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Il 6 febbraio scorso, Steve Jobs,
lìder maximo di Apple, ha infranto un
tabù. Ha chiesto pubblicamente alle case discografiche di rinunciare alla
tecnologia anticopia, il cosiddetto DRM (Digital Rights Management), che grava sulla musica venduta via Internet. La sua lettera aperta è
pubblicata qui (in
originale) e tradotta in italiano da Melablog.it
qui.
L'entusiasmo degli internauti è altissimo. S'invoca San Jobs da Cupertino come
il liberatore delle masse musicalmente oppresse. Ma le grandi case
discografiche, la
IFPI
(federazione internazionale dei discografici) e la
FIMI (Federazione
dell'Industria Musicale Italiana) gli hanno risposto inviandogli
(metaforicamente) un iPod con su un due di picche inciso col laser. Non se ne
parla nemmeno, dicono. Però EMI si è staccata dal coro e si
vocifera
di una sua possibile rinuncia al DRM.
Cosa sta succedendo? Adesso che è passato qualche giorno si può provare a fare
un po' di luce sulla faccenda.
La prima cosa che lascia perplessi è il pulpito dal quale è partita la
predica. Steve Jobs rappresenta Apple, che con il negozio online iTunes è il
gigante del mercato della musica venduta legalmente in Rete, con l'88% delle
vendite USA (dati
2006). Due miliardi di canzoni vendute dal 2003 a oggi non sono noccioline. Il
servizio iTunes ha il grandissimo merito di aver sbugiardato i discografici
che pensavano che la musica venduta online non avesse futuro perché i
consumatori sono disonesti, e non è un merito trascurabile. Ma tutta la musica
venduta da iTunes è lucchettata con sistemi anticopia. Non è quindi un
controsenso che sia proprio Steve Jobs a chiedere l'eliminazione dei sistemi
anticopia?
Jobs si difende dicendo che l'anticopia gliel'hanno imposto Sony BMG,
Universal, Warner ed EMI, che secondo i dati forniti da Jobs stesso
controllano la distribuzione di oltre il 70% della musica di tutto il mondo.
Se dipendesse da lui, Apple rinuncerebbe all'anticopia
"in un batter d'occhio", senza
esitazioni, perché questa sarebbe
"la migliore alternativa per i consumatori". Le altre alternative prospettate sono lo status quo (sistemi anticopia
incompatibili che legano l'utente a una specifica marca o gamma di lettori, il
cosiddetto vendor lock-in) oppure la
condivisione del sistema anticopia Apple con gli altri venditori di musica
protetta (la cosiddetta
interoperabilità).
Ma come, Jobs non teme di vedersi crollare il mercato delle vendite degli
iPod? Dopotutto quei due miliardi di brani lucchettati da iTunes oggi
funzionano soltanto sugli iPod. Se domani fossero privi di lucchetti, o se i
lucchetti fossero apribili anche con lettori meno costosi di altre marche, ci
sarebbe poco incentivo a comperare i lettori Apple. No?
No, dice il boss di Apple. Sono stati venduti 90 milioni di iPod, per cui in
media le canzoni lucchettate presenti su un iPod sono soltanto ventidue. Tutte
le altre (e un iPod recente ne contiene un migliaio) sono prive di protezione
DRM. Il messaggio subliminale di Jobs è che la gente compra gli iPod perché
sono fighissimi, non perché è obbligata dai sistemi anticopia.
C'è un errore in questo calcolo: l'assunto che tutti e 90 milioni di iPod
venduti dal 2001 a oggi siano ancora vivi e vegeti, quando sappiamo benissimo
che per motivi di obsolescenza tecnologica, di invecchiamento della batteria,
di maltrattamento e di caccia al
trendy, i vecchi iPod sono in buona
parte defunti.
Tuttavia le vendite recenti sono state talmente spropositate rispetto agli
anni passati (60 milioni di pezzi soltanto da gennaio 2006, secondo i dati di
vendita compilati da
Wikipedia)
che il calcolo di Jobs rimane spannometricamente accettabile ma va rivisto
verso l'alto. Le canzoni lucchettate sugli iPod sono in media qualche decina.
