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Il Disinformatico: pirateria

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2023/04/21

Podcast RSI - Story: "Drake" e "The Weeknd" banditi da YouTube, Spotify e TikTok: artisti sintetici e intelligenza artificiale nella musica online

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify (salvo che questa puntata venga bandita perché contiene una canzone controversa).

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

---

[CLIP: Heart on My Sleeve - "Drake & The Weeknd" di Ghostwriter]

State ascoltando Heart on My Sleeve, una canzone uscita neanche una settimana fa e subito bandita da YouTube, Tidal e Spotify e in via di sparizione da TikTok dopo circa 15 milioni di visualizzazioni. La rimozione sta avvenendo su richiesta diretta dell’etichetta discografica UMG, Universal Music Group, che considera illegale questo brano perché a suo dire non rispetta i suoi accordi con le piattaforme di streaming e viola il copyright.

Infatti le voci, che avrete probabilmente riconosciuto, non sono in realtà quelle di Drake e The Weeknd. O meglio, in un certo senso sono le loro, ma loro non hanno mai cantato questo brano. Un software di intelligenza artificiale ha “ascoltato” le loro voci, ne ha imparato le caratteristiche peculiari e ha generato voci sintetiche che hanno quelle stesse caratteristiche, usandole per eseguire un brano originale. È giusto farlo? È legale? È la fine della musica come la conosciamo, perché gli artisti verranno soppiantati da loro cloni digitali, pilotati dall’onnipresente intelligenza artificiale?

Questa è la storia di come la tecnologia di registrazione, la digitalizzazione, lo streaming e ora l’evoluzione esplosiva dell’intelligenza artificiale stanno trasformando caoticamente l’industria musicale, creando scenari inattesi che includono le paure di chi si guadagna da vivere con la musica e gli entusiasmi di chi vede queste innovazioni come strumenti di libertà e creatività per tutti.

Benvenuti alla puntata del 21 aprile 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

L’industria musicale è un’anomalia storica

Siamo ormai abituati da tempo ad avere migliaia di brani musicali nelle memorie dei nostri smartphone e milioni di altri a portata di mano grazie ai servizi di streaming audio e video. Poter riascoltare qualunque artista, compresi quelli del passato, ci sembra normalissimo, e ci sembra altrettanto normale che un artista si guadagni da vivere andando in sala di registrazione, incidendo dei brani e vendendo copie di quelle registrazioni, magari senza mai esibirsi in pubblico. Ma in realtà questo modello commerciale è un’anomalia, ed è anche un’anomalia relativamente recente.

Per secoli, l’unico modo in cui un cantante o un suonatore di strumenti musicali poteva campare era cantare o suonare dal vivo. Mecenatismi a parte, se non si esibiva, non veniva pagato. Le registrazioni semplicemente non esistevano. Se la cavavano un po’ meglio i compositori, che potevano scrivere un brano o un’opera su commissione o comporre uno spartito e venderne copie, oppure i fabbricanti di carillon o di pianole.

Ma tutte queste tecnologie di riproduzione musicale sono piuttosto recenti su scala storica: i carillon portatili nacquero negli ultimi anni del Settecento, la pianola fu inventata alla fine dell’Ottocento, e la vendita di massa degli spartiti iniziò nel Novecento. Prima di queste invenzioni, o si cantava e suonava dal vivo, o niente. E la voce dell’artista era legata indissolubilmente alla sua presenza fisica.

Anche quando arrivarono il fonografo di Edison, nel 1877, e il grammofono di Berliner, nel 1894, questi apparecchi meccanici in grado di registrare suoni, strumenti e voci furono visti inizialmente come delle trovate frivole per via del loro suono gracchiante e poco fedele. Ci volle una celebrità assoluta come il tenore italiano Enrico Caruso per dare loro rispettabilità: fu lui il primo cantante a rendersi conto del “potere mediatico”, come si dice oggi, delle tecnologie di registrazione e fu il primo a usarle per guadagnare milioni di dollari* (cifre enormi per l’epoca) vendendo le registrazioni della sua voce fatte fra il 1904 e il 1920.

* Nel 1923 il New York Times scrisse che gli eredi di Caruso avevano ricevuto oltre 585.000 dollari per i diritti dei due anni precedenti, ossia 10,2 milioni di dollari di oggi.

[CLIP: Caruso in “La donna è mobile” (1908), Wikipedia]

Poi vennero tutti gli altri, e il resto è storia: storia dell’industria musicale. Grazie a dischi, nastri e poi supporti digitali e ora lo streaming, la voce di un cantante è diventata un’entità distinta dal cantante stesso, un prodotto commerciale separato che viene protetto da leggi specifiche e gestito da un’industria, ma tutto questo soltanto da poco più di cent’anni. Per tutto il resto della storia della cultura umana non è stato così. Su scala storica, le case discografiche sono un fenomeno passeggero. E con l’arrivo dell’elaborazione digitale e dell’intelligenza artificiale potrebbero essere soppiantate.

Digitalizzazione: la pirateria diventa di massa

Quando una tecnologia crolla di prezzo e diventa facile da usare, succedono sempre cose strane, inaspettate e dirompenti. Per capire cosa sta succedendo adesso è utile riesplorare il passato e far emergere la parola chiave di tutta la vicenda attuale, che è controllo.

La pirateria musicale non è un’invenzione dell’era digitale: già nel 1906 nel Regno Unito furono adottate leggi per proteggere i compositori di musica popolare da coloro che duplicavano abusivamente i loro spartiti e li rivendevano a metà prezzo. La pirateria degli spartiti era un problema talmente serio da giustificare irruzioni di polizia nelle tipografie e nei negozi.

Nei decenni successivi, il fenomeno dei bootleg, ossia delle copie abusive dei dischi, divenne più vasto; ma si trattava comunque di attività che richiedevano macchinari complessi e ingombranti e quindi piuttosto difficili da nascondere a lungo alle autorità. Gli utenti erano tanti, ma i produttori di musica contraffatta erano relativamente pochi e quindi abbastanza facili da tenere sotto controllo. Anche con l’avvento degli impianti stereo personali e dei radioregistratori a doppia piastra che consentivano di duplicare dischi e cassette a livello amatoriale, negli anni Ottanta del secolo scorso, la pirateria rimase un fenomeno tutto sommato modesto per via della scomodità del procedimento, ma questo non impedì all’industria discografica di reagire con celebri campagne terroristiche e slogan come Home taping is killing music (“la registrazione domestica sta uccidendo la musica”). 

Quarant’anni dopo quello slogan, la musica non è ancora morta.

Il vero shock, però, arrivò con la diffusione di massa della musica digitale e poi di Internet. I CD erano in sostanza delle raccolte di file audio, pronte da duplicare ad alta velocità e senza la perdita di qualità tipica delle copie analogiche. E a giugno del 1999 nacque Napster, il primo circuito di scambio musicale peer-to-peer, seguito da Gnutella, Freenet, LimeWire, Kazaa e tanti altri.

Di colpo, con Napster duplicare la musica, legalmente o meno, richiedeva soltanto un computer, un accesso a Internet e del software gratuito. Niente più macchinari ingombranti e costosi; non serviva neanche più il masterizzatore per registrare copie dei CD. Di conseguenza, la pirateria musicale divenne un fenomeno di massa, incontrollabile e su vasta scala. Ciascun utente scaricava centinaia o migliaia di brani e li condivideva con tutti.

