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Il Disinformatico: guest writer

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2023/03/01

Esperienze da pallonari

Ecco a voi un nuovo articolo scritto per questo blog dall’amico Paolo G. Calisse, astronomo che ha lavorato per vari progetti come ALMA, Simons Observatory, CTAO e primo italiano a trascorrere un anno intero al Polo Sud, sempre lavorando come astronomo al locale osservatorio. – Paolo

Esperienze da pallonari

di Paolo G. Calisse

Alla fine degli anni ’80 partecipai al lancio di alcuni palloni stratosferici scientifici in Italia, dalla ormai dismessa base ASI di Trapani Milo, e in Francia, dalla base CNES di Aire s/r l’Adour. Approfitto di questa esperienza personale per chiarire alcuni aspetti di questi dispositivi, di cui si è parlato molto sulla scia dei recenti avvistamenti. Alcuni aspetti sono cambiati radicalmente da allora, o variano da un sito di lancio all’altro e a seconda della tecnologia usata, ma il sistema è rimasto più o meno lo stesso.

Intanto precisiamo: qui si parla di palloni stratosferici per missioni di lunga durata. Il diametro di questi palloni, che raggiungono una quarantina di km di quota ed oltre, pari ad una pressione atmosferica di 4 hPa (ettopascal, l’unità di pressione usata in genere), può raggiungere i 160 metri di diametro, più o meno quello del Colosseo, il più grande anfiteatro costruito dai romani. Il volume può arrivare al 1.700.000 m3 di Big 60 (vedi foto). Il carico utile, paracadute, avionica, etc. a parte, può raggiungere diverse tonnellate di peso (ma pregiudicando in parte la quota di volo e la durata) e la linea di volo oltre 300 m di lunghezza. 

Big 60, il più grande pallone mai lanciato, qualche secondo dopo il "decollo", nel 2018. Si noti come la parte gonfia del pallone, per quanto grande, costituisca in realtà solo una piccola frazione della linea di volo (fonte: NASA).

I voli cui ho partecipato erano tutti di palloni zero-pressure, in altre parole un'apertura in basso garantiva che la pressione interna del gas restasse uguale a quella esterna, come avviene con le mongolfiere, ed era solo la densità più bassa del gas contenuto rispetto all’atmosfera circostante a fare ascendere il pallone in quota e ad impedire che lo stesso gas fuoriuscisse. Questi palloni sono costituiti di sottilissimo mylar e riempiti in genere di idrogeno piuttosto che di elio, in modo da massimizzare la spinta idrostatica e quindi il carico e/o la quota.

Quando invece si parla di palloni meteo (weather balloon in inglese), si parla – in genere – di piccoli palloni pressurizzati di lattice, di un paio di metri di diametro che possono essere lanciati da un singolo operatore o due o anche da un sistema automatico di lancio. Ne ho lanciati alcuni dall’Antartide ed è una procedura abbastanza semplice. In genere ascendono in verticale per poi esplodere ad una certa quota, portando come carico una radiosonda del peso di qualche etto che trasmette a terra alcuni dati meteorologici durante l’ascensione. A volte la radiosonde viene recuperato, ma di solito viene perduta. Se ne lanciano circa 900 da tutto il mondo, due volte al giorno, e i dati raccolti costituiscono un'informazione essenziale ai modelli software impiegati per produrre le previsioni del tempo.

Ci sono anche palloni di misura intermedia le cui missioni durano in genere poche ore, molto utili per testare strumentazione da lanciare in orbita. Ne lanciai uno per testare un sistema di acquisizione dati disegnato da me e gli diedi il nome della mia compagna, di allora e di oggi...

Esistono infine quelli superpressurizzati, cioè sigillati e mantenuti ad una pressione superiore a quella ambiente, che possono mantenere la quota per centinaia di giorni. In questo caso la pressione può cambiare a causa dell’insolazione diurna, e quindi anche la loro quota di crociera. Le foto pubblicate del "pallone cinese" sembrerebbero indicare che si tratta proprio del caso di questo tipo di pallone. Da notare che, essendo il materiale più spesso per resistere alla pressione interna a parità di volume questi palloni consentono un carico massimo inferiore a quelli zero-pressure.

Lancio di un pallone superpressurizzato dalla Nuova Zelanda. Anche in questo caso il pallone parte quasi sgonfio ma in quota si gonfia completamente assumendo la forma di una zucca. Il principale vantaggio è che essendo questo tipo di pallone sigillato, le perdite sono inferiori ed il volo dura più a lungo. Ma essendo il materiale più resistente il carico utile è ridotto.

I palloni per uso scientifico vengono lanciati da un numero limitato di siti al mondo. Molto noto quello di McMurdo in Antartide, la Long Duration Balloon Facility (LSDB) da cui vengono lanciati ogni estate australe molti strumenti scientifici che, grazie al vortice polare, rientrano più o meno alla base dopo uno o più "giri" intorno al polo.

Il lancio dei palloni stratosferici cui ho partecipato avveniva di solito appena prima dell’alba o la sera dopo il tramonto, nel momento in cui in molti luoghi, fateci caso, vi è spesso un breve periodo di calma di vento. Il pallone viene tirato fuori un'ora o poco più prima del lancio dalla grossa cassa di legno che lo contiene e steso su una lunga striscia di plastica. Poi viene attaccato l’enorme paracadute necessario per il rientro della gondola (così viene di solito indicato il carico, rigorosamente in inglese) e l'avionica di bordo. Quindi la gondola stessa viene appesa ad una grossa e potente gru semovente. In totale, il tutto può essere lungo oltre 300 m.

Dal momento in cui si stende il pallone non si può più tornare indietro senza sprecare il pallone, quindi bisogna avere la certezza che non si alzerà il vento e si possa lanciare. Quindi si comincia a pompare idrogeno attraverso dei lunghi manicotti attaccati in alto. Questi comincia piano piano ad innalzarsi, ma resta in genere quasi sgonfio, perché il gas si espanderà completamente solo alla quota massima, quando la pressione esterna sarà una frazione minima di quella al livello del suolo.

Una volta che il pallone era caricato della giusta quantità di gas, dopo un breve conto alla rovescia, veniva dato l’ordine di lancio. A quel punto tutto procedeva rapidamente: nel nostro caso la gru cominciava ad accelerare a grande velocità verso il pallone, a volte impennandosi su due ruote. Mi rimarrà sempre impressa l’immagine di questo oggetto enorme che si eleva, il rumore della gru lanciata a tutta velocità e la grande concitazione del momento. Il sincronismo di tutte queste operazioni è essenziale, anche perché la grande quantità di idrogeno rende la situazione intrinsecamente pericolosa. Basta un errore e può avvenire una catastrofe. Una volta mi raccontarono che un operatore rimase impigliato in una corda del paracadute: potete immaginare che fine fece (1).

(1) Sorprendentemente, non sono molti i filmati e le foto disponibili online di un lancio, ma se si vuole comprendere la sequenza di lancio un buon esempio è fornito dalla Canadian Space Agency qui. Un altro è il film prodotto per il lancio di BLAST, il Balloon-Borne Large Aperture Sub-millimeter Telescope dalla Long Duration Balloon Facility LDBF) a McMurdo, in Antartide. Il film è a pagamento ma già dal trailer si comprende come funziona più o meno un lancio. L'unica differenza rispetto ai lanci cui ho partecipato è che in questo caso lo strumento viene mantenuto immobile mentre il pallone si innalza in cielo.

Un'altra volta, proprio alla base di Trapani Milo, si verificò una piccola fuga di gas tra la flangia metallica superiore, che “chiude” il pallone, e lo strato di mylar nei primi istanti dell’ascensione. Nessuno se ne accorse ma dopo un po’ la carica elettrostatica creata dal getto di idrogeno tra flangia e mylar provocò una scintilla ed il getto di idrogeno prese fuoco. Niente Hindenburg, ci vuole il giusto mix di Hed O2 per quello, ed era già giorno al lancio, per cui la fiamma era quasi invisibile. Però il pallone ricadde a terra, distruggendo il telescopio X a bordo, frutto del lavoro di anni di un gruppo italiano che guardò la scena con orrore da poche centinaia di metri, fece dietrofront e senza dire nulla si incamminò verso l’hangar. Pare che una partita di palloni di una marca molto nota (famosa per la costruzione di canotti gonfiabili...) avesse questo difetto.

