Ultimo aggiornamento: 2021/04/20 1:35.
Tutti parlano di criptovalute e in particolare di bitcoin, grazie anche al fatto che il controvalore dei bitcoin è salito vertiginosamente. Chi ha comprato bitcoin un anno fa oggi ha ben 12 volte l’investimento iniziale.
Ma questa corsa all’oro digitale ha anche un risvolto ecologico che non va trascurato. Ogni creazione di bitcoin e ogni transazione richiede complicatissimi calcoli matematici, che richiedono enormi potenze di calcolo. A loro volta, queste potenze di calcolo richiedono computer altrettanto potenti, che consumano energia. Tanta energia. E molta di questa energia viene prodotta usando fonti altamente inquinanti.
Non solo: la matematica dei bitcoin è fatta in modo che man mano che aumenta la potenza di calcolo disponibile aumenta anche la difficoltà dei calcoli, per cui aumenta anche il consumo di energia.
Secondo una stima del Cambridge Centre for Alternative Finance, pubblicata
presso Cbeci.org, nel 2019 la generazione di
bitcoin consumava
più energia dell’intera Svizzera: 77 terawattora ogni anno (la Svizzera ne ha consumati circa 57). Oggi, nel
2021, questo consumo stimato di energia è salito a 127,7 TWh/anno, ossia
più di Norvegia o Argentina
(mentre il consumo svizzero è lievemente diminuito (-0,8%)). Altre stime indicano valori più bassi.
Queste stime hanno ampi margini d’incertezza, ma la tendenza è chiara: i consumi derivanti dall’uso dei bitcoin stanno aumentando. Oggi rappresentano, secondo il CCAF, lo 0,6% dei consumi totali di elettricità del pianeta. A titolo di paragone, tutti i datacenter del mondo consumano 199 TWh/anno.
Se volete un altro paragone, e se non ho perso qualche zero per strada, 127,7
TWh sarebbero sufficienti a far fare oltre 100.000 km a tutte le auto della
Svizzera (circa 6 milioni di veicoli) o 16.000 km a tutte le auto d’Italia
(circa
39 milioni) se fossero tutte elettriche (stimando 0,2 kWh/km).
Il 65% dell’hashrate (la potenza di calcolo complessiva usata per generare bitcoin e gestirne le transazioni) si trova in Cina.
Inoltre secondo la ricerca del CCAF circa i due terzi dell’energia consumata per gestire i bitcoin provengono da fonti fossili, e questo significa che i bitcoin hanno un impatto ambientale significativo. Investire in bitcoin e presentarsi come sostenitori dell’ecologia, come ha fatto per esempio Tesla a febbraio scorso, sembra essere un controsenso.
I sostenitori dei bitcoin obiettano che parte dell’energia usata deriva da fonti rinnovabili oppure da centrali che la devono generare anche se non viene utilizzata e non c’è modo di accumularla, per cui formalmente non è tolta ad altri usi. Tuttavia è difficile quantificare con precisione quanta sia questa parte.
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Ma probabilmente l’obiezione principale all’adozione su vasta scala dei bitcoin (e specificamente dei bitcoin) è il numero di transazioni gestibili da questo sistema: attualmente è meno di sette al secondo ed è tecnicamente difficilissimo aumentarlo. Non si può pensare di usare questa criptovaluta per gestire gli scambi dell’economia mondiale.
A titolo di confronto, la rete informatica di un singolo gestore di
carta di credito, come Visa, ha una
capacità teorica
di 65.000 transazioni al secondo.
Altre criptovalute hanno sviluppato metodi che consentono un numero molto
superiore di transazioni al secondo e riducono fortemente il consumo di
energia, ma al prezzo di una minore sicurezza. Il problema è che oggi è il
bitcoin la forma di criptovaluta dominante.
In sintesi: per come stanno le cose ora, i bitcoin non hanno alcuna possibilità di sostituire le monete convenzionali e producono molto inquinamento. Altre criptovalute possono far di meglio, ma resta il dilemma del grande consumo di energia, inevitabile per qualunque criptovaluta basata sul proof of work e in generale per qualunque tecnologia basata sulla blockchain.
Per cui mi sa che liquiderò i miei pochi bitcoin: mi arrendo al fatto che non sono eticamente sostenibili, salvo prove contrarie.
2021/04/20. Ho liquidato il mio wallet e ho convertito in franchi svizzeri, che ora riposano nel mio conto corrente.
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