Le case discografiche, allarmatissime, agirono prontamente e drasticamente, avviando una causa già a dicembre del 1999, e Napster chiuse a luglio del 2001. Ma altri sistemi peer-to-peer ne presero il posto, e ancora oggi i vari circuiti Torrent fanno circolare musica, video e film tra milioni di persone al di fuori di ogni controllo significativo dei titolari dei diritti.

La legalità di questi circuiti dipende da come funzionano, da cosa viene scambiato e dalle leggi nazionali, ma quello che conta, in questa storia, è che il crollo dei prezzi e della difficoltà d’uso di questa tecnologia ha avuto l’effetto inatteso di far diventare sostanzialmente impossibili il controllo e la repressione* di questi scambi e scaricamenti.

* Le case discografiche ci provarono, introducendo tecnologie per bloccare la duplicazione della musica digitale su CD e nei file scaricabili, come il cosiddetto DRM o Digital Rights Management, ma invano, tanto che alla fine Steve Jobs, nel 2007, pubblicò una storica lettera aperta, Thoughts on Music, nella quale disse chiaramente che i sistemi anticopia erano inutili e controproducenti per l’industria e per gli utenti legittimi (e anche per le vendite degli iPod di Apple) e quindi andavano aboliti. Nel giro di pochi anni la sua proposta fu adottata da tutte le case discografiche, facendo esplodere le vendite legali di musica digitale.

Scaricare e conservare la musica, però, sta passando di moda. Oggi prosperano servizi commerciali e legali di streaming, come TikTok, YouTube e Spotify, che in sostanza mandano al singolo utente in tempo reale il brano desiderato di volta in volta e riportano gli utenti a dipendere da un sistema di distribuzione centralizzato, opposto a quello decentrato dei circuiti peer-to-peer.

Questo stesso modello centralizzato è attualmente usato dai sistemi di intelligenza artificiale più popolari, come Midjourney, DALL-E, Stable Diffusion o ChatGPT: normalmente l’utente li adopera collegandosi ai loro siti, senza dover installare nulla. Questo permette alle aziende e alle autorità di esercitare un controllo centrale sulle attività degli utenti, reprimendo quelle ritenute inaccettabili o illegali, come per esempio la generazione di false immagini pornografiche di persone reali a scopo di molestia e ricatto.

Certo, esistono delle versioni installabili di questi prodotti, ma sono complicate da installare e configurare e richiedono computer potenti e lunghi tempi di addestramento ed elaborazione e quindi sono al di fuori della portata di moltissimi utenti non esperti. Almeno per ora. Ma le cose stanno cambiando in fretta. Molto in fretta.

L’app per diventare Kanye

A fine marzo uno YouTuber, Roberto Nickson, ha trovato su Reddit un modello della voce di Kanye West generato tramite intelligenza artificiale da ignoti. Nel giro di due ore e mezza ha scritto, registrato e diffuso un video nel quale ha prima eseguito con la propria voce uno spezzone di rap inventato da lui [CLIP] e poi ha applicato a quello spezzone il modello vocale trovato su Reddit. Il risultato è quello che sembra un brano originale inedito di Kanye West [CLIP]. Questa breve dimostrazione di Roberto Nickson ha superato i 33 milioni di visualizzazioni solo su Twitter.

Secondo Nickson sono già in lavorazione modelli vocali di altri artisti, come Eminem, Tupac, Michael Jackson e altri ancora, tutti assolutamente non autorizzati e tutti man mano più facili da utilizzare. E la tecnologia galoppa, per cui i modelli diventano anche man mano più fedeli.

Di questo passo, dice Nickson, tra pochi mesi potremo ascoltare brani inediti cantati dalle voci di artisti famosi, senza neppure sapere che sono in realtà generati da software. Frank Sinatra che canta una canzone di Adele? Rihanna che canta in perfetto italiano? Si può fare, fuori da ogni controllo. Basta che ci sia in giro un numero sufficiente di campioni vocali di buona qualità. Enrico Caruso sintetico che canta il repertorio di Lady Gaga forse lo scamperemo, ma per tutto il resto il materiale da campionare non manca.

Per ora le case discografiche hanno reagito con interventi centralizzati: nel caso del finto brano di Drake e The Weeknd, hanno tentato di bloccare la sua circolazione agendo sui gestori dei sistemi di intelligenza artificiale e sui grandi distributori di contenuti, ossia i social network e i servizi di streaming. Ma la canzone sintetica continua a circolare lo stesso attraverso mille altri canali (compreso questo podcast, che spero non venga bloccato da Spotify).

Quando questi software saranno disponibili sotto forma di app da installare sullo smartphone, il controllo e la repressione saranno impraticabili e qualunque intervento legislativo sarà sostanzialmente inapplicabile. E l’incentivo economico non manca: quel finto brano di Drake e The Weeknd, nei pochi giorni in cui è rimasto online, ha fruttato al suo creatore quasi duemila dollari calcolando la tariffa peggiore di Spotify, che è 3 millesimi di dollari per ciascun ascolto, secondo la BBC.

In sintesi: questa tecnologia sta per trasformare completamente l’industria musicale, e sta per farlo a una velocità infinitamente superiore a quella di qualunque provvedimento di legge. Anzi, lo sta già facendo. La rivista specializzata Variety, per esempio, ha notato che su TikTok sono già in crescita le canzoni generate tramite l’intelligenza artificiale dai fan, che prendono brani esistenti e li alterano in modo che sembrino cantati da un altro artista. E i fan di Drake usano regolarmente un generatore basato sull’intelligenza artificiale per creare brani nello stile di questo rapper canadese.

Leggi, case discografiche e Spotify

La legalità del finto brano di Drake e The Weeknd è tutta da chiarire. UMG lo definisce chiaramente illegale e le piattaforme di streaming lo hanno rimosso per scrupolo e per evitare complicazioni, ma le leggi attuali sul copyright riguardano la realizzazione di copie di una registrazione di una specifica interpretazione; secondo alcuni esperti, l’imitazione della pura voce di un artista, fatta da un software che non campiona, non rimonta spezzoni, ma impara uno stile e lo fa per un brano inedito, probabilmente non è soggetta a vincoli di legge. Anzi, la canzone risultante potrebbe anche essere considerata un’opera creativa a sé stante e quindi essere protetta dalla legge, a patto ovviamente di non attribuirla al cantante imitato. UMG, però, ribatte che serve il consenso dei titolari per dare in pasto a un’intelligenza artificiale delle canzoni sotto copyright.

Ma c’è da considerare il fatto che anche alcuni artisti stanno usando questa tecnologia senza cavillare troppo sulle autorizzazioni. Per esempio, di recente David Guetta ha usato il sito Uberduck.ai per imitare la voce di Eminem, senza chiedergli il consenso, aggiungendola a un suo brano, che non può però distribuire commercialmente. Questo:

[CLIP]

E infine va notato che il fronte delle aziende dell’industria musicale non è così compatto come potrebbe sembrare. Gli artisti e le case discografiche mugugnano in coro di fronte al boom della musica generata dall’intelligenza artificiale, ma le piattaforme di streaming hanno un atteggiamento un po’ differente.