Ci fu anche un gruppo che progettò un piccolo telescopio tenuto in equilibrio in cima a questa flangia invece che appeso al pallone, in modo da avere la visuale completamente libera. Si chiamava appunto Top Hat ("cappello a cilindro"), ma non ebbe grande successo e l’idea venne accantonata a quanto ne sappia.

Una volta superata una certa quota i palloni seguono le correnti a getto o comunque le correnti prevalenti di alta quota (c'è una differenza tra le due) ed è possibile prevedere dove andranno. Intendiamoci, la previsione non è perfetta, ma oggi i modelli sono estremamente più accurati. Girava voce tra “pallonari” (lanciatori di palloni) negli anni ‘80 che se si lanciava per esempio da Palestine in Texas il NORAD li avrebbe abbattuti se si avvicinavano a certe aree sensibili. Ad una verifica più attenta, oggi che è disponibile internet, potrebbe essersi trattato di un caso di “balla” lanciata da... “pallonari”. Ma a quanto si diceva ai tempi accadde più volte. Non so cosa si usasse per abbatterli, dato che la quota di volo era MOLTO più elevata di quella raggiungibile dal proverbiale F-16. Lo sviluppo degli U-2 fu anche dovuto alla necessità di avere un controllo più puntuale della traiettoria rispetto a quello dei palloni, e di proteggerli dalla contraerea.

Le correnti a getto (jet stream) sono forti correnti che si formano ad alta quota. Sono disponibili servizi di previsione molto accurati, come per esempio www.netweather.tv/charts-and-data/jetstream.

La previsione della traiettoria di un pallone stratosferico era possibile già allora con una notevole precisione. Alla fine degli anni '80 collaborai al lancio di un telescopio su pallone chiamato ARGO dalla base dell'Agenzia Spaziale Italiana di Trapani-Milo. La quota elevata e la relativa economicità dei lanci di pallone, oltre alla possibilità di recuperare il carico, rendono queste piattaforme estremamente interessanti per l'astronomia, soprattutto a certe lunghezze d'onda alle quali l'atmosfera è per lo più opaca. L'esperimento era diretto dal Prof. Paolo de Bernardis, dell'Università di Roma La Sapienza, che aveva grande esperienza nel lancio di palloni e che anni dopo avrebbe lanciato dalla base di McMurdo in Antartide il telescopio BOOMERAnG, un esperimento di cosmologia che ebbe un enorme successo (e che è un capolavoro anche per l’acronimo usato: Balloon Observations Of Millimetric Extragalactic Radiation And Geophysics, visto che ritornava vicino alla zona di lancio guidato dal vortice polare e aveva a bordo anche un magnetometro ad alta sensibilità che giustificava la G finale...).

Per il progetto ARGO avevo curato per intero il disegno e la costruzione del sistema di acquisizione dati: hardware, software e sistema di controllo termico pressurizzato, non banale a quella quota. Tutto digitale, una novità visto che prima di allora il gruppo impiegava un registratore a nastro Nagra, di cui si recuperava la bobina. E tutto fatto in laboratorio con le poche risorse a disposizione, cercando di minimizzare il peso e la potenza elettrica richiesta (l'alimentazione era a base di costosissime batterie al Litio). Una volta testato il sistema nella base ASI, salutai i miei colleghi, presi un aereo e volai in Spagna, in una località dell’Andalusia vicino a Huelva, sulla costa atlantica. Lì vicino c’era una base militare, El Arenosillo, dalla quale si lanciavano missili suborbitali, dove si attendeva l’arrivo del pallone, guidato appunto da una corrente a getto transmediterranea (2).

(2) Dalla stessa base potrebbero essere lanciati quest'anno i primi razzi suborbitali recuperabili europei, i Miura. Vedremo!

Era agosto, faceva un caldo bestiale ma confesso con un po’ di imbarazzo che si trattò di una bellissima “vacanza". La mattina infatti chiamavo la base di Trapani-Milo per sapere se avevano lanciato. Per due settimane mi risposero di no a causa delle condizioni meteo non favorevoli o di qualche problema tecnico. A quel punto prendevo la macchina e andavo a vedere qualcosa nei dintorni, o a leggere un libro in piscina. Così visitai per bene Sevilla, Cadiz, Huelva, ecc.

Un giorno però la vacanza terminò: la sera prima infatti, alle 22:45, il telescopio era stato lanciato. Raggiunta la quota di crociera il pallone “salì” sulla corrente a getto e si incamminò verso la Spagna...

Il giorno dopo ad Arenosillo cominciammo a ricevere la telemetria del pallone. E' importante seguirlo per controllare i dati di "housekeeping", che misurano le condizioni di volo (temperatura, quota, etc.) e per raccogliere almeno alcuni dati nel caso il mio sistema non avesse funzionato. Ma anche per verificare la direzione e prevedere quando dare il segnale di sgancio della gondola, che "taglia" anche il pallone, in modo che cada a terra e non rappresenti un pericolo per la navigazione aerea. Il momento dello sgancio della gondola va deciso con cura, in quanto determina dove il pallone atterrerà. Bisogna infatti minimizzare la possibilità che cada su centri abitati, nell'oceano, o in corsi d'acqua, anche se questa possibilità non è mai nulla.

Il pallone si avvicinava sempre più, seguendo perfettamente la traiettoria prevista. Nella piccola control room vicino alla spiaggia fissavamo con attenzione i vari monitor e rack di elettronica. Ad un certo momento però dissi, nel mio stentato spagnolo: "ragazzi, scusate, ma se sta lì... non dovrebbe essere perfettamente visibile ad occhio nudo??". Uscimmo, era il tramonto e il pallone proveniva da Est. Guardando in cielo si vedeva chiaramente un grosso cerchio bianco, illuminato perfettamente dal Sole. Non grande come la Luna ma MOLTO più grande e brillante di qualsiasi oggetto visibile in cielo. Abbastanza inquietante, direi. Perché lo racconto: perché questo dimostra che la stabilità delle correnti a getto permetteva anche allora di prevedere abbastanza agevolmente il punto di arrivo. La distanza tra Milo e e Arenosillo è infatti di circa 1.700 km, ma il pallone era giunto a non più di una decina di km dal punto di arrivo previsto, un errore del 5 per mille!

Aspettammo ancora un po' e poi, in base ai venti locali, inviammo il comando di sgancio. A quella quota la pressione è talmente bassa che il carico viene giù praticamente in caduta libera per circa 20 km, appeso all'enorme paracadute, che rimane chiuso. Proprio per questo sono stati usati palloni per avere qualche decina di secondi di "microgravità" a basso costo. Lo vedemmo quindi volare giù come un sasso, fino a quando quasi di colpo il paracadute bianco e rosso si aprì, e cominciò a fluttuare di nuovo nel cielo.

Al momento dell'apertura del paracadute, a circa 20 km di quota, gli accelerometri di bordo registrarono, se non ricordo male, accelerazioni di 9 g, non poco per la struttura. Il pallone invece, squarciato, cambiò improvvisamente forma, cominciando a sciabolare nel cielo. Si racconta che una volta, in Francia, un pallone atterrò su un casolare di campagna, coprendolo completamente: la mattina il contadino aprì la finestra e scoprì di essere avvolto in un involucro di costosissimo mylar - quasi 10 ettari - perfetto per coprire una serra. Sembra che si mise d’accordo con il CNES, l'agenzia spaziale francese, che non avrebbe denunciato i danni se gli fosse stato permesso di tenerselo per sé.

Ma torniamo in Andalusia. Il problema è che non fummo i soli a guardare quell'insolito fenomeno. Tutta la regione, incluse molte cittadine, ci fece caso. Molti, impauriti, intasarono le linee telefoniche chiamando la Guardia Civil, convinti che fossero arrivati gli alieni. Noi avevamo comunicato la cosa e quindi teoricamente non ci sarebbero stati problemi ma il carico veleggiò appeso al suo grosso paracadute bianco e rosso, passando sopra alcuni remoti villaggi di una zona rurale vicino Cadiz. Alcuni contadini lo videro, caricarono le loro cose sul carretto trainato da un asino e lasciarono casa terrorizzati.

Il giorno dopo, all'alba, una lunga carovana di auto, camion, gru etc. partì alla ricerca del telescopio, localizzato da una ricognizione aerea la sera precedente ad Ovest di un antico paesino Andaluso, Montellano. Un'altra volta, in Francia, ero andato anch'io a cercare la gondola con un piccolo Piper bielica in una zona remota dei Pirenei. Divertentissimo, ma questa volta avevo un altro incarico: dovevo smontare il sistema di acquisizione dati per riportarlo a Roma, e purtroppo non potei partecipare alla ricerca, che includeva voli a bassissima quota per scattare foto delle condizioni della gondola.

