Poco fa l’ESA ha tweetato che la capsula Orion della missione
Artemis 1 ha stabilito un record di distanza molto specifico.
L’ESA ci tiene molto a questo primato perché partecipa in maniera importante
alla missione Artemis fornendo il modulo di servizio che alimenta la
capsula Orion e le fornisce propulsione. Trovandosi a 401.798 km dalla
Terra, dice l’ESA, Orion ha battuto il primato di massima distanza
dalla Terra di un veicolo spaziale progettato per trasportare esseri umani e
fare ritorno.
La NASA e l’agenzia spaziale canadese sono meno cavillose e parlano
genericamente di
“record di massima distanza di un veicolo adatto a esseri umani”. Ma
sbagliano, e ha ragione l’ESA a pignoleggiare.
Perché sono necessarie tutte queste precisazioni? E chi deteneva il record
precedente?
“Progettato per trasportare esseri umani”
La prima precisazione è abbastanza facile da capire. Molte sonde spaziali
senza equipaggio sono andate ben più lontano, anche fuori dal Sistema Solare,
a quasi venti miliardi di chilometri (Pioneer e Voyager). Quindi
quello di Orion può essere un record di distanza soltanto nella
categoria ben più ristretta dei veicoli human-rated, ossia in grado di
trasportare un equipaggio con tutto il necessario per garantirgli la
sopravvivenza nello spazio: questo requisito esclude la Tesla Roadster
lanciata nello spazio verso Marte da SpaceX nel 2018, che trasporta soltanto
un manichino (almeno si spera) racchiuso in una tuta spaziale ma non sarebbe
in grado di ospitare un equipaggio vivente.
Notate, inoltre, che nel caso di Orion si parla di veicolo
in grado di ospitare un equipaggio, non di veicolo
con equipaggio, perché in questa missione la capsula Orion non
trasporta nessuno: è un volo di collaudo senza persone a bordo. Quindi non si
parla di record di distanza di un equipaggio, ma solo di record di un
veicolo che potrebbe trasportarne uno sano e salvo.
Infatti il record di distanza dalla Terra di un veicolo con
equipaggio è ancora saldamente in mano a Jim Lovell, Fred Haise e Jack
Swigert, i membri dell’equipaggio della missione Apollo 13. Il 15
aprile 1970 alle 0.21 UTC, dopo lo scoppio di un serbatoio nel modulo di
servizio che li costrinse a un drammatico rientro d’emergenza sulla Terra, si
spinsero fino a
400.171 chilometri
dal nostro pianeta e girarono intorno alla Luna a una quota di 250 chilometri
dalla sua faccia nascosta prima di tornare sulla Terra, seguendo l’unica
traiettoria che avrebbe consentito loro il ritorno prima di esaurire le
risorse di bordo.
Nessun equipaggio delle altre missioni lunari raggiunse una distanza così
elevata dalla Terra, e da allora nessun astronauta si è mai spinto così
lontano.
Ma l’ESA fa un’altra precisazione.
“...e fare ritorno”
Questa seconda precisazione è necessaria per un’ottima ragione, che però
richiede una conoscenza piuttosto approfondita delle missioni spaziali lunari
con equipaggio per essere compresa.
I veicoli spaziali delle missioni Apollo che portarono vari equipaggi
verso la Luna (1968, Apollo 8; 1969, Apollo 10; 1970,
Apollo 13) e sulla Luna (dal 1969 al 1972,
Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17) erano composti da
due moduli abitabili: il Modulo di Comando, che era la capsula conica
principale nella quale gli astronauti trascorrevano gran parte della missione,
e il Modulo Lunare o LM (Lunar Module), che era la “scialuppa” usata
per scendere sulla Luna e ripartirne. Un terzo modulo, il Modulo di Servizio,
non era abitabile ed era dotato di un grande motore di propulsione e di tutto
il necessario per la sussistenza dei tre astronauti dell’equipaggio per tutto
il corso della missione.
Al centro, la capsula conica del Modulo di Comando; a sinistra, la forma
cilindrica del Modulo di Servizio con il suo motore primario e i motori di
manovra; a destra, il Modulo Lunare (LM). Illustrazione NASA
S-66-11008.
Il Modulo Lunare si divideva a sua volta in due parti: uno
stadio di discesa, che come dice il suo nome serviva per scendere sulla
Luna portando due membri dell‘equipaggio, e uno stadio di risalita, che
riportava i due astronauti al Modulo di Comando.
Una volta esaurito il suo compito, il Modulo Lunare veniva sganciato e i suoi
motori venivano accesi un’ultima volta per allontanarlo dal veicolo
principale. Ma non tutte le missioni Apollo diedero a questi moduli la
stessa destinazione finale.