Queste piattaforme, infatti, devono ovviamente girare parte dei propri introiti agli artisti di cui diffondono i brani. E altrettanto ovviamente, se questi artisti non esistessero in carne e ossa ma fossero generati dal software, non ci sarebbe bisogno di pagarli. Quindi se la gente pagasse per ascoltare musica sintetica prodotta dall’intelligenza artificiale, magari nello stile di qualche cantante o musicista famoso, i guadagni delle piattaforme di streaming sarebbero massimizzati e quelli delle case discografiche verrebbero azzerati.

Forse è questa la spiegazione di un piccolo mistero scovato su Spotify pochi giorni fa da un utente, Adam Faze: decine di brani musicali strumentali che hanno titoli e autori completamente differenti ma durano tutti esattamente 53 secondi, hanno immagini di copertina assolutamente blande e generiche e soprattutto sono tutti estremamente simili.

[CLIP]

Non è la prima scoperta del suo genere. Già nel 2017 Music Business Worldwide aveva pubblicato un elenco di circa 50 artisti inesistenti che però erano fortemente presenti su Spotify e solo lì: senza nessun’altra presenza online, né su altre piattaforme di streaming né su Instagram, Facebook, SoundCloud o altro. Questi finti artisti erano stati ascoltati ben 520 milioni di volte, per un controvalore di circa 3 milioni di dollari.

Secondo Music Business Worldwide si tratta di persone che accettano compensi microscopici per produrre brani musicali riempitivi molto banali, allo scopo di “ridurre la percentuale della musica delle etichette discografiche legittime nelle playlist… in modo che Spotify possa ridurre i propri costi e l’influenza delle etichette”.

Anche il quotidiano svedese Dagens Nyheter [paywall] ha trovato una vicenda analoga nel 2022: centinaia di falsi nomi di artisti su Spotify, i cui brani sono riconducibili in realtà a una ventina di autori. Uno di questi compositori usava ben 62 pseudonimi e aveva generato da solo quasi 8 milioni di ascolti al mese.

Per le piattaforme di streaming, sostituire questi artisti fittizi con musica generata direttamente dall’intelligenza artificiale sembra essere il passo successivo più logico.

Siamo insomma alla confluenza di vari fenomeni: l’intelligenza artificiale sempre più efficace, i costi di utilizzo sempre più bassi, una zona grigia legale impossibile da colmare in tempo, degli interessi economici in conflitto e degli utenti estremamente motivati che hanno a disposizione strumenti sempre più potenti e sempre meno controllabili centralmente.

In queste condizioni, non ci sarebbe troppo da stupirsi se fra qualche anno diventasse assolutamente normale avere un’app per scegliere liberamente non solo quali canzoni vogliamo ascoltare nella nostra playlist, come facciamo adesso, ma anche chi vogliamo che ce le canti e come le vogliamo arrangiate, con o senza il consenso degli artisti o delle loro case discografiche. Le loro voci non sono più loro, e non c’è nulla che possano fare per riprenderne il controllo.

Ormai indietro non si torna, insomma, e alle etichette musicali resta solo da decidere se vogliono cercare di opporsi invano alle novità tecnologiche o se vogliono stare al passo con i tempi e diventare parte attiva nell’uso di queste novità, per esempio diventando garanti dell’autenticità delle esecuzioni canore o musicali. E potrebbero nascere nuovi mestieri, come il DJ che propone abbinamenti creativi e azzeccati fra voce, strumenti e canzone. Perlomeno finché anche questo compito verrà delegato all’intelligenza artificiale.


Fonti aggiuntive: The Verge, Medium, Britannica, Financial Times (copia su Archive.is), BBC (copia d’archivio), New York Post, BBC.

2020/12/16

Minuti inediti e blooper de L'Impero Colpisce Ancora, e una piccola storia di pirateria dal mio passato

Quarant’anni fa, nel 1980, usciva al cinema L'Impero Colpisce Ancora. Per celebrare la ricorrenza, sono stati pubblicati sei minuti e spiccioli di riprese inedite, ciak sbagliati e altre chicche dietro le quinte. Adesso è Natale.

Non so se vi ho mai raccontato di quanto ero ossessivamente travolto da Guerre Stellari e in particolare da questo secondo film della saga quando ero ragazzo. Non c’erano videocassette o altro e certi film in televisione proprio non passavano, per cui o andavi al cinema o ti attaccavi al tram. Quando uscì L'Impero Colpisce Ancora, fui così stregato da tutto il film che lo vidi quattro volte in due giorni (all’epoca lasciavano stare in sala fra una proiezione e la successiva).

Portai di nascosto al cinema la fotocamera (naturalmente a pellicola) per fotografare le immagini più belle, perché non c’era altro. Comprai il doppio album su vinile della colonna sonora, e cercai di memorizzare le scene e le battute il più possibile.

Una sera d’estate del 1981 o ‘82, a Pavia, il Comune organizzava il cinema all’aperto, alla Cupola Arnaboldi, e scoprii che avrebbero proiettato proprio L'Impero Colpisce Ancora. Sospetto che queste proiezioni fossero in realtà organizzate dai rivenditori di spray antizanzare, perché le proiezioni all’aperto a Pavia in prima serata erano un’orgia sanguinaria di nugoli di zanzare inferocite. Nel caldissimo pomeriggio di quel giorno il proiezionista, tutto solo, stava installando il massiccio proiettore per pellicola per la proiezione serale e aveva ancora da disporre tutte le seggioline di legno per il pubblico. Era chiaramente un po' stufo.

Io notai che il proiettore aveva un’uscita audio DIN (ovviamente analogica, a quei tempi), elaborai un piano e mi armai di quel coraggio che soltanto la passione poteva risvegliare in un nerd: andai dal proiezionista e gli proposi un baratto. Gli avrei portato e piazzato io tutte le seggioline di tutta la sala se quella sera mi avesse lasciato registrare l’audio del film.

Il proiezionista accettò, dicendo pigramente “Sì, ma non tutto quanto, solo dei pezzi” e confidando nel fatto che non c’era modo di registrare su cassetta due ore e dieci filate di sonoro, e io mi piegai al compromesso.

Andai di corsa a casa, presi il mio radioregistratore a batterie, una cassetta C120 e... feci hacking: modificai la velocità di scorrimento del nastro in modo da farci stare 127 minuti di audio su una singola cassetta. Non potevo usarne due per non perdere pezzi e per non far capire al proiezionista che stavo registrando tutto, e decisamente non avevo un registratore a bobine, men che meno uno trasportabile.

Tornai dal proiezionista e con l’aiuto degli amici appassionati di Star Wars ai quali avevo sparso la voce disponemmo le seggioline.

Quella sera il proiezionista, commosso da così tanta devozione, mi lasciò attaccare il cavetto DIN del radioregistratore al proiettore, facendo finta di non vedere. Mi disse di nascondere il radioregistratore: per fortuna il cavo di collegamento al proiettore era lungo e sottile. Il film partì e io registrai tutta la traccia audio, dall’inizio alla fine, nel magnifico doppiaggio italiano. Finsi di spegnere qualche volta quando il proiezionista mi guardava storto. Ora posso raccontarlo, il reato è prescritto e il proiezionista è probabilmente buonanima.

Anni più tardi ho riversato in digitale quella registrazione, rigorosamente mono, che avevo quasi consumato a furia di riascoltarla a occhi chiusi. Poi, naturalmente, ho comprato la videocassetta, e poi il DVD, e poi il Blu-Ray e il file digitale. Ma quella pastosa, compressa, distorta registrazione monofonica ha ancora un valore speciale per me.