Attraverso la rete di strade bianche della finca (fattoria), raggiungemmo finalmente il punto più vicino possibile al telescopio, che giaceva accanto ad un boschetto: la scena sembrava presa da un film di fantascienza di serie B. Eccolo li, col suo grande specchio di alluminio, il telaio lucente inclinato su un lato. Con il camion non ci si poteva avvicinare di più, e la distanza, un duecento metri, andava coperta a piedi sul terreno appena arato.

Scendere dal camion, prendere qualche foto, smontare il sistema di acquisizione, impacchettarlo e tornare a casa. Semplice no?

Non esattamente.

Una piccola mandria di giovani tori da corrida, probabilmente incuriositi dal curioso manufatto, pascolava a una decina di metri dal telescopio. La zona veniva infatti utilizzata per l'allevamento di tori Miura da combattimento. Guardai le sagome di quegli enormi bovini. Erano talmente grossi e neri da sembrare letteralmente buchi tagliati nel paesaggio. Seduto accanto al posto di guida di uno dei camion, guardai l'autista e chiesi "e adesso come si fa?". Costui, un omaccione con la faccia rotonda, mi guardò ridendo, mi diede alcune “amichevoli" pacche sulla spalla e rispose "No te preocupes. ¡Muévete lentamente y no les mires a los ojos!" ("Non ti preoccupare, muoviti piano e non guardarli mai negli occhi!").

Facile a dirsi! Cercai di assicurarmi che non ci fossero pericolosi malintesi dovuti al mio incerto castigliano. Guardai con particolare orrore la piccola cassetta degli attrezzi che mi ero portato dall’Italia per fare il mio lavoro, dipinta di... rosso (3). Ma ero giovane e un po' ingenuo, e mi scocciava mostrare di essere un fifone al camionista spagnolo, e alla fine scesi dal camion.

(3) Si, oggi lo so che i tori non sono sensibili al rosso. Ma ai tempi i telefoni cellulari non esistevano, ed assicurarsi che ai tori mancassero i conetti nella retina non era proprio facile...

Mi incamminai incerto tra le zolle. La piccola mandria – 7 o 8 di quei bestioni – smise di ruminare e mi guardò con l'aria di una gang che guarda avvicinarsi un fighetto in giacca e cravatta col Rolex al polso, alle tre di notte, nel Bronx.

Percorsi quei 200 metri circa in un silenzio glaciale, col cuore in gola, evitando con cura di intercettare anche solo per sbaglio lo sguardo di uno di loro, sotto il sole cocente dell’estate andalusa (45 gradi) chiedendomi se per caso i cari amici spagnoli volessero solo fare una battuta e fossero rimasti sconcertati al vedere che ese italiano imbécil ci avesse creduto veramente!

Giunto alla gondola, notai qualche familiare LED acceso. Buon segno, pensai. Cominciai a controllare con nonchalance lo stato del telescopio e a scattare foto con la mia vecchia Nikkormat. Avvertivo il respiro pesante e l'odore di muschio degli enormi bestioni neri, che avevano ripreso a ruminare a pochi metri di distanza. C'era qualche danno prodotto dal Sole concentrato dal primario su alcuni cavi, ma niente di irrecuperabile. Il terreno era morbido per l'aratura, gli impattatori di cartone ondulato, che si schiacciavano all'atterraggio, avevano protetto la struttura dall'impatto e l'atterraggio non aveva prodotto gravi danni, anche grazie alla mancanza di vento. Presi cacciavite e chiavi inglesi, muovendomi piano e cercando di non creare troppo disturbo alla mandria, e cominciai a smontare il sistema di acquisizione e a smontare i dischi rigidi.

Raccolsi tutto e con molta, moltissima calma mi incamminai verso il camion. Vedevo le facce dei "cari" colleghi spagnoli fissarmi al sicuro della cabina del camion. L'impressione è che ridacchiassero, ma non feci molta attenzione a questi dettagli visto che stavo camminando volgendo le spalle ad una mandria di tori da corrida.

Tutto andò bene, comunque: gli spagnoli avevano ragione. Di nuovo al sicuro nel camion, con i preziosi dischi rigidi in mano, altre pacche sulle spalle, altre gran risate. Un grosso elicottero agganciò la grossa struttura e la caricò sul pianale del camion. Sulla via del ritorno ci fermammo in una piccola trattoria di campagna a mangiare bocadillos e a bere vino tinto per festeggiare il successo della missione. Me ne stavo un po' da una parte a guardare gli spagnoli (capivo poco cosa dicevano). E sarà per la tensione accumulata, e magari per il contributo offerto dall'ottimo tinto, ma ricordo ancora quel pranzo sotto la pergola per il totale stato di flow mentale in cui mi trovai. Ero sopravvissuto, tutto era andato a buon fine, i dati erano al sicuro, pronti per essere analizzati. Fatto sta che non dimenticherò mai quel meraviglioso momento di assoluta felicità.

A volte le cose vanno anche peggio: questo è quel che resta di BETTII, un innovativo esperimento lanciato nel 2017 da Palestine, Texas dopo un guasto al meccanismo di sgancio del paracadute che lo fece cadere da 41 km di altezza senza paracadute (fonte).

2022/07/14

Stanno arrivando DMA e DSA, due leggi UE per difendere i nostri diritti digitali

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Qualche giorno fa il Parlamento Europeo ha adottato due proposte di legge che dovrebbero tutelare maggiormente le persone online e che impongono nuove regole alle aziende big tech. Queste proposte si chiamano DSA e DMA, Digital Services Act e rispettivamente Digital Markets Act, e dovrebbero entrare in vigore in autunno. Sono leggi europee, ma non riguardano soltanto chi vive e lavora nell’Unione Europea.

Per parlarne ho chiesto una sintesi a Francesco Gabaglio, che è un giornalista che lavora per Cult+, il magazine culturale online della RSI, e si occupa spesso di come la tecnologia influenza la nostra cultura e viceversa. E questo è proprio uno di quei casi. Trascrivo qui quello che dice Francesco:

Ciao Paolo, grazie per questo spazio. In effetti abbiamo parlato di queste due leggi di mercoledì sulla nostra pagina Instagram [linkata qui sotto] perché sono leggi che, per come sono state scritte, avrebbero un impatto veramente enorme su tutta l’industria di Internet e non solo nell’UE. Il loro scopo da una parte è quello di tutelare maggiormente gli utenti online; dall’altra è quello di facilitare la concorrenza, e infatti si applicano soprattutto alle aziende big tech, quindi Meta, Google, Apple, Twitter e TikTok, soprattutto.

Cominciamo dalla prima legge, la più sostanziosa, che è il DSA o Digital Services Act. Come prima cosa il DSA pone un freno alla profilazione; vieta alle grandi piattaforme di usare i dati personali particolarmente sensibili, come lo stato di salute, vieta la pubblicità mirata ai minorenni, e obbliga le piattaforme anche a fornire un sistema di raccomandazione non basato sulla profilazione (quindi, primo tra tutti, per esempio, un feed cronologico).

Poi c’è il capitolo rimozione dei contenuti. Quello che fa il DSA è renderla più veloce, fondamentalmente. Le piattaforme continueranno a non essere responsabili legalmente per i contenuti postati dagli utenti ma dovranno subito eliminare i contenuti illegali, e per farlo dovranno rispondere anche a richieste di rimozione da parte delle autorità giudiziarie e di polizia, e questo è forse il punto più critico, che preoccupa di più attivisti ed esperti. 

Ci sono poi altre misure che favoriscono la trasparenza: le piattaforme dovranno spiegare alle autorità come funzionano i loro algoritmi e quali rischi presentano, e poi questi rischi verranno valutati da un organismo dell’UE, che non esiste ancora (ma ci arriviamo dopo).

Ultima vittoria per gli utenti, poi, i dark pattern saranno vietati. Cioè quei trucchetti che alcune aziende usano per spingerci a fare certe scelte nelle opzioni, nascondendo i pulsanti, rendendo complicatissimi i menu di scelta dei cookies; ci siamo capiti, insomma. 