Alcune (Apollo 4, 5 e 6) furono voli di collaudo senza
equipaggio, i cui LM si disintegrarono al rientro nell’atmosfera terrestre e
comunque erano solo dei simulacri (test article). Alcune (Apollo 7
e 8) furono missioni prive di LM, in orbita terrestre o lunare. Una (Apollo 9) trasportò un equipaggio e un LM rimanendo in orbita terrestre, senza andare
verso la Luna, e il suo LM si disintegrò rientrando nell’atmosfera. Le
missioni con equipaggio Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17 scesero
sulla Luna, e gli stadi di risalita dei loro LM furono lasciati in orbita
lunare (Apollo 11) oppure furono schiantati intenzionalmente sulla Luna
(Apollo 12 e 14-17). Il LM di Apollo 13 fu usato come
veicolo di supporto d’emergenza per il viaggio di ritorno e si disintegrò
nell’atmosfera terrestre.
Se avete fatto bene i conti, manca all’appello una missione: Apollo 10.
Il LM di Apollo 10, infatti, non scese sulla Luna, ma si limitò ad
avvicinarsi (con a bordo Tom Stafford e Gene Cernan) fino a circa 14
chilometri dalla sua superficie e poi si riagganciò al veicolo principale,
dopo aver separato lo stadio di discesa da quello di risalita (il terzo membro
dell’equipaggio, John Young, rimase nel Modulo di Comando).
Una volta compiuta la sua missione, il 23 maggio 1969 lo stadio di risalita di
questo Modulo Lunare fu inserito in un’orbita attorno al Sole, dove si trova
tuttora.
Questo è il veicolo adatto a trasportare equipaggi che si è
allontanato dalla Terra più di ogni altro
(e oltretutto, a differenza di Orion, ha
effettivamente trasportato un equipaggio, almeno per un breve periodo).
Lo stadio di risalita del Modulo Lunare di
Apollo 10, fotografato da un
finestrino del Modulo di Comando, poco prima del suo riaggancio. A bordo ci
sono Tom Stafford e Gene Cernan. Dettaglio della foto NASA
AS10-34-5112. La banda diagonale in alto a sinistra è il bordo del finestrino.
Ma i Moduli Lunari non erano dotati di uno scudo termico, per cui non erano in grado di
rientrare sulla Terra. E così l’ESA salva il primato aggiungendo la
cavillosa precisazione della capacità di fare ritorno.
Dove sia esattamente oggi il Modulo Lunare di Apollo 10 non lo sa nessuno con assoluta certezza.
Sono passati cinque decenni, e all’epoca i parametri esatti della sua orbita
non furono calcolati con precisione e non fu effettuato alcun tracciamento
della sua traiettoria, per cui si sono perse le sue tracce.
Tuttavia nel 2018 è stato scoperto un asteroide, denominato 2018 AV2,
che orbita intorno al Sole ogni 382 giorni, con due anomalie: un’inclinazione
orbitale molto bassa rispetto all’eclittica (meno di un grado) e una velocità
relativa molto bassa (meno di un chilometro al secondo rispetto al moto della
Terra). Secondo
le osservazioni e gli studi
effettuati dall’astrofilo Nick Howes, che ha iniziato la caccia al Modulo
Lunare di Apollo 10 nel 2011, e da altri astrofili e astronomi, è
probabile che questo asteroide sia in realtà il veicolo spaziale disperso.
L’orbita di 2012 AV2.
Se così fosse, il Modulo Lunare di Apollo 10 si troverebbe ora a circa
56 milioni di chilometri dalla Terra e dovrebbe avvicinarsi fino a 6,5 milioni
di chilometri intorno al 10 luglio 2037.
Ma se si estende il criterio ai veicoli spaziali che hanno trasportato
esseri umani viventi o meno, il primato si sposta ancora.
Presenza umana nel cosmo profondo
Nel 2006, infatti, la sonda interplanetaria New Horizons partì dalla
Terra, diretta verso Plutone, di cui ci regalò nel 2015 le prime, spettacolari
immagini
dettagliate, provenienti da cinque miliardi di chilometri di distanza dal
nostro mondo. La sonda proseguì il proprio viaggio incontrando nel 2019
l’asteroide Arrokoth (2014 MU69) a 6,6 miliardi di chilometri dalla Terra e
oggi si trova a circa
8,3 miliardi di chilometri
da noi.
A bordo di questa sonda ci sono circa 30 grammi delle ceneri dello scopritore
di Plutone, Clyde Tombaugh. Questi sono i resti umani più lontani dalla Terra
in assoluto. E con tutta probabilità resteranno tali per molti, molti decenni.
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