Non solo per il film, e per la nostalgia di un’impresa di “pirateria” oggi impensabile. Ma perché fra gli appassionati che mi aiutarono a disporre quelle sedie c’era Elena: colei che poi, anni dopo, sarebbe diventata la Dama del Maniero.

Mai avrei immaginato che sarebbe diventata la mia Principessa Leia (va bene, va bene, Leila per i nostalgici). E mai avrei immaginato che un giorno avrei incontrato i protagonisti di quel film e avrei tradotto per loro, sempre con la Dama al mio fianco.

Mai avrei immaginato che un giorno quel doppio album di Guerre Stellari avrebbe ricevuto le loro firme con dedica. Anthony Daniels (C3PO), David Prowse (Darth Vader), Kenny Baker (R2D2). Ce l'ho qui ora, eccovelo: è enorme come solo un doppio LP poteva esserlo.


Bonus: il mio doppio LP de L'Impero Colpisce Ancora. Con le foto giganti e le note di copertina che oggi non si fanno più. Un po‘ consunto dal tempo, ma sempre memorabile. Grazie di aver letto fin qui, e che la Forza sia con voi.





2020/07/31

Pirati che usano satelliti militari per comunicare e come ascoltarli

Credit: @TrackerIss.

Fra le cose strane del 2020 probabilmente non vi aspettavate di trovare che esistono pirati che prendono il controllo di satelliti militari americani per comunicare abusivamente e che vengono intercettati tramite radio digitali software-defined e tradotti in tempo reale tramite Google Translate.

Questo è un uso decisamente creativo e originale delle risorse tecnologiche di Internet e del digitale in generale, mostrato da un consulente di sicurezza informatica e radioamatore noto su Twitter come @TrackerIss.

Come spiegato in questo video, incorporato qui sotto, esistono dei satelliti della Marina militare statunitense, denominati FLTSATCOM (Fleet Satellite Communications System), lanciati fra il 1978 e il 1989 in orbita geostazionaria e usati per le comunicazioni radio in UHF fra le navi, i sommergibili, gli aerei e le basi su terraferma della Marina USA, oltre che per la rete di comando presidenziale.

Questi satelliti non sono più in uso da parte dei militari da oltre un decennio, ma due di essi funzionano ancora ben oltre la loro data di scadenza operativa e soprattutto non hanno nessuna protezione di accesso: sono sostanzialmente dei ripetitori che ritrasmettono qualunque segnale radio venga inviato verso le loro antenne.


Di conseguenza, è facile usare una piccola antenna e un impianto radio a basso costo per inviare un messaggio tramite questi satelliti, che lo diffonderanno su un’area vastissima. Oggi questa tecnica illegale viene usata soprattutto in Brasile da migliaia di persone, dai camionisti ai criminali a chi vive in località molto isolate, per comunicare gratuitamente su grandi distanze, come racconta Wired.

Questi utenti abusivi sono localizzabili, ma le autorità locali non investono molte risorse nella repressione di questa attività illecita e quindi il sottobosco dei pirati satellitari prospera. Oggi è tecnicamente possibile non solo ascoltare queste conversazioni a migliaia di chilometri di distanza (anche in Europa), ma anche trascriverle e farsele tradurre almeno approssimativamente grazie alle radio SDR (con il software SDRSharp) combinate con il riconoscimento vocale di Google e con i servizi di traduzione automatica di questo motore di ricerca.

Ne potete sentire un campione nel video qui sopra da 3:18 in poi: l’audio è molto disturbato, ma si capisce che è una voce che parla in portoghese. Se conoscete questa lingua, potete provare a decifrare la conversazione. Buon ascolto.

2017/12/29

Giornalismo digitale: come recuperare un sito oscurato dalla magistratura

Ultimo aggiornamento: 2017/12/29 16:25. 

Ieri la Radiotelevisione Svizzera ha dedicato articoli e servizi TV a un caso di pirateria audiovisiva piuttosto particolare, quello del sito Abbotv.ch, che in Svizzera offriva abusivamente accesso ai canali TV a pagamento italiani. La vicenda ha portato alla denuncia di tre persone “per infrazione alla Legge federale sui diritti di autore nonché per titolo di Fabbricazione e immissione in commercio di dispositivi per l'illecita decodificazione di offerte in codice”.

Sembra un caso informaticamente interessante, ma il comunicato stampa della Polizia cantonale è molto stringato e non fornisce dettagli. Come si fa a procurarsi questi dettagli e scoprire per esempio quali canali TV erano offerti, a che prezzo e da quanto tempo, in modo da poter imbastire un servizio giornalistico che sia più di una semplice ripetizione del comunicato stampa? Il sito attualmente mostra solo la schermata di oscuramento:


Eppure nel servizio del Quotidiano, al quale ho contribuito, si vedono le schermate del sito com’era prima dell’oscuramento.


Preveggenza? Ero uno degli abbonati al servizio, che ora saranno comprensibilmente preoccupati perché sono coinvolti con nome, cognome e account PayPal in una vicenda illecita? Ho ricevuto un’indiscrezione dalle autorità?

No, semplicemente un pizzico di tecnica di giornalismo digitale. Per prima cosa ho cercato la copia cache del sito, acquisita da Google il 26 dicembre, ma mostrava il sito già oscurato; così sono andato su Archive.org, che è un sito che registra copie cronologiche delle pagine Web, e vi ho cercato le copie d’archivio di Abbotv.ch, che vanno dal 6 agosto 2015 (sito in costruzione) al 6 ottobre 2017, e questo mi ha permesso di definire grosso modo il periodo di operatività del sito (era online al 17 settembre 2015):


Sfogliando Archive.org ho recuperato l’aspetto del sito al 6 ottobre scorso e tutti i dettagli: Abbotv.ch offriva “Un piccolo Decoder con un mondo di canali, Champions League, Serie A, Serie B, Formula 1, film in prima TV, documentari, serie TV, cartoni animati e molto altro ad un prezzo fenomenale!”. Il sito proponeva un “abbonamento” che comprendeva “una vastissima scelta di canali che trasmettono film in prima visione assoluta, Champions League, serie TV in prima visione, canali per bambini e adulti, sport e molto altro. Inoltre, è disponibile una libreria On demand aggiornata periodicamente con i film del momento!”.


Con lo stesso sistema ho recuperato la modalità di pagamento (solo PayPal) e i prezzi (da 204 CHF per un mese, decoder incluso, a 497 CHF per un anno, sempre con decoder incluso), decisamente convenienti rispetto all’offerta ufficiale per chi voleva guardare le partite di calcio, i film di prima visione o gli altri contenuti a pagamento, magari offrendo il tutto agli avventori del proprio locale e incrementando così il proprio flusso di clientela con relativi incassi.

Sono emerse così anche le condizioni generali del servizio, le FAQ e la pagina dei contatti (con tanto di numero di telefonino e indirizzo di mail).

Procurarsi la lista esatta dei canali piratati ha richiesto un po’ più di impegno: le pagine archiviate da Archive.org includevano il link al documento PDF che le elencava ma non il documento stesso. Ma avendo il link è stato sufficiente cercare in Google il nome del documento e recuperarne la copia cache:



Domaintools, invece, mi ha dato i dati d’intestazione e di hosting del dominio Abbotv.ch, registrato presso GoDaddy il 3 agosto 2015, gestito da Domains by Proxy e ospitato presso una società di hosting di Ginevra.