Passiamo poi al DMA, che è la seconda legge, il Digital Markets Act. Qui lo scopo invece è evitare i monopoli e facilitare la concorrenza. La misura che più ha fatto discutere è quella di obbligare le piattaforme a permettere l’utilizzo di app di terze parti per accedere ai propri servizi, quindi permettere fondamentalmente l’esistenza, per esempio, di un client non ufficiale per WhatsApp. Ed è un punto problematico per quanto riguarda la sicurezza, perché non si capisce bene come potrebbe essere gestita la crittografia end-to-end, per esempio. Staremo a vedere.

Altra misura che citerei è il divieto di tracciare gli utenti fuori dalla propria piattaforma senza esplicito consenso, e qui pensiamo ovviamente a Meta.

Ecco, queste sono alcune delle misure. Le proposte di legge sono lunghe 450 pagine.

Facciamo un bilancio. La prima buona notizia è che queste sono buone leggi per gli utenti: perlomeno ne sono convinti analisti e attivisti per i diritti online come l’Electronic Frontier Foundation. L’altra buona notizia è che anche la Svizzera probabilmente ne beneficerà, perché nessuna grande azienda vuole sviluppare policy e servizi diversi per ogni paese. La cattiva notizia è che il difficile arriva ora: l’UE e gli stati membri dovranno prima di tutto decidere chi e come dovrà implementare e far rispettare le leggi. Il successo di queste leggi, soprattutto all’inizio, dipenderà da come le aziende reagiranno. La speranza è che per evitare le salatissime multe previste (si parla fino al 10% del reddito annuale) si adattino a queste leggi prima ancora che l’UE abbia un meccanismo completamente funzionante.

Cult+ ha creato per il proprio profilo Instagram (@rsicultplus) un post apposito che può essere utile da condividere con chi usa questa piattaforma social e vuole sapere cosa cambierà nei prossimi mesi nella nostra vita digitale:

Speriamo che queste leggi riescano a mettere in pratica i loro sani princìpi in maniera meno complicata e frustrante di quanto è successo con le normative sui cookie, che ci hanno trasformati tutti in formidabili cliccatori compulsivi sul pulsante Accetto di tutti i siti che visitiamo ma non ci hanno insegnato granché sulla difesa del nostro diritto a non essere spiati, schedati e classificati.

2022/04/03

Quando alla NASA girano i volani: come variare l'assetto di 420 tonnellate in orbita

Ospito con molto piacere un nuovo articolo scritto per questo blog dall’amico Paolo G. Calisse, astronomo che ha lavorato per vari progetti come ALMA, Simons Observatory, CTAO e primo italiano a trascorrere un anno intero al Polo Sud, sempre lavorando come astronomo al locale osservatorio. In questo articolo spiega bene un aspetto poco conosciuto delle attività spaziali e in particolare della Stazione Spaziale Internazionale: come si mantiene o si cambia l’assetto di un veicolo spaziale orbitante? – Paolo

Giroscopi e ruote di reazione

Alcune recenti dichiarazioni riguardanti la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) fatte da Dmitry Rogozin, capo dell’Agenzia Spaziale Russa Roscomos, hanno suscitato un certo sconcerto tra gli appassionati del settore e nel grande pubblico. Una delle minacce derivanti da queste dichiarazioni sarebbe infatti quella di far rientrare la Stazione in maniera incontrollata, con la possibile caduta di frammenti su zone abitate, in caso di esclusione della Russia dagli accordi di collaborazione con NASA ed ESA a causa della guerra in Ucraina.

Rogozin ha infatti affermato che in caso di perdita dell’appoggio russo alla Stazione Spaziale Internazionale si renderà impossibile compensare la progressiva perdita di quota dovuta all’attrito aerodinamico (che esiste anche a 400 km dalla superficie terrestre, dove orbita la Stazione) senza l’ausilio delle navicelle russe. Questa operazione viene detta reboost.

Già deorbitare la ISS alla fine della sua vita operativa sarà comunque un’operazione estremamente delicata, che richiederà un’accurata pianificazione per scongiurare rischi per la popolazione a terra e tre veicoli spaziali per un rientro prevedibile e sicuro. Ma nel discutere la questione l’attenzione si è appuntata sui reboost (si vedano per esempio gli articoli già pubblicati su questo blog). Come spiegato da Paolo Attivissimo, questo problema sarebbe eventualmente risolvibile usando i retrorazzi di capsule USA. C’è da dire, però, che questa operazione, se compiuta dalle navicelle USA disponibili oggi (Dragon, Cygnus) o anche in un futuro vicino (Dream Chaser), sarebbe per ragioni di progettazione meno efficiente rispetto a quanto possibile tramite le navicelle russe Soyuz e Progress. Per dirla con Joel Montalbano, ISS Program Manager:

Le navicelle Cygnus sono progettate per fare il reboost, ma hanno bisogno dei propulsori russi per il controllo dell'assetto durante questa operazione. Così, mentre la navicella Cygnus si occuperà del reboost, i propulsori russi della Progress saranno attivi per aiutare il controllo dell'assetto. I propulsori della navicella Cygnus non sono abbastanza potenti da controllare l'assetto durante il reboost.

Le parole di Montalbano (Joel, non il noto commissario) sollevano un altro problema che andrebbe affrontato in caso di un eventuale ritiro del contributo russo dal progetto ISS: quello del mantenimento dell’assetto della ISS.

Alcuni lettori di questo blog, commentando gli articoli di Paolo, hanno chiesto come si cambia, o si mantiene, l’orientamento della ISS. La risposta è complessa. Infatti, a causa della massa e delle superfici molto estese in gioco ci sono diversi effetti tendenti a creare una coppia che fa ruotare la stazione spaziale nel corso di ogni orbita. I principali sono:

  1. Le forze mareali generate dall’attrazione della Terra sulla ISS e dovute al fatto che alcune componenti sono più vicine al nostro pianeta e altre più lontane, seppure di poco e
  2. L’attrito aerodinamico generato dal fatto che mentre la ISS ruota in genere in sincronia con la Terra, mantenendo sempre la stessa faccia rivolta verso la Terra (ovvero compiendo una rotazione lungo un asse per orbita), i pannelli solari inseguono il Sole, causando variazioni continue nel coefficiente di attrito aerodinamico.

Questi due effetti, insieme ad altri più sottili come la pressione generata dal vento solare e le disuniformità del campo gravitazionale della Terra nel corso dell'orbita, causano una coppia che tende a far perdere alla Stazione l'assetto richiesto, visto che il suo baricentro è in posizione diversa dal centro della risultante di queste forze. Questa continua tendenza a ruotare varia lentamente e costantemente, influenzando tra l'altro gli esperimenti in microgravità a bordo, che hanno bisogno di condizioni e di un assetto estremamente stabili.


Volare nel vuoto

Vediamo come questo effetto viene contrastato dal controllo a terra. È facile immaginare che ruotare un oggetto in orbita usando i retrorazzi richieda un notevole dispendio di propellente e, in aggiunta, produce gas di scarico che possono danneggiare le componenti esterne della stazione. Tuttavia il controllo d'assetto di un veicolo spaziale può essere operato in genere mediante dispositivi che usano energia elettrica, senza richiedere l'uso di "consumabili" a bordo. L'energia elettrica può essere infatti prodotta con pannelli solari o in alcuni casi con i TEG, o Thermo Electric Generator, che usano materiali radioattivi come sorgente di energia.

Per generare le forze necessarie alla rotazione nel vuoto (senza un punto di appoggio) si usano due tipi diversi di dispositivi: le ruote di reazione (dall'inglese reaction wheels) e i giroscopi. Entrambi fanno uso di masse in rotazione, ma si basano su princìpi abbastanza diversi. I giroscopi vengono spesso ritenuti uno strumento più utile a misurare l’assetto di un oggetto, come avviene da tempo in aviazione, ma come vedremo possono e vengono usati da tempo anche per modificarlo nello spazio vuoto, dove l’attrito è quasi nullo e non si può fare uso di superfici di controllo aerodinamiche.

Consideriamo quindi il caso specifico della ISS, che con la sua massa di circa 420 tonnellate (come 10 vagoni ferroviari) ed il suo enorme momento di inerzia dovuto alla sua grande estensione (quasi pari a quella di un campo di calcio) è di gran lunga l’oggetto più massiccio e complicato da "spostare" mai messo in orbita dall'essere umano. 

Fig. 1 - La Stazione Spaziale Internazionale a novembre 2021, vista dalla Crew Dragon Endeavour. Foto NASA JSC2021E064215.

