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Situazione intorno alle 17 del 2016/06/26. |
Si sta facendo tanto clamore intorno al risultato del referendum consultivo del Regno Unito sul cosidetto
Brexit, l’uscita dall’Unione Europea (51,9% a favore, 48,1% contro) e in particolare su una petizione che, secondo molti, invocherebbe un secondo referendum, nella speranza di ribaltare il risultato del primo.
Nella concitazione si sono persi di vista alcuni dati di fatto che è meglio ricordare, perché si rischia di dare a questa petizione un’importanza politica che non ha e non può avere, sia per ragioni tecniche, sia per ragioni legali e formali.
1. È una petizione governativa, non commerciale, e standard. Questa non è la solita raccolta di firme (o più propriamente adesioni) proposta da Change.org o dai vari siti analoghi, più o meno commerciali, specializzati nel settore: è una delle tante petizioni ospitate dal sito del Parlamento britannico (come indicato dal suo indirizzo,
petition.parliament.uk/petitions/131215) e ne segue gli standard. Le adesioni vengono prese concretamente in considerazione dal governo britannico.
2. È una petizione per discutere una nuova regola, non per rivotare. Il testo è molto chiaro, ma sembra che in molti non l’abbiano letto o capito: chiede soltanto di
discutere in parlamento se implementare una regola che stabilisca una sorta di
quorum sui referendum per l’uscita dall’UE. Non chiede di votare di nuovo sul
Brexit, ma semplicemente di parlare in parlamento di questa possibile regola.
3. La verifica delle adesioni è scarsissima, ma è sempre così. Ieri (25/6), quando le adesioni erano arrivate oltre il milione, iniziando il clamore mediatico, ho
provato ad aderire anch’io, visto che sono cittadino (anche) britannico, e ho constatato che i controlli sull’autenticità delle adesioni sono quasi inesistenti (cosa che ha spinto alcuni teorici del complotto a ipotizzare una truffa mediatica messa in atto da chi vuole opporsi al risultato del referendum): ma è normale che sia così, anche se per i non britannici questo potrà sembrare assurdo. Mi spiego meglio tra un attimo: prima vi mostro cosa è successo quando ho aderito alla petizione.
Come vedete nello screenshot qui sopra, il sito ha accettato sulla fiducia la mia dichiarazione che sono cittadino britannico o residente nel Regno Unito e mi ha chiesto soltanto nome, cognome, indirizzo di mail, nazione e codice di avviamento postale. Nessun numero di documento identificativo o altra prova di identità o nazionalità.
Dopo aver cliccato su
Continue mi è comparsa una schermata che mi avvisava che avrei ricevuto una mail contenente un link e che la mia adesione sarebbe stata valida soltanto se avessi cliccato sul link. Ho ricevuto la mail e ho cliccato sul suo link, che era del formato seguente:
https://petition.parliament.uk/signatures/[numero di 8 cifre]
/verify/[serie di caratteri]
Sono stato portato a una schermata di ringraziamento e la cosa è finita lì.
Il sistema è insomma perfettamente sfruttabile per sfornare adesioni fasulle, e infatti sono arrivate migliaia di adesioni sospette, per esempio da paesi improbabili come la Corea del Nord o il Vaticano, come risulta dai dati aggregati della petizione (che sono pubblicamente
scaricabili).
La vulnerabilità della petizione, arrivata ora (26/6) a oltre 3,2 milioni di adesioni, ha suscitato nei dietrologi il sospetto di una manovra di propaganda per far credere che i pentiti del Brexit siano tanti (ma allora perché non falsificare i dati in modo più credibile?) e ilarità negli informatici, ma va considerato che
tutte le petizioni ospitate da Parliament.uk hanno lo stesso livello di verifica. La cosa non dovrebbe stupire: nel Regno Unito, ancor più che in altri paesi europei, vale il principio che sei chi dici di essere, fino a prova contraria, tanto che non esiste l’obbligo di un documento ufficiale d’identità all’interno del paese. E del resto, voi come avreste fatto? Avreste chiesto una scansione di un documento d’identità (che non è obbligatorio avere)?
4. Le adesioni fraudolente sono state confermate. Vari giornalisti hanno provato a immettere dati falsi e ci sono riusciti. Il 26/6, intorno alle 13, il Petitions Committee britannico ha
annunciato il problema e poi ha
detto che erano già state rimosse circa 77.000 adesioni fraudolente. Sempre nel pomeriggio dello stesso giorno la BBC ha
pubblicato la notizia della frode. Una fonte,
Heatstreet, ha affermato che la petizione è stata presa di mira dai troll di 4chan.
5. È dunque un fallimento? Non è detto. Non si sa quante siano le adesioni fasulle, ma per far fallire la petizione quelle autentiche dovrebbero essere meno di 