La ricognizione permessa da Archive.org e da Google mi ha consentito di vedere che il sito era costruito in modo a prima vista professionale e credibile, ma che il visitatore si sarebbe dovuto comunque insospettire perché gli unici dati di contatto erano un numero di telefonino e un indirizzo di mail (nessun indirizzo di sede legale, nessun nome di ditta, nessun nome di referente) e perché l’offerta era decisamente troppo bella per essere vera.

Tutte le informazioni necessarie per costruire un servizio giornalistico dettagliato, insomma, sono risultate reperibili rapidamente, pubblicamente e gratuitamente via Internet. Questo è il potere del giornalismo digitale.

2017/09/28

Lo studio sulla pirateria insabbiato dalla Commissione Europea

Di solito mi capita di smentire le tesi di complotto e d’insabbiamento da parte dei governi, ma in questo caso faccio un’eccezione: una ricerca commissionata della Commissione Europea è stata davvero insabbiata.

Si tratta di uno studio, costato 360.000 euro e completato nel 2015, sugli effetti della pirateria sui contenuti vincolati dal diritto d’autore. Si intitola Estimating displacement rates of copyrighted content in the EU,  è lungo oltre 300 pagine e oggi è scaricabile qui, ma non era mai stato reso pubblico.

Sappiamo di questo studio non grazie alle indagini dei complottisti, ma alla tenacia di una parlamentare europea, la tedesca Julia Reda, che ha scoperto che esisteva questo rapporto grazie alla Regola dell’Informazione Laterale che cito spesso nelle tecniche d’indagine giornalistica digitale: per sapere se un dato è vero o falso conviene sempre cercare le informazioni di contorno a quel dato. Se un documento è stato omesso o segretato, può darsi che altrove ci siano informazioni amministrative che ne tengono traccia.

In questo caso, per esempio, la parlamentare si è accorta dell’esistenza di questo studio perché ha scoperto la relativa gara d’appalto, risalente al 2013, e a quel punto ha richiesto accesso al documento. La Commissione, racconta la Reda, non ha risposto in tempo alla richiesta ben due volte.

Come mai tanta riluttanza nel pubblicare uno studio costato fior di quattrini? Può darsi che sia colpa dei suoi risultati, che “non mostrano prove statistiche dello spostamento delle vendite da parte delle violazioni del coypright online” con l’eccezione dei film più popolari e recenti. Risultati che stridono con i vari provvedimenti governativi che mirano a sorvegliare il traffico dei file caricati su Internet di tutti gli utenti, indistintamente, con la giustificazione della tutela del diritto d’autore.

Sia come sia, è indubbio che servono prove robuste per legittimare un intervento del genere e che, come dice la parlamentare, “dati preziosi sia finanziariamente, sia in termini di applicabilità dovrebbero essere disponibili a tutti se sono finanziati dall’Unione Europea: non dovrebbero raccogliere polvere su uno scaffale fino a quando qualcuno li richiede attivamente”.


Fonti aggiuntive: Boingboing.

2017/02/24

Quel crack per Mac fa un patatrac: è ransomware senza sblocco

Pubblicazione iniziale: 2017/02/24 11:43. Ultimo aggiornamento: 2017/02/25 12:50.

Sono ancora tanti gli utenti Apple che pensano di non aver bisogno di un antivirus e di poter girare impunemente per Internet perché i loro computer non si possono infettare. Purtroppo non è così.

In realtà il malware per Mac esiste eccome, ma è abbastanza raro incontrarlo perché i criminali informatici non sono stupidi e quindi concentrano efficientemente i propri sforzi sul prodotto più diffuso, cioè Windows. Ma siccome gli utenti Mac sono di solito piuttosto abbienti (se possono permettersi un Mac e i suoi accessori vuol dire di norma che hanno buone disponibilità di denaro), sono quindi un bersaglio appetibile per un tipo specifico di malware: il ransomware, quello che blocca i dati della vittima e vuole soldi per sbloccarli.

La società di sicurezza ESET segnala un caso da manuale di questa situazione: un malware denominato OSX/Filecoder.E oppure OSX/Filecoder.fs, distribuito da siti Bittorrent sotto forma di falsi crack per software piratato.

Un crack è un programma che toglie le protezioni anticopia a un altro programma (per esempio un programma commerciale) per consentire di installarlo senza pagare la licenza d’uso. In questo caso il malware finge di essere un crack per Adobe Premiere Pro CC 2017 oppure per Microsoft Office 2016. L’utente, pensando di fare un affare, scarica il crack e lo esegue: il malware, invece di sbloccare le applicazioni, inizia a cifrare i file presenti sul disco locale e sui dischi esterni e di rete (se montati) usando una password casuale di 25 caratteri e intanto deposita nelle cartelle cifrate un file di istruzioni che spiega che per avere la password che sblocca i file dell’utente bisogna pagare 0,25 bitcoin (circa 280 dollari).

Lo sblocco, dice il malware, richiede circa 24 ore, ma per chi ha fretta c’è l’opzione premium, che promette di sbloccare i file in dieci minuti se si pagano 0,45 bitcoin (circa 510 dollari). Ma è tutto un inganno crudele: questo ransomware, a differenza di altri, non trasmette ai suoi padroni la password utilizzata, e quindi è inutile pagare. La password non arriverà mai e i file resteranno cifrati.

A questo punto, se la vittima non ha una copia di scorta dei propri dati, li deve considerare persi per sempre. Una tenue speranza arriva da Intego, che segnala che questo ransomware è molto lento, per cui è possibile fermarlo spegnendo il computer durante l’esecuzione del finto “craccaggio” oppure usando un’utility di recupero dati, perché i file originali non cifrati vengono cancellati ma non sovrascritti e quindi sono recuperabili con prodotti come Data Rescue).

Un’altra soluzione parziale è creare una copia della situazione corrente, da conservare nel caso venga trovata in seguito una tecnica per decifrare i file (ogni tanto capita), ma nell’immediato i dati non sono recuperabili.

Storie come questa sono un promemoria potente dell’importanza dei backup periodici, e soprattutto del fatto che scaricare software piratato e presunti grimaldelli per usarlo a scrocco può essere disastroso oltre che illegale.


Fonti aggiuntive: Techradar, Tripwire.

2016/11/04

Smascherato un circuito di pirati cinematografici: gli addetti ai lavori di Hollywood


Ultimo aggiornamento: 2016/11/15 23:50.

Vi siete mai chiesti da dove arrivano le copie pirata perfette dei film appena usciti al cinema? E cosa vogliono dire le strane diciture inglesi “For your consideration” (“Per la vostra valutazione”) che ci sono spesso in queste copie?

Ce lo spiega la Warner Bros, che di recente ha portato in tribunale un’agguerritissima organizzazione dedita alla pirateria cinematografica ai più alti livelli. Quest’organizzazione metteva su Google Drive, a disposizione dei propri clienti, copie perfette di film di prima visione o che addirittura non erano ancora usciti al cinema.

Piccolo particolare importante e sorprendente: l’organizzazione piratesca era un’agenzia di talenti cinematografici che opera a Santa Monica, in California. Gente, insomma, che vive di cinema e la cui esistenza dipende dal rispetto del diritto d’autore.