Il metodo usato per il mantenimento dell'assetto dai controllori a terra è detto TEA, o Torque Equilibrium Attitude, che potrebbe essere tradotto con assetto in equilibrio di coppia. Questo metodo funziona brillantemente, gestendo l’attrito aerodinamico in modo da compensare la rotazione dovuta alla variazione di gravità e consentendo di mediare più o meno tutte le forze in gioco nel corso di un’orbita.

Tuttavia, per esempio durante le EVA (Extra Vehicular Activity, ovvero le attività extraveicolari richieste per la manutenzione o per l’installazione di dispositivi all’esterno della ISS) o il docking/undocking (attracco/sgancio) di una navicella, la stazione spaziale deve cambiare il proprio orientamento, per esempio per consentire alle navicelle in arrivo l’attracco lungo la direzione di volo e non provenendo dal basso. In questi casi può accadere che l’assetto debba essere tale da presentare una superficie molto grande nella direzione di avanzamento. Per consentire tali rotazioni bisogna quindi applicare un momento alla ISS e poi mantenere l’orientamento voluto in presenza di forze e momenti più elevati. Altre situazioni che possono determinare una coppia aggiuntiva sono per esempio l’emissione di gas (venting), necessaria per esempio per preparare al docking le linee di alimentazione.

Esaminiamo il funzionamento del primo di questi dispositivi usati per la rotazione di oggetti nello spazio, le ruote di reazione. Si tratta di nient'altro che volani, dispositivi che immagazzinano energia rotazionale conservando il momento angolare e che possono scambiare momento per fornire stabilità al veicolo spaziale.

Il principio di funzionamento di questi oggetti è abbastanza facile da comprendere: se si varia la velocità di rotazione del volano, la velocità di rotazione di un veicolo spaziale dovrà per forza di cose variare in modo da conservare il momento angolare complessivo. Ma c'è un problema: accelerare o decelerare una massa pesante richiede l’erogazione di notevoli quantità di energia. Ma soprattutto, la velocità di rotazione si accumulerà, arrivando a toccare prima o poi i limiti strutturali del dispositivo. Si dirà a questo punto che la ruota di reazione è saturata.

Una volta raggiunta la saturazione, si dovranno usare necessariamente i retrorazzi dell'RCS (o Reaction Control System) per riportare a zero la velocità, con conseguente consumo di propellente. Il problema delle ruote di reazione è anche che queste accelerazioni e decelerazioni richiedono quantità di energia superiori di ordini di grandezza rispetto a quelle richieste dai giroscopi, che come vedremo si basano su un principio diverso che le rende poco pratiche per masse come quelle della ISS.

Fig. 2 - Sistema di puntamento del Telescopio Spaziale Hubble. Ci sono sei giroscopi (che, come una bussola, puntano sempre nella stessa direzione) e quattro ruote di reazione. Si sono verificati diversi guasti a questi dispositivi. È probabile che costituiscano il limite di funzionamento di questo satellite (Credit: NASA, ESA, A. Feild e K. Cordes (STSci), e Lockheed Martin).

Un sistema alternativo impiegato per lo stesso fine è il giroscopio. Tali dispositivi dispongono di una grossa massa rotante montata su di un telaio (gimbal, in inglese) in grado di farne ruotare l’asse di rotazione applicando una forza. 

La differenza fondamentale rispetto alle ruote di reazione è che il volano, nel caso del giroscopio, ruota a velocità costante, risparmiando la quantità di energia elettrica necessaria per accelerarlo e decelerarlo. Il risultato è un sistema di controllo dell’assetto non solo più efficiente ma anche più preciso nel puntamento. Tecnicamente questi dispositivi vengono indicati come CMG, o Control Moment Gyroscopes, per indicare sia il giroscopio vero e proprio che la piattaforma che lo contiene (vedi Fig. 3 e 4).

Fig. 3 - Un’immagine del CMG della ISS aperto durante il commissioning a terra. I quattro volani sono contenuti all’interno delle strutture dipinte di nero.
Fig. 4 - Un giroscopio guasto della ISS viene sostituito dagli astronauti Soichi Noguchi e Stephen Robinson durante la missione STS-114 del 2005. L’immagine dà un’idea delle grandi dimensioni dei volani presenti a bordo della ISS.

Come noto, un oggetto in rapida rotazione tenderà a mantenere il proprio asse di rotazione in direzione costante, come avviene per una trottola. Per modificare l'assetto della ISS si applica una forza al gimbal che supporta il volano. Questa forza produce un momento perpendicolare sia alla forza applicata che all’asse di rotazione della massa inerziale. Ciò fa sì che la ISS debba ruotare per conservare, ancora una volta, il momento angolare complessivo del sistema. Si può comprenderne il principio cercando di cambiare l’asse di rotazione di una ruota di bicicletta in rotazione, tenuta con le mani tra le proprie braccia tese: si noterà che la ruota tenderà a ruotare non come ci si aspetterebbe, ma in direzione perpendicolare sia alla forza applicata che all’asse di rotazione.

Il sistema CMG della ISS è montato nel modulo Z1 Truss, il primo elemento ad essere messo in orbita (nell’ottobre del 2000 con la missione STS-91), che si trova approssimativamente al centro dell’intera struttura e contiene quattro volani del peso di 98 kg l’uno, che ruotano a 6600 rpm nominali.

Fig. 5 - Esploso della Stazione Spaziale Internazionale. L'Integrated Truss Structure Z1, dove è installato il CMG, è indicato dal cerchio rosso (Credit: NASA).

Quando sono in posizione neutrale (coppia nulla e posizione iniziale), gli assi di rotazione di questi quattro grossi volani puntano verso il centro del quadrato. Ogni volano gira in direzione contraria a quello opposto, generando in totale una coppia nulla. Se invece si vuole far ruotare la ISS o cambiare il suo assetto, si applica una forza al doppio gimbal sui quali sono montati i volani in modo che la ISS ruoti nella direzione voluta. 

Due giroscopi sarebbero sufficienti per ruotare la ISS in tutte le direzioni. Tuttavia averne quattro permette di avere una buona ridondanza ed efficienza nel sistema.

Fig. 6 - Funzionamento del CMG della ISS. A sinistra: i quattro volani in posizione neutrale. Al centro: parzialmente allineati. A destra: totalmente allineati per fornire la coppia massima disponibile.

Tutto bene, sembrerebbe, ma il problema è che prima o poi l’asse di rotazione del CMG si allineerà con la forza applicata. A quel punto il sistema non sarà più in grado di creare alcuna coppia e bisognerà riportare i giroscopi nella posizione iniziale e si dirà che il CMG è saturato. A questo punto, come già visto con le ruote di reazione, l’unica soluzione è utilizzare gli RCS, con conseguente consumo di propellente e produzione di gas di scarico.

La desaturazione del CMG avviene più di frequente dei reboost, soprattutto dopo operazioni come il docking (attracco) e l’undocking (sgancio) di una navicella, o una EVA (Extra Vehicular Activity) che, come già detto, richiedono una variazione nell’assetto della ISS, sia all’inizio che alla fine. In più, i retrorazzi dovranno puntare nella direzione giusta (altrimenti la ISS, invece di ruotare, cambierebbe parametri orbitali) e in maniera estremamente precisa per non creare rotazioni non volute.

Inoltre l’intero CMG deve essere estremamente affidabile per non incorrere mai in una saturazione completa con la ISS ancora in rotazione e per misurare con precisione la velocità angolare. Un satellite giapponese, Hitomi, realizzato con la partecipazione di NASA ed ESA, andò distrutto poco più di un mese dopo il lancio, nel 2016, a causa di una serie di malfunzionamenti ed errori progettuali presenti nel CMG di bordo che lo portarono a ruotare su se stesso a velocità tali da farlo disintegrare rapidamente. È chiaro che un rischio del genere è impensabile nel caso di un satellite con astronauti e/o cosmonauti a bordo come la ISS. Va anche considerato che se dovessero presentarsi dei problemi al CMG mentre la ISS è in rotazione su se stessa e fosse necessaria la desaturazione, sarebbe di fatto impossibile per una navicella di emergenza agganciarsi o sganciarsi dalla stazione, rendendo impossibile l’uso di retrorazzi.

Il sistema deve anche agire in “loop chiuso”, in quanto i razzi devono modulare la coppia con precisione per non consumare inutilmente propellente e per puntare in ogni istante nella direzione giusta. Le navicelle russe sono connesse al sistema direttamente. Le Dragon e le altre capsule USA, non essendo progettate per questo scopo, non sono al momento – a quanto ho capito, ma potrei essere smentito – in grado di garantire questo loop chiuso, il che richiederebbe una modifica progettuale importante.

