare il suo indice di massa corporea prendendo il suo peso e la sua statura e ha quindi deciso che il soggetto era incredibilmente obeso. 

Il sistema ha poi preso questo dato di obesità impossibile e lo ha usato come criterio per l’emissione dell’invito a vaccinarsi.

Thorp l’ha presa bene, ma se il sistema può commettere errori di questo genere potrebbe anche commetterli nell’altro senso e negare una vaccinazione a chi ne ha bisogno. 

Questo genere di problema tipicamente informatico nasce dal fatto che chi programma i computer non fa controlli di buon senso sui dati immessi. Un programma fatto bene non dovrebbe nemmeno accettare una statura di 6,2 centimetri.

Questo tipo di controllo va sotto vari nomi: input validation o input sanitization sono fra i più frequenti. La validation consiste nel controllare che in un campo venga immesso un dato pertinente (per esempio soltanto cifre in un campo destinato ad accogliere un numero) e sensato (una statura deve avere limiti massimi e minimi, per esempio).

La sanitization, invece, consiste nel verificare che i dati immessi non contengano caratteri che possono causare problemi nell’elaborazione successiva (per esempio qualcosa che possa essere interpretato come comando anziché come dato). 

Può sembrare banale, ma il mancato controllo dei dati immessi è la tecnica tipica di intrusione nei siti: si chiama SQL injection. Cito in proposito l’ormai storica vignetta di xkcd:


Static Wikipedia 2008 (no images)

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Static Wikipedia 2007 (no images)

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