Secondo i documenti della causa, si tratta della Innovative Artists, accusata dalla Warner di aver violato il diritto d’autore mettendo online numerosi film di prima visione, compresi i cosiddetti screener DVD, ossia i DVD ufficiali dei film non ancora usciti, che vengono distribuiti regolarmente dalla Warner per consentire agli operatori di settore di valutarli (vengono inviati per esempio ai giurati che scelgono gli Oscar). Ecco il perché della dicitura “Per la vostra valutazione”.

La Innovative Artists, dice la Warner, riceveva questi DVD e doveva semplicemente inoltrarli ai propri clienti, ma invece li copiava, togliendo loro le protezioni anticopia (Patronus e CSS) e metteva online le copie, rendendole accessibili anche a familiari e amici al di fuori dell’agenzia. Da qui copie abusive di film come Creed - Nato per combattere e In the Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick finivano anche nei circuiti di scambio pubblici di Internet, dove venivano duplicate in massa.

La Warner ha identificato la provenienza di quete copie pirata grazie al fatto che i suoi DVD contengono non solo dei sistemi antiduplicazione ma anche dei watermark (codici identificativi individuali) che l’operazione di copia abusiva non rimuoveva. Ora la casa cinematografica sta chiedendo fino a 150.000 dollari di risarcimento per ciascuna violazione del suo diritto d’autore.

La Innovative Artists ha chiesto pubblicamente scusa, ma ha anche sottolineato che “la Warner è ben consapevole... che la condivisione degli screener per le premiazioni è la norma all’interno della comunità di Hollywood.” In altre parole, si parla tanto di utenti pirati, ma stavolta gli utenti non c’entrano. Chi è senza peccato scagli la prima pellicola.

2015/09/25

“Tanti auguri a te”, negato il copyright preteso per decenni dalla Warner

Sapevate che Tanti Auguri a Te non è una canzone tradizionale libera, ma è soggetta al diritto d'autore della Warner/Chappell Music? Lo è, o perlomeno lo è stata per decenni fino a pochi giorni fa, quando una sentenza di un giudice federale statunitense ha stabilito che la Warner non detiene i diritti sulla canzone e che quindi i pagamenti richiesti per il suo uso (circa 2 milioni di dollari l'anno) non sono legittimi.

Specificamente la Warner affermava di avere i diritti sul testo di Tanti Auguri a Te fino al 2030, ma la sentenza stabilisce che il diritto riguarda soltanto specifici arrangiamenti della melodia, composta dalle sorelle Patty e Mildred Hill nel 1893 (o perlomeno attribuita a loro; ci sono dubbi sull'origine del brano). Secondo alcune stime, è il brano che vanta i maggiori incassi nella storia della musica: circa 50 milioni di dollari.

La vicenda è emersa grazie alla documentarista Jennifer Nelson, che ha fatto un film dedicato alla storia di questa canzone popolarissima: ha indagato sulle vere origini del brano e ha fatto causa sulla base di quello che ha scoperto. Dopo due anni di azione legale è arrivata questa sentenza. È probabile che la Warner ricorrerà in appello.


Fonti: Ars Technica, BoingBoing.

2015/09/24

Vuoi scaricare “Mission: Impossible” pirata? Il Comune di Campofiorito ospita le istruzioni

In sintesi, come ormai consueto, segnalo qui alcune violazioni dei siti di scuole e comuni italiani.

Liceo Avogadro di Biella (violato presso http://www.liceoavogadrobiella.gov.it/joomla/images/jdownloads/screenshots/albanian.gif)

Comune di Paola (violato presso http://www.comune.paola.cs.it/images/jdownloads/screenshots/pz.gif)

Il Comune di Campofiorito ospita addirittura le istruzioni per scaricare l'ultimo film della serie Mission: Impossible, come potete vedere qui accanto (presso http://www.comune.campofiorito.pa.it/index.php?option=com_k2&view=itemlist&task=user&id=5819). Complimenti.

Fonti: Zone-h.org (1; 2) e un lettore che mantengo anonimo.

Alcuni di questi siti sono in questo stato da vari giorni. È andata bene che gli intrusi non ci hanno messo immagini pedopornografiche per poi segnalarli alla polizia. Li avvisate voi?

2015/03/20

Windows 10 sarà gratis anche per i pirati

Non è una bufala: Microsoft offrirà davvero Windows 10 gratuitamente a tutti, compresi i pirati. Ma chi è abituato a scroccare non pensi di avere vita facile.

Pochi giorni fa Microsoft ha annunciato ufficialmente che Windows 10, la nuova versione del suo popolarissimo sistema operativo, sarà disponibile da quest'estate in 190 paesi e in 111 lingue. Si sapeva già sin da gennaio che l'aggiornamento a Windows 10 sarebbe stato gratuito per un anno per tutti gli utenti di Windows 7, 8.1 e Windows Phone 8.1, ma a Shenzen, in Cina, Microsoft ha dichiarato a sorpresa che l'aggiornamento sarà disponibile per “tutti i PC qualificati, autentici e non autentici”. In altre parole, anche chi ha una copia pirata di Windows potrà ricevere gratis il nuovo prodotto della Microsoft e installarlo su un dispositivo compatibile.

La decisione è stata presa principalmente per gestire la piaga della pirateria software in Cina, dove si stima che i tre quarti dei PC siano senza licenza. Centinaia di milioni di copie pirata di Windows che non ricevono aggiornamenti di sicurezza sono un rischio planetario e contribuiscono alla frammentazione del mercato, rendendo complicata l'assistenza tecnica. Microsoft, in pratica, vuole eliminare la domanda classica “Che versione di Windows stai usando?” per portare tutti alla stessa, unica versione e vuole rendere difficile la diffusione del malware dovuta al mancato aggiornamento di sicurezza delle copie pirata. Per ottenere questa drastica pulizia del proprio ecosistema è disposta a distribuire gratuitamente Windows 10 a tutti gli utenti di Windows, compresi quelli illegali.

Festa grande per i pirati, dunque? Non proprio. Microsoft ha chiarito che l'aggiornamento non cambierà lo stato della licenza: se un utente aggiorna il proprio Windows 8 pirata a Windows 10, la sua copia di Windows continuerà a non avere una licenza regolare. Il problema sarà quindi legale più che tecnico: un'azienda che venga ispezionata e trovata senza regolari licenze di Windows potrà subire sanzioni esattamente come avviene ora, ma sarà comunque protetta quanto gli utenti regolari dagli attacchi informatici che danneggiano la reputazione di Windows.

Fonti aggiuntive: VentureBeat.

2014/05/16

Con Popcorn Time è facile piratare senza rendersene conto

Un ascoltatore del Disinformatico, Fabio, mi ha chiesto se è legale l'uso del sito Time4popcorn.eu, che consente di guardare quasi istantaneamente film e telefilm recenti e classici su smartphone e tablet Android e su computer Windows, Mac OS X e Linux.

La risposta breve è no: qualunque sito che offra musica, film o telefilm senza il consenso esplicito dei titolari dei diritti di questi prodotti sta commettendo una violazione del diritto d'autore. Il problema di questo sito è che è realizzato in maniera estremamente professionale ed elegante, imitando la grafica di siti legali come Netflix e nascondendo tutte le complicazioni tecniche, per cui può trarre facilmente in inganno l'utente inesperto.