E trenta o quaranta euro da buttare via in caso di migrazione ad un'altra
marca di lettore, più il disagio di doversi ricomprare da capo tutta la musica
protetta, sono un incentivo tutt'altro che trascurabile a restare fedeli alla
Mela. Il vendor lock-in c'è, e Jobs
gioca con le cifre per minimizzarlo.
E' per questo che neanche ai consumatori onesti piace il DRM: li punisce anche
quando non violano la legge e limita la loro libertà di scelta. Il DRM di
Apple, benché sia ritenuto "liberale" rispetto ad altri (si fa chiamare
addirittura FairPlay), è l'equivalente
di un disco che suona soltanto su un giradischi della Philips ma non sui
giradischi di nessun'altra marca. O di un'autostrada fruibile soltanto dalle
Porsche Cayenne.
Ma allora perché Jobs cerca di minimizzare l'importanza del suo DRM nel
successo di iPod e iTunes e scarica la questione sulle case discografiche? Una
possibile spiegazione è che Apple è impegolata in questo momento con varie
azioni legali in Europa: Germania, Francia, Norvegia e Olanda ritengono che
FairPlay, funzionando soltanto sui lettori Apple, sia incompatibile con la
libera concorrenza, come nota il sito specializzato in questioni d'informatica
giuridica
Findlaw. E in Italia c'è l'esposto di Altroconsumo
all'Antitrust. Questo è un danno d'immagine notevole per Apple, che ama
presentarsi come amica degli utenti e maestra nell'offrire prodotti facili da
usare. Dando la colpa ai discografici, Jobs cerca di salvare quest'immagine.
La spiegazione suona piuttosto plausibile se si considera l'obiezione di Jobs
all'idea di adottare un sistema anticopia unico per tutti i lettori di ogni
marca o di concedere ad altri produttori di lettori l'uso di FairPlay:
"concedere in licenza un sistema DRM richiede che si rivelino alcuni dei suoi
segreti a molte persone in molte aziende, e la storia c'insegna che questi
segreti inevitabilmente sfuggono di mano... Correggere con successo [una fuga
di segreti] richiede il potenziamento del software del negozio di musica
online, del software di gestione della musica degli utenti e del software dei
lettori, dotandoli di nuovi segreti; poi occorre trasferire questo software
aggiornato alle decine (o centinaia) di milioni di Mac, PC Windows e lettori
già in uso. Tutto questo va fatto rapidamente e in maniera altamente
coordinata: un'impresa molto difficile quando tutti i pezzi sono in mano ad
un'unica azienda, ma quasi impossibile se più società controllano pezzi
separati del puzzle e tutte devono agire all'unisono per correggere la falla."
Jobs dice che anche Microsoft sta facendo la stessa cosa, ossia adottando un
sistema DRM (quello di Zune) di cui controlla tutti gli elementi, senza
concederli in licenza a terzi. Sono obiezioni abbastanza deboli. La prima è
smentita dall'esistenza di segreti larghissimamente condivisi: basti pensare
al DRM usato per i telefonini, per esempio per la musica, i programmi TV o le
suonerie. La seconda suona molto come una ripicca: certo, io sono
anticoncorrenziale, ma anche zio Bill lo è. Ve la prendete con me perché sono
piccolo (no, Steve, ce la prendiamo con te perché hai oltre l'80% del mercato
dei lettori, mentre Microsoft non conta nulla in questo campo).
Un'altra considerazione che fa dubitare delle motivazioni apparentemente
disinteressante di Jobs è che invoca la fine del DRM soltanto sulla
musica, ma non sui film. Visto che
Jobs è il più grande azionista individuale della Pixar, quella di
Toy Story, Monsters & Co, Gli Incredibili, Cars
e Alla Ricerca di Nemo, è una
distinzione piuttosto curiosa.
Si direbbe, insomma, che Jobs stia invocando la fine del DRM per un proprio
tornaconto: così può presentarsi come paladino dei consumatori e passare la
patata bollente del DRM e della concorrenza sleale alle case discografiche,
che tanto sono già impopolari. Inoltre confida che l'iPod si venda lo stesso
anche senza il guinzaglio dell'anticopia. Meglio rischiare un possibile calo
di vendite che vedersi escluso dal mercato in quattro paesi europei (col
pericolo che altri seguano a ruota).