Comunque sia, anche a causa della posizione dei retrorazzi su queste navicelle, l'operazione potrebbe non risultare molto efficiente. Ovviamente si potrebbe aggiornare una delle navicelle USA disponibili per svolgere questo compito al meglio. Ma la posizione dei retrorazzi sarebbe difficile se non impossibile da cambiare in un veicolo già in fase avanzata di progetto. Nella prospettiva realistica che la ISS venga decommissionata entro qualche anno e considerato il tempo tipico necessario per sviluppare, testare e validare anche minimi cambiamenti in questo settore, è improbabile che una soluzione arrivi in tempo utile.

Naturalmente questo scenario è ipotetico e resta altamente improbabile. Dichiarazioni a parte, le operazioni della Stazione Spaziale Internazionale continuano come al solito. Nonostante le minacce di Rogozin, astronauti e cosmonauti rientrano tranquillamente in Kazakistan. Insieme. Anche perché se proprio si volesse arrivare a dispetti reciproci e a voler danneggiare deliberatamente città ed infrastrutture di Paesi terzi al conflitto lo si potrebbe fare a terra molto più semplicemente. Senza dimenticare che, come notato da molte fonti, la Federazione Russa danneggerebbe prima di tutto se stessa e la sua unica possibilità di accesso allo spazio per molti e molti anni.


Paolo G. Calisse, astronomo ed appassionato di astronautica

2021/01/08

A proposito di coincidenze

di Paolo G. Calisse

Ci si può chiedere quale sia la probabilità che un evento del tipo di quello segnalato da Paolo in un suo precedente articolo - un personaggio del calibro di George Lucas che appare casualmente sullo sfondo di un video di YouTube - accada realmente. Ho tentato di fare una stima usando un approccio molto semplice e lineare. Potete farlo anche voi copiando l'algoritmo ottenuto più in basso in un foglio di calcolo e inserendo i dati di ingresso che ritenete più ragionevoli, per verificare se la coincidenza sia spettacolare o rientri tutto sommato nella normalità delle cose. La mia stima si basa ovviamente su un numero di assunzioni che discuto nel seguito.

Alla ricerca dell'algoritmo

Chiamiamo per prima cosa Nvid il numero di video ripresi per strada e disponibili su Youtube. Supponiamo per cominciare che Nvid = 1.000. Assumiamo inoltre che ci siano Nvip personaggi noti del calibro di Lucas che saremmo sorpresi di incontrare in uno di questi video e che Nvip = 1.000. Troppi? Pochi? Ne discuteremo più oltre. Per semplicità, possiamo ritenere che tali VIP siano distribuiti uniformemente su tutto il territorio USA, dove Ntot = 328 milioni di persone, e che seguano le stesse abitudini di noi comuni mortali nel circolare per strada: orari, distribuzione, etc. In mancanza di informazioni più precise non possiamo fare altro che accettare questa assunzione, su cui comunque torneremo in seguito.

Ora, se ci sono Nvip volti noti distribuiti uniformemente tra Ntot persone, la probabilità che qualcuno sia un VIP sarà Nvip/Ntot e quindi la probabilità - molto alta - che non lo sia:

1-Nvip/Ntot

Infatti la somma delle probabilità di non conoscere o di conoscere almeno una persona deve essere per forza di cose pari ad uno.

Immaginiamo adesso che in ogni video si vedano in genere Np persone riconoscibili passare sullo sfondo. Assumiamo per adesso che Np = 10. Si tratta probabilmente di una grossolana sottostima, considerata la durata tipica di molti di questi video.

Ora, se i video sono Nvid, il numero totale di persone riconoscibili che passano sullo sfondo del numero totale di video disponibili sarà Nvid*Np. A questo punto non dovrebbe essere difficile convincersi che la probabilità che nessuno di costoro sia un volto noto sarà:

(1-Nvip/Ntot)*(1-Nvip/Ntot)*...*(1-Nvip/Ntot)

dove il prodotto viene ripetuto Nvid*Np volte ovvero

(1-Nvip/Ntot)^(Nvid*Np)

che è il prodotto della probabilità che ciascuna delle persone visibili in tutti i video disponibili sia un comune mortale. A questo punto per sapere qual è la probabilità che almeno uno di costoro sia un volto noto basterà semplicemente calcolare la differenza tra uno e la probabilità precedente. Si ottiene quindi:

P = 1-(1-Nvip/Ntot)^(Nvid*Np)

che ci consente di stimare la probabilità di scoprire un volto molto noto all'interno di uno di quei video.

Proviamo adesso a inserire in questa semplice formula le stime precedenti:

  • Nvip = 1.000 = personaggi noti quanto Lucas presenti sul territorio USA in ogni momento. Questo numero includerà politici, sportivi famosi, personaggi dello spettacolo, etc.
  • Ntot = 328.000.000 = popolazione USA
  • Nvid = 1.000 = numero totale di video abbastanza popolari disponibili su YouTube e registrati in pubblico
  • Np = 10 = numero medio di persone che passano sullo sfondo di ciascuno di quei video.

Il risultato che si ottiene inserendo questi dati nell'algoritmo che ho ottenuto sarà un misero P1 = 3%. Sembrerebbe quindi che in effetti la probabilità di vedere almeno un volto noto passare per caso sullo sfondo di uno dei video presenti su YouTube sia piuttosto bassa, anche ammettendo che vengano riconosciuti tutti.

Ma a pensarci bene VIP e riprese non sono distribuiti a caso su tutto il territorio USA ma accentrati in luoghi specifici. Difficile infatti trovare un video del genere di quello mostrato girato nelle sconfinate praterie USA o in un microscopico villaggio del Midwest o dell'Alaska. Molto più probabile trovarne di ambientati per le strade del centro di Los Angeles o New York.

Assumiamo allora che gli stessi video vengano girati tutti nelle 10 più popolose aree urbane USA, ovvero Los Angeles, New York, Chicago, etc. fino alla già meno nota San José. In questo caso Ntot = 26 milioni di abitanti. Probabilmente stiamo ancora sovrastimando il modo con cui si comportano questi VIP, certamente più abituati a frequentare grandi alberghi o quartieri altolocati che malfamate e insicure periferie cittadine. Comunque sia, assumiamo che in queste 10 città vi siano in ogni dato momento almeno 1.000 VIP. In effetti solo Los Angeles e New York ospitano probabilmente centinaia di attori che vivono e lavorano in un'area ristrettissima popolata da pochi milioni di abitanti.

Applicando lo stesso algoritmo con i nuovi dati:

Nvid = 1.000

Np = 10

Nvip = 1.000

Ntot =26.000.000

il risultato cresce ad un sorprendente P2 = 32%.

In alternativa, considerato che YouTube ospita circa 2 miliardi e mezzo di video, è certamente possibile che vi siano però almeno 10.000 video girati in pubblico e che abbiano un numero di visitatori tale da permettere a qualcuno di notare una persona importante sullo sfondo. Anche considerato che il "pyroprocessing" non è esattamente un argomento alla moda e nonostante questo il video considerato nell'articolo cattura l'attenzione di oltre 4 milioni di spettatori!

Se così fosse la probabilità di avere almeno un video con un VIP sullo sfondo crescerebbe fino alla quasi assoluta certezza: P3 = 98%.

Sono possibili altre variazioni sul tema. Per esempio si può assumere che il numero di VIP resti uguale a prima ma che il numero di video sia superiore di altrettanto (Nvid = 10.000).

Nvid = 10.000

Np = 10

Nvip = 1000

Ntot = 26.000.000

In tal caso il risultato salirebbe alla quasi certezza

P3 = 98%.

Si può anche essere meno "ottimisti" e considerare il caso di 10.000 video ma 100 VIP che si aggirano per le 10 città più importanti. In questo caso

Nvid = 10.000

Np = 10

Nvip = 100

Ntot =26.000.000

la probabilità torna ad essere straordinariamente simile al caso P2: P4 = 32%. La similarità tra i due casi è abbastanza sorprendente in effetti e dovuta anche all'arrotondamento.

Noto infine che il risultato dipende unicamente da Np*Nvid e Nvip/Ntot, non dai 4 dati in ingresso. Quindi, fino a quando questi due fattori restano identici, il risultato sarà sempre lo stesso.