In realtà Time4popcorn.eu è un esemplare di una galassia di siti che si basano sul software Popcorn Time, oggi non più disponibile sul sito ufficiale ma facilmente reperibile altrove in Rete. Questo software si basa sul protocollo BitTorrent e crea un'illusione particolarmente pericolosa. L'utente ha la sensazione di ricevere il film o telefilm in streaming passivo, cosa che in alcuni stati (per esempio la Svizzera) è legale perché la legge punisce soltanto chi dissemina e condivide, ma non chi si limita a ricevere un file (anche se il file è vincolato dal diritto d'autore e non c'è il consenso del titolare dei diritti).

Ma i siti che usano Popcorn Time stanno usando, dietro le quinte, un sistema (BitTorrent) nel quale chi riceve si trova anche inconsapevolmente a ritrasmettere e condividere: in gergo tecnico, chi usa Popcorn Time sta facendo seeding. Quindi chi usa questi siti sta violando la legge anche nei paesi nei quali lo streaming puro di opere vincolate è consentito.

Districarsi fra siti legali e non legali in questo campo non è facile, e siti come Time4popcorn rendono ancora più sfumata la differenza visiva e pratica fra pirati e onesti. Nel dubbio è meglio non fidarsi di siti che non hanno una reputazione commerciale solida e rivolgersi invece a nomi conosciuti e garantiti che hanno il permesso esplicito dei titolari dei diritti su musica, film e telefilm e che chiedono un compenso o visualizzano spot pubblicitari.

2014/01/12

2013, incassi record per il cinema USA nonostante la pirateria

Torrentfreak ha pubblicato la classifica dei film più piratati del 2013, basata sui rilevamenti del traffico di condivisione di file sui circuiti che usano BitTorrent. In cima a questa classifica c'è il primo film della trilogia de Lo Hobbit (8,4 milioni di scaricamenti) ed è abbastanza priva di sorprese: come era prevedibile, i film più scaricati sono stati quelli più popolari.

La sorpresa, semmai, è che nonostante tutte le lamentele sull'Apocalisse causata dalla pirateria audiovisiva, il 2013 si sta delineando come l'anno migliore in assoluto per gli incassi cinematografici negli Stati Uniti, secondo Box Office Mojo, con quasi 11 miliardi di dollari. Anche tenendo conto dell'inflazione, gli incassi del 2013 sono superiori o pari a quelli dei primi anni 2000.

Una ricerca dell'Università del Minnesota e del Wellesley College, intitolata Reel Piracy: The Effect of Online Film Piracy on International Box Office Sales, indica che mancano prove di distorsioni degli incassi da quando è stato reso disponibile il protocollo BitTorrent e suggerisce che uno dei principali motivatori degli scaricamenti illegali è il ritardo nella disponibilità legale dei film. In altri termini, i film vengono scaricati a scrocco anche perché non c'è un canale legale per farlo: più è lungo il periodo fra l'uscita al cinema di un film e la sua disponibilità su DVD, Blu-ray o sui circuiti legali, più sale la sua pirateria.

Un altro dato interessante è che la pirateria proviene spesso dai meccanismi interni dell'industria del cinema. Django Unchained è stato scaricato illegalmente 500.000 volte in sole ventiquattr'ore perché qualcuno ha messo su Internet una copia destinata ai giudici degli Oscar.

2013/12/28

Disinformatico radio del 2013/12/27 [UPD 2014/01/30]

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

È disponibile il podcast della puntata di ieri del Disinformatico radiofonico che ho condotto per la Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera. Questi sono i temi che ho trattato, con i link ai relativi articoli di supporto: nel podcast trovate anche una chiacchierata sui successi e i flop della tecnologia informatica del 2013 e su quello che ci aspetta, informaticamente parlando, nel 2014.

NOTA: I link originali al momento non funzionano a causa dei lavori in corso sul sito della RSI. Usate il link nuovo, se disponibile.

Iron Maiden battono la pirateria suonando dove vengono maggiormente piratati. Ho dovuto riscrivere massicciamente l'articolo perché la fonte che avevo usato, Citeworld, è stata poi smentita sul dettaglio che i Maiden avevano pianificato i tour in base ai dati di pirateria. Grazie a tutti i lettori che mi hanno segnalato al volo la smentita. Mi sono fidato di una fonte solitamente attendibile (come hanno fatto anche Billboard e Rolling Stone) e in questo ho sbagliato. Scusate.

Filtri antiporno, autogol spettacolare. Il governo britannico ha varato dei filtri sui contenuti di Internet, convinto di poter bloccare la pornografia. Ma siccome i filtri sono stupidi e definire la pornografia non è banale, sono stati aggirati subito e nelle maglie del filtro sono finiti anche siti assolutamente legittimi, come quello della parlamentare promotrice dell'iniziativa: nei suoi post antiporno usava troppo spesso parole attinenti alla sessualità. Geniale.

Datagate: il messaggio di fine anno di Edward Snowden. Breve e intenso, l'ho tradotto in italiano. Da leggere per meditare su come la sorveglianza pervasiva e preventiva sia un pericolo assoluto. Per tutti, non solo per i politici.

Pulizie di fine anno: impostazioni di Facebook (nuovo link). Ho compilato una rapida lista di impostazioni prudenti di questo social network, come complemento al mio libro sull'argomento (che spiega il perché delle impostazioni che consiglio). Date un'occhiata e controllate che il vostro account Facebook sia in ordine.


2013/11/02

Pirateria, i film più scaricati sono quelli meno disponibili legalmente

Sembra proprio che sia ora di dichiarare morto il DVD, o perlomeno di smettere di tenerlo in vita artificialmente. Attualmente, infatti, i film che hanno appena terminato i passaggi nelle sale vengono offerti esclusivamente in DVD per un certo periodo prima di essere offerti dai circuiti di download a pagamento (Netflix, iTunes, eccetera). Questo significa che ovviamente in quel periodo prosperano i download “alternativi”. L'analisi della classifica dei film più scaricati gratuitamente sembra parlare chiaro in questo senso: dateci un download a pagamento subito, invece di proporci un pezzo di plastica che forse guarderemo una sola volta, e pirateremo di meno. i dettagli sono qui.

2013/03/23

Disinformatico radio del 2013/03/22

La Radiotelevisione Svizzera ha caricato il podcast della puntata di ieri del Disinformatico radiofonico, nella quale ho parlato dei seguenti temi (con i rispettivi articoli di approfondimento):

2012/10/26

Amazon: i libri digitali che comprate non sono vostri. Le gioie del DRM

Ho scritto per la Radiotelevisione Svizzera una serie di articoli sulla notizia di una cliente di Amazon che si è trovata con l'e-reader azzerato e svuotato di libri. Il caso ha messo in luce un fatto troppo disinvoltamente ignorato: gli e-book non vengono venduti. Vengono dati in licenza. E la concessione d'uso può essere revocata senza preavviso, senza motivo, senza appello e senza rimborso.

Così ho fatto un test di autodifesa sul mio Kindle e ho tolto i lucchetti digitali ai libri che ho regolarmente comprato. Craccare il DRM anticopia di Amazon è facile e quindi il DRM è inutile e danneggia solo gli acquirenti onesti.

Lo hanno già capito i produttori di software e i venditori di musica. Gli editori no. Sarà meglio che si sveglino. E presto.