Ma i discografici non la bevono. Prima di parlarne, però, vale la pena di
soffermarsi su una considerazione di Jobs che nasce sì dal suo tornaconto, ma
tocca un tasto molto valido lo stesso: la totale inutilità, per i
discografici, dei sistemi anticopia.
"Perché le quattro grandi case discografiche dovrebbero permettere ad Apple e
agli altri di distribuire la loro musica senza usare sistemi DRM per
proteggerla? La risposta più semplice è che i DRM non hanno funzionato, e
forse non funzioneranno mai, come freno alla pirateria. Anche se le quattro
grandi case discografiche esigono che tutta la loro musica venduta in Rete sia
protetta da DRM, quelle stesse case discografiche continuano a vendere ogni
anno miliardi di CD che contengono musica completamente priva di protezioni...
Nel 2006, i vari negozi online hanno venduto nel mondo due miliardi di brani
protetti da DRM, mentre le case discografiche stesse hanno venduto su CD oltre
venti miliardi di canzoni completamente prive di DRM e senza protezioni...
Allora, se le case discografiche vendono oltre il 90% della propria musica
senza DRM, che beneficio ricavano dal vendere la piccola percentuale restante
vincolandola con un sistema DRM?"
Questo è un assurdo perfettamente condivisibile, di cui si parla in Rete da
anni. Va precisato che le case discografiche hanno tentato a più riprese di
vendere "CD" con protezioni anticopia, ma i risultati sono stati disastrosi,
come ben sa Sony. Bisogna però che ne parli uno come Jobs affinché i discografici ascoltino e
magari comincino a riflettere. A prescindere dai motivi per cui ne parla, Jobs
è effettivamente riuscito a suscitare un dibattito e a dire quello che nessuno
osava dire per non essere tacciato di favoreggiamento della pirateria
musicale: il DRM fa male alla musica, ed è una fregatura per tutti. Quindi è
ora di sbarazzarsene. E lo stesso vale anche per film e altri contenuti
multimediali, come scopriranno ben presto i legittimi acquirenti di Blu-Ray e
HD-DVD.
La lista dei benefici dell'eliminazione del DRM per gli utenti onesti è
notevole:
-
Eliminato il vendor lock-in. Se
domani voglio prendere un lettore di un'altra marca, lo posso fare e
copiarci tutta la musica che avevo sul lettore precedente.
-
Eliminata la complicatissima gestione delle licenze digitali. Migrare la
propria musica legalmente acquistata da un computer a un altro è come
copiare dei normali file. Non occorre più fare riattivazioni, riabilitazioni
e quant'altro.
-
La musica acquistata è per sempre. Scompare il rischio di trovarsi con un
pugno di bit illeggibili perché il gestore del sistema DRM ha deciso di
cambiare sistema (come ha fatto Microsoft) o non esiste più o non fornisce
software aggiornato.
-
Usare legalmente la musica acquistata diventa facile come usare quella
scaricata a scrocco, col vantaggio che la qualità della musica acquistata è
garantita. Basta MP3 rippati da dilettanti che usano codec e bitrate
squallidi o etichettano le canzoni coi nomi sbagliati.
-
Condividere la musica con la famiglia è più facile. Non occorre più fare i
salti mortali per dare ai figli una copia di una canzone da mettere nel
proprio telefonino o lettore MP3.
-
Creare una rete domestica di diffusione della musica digitale è più facile
perché non ci sono lucchetti, autorizzazioni e limiti da gestire.
I discografici, dicevo, non la bevono. La Warner ha
detto
chiaro e tondo, per bocca del suo boss Edgar Bronfman, che l'idea di Jobs è
"totalmente priva di merito". E
sull'assurdo dei CD venduti senza protezioni, Bronfman ribatte che
"l'idea che la musica non meriti la stessa tutela del software, dei film,
dei videogame o di altre proprietà intellettuali semplicemente perché nel
mondo fisico esiste un prodotto obsoleto non protetto è completamente priva
di logica o di merito". Avete capito? Il CD, quello che vende venti miliardi di canzoni l'anno, è
un "prodotto obsoleto" (per la precisione, Bronfman parla di
legacy product). Sarà.
La FIMI, invece, ha le idee un po' confuse, almeno stando a quanto riferito da
Visionblog.it: Enzo Mazza, presidente della FIMI, dice che
"Steve Jobs omette il fatto che le case discografiche non hanno mai chiesto
che i DRM fossero chiusi", e fin qui nessun problema, ma poi giustifica l'uso del DRM dicendo che
"Alle case discografiche i Drm servono esclusivamente come strumento per la
gestione dei diritti d'autore, per sapere quante copie vengono vendute e
come ripagare gli autori."
Questa è una baggianata. Il DRM non è un contacopie. Per sapere quante volte
viene scaricata una canzone si usano i log dei server, si usa un contatore
software, si usano mille altre tecniche, ma non c'è nessuna ragione per usare
gli attuali sistemi DRM, che sono invece dei
bloccacopie (esistono anche i sistemi
DRM di watermarking, che hanno
funzioni differenti, ma questa è un'altra storia). Servono a limitare dove e
come viene usato un brano scaricato.
Stupisce che il presidente della Federazione Industria Musicale Italiana non
comprenda un concetto basilare come questo. Confido nell'errore di
trascrizione, perché altrimenti c'è da preoccuparsi, però vedo che anche a
Punto Informatico
Mazza ha espresso un concetto analogo ("Ma le protezioni sono solo un pezzo del DRM, uno strumento che consente di
associare dati ed informazioni ai contenuti distribuiti, quindi di sapere
cosa e quanto circola"). Mah.
Quello che più mi preoccupa è questa frase di Mazza:
"Il domani non è il possesso dei contenuti, ma è il loro accesso, è la
licenza per l'accesso ai contenuti che si desiderano in qualsiasi modo e
momento, e indipendentemente dalla piattaforma."
Immaginate questa frase applicata a un libro. Il futuro auspicato da Mazza è
un mondo in cui le persone non hanno il diritto di
possedere un libro, ma soltanto quello
di accedervi, dietro pagamento di
licenza e presentazione di documento d'identità, e soltanto se e quando i
titolari della licenza lo vorranno. Il giorno che non vorranno più che
leggiate un certo libro perché scomodo o sgradito al governo o all'ideologia
di turno, il libro non sarà più accessibile. Questo diritto eterno, imposto
tramite la tecnologia, non solo va contro il diritto d'autore, che ha una data
di scadenza ben precisa (anche se lunga, ce l'ha), ma ha un sapore
totalitario. Forse dovrei mandare a Mazza una copia di
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Anche
in quel romanzo, possedere libri era un reato.
Allora, molto rumore per nulla? Ognuno suona la propria campana e noi ci
dobbiamo sorbire la cacofonia conseguente? Dipende. C'è forse una casa
discografica che ha visto la luce in fondo al tunnel e ha capito che non è
quella di un treno di pirati che le viene incontro. La EMI, dice USA Today,
sta seriamente
valutando
l'idea di vendere la musica in Rete senza DRM. E Yahoo prevede che entro
Natale la maggior parte del suo catalogo musicale online sarà privo di
lucchetti.
"Le etichette discografiche capiscono che il DRM deve sparire: non è che
una tassa sui consumatori digitali"
dice Dave Goldberg, general manager di
Yahoo Music, prevedendo un aumento del 15-20% se le canzoni sono acquistabili
senza DRM. Il mio
mini-sondaggio
informale sembra indicare che la sua previsione di maggiore propensione
all'acquisto sia azzeccata: al momento in cui scrivo, il 50% dei lettori
dichiara che comprerebbe più musica se non ci fosse il DRM, e solo il 5% dice
che la scroccherebbe di più.
Un analista della Forrester Research, citato sempre da
USA Today, incoraggia EMI in modo sensato e pragmatico:
"La EMI non avrebbe motivo di preoccuparsi dei pirati, perché chiunque
voglia piratare la musica lo sta già facendo. Il cliente pagante è
tutt'altra razza."
Appunto. Sono anni che lo diciamo. Magari i tempi sono maturi per far
finalmente scendere dal pero anche le altre etichette discografiche. Steve
Jobs propone ai consumatori di chiedere ai discografici di dare un taglio al
DRM: armiamoci e partite, insomma. Io vorrei andare un po' più in là: mi
impegno qui a comperare duecento euro di musica online senza DRM dalla prima
major discografica che rinuncerà ai sistemi anticopia. Qualcun altro si
associa?