Nella figura che segue ho riportato tutti i casi che ho considerato. Copiando l'algoritmo il lettore può divertirsi a trarre le proprie stime.

Conclusioni

Se questa stima non è in grado di valutare con precisione sufficiente quale sia la probabilità di individuare un qualche VIP per caso su YouTube, mostra tuttavia che con una scelta comunque ragionevole dei parametri in gioco la probabilità di trovarne prima o poi uno non è così bassa come si potrebbe ritenere a prima vista.

Si potrebbe anche obiettare che in realtà la probabilità che cerchiamo sia quella di trovare George Lucas, e non "un VIP qualsiasi" sullo sfondo di un video. Ma attenzione, bisogna stare attenti a definire correttamente la peculiarità di quel video: l'aspetto curioso non è che Lucas sia stato ripreso fortuitamente in un video che parla di pyroprocessing, ma che un personaggio molto noto sia stato ripreso in un video abbastanza popolare presente su YouTube. Se infatti si fosse trattato di Ridley Scott, di James Cameron* o di uno fra le migliaia di personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura (immaginate di scorgere Stephen King, sapreste riconoscerlo?) o della politica, non sareste rimasti ugualmente stupiti?

E' anche interessante che lo stesso algoritmo può essere facilmente applicato, con qualche piccola variazione, a molte altre situazioni. Per esempio alla probabilità di incontrare un vecchio compagno di scuola per caso nella nostra città. Lascio al lettore questo facile esercizio.

* Come ho raccontato tempo addietro in un commento su questo stesso blog, mi è capitato per caso di conversare per diverse ore proprio con James Cameron, ma senza avere idea di chi fosse. In quell´occasione gli ripetei più volte, dopo che mi aveva detto di "lavorare nel cinema" e di "avere lavorato in film come Terminator" (almeno così mi era sembrato di capire con il mio pessimo inglese dei tempi) che... a me purtroppo i film di quel genere non sono mai piaciuti. Ma eravamo entrambi su un C-130 semivuoto diretto dalla base USA di McMurdo a quella di South Pole, non proprio una situazione comune. Il che rende questa analisi probabilistica del tutto inapplicabile.

2018/03/13

10 casi in cui il sistema solare ci ha ricordato che raccogliere campioni su altri corpi celesti è difficile

di Emily Lakdawalla The Planetary Society

Ho trovato questo articolo di Emily particolarmente stimolante ed ho deciso di tradurlo per il pubblico italiano, con il consenso esplicito dell'autrice e l'entusiasmo di Paolo Attivissimo. È una descrizione dei tanti casi in cui cose apparentemente banali a terra risultano estremamente difficili da completare nello spazio. Ma anche un tributo alla grande inventiva e tenacia dei tanti e spesso anonimi scienziati ed ingegneri che sono riusciti spesso a salvare missioni che apparivano in condizioni veramente disperate.

Un invito, insomma, a non perdersi mai d'animo.

-- Paolo G. Calisse - Simons Observatory Site Manager (Atacama, Chile)


Alcune delle più grandi scoperte della scienza dei pianeti del sistema solare si fondano sul gesto apparentemente semplice di raccogliere e analizzare frammenti di altri corpi celesti. I rover marziani come Curiosity sono piccoli laboratori che svolgono il loro lavoro a rotazione sul posto, mentre missioni come OSIRIS-REx sono ottimizzate per riportare campioni di materiale sulla Terra. Indipendentemente da quale sia l'obiettivo finale, la raccolta dei campioni è assai complicata. Ecco perché The Planetary Society ha collaborato con Honeybee Robotics per realizzare PlanetVac, un sistema di campionamento semplice, affidabile e a basso costo, progettato per funzionare in un numero di ambienti planetari molto vasto e diversificato. Nel 2013 abbiamo contribuito a finanziare un test di laboratorio di PlanetVac che si è concluso con un successo, e questa primavera stiamo aiutando Honeybee a far fare a questa tecnologia un ulteriore passo avanti. Annunceremo presto i dettagli.

Nel frattempo, stiamo rivedendo il concetto generale di campionamento planetario, che alcune volte non si è concluso come previsto. Comunque sia, quando le cose vanno male scienziati e ingegneri possono a volte estrarre dalle difficoltà risultati scientifici straordinari. Nel seguito ho elencato dieci casi in cui il sistema solare ci ha ricordato che la raccolta di campioni è difficile. Questo spiega perché The Planetary Society è così interessata a progetti come PlanetVac.


1. Quando la tua navicella spaziale per il ritorno di campioni non riesce nemmeno a lasciare la Terra


Phobos-Grunt, 2011 - Fonte: Ralf Vandebergh


La missione russa Phobos-Grunt venne lanciata nel 2011 per riportare a terra un campione di Phobos, un piccolo satellite di Marte. Nonostante il successo iniziale del lancio, i propulsori del secondo stadio non si accesero e l'orbita della navicella intorno alla Terra decadde nel giro di poche settimane fino a quando il veicolo non precipitò nell'oceano, portando con sé il primo tentativo cinese di inviare una sonda in orbita marziana e un esperimento della Planetary Society chiamato Phobos LIFE.

La relazione finale, pubblicata un anno dopo, rivelò che il veicolo spaziale era stato costruito con componenti elettronici che non erano né qualificati per l'ambiente spaziale né adeguatamente testati prima del lancio. "Il fallimento di Phobos-Grunt enfatizza la natura spietata dell'esplorazione spaziale, in cui scorciatoie nello sviluppo delle sonde, e specialmente nei test, possono risultare fatali" ha scritto il direttore esecutivo di The Planetary Society, Lou Friedman.



2. Quando per realizzare la camera campione non hai utilizzato i disegni corretti


Phoenix, 2008 - Fonte: NASA / JPL / UA / Texas A&M


Il lander Phoenix della NASA atterrò in un sito su Marte dove c'era ghiaccio d'acqua in prossimità della superficie. Il suo obiettivo era quello di scavare il terreno, raschiare il ghiaccio e consegnare il materiale agli strumenti di analisi disponibili a bordo. Uno di questi era TEGA, un analizzatore di gas termico evoluto. Durante il suo sviluppo, il team dello strumento notò un problema di progettazione con una staffa per le sue porte. Aggiornò i progetti ma non segnalò la modifica al costruttore, che realizzò la staffa secondo il progetto originale. Di conseguenza, le porte sopra le camere dei campioni si aprirono a malapena.

Si scoprì anche che il materiale che Phoenix stava cercando di trasferire era molto grumoso e appiccicoso, al punto di rifiutarsi di cadere dal cucchiaio di raccolta o di passare attraverso i setacci che proteggevano le camere del campione. Nonostante questo il team riuscì ad inserire materiale nella maggior parte delle camere campione prima che la missione terminasse, producendo buone conoscenze sulla chimica attuale del suolo marziano.


3. Quando un brillamento solare killer colpisce la sonda per il ritorno di campioni


 Haybusa, 2003 - Fonte: JAXA / ISAS

La sonda Hayabusa, dell'agenzia spaziale giapponese JAXA, venne lanciata il 9 maggio 2003 per raggiungere un piccolo asteroide vicino alla Terra e riportarne indietro un campione. La missione, molto all'avanguardia, utilizzava quattro motori ionici a energia solare come principale fonte di propulsione. La missione procedette senza problemi fino a quando il più grande brillamento solare della storia conosciuta esplose il 4 novembre. Il brillamento danneggiò i pannelli solari di Hayabusa, riducendo la potenza disponibile per i suoi motori a ioni, e danneggiò anche uno dei quattro motori. Nonostante ciò Hayabusa proseguì e, nonostante il ritardo causato dalla riduzione di potenza, raggiunse l'asteroide Itokawa nel settembre 2004.


4. Quando ottieni un po’ troppo materiale


Apollo 17, 1972 - Fonte: Ken e Angele Glover

Apollo 17 fu l'ultima missione umana sulla Luna e forse la più ambiziosa. Per la prima volta uno degli astronauti, Jack Schmitt, era un autentico geologo. Come per alcune precedenti missioni Apollo, Schmitt e il suo compagno Gene Cernan portarono con sé un rover con motori elettrici per percorrere lunghe distanze sulla la superficie lunare, alla ricerca di campioni di roccia e suolo selezionati con la collaborazione dello stesso Schmitt.

Sfortunatamente, nella primissima attività extraveicolare, un martello da geologo contenuto nella tasca della tuta di Cernan si incastrò nel parafango posteriore del rover, strappandolo via. Cernan fu in grado di riparare il parafango usando del nastro adesivo, ma la riparazione non durò a lungo e il rover si ricoprì di sabbia che ebbe numerosi effetti negativi, non ultimo dei quali il tempo prezioso per pulire tutto.

Ma mentre gli astronauti dormivano, le menti creative del Controllo Missione individuarono una soluzione. Incaricarono gli astronauti di creare un parafango di ricambio con nastro adesivo e delle mappe. La correzione tenne per 29 km. Quando la loro ultima attività extraveicolare si concluse, Cernan rimosse il parafango di ricambio per riportarlo sulla Terra.


5. Quando il tentativo di dare un pugno sulla ghiaia di un asteroide non funziona


Hayabusa, 2005 - Fonte: © LiVE Company Ltd.

Il brillamento solare non fu l'ultimo problema affrontato da Hayabusa. La sonda era stata progettata per ottenere campioni scendendo sulla superficie dell'asteroide, premendo una sorta di tubo per il campionamento contro il corpo celeste, e poi sparando un "proiettile" sulla superficie che avrebbe spinto un po' di ghiaia nel suo contenitore per i campioni di suolo. Hayabusa atterrò due volte, ma gli ingegneri conclusero in seguito che probabilmente il proiettile non fu mai sparato. Non sapevano quindi se avesse raccolto campioni o meno. Ma speravano che qualche campione potesse essere fluttuato nel contenitore durante il periodo inaspettatamente lungo trascorso vicino all'asteroide durante il primo atterraggio.

Tribolarono parecchio per riportare la navicella a casa nonostante una serie di problemi, permettendo alla capsula di rientrare sulla Terra il 13 giugno 2010. La sonda spaziale pesantemente danneggiata non poteva essere guidata con precisione al rientro sulla Terra e bruciò nell'atmosfera, ma la capsula atterrò in buone condizioni.


6. Quando trovi tonnellate di metano su Marte, ma poi scopri che l’hai portato con te


Curiosity, 2012 - Fonte: NASA / JPL-Caltech / MSSS, Mosaico/Elaborazione: Kevin M. Gill


Lo strumento più complesso di Curiosity è la suite per l'Analisi dei Campioni su Marte (SAM), che può analizzare sia rocce solide (polverizzate) che gas dall'atmosfera per misurarne la composizione chimica e isotopica. Un componente del SAM, lo Spettrometro Laser Regolabile (TLS), si concentra in particolare sulla misura dell'abbondanza di metano, anidride carbonica, acqua e di alcuni isotopi. La misurazione dell'abbondanza del metano era stata fortemente pubblicizzata. Quando TLS ha misurato per la prima volta l'atmosfera di Marte, ha trovato immediatamente una gran quantità di metano. Troppo, a dire il vero. Con una certa costernazione, il team di SAM scoprì che una camera del TLS aveva avuto una perdita sulla Terra, lasciando entrare un po' d'aria. L'aria della Florida (come la chiamano) conteneva il metano della Terra, tanto che coprì il segnale causato da quella di Marte. Fortunatamente, il team è stato in grado di sviluppare una soluzione alternativa per sottrarre gli effetti dell'aria terrestre dai risultati di Marte e ha misurato bassi livelli di fondo di metano su Marte con qualche sporadico picco.


7. Quando la navicella per il ritorno di campioni non si attacca al suolo


Luna 23, 1974 - Fonte: NASA / GSFC / Arizona State University

L'Unione Sovietica condusse un programma di ritorno automatizzato di campioni lunari di grande successo, ma in mezzo a tanti successi subì anche un notevole fallimento. Il 6 novembre 1974 Luna 23 scese sulla superficie lunare, ma subì seri danni durante l'atterraggio. Inviò dati per tre giorni, ma il trapano di campionamento, progettato per penetrare a 2,5 metri di profondità, non funzionò. Quando il Lunar Reconnaissance Orbiter fotografò il sito di atterraggio quasi quarant'anni dopo, rivelò la causa: Luna 23 si era ribaltato quando atterrò, condannando la missione. L'Unione Sovietica costruì e lanciò Luna 24 due anni dopo Luna 23, tentando di nuovo il campionamento nel Mare Crisium e alla fine ci riuscì, riportando sulla Terra 170 grammi di materiale il 22 agosto 1976.


8. Quando la navicella per il ritorno di campioni non si attacca al suolo, seconda parte


Philae, 2014 - Fonte: ESA / Rosetta / DLR / MPS per il team OSIRIS MPS / UPD / LAM / IAA / SSO / INTA / UPM / DASP / IDA


La missione Rosetta dell'ESA, la prima missione orbitale intorno ad una cometa, è stata un successo. Solo un aspetto di essa non ha funzionato come previsto. Tra i suoi numerosi esperimenti scientifici, Rosetta portava con sé un piccolo lander di nome Philae, progettato per atterrare sul nucleo della cometa, misurare le sue proprietà in situ, trapanarlo e trasferire i campioni ad un forno. Il forno avrebbe dovuto cuocere i campioni, rilasciando gas verso un gascromatografo/spettrometro di massa per l'analisi.

Sfortunatamente per l'esperimento, nessuno dei tre meccanismi destinati ad agganciare Philae alla superficie della cometa all'atterraggio funzionò. Di conseguenza il veicolo spaziale rimbalzò lontano dalla cometa a causa della sua debolissima gravità, e quando finalmente si fermò fu bloccato in una fessura con scarso accesso all'energia solare. La missione ha operato alcuni esperimenti durante l'ultimo giorno della vita operativa di Philae, ma probabilmente quest'ultima non ha funzionato. Immagini successive del lander di Rosetta mostrano Philae riverso da un lato: il trapano avrebbe campionato lo spazio vuoto. Nonostante le difficoltà, Philae è stata in grado di restituire alcuni risultati scientifici significativi e la missione Rosetta nel suo complesso è stata di grande successo.


9. Quando la navicella per il ritorno di campioni si schianta al suolo


Genesis, 2004 - Fonte: NASA / ARC

La missione spaziale Genesis doveva raccogliere campioni di vento solare e riportarli sulla Terra. Avrebbe dovuto entrare nell'atmosfera terrestre e, dopo una forte decelerazione al riparo da uno scudo termico, aprire un paracadute; poi, con una coreografia degna di un film d'azione, un pilota d'elicottero avrebbe dovuto afferrare il paracadute a mezz'aria, recuperando la capsula di ritorno e portandola delicatamente a terra.

Disgraziatamente il paracadute non si aprì a causa di un sensore installato in modo errato e la capsula di ritorno si schiantò sul terreno fangoso. Molti dei suoi preziosi e incontaminati campioni si frantumarono al momento dell'impatto, e l'aria sporca del deserto entrò all'interno della capsula. Gli scienziati espressero tuttavia la speranza che i campioni fossero recuperabili e in effetti si rivelarono per lo più intatti, anche se il loro recupero richiese un impegno maggiore rispetto a quanto originariamente preventivato. Il disastro dell'atterraggio ha decisamente rallentato il ritmo dei risultati scientifici della missione, ma alla fine la ricerca ha avuto successo.


10. Quando apri la capsula di ritorno dei campioni e scopri che è vuota


Hayabusa, 2010 - Fonte: JAXA / JSPEC

Sì, è la terza volta che torniamo alla povera sonda Hayabusa. Dopo che la navicella tornò sulla Terra, bruciando al rientro ma consegnando la sua capsula campione intatta al deserto australiano, la JAXA la riportò in Giappone, la aprì e trovò l'interno immacolato come quando la navicella spaziale era stata lanciata. Il "proiettile" sicuramente non aveva funzionato. Quindi tutto lo sforzo per mantenere la navicella danneggiata in funzione e riportare i campioni a terra era stato invano?

Fortunatamente, la storia di Hayabusa termina con un lieto fine: l'esame microscopico ha rivelato alcune minuscole particelle di polvere. Per la missione stessa venne anche inventata una speciale spatola in teflon da impiegarsi per tamponare delicatamente l'interno della capsula. Sono stati così raccolti 1.500 granelli di polvere, la maggior parte dei quali più piccoli di 10 micron.

Ma i laboratori di tutto il mondo erano già pronti a trattare esemplari così piccoli e preziosi grazie al successo della missione Stardust di campionamento di comete della NASA. JAXA ha quindi condiviso generosamente quei minuscoli campioni con i laboratori di tutto il mondo per l'analisi scientifica, e alla fine la missione ha ottenuto un grande successo scientifico.
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