Se vi interessa, la storia comincia qui.

Aggiornamento (2012/10/28): è disponibile il podcast della puntata del Disinformatico radiofonico nel quale ho raccontato la vicenda.

2012/04/13

Ci vediamo a Lodrone (Trento) stasera?

Il Gruppo Giovanile di Lodrone mi ha invitato a tenere un incontro pubblico presso la sala polifunzionale Santa Croce stasera (venerdì 13; sì, lo so, ma non sono superstizioso) alle 20:30 sul tema dell'uso responsabile di Internet, dai social network alla pirateria.

L'ingresso è libero, come lo è lo scaricamento della mia miniguida a Facebook e Twitter (acquistabile su carta tramite Lulu.com, se proprio ci tenete a scucire quasi 8 euro per 71 pagine della mia prosa immortale), che è dedicata appunto all'uso responsabile dei social network più trendy del momento. Porterò con me anche qualche copia cartacea di “Luna?” per chi fosse interessato al mio precedente parto letterario.

2011/12/02

La sigla degli spot antipirateria è piratata, dice l’autore

Questo articolo era stato pubblicato inizialmente il 2/12/2011 sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.

Avete presente i video "non ruberesti mai un'auto... non ruberesti mai una borsetta..." che trovate all'inizio di tanti DVD come messaggi antipirateria? La loro musica è di Melchior Rietveldt, un musicista olandese al quale il brano fu commissionato nel 2006 dall'associazione olandese di lotta alla pirateria audiovisiva BREIN. Ora Rietveldt dice che la sua musica è stata usata abusivamente negli spot antipirateria presenti sui DVD.

Secondo Rietveldt, infatti, la licenza d'uso del suo brano ne permetteva lo sfruttamento soltanto in un singolo video antipirateria prodotto per un festival del cinema tenutosi nel 2006, ma da allora l’industria cinematografica ha riutilizzato il brano in decine di milioni di DVD senza pagargli un soldo in diritti d'autore. Si tratterebbe di una distribuzione non autorizzata su vastissima scala, per la quale il musicista reclama da tempo oltre un milione e trecentomila euro.

Paradossalmente, quando Rietveldt ha allertato l’agenzia di riscossione dei diritti d'autore olandese Buma/Stemra, per informarla di questa violazione del copyright, inizialmente non ha ricevuto risposta. Ma di recente Jochem Gerrits, uno dei membri del consiglio direttivo dell’agenzia olandese, ha contattato il musicista offrendosi di aiutarlo. A patto, s’intende, di diventare titolare del brano e di ricevere il 33% dei diritti riscossi.

La richiesta economica, assolutamente contraria alle regole del diritto d’autore che prevedono che i diritti vadano direttamente all'artista, è stata registrata e resa pubblica e lo scandalo che ne è seguito ha portato alle dimissioni temporanee di Gerrits. 

Sarà molto difficile convincere i consumatori a rispettare il diritto d’autore se coloro che sono incaricati di difendere i diritti degli artisti sono i primi ad abusarne.

Fonti aggiuntive: DutchNews.nl. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

2011/01/28

Stasera si parla di pirateria audiovisiva alla TV svizzera: sharing selvaggio suscita sanzioni salate

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2012/05/16.

Questa sera sarò ospite in diretta del programma Pattichiari della radiotelevisione svizzera per parlare insieme agli esperti e ai protagonisti di un caso che rischia di costare oltre 20.000 franchi a una famiglia ticinese, un cui membro ha messo in condivisione sui circuiti peer-to-peer oltre 3500 canzoni.

Sarò online sul sito del programma a partire dalle 20 circa per rispondere alle domande degli internauti e cercherò di fare un mini-liveblogging via Twitter finché non mi viene chiesto di spegnere il cellulare. Intanto segnalo i link alle leggi e ai siti di riferimento svizzeri sul tema e i risultati sorprendenti di alcune ricerche sul fenomeno della pirateria musicale: solo il 13% degli americani è da classificare come pirata, e se lo dice la Warner Music, che non ha interesse a minimizzare il fenomeno, c'è da crederci; ricerche europee forniscono dati analoghi.

L'altro tema della puntata di stamattina del Disinformatico radiofonico (scaricabile temporaneamente qui) è stato Facebook, con le violazioni (almeno apparenti) degli account o fanpage di Sarkozy e Zuckerberg e l'introduzione delle sessioni via HTTPS che dovrebbe ridurre il rischio di furto di credenziali via Wifi.


2011/04/16


I mesi passano e il servizio di Pattichiari non è più in prima pagina sul sito della trasmissione, per cui includo qui il link alla puntata in streaming e alla miniguida sulla pirateria audiovisiva che ho scritto per l'occasione.


2012/05/16


Sul sito ufficiale del Canton Ticino c'è una guida scaricabile alle regole di scaricamento e pubblicazione, intitolata Pubblicare e scaricare da Internet - Qualche riflessione. Ho inoltre pubblicato un elenco di siti che offrono il download puro (cyberlocker).

Pirateria audiovisiva in Rete a Pattichiari

Questo articolo era stato pubblicato inizialmente sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.

Questa sera a Pattichiari (La1, 21.05) si parlerà di pirateria audiovisiva via Internet, affrontando un caso ticinese che non mancherà di suscitare discussioni e dibattiti. Io sarò ospite della trasmissione e del suo sito a partire dalle 20 circa per chattare con i visitatori. Intanto colgo l'occasione del Disinformatico per segnalare alcuni dati interessanti e poco intuitivi.

Secondo i ricercatori dell'Università Carlos III di Madrid, che hanno esaminato il comportamento degli utenti che scambiano film, telefilm, musica, fumetti e altre opere attraverso Mininova e The Pirate Bay, siti basati sul protocollo Bittorrent, il 66% del contenuto messo a disposizione per lo scaricamento viene offerto da poco più di un centinaio di grandi condivisori sparsi per il mondo. Gran parte del resto degli utenti è costituito dai faker o falsari, ossia da organizzazioni che cercano di sabotare i circuiti di scambio o di infettare gli utenti pubblicando finte copie pirata che in realtà contengono tutt'altro. Il rapporto dei ricercatori è scaricabile qui.

Perché i grandi condivisori sono così attivi? In alcuni casi c'è di mezzo il lucro (attraverso gli abbonamenti a pagamento che consentono lo scaricamento più veloce), ma molto spesso c'è una sorta di "sindrome di Robin Hood" che spinge a offrire film popolari o rari e introvabili.

Secondo una fonte decisamente al di sopra di ogni sospetto di voler minimizzare il problema della pirateria, ossia la Warner Music, arriva inoltre una ricerca che indica che solo il 13% degli americani è da classificare come pirata musicale. Oltretutto questi pirati sono descritti come grandi promotori di musica (i loro consigli sono altamente considerati e spingono altri a fare acquisti) e sono loro stessi grandi acquirenti legittimi. 

Dati analoghi sono stati raccolti in Europa; inoltre una ricerca universitaria statunitense sul file sharing indica che soltanto il 20% circa dei problemi dell'industria del disco è riferibile alle violazioni del diritto d'autore commesse in Rete: tutto il resto è dovuto al declino del concetto di album musicale, all'aumento delle vendite di singoli via Internet e al declino numerico dei CD venduti a prezzo pieno.


Fonti aggiuntive: TGDaily, Ars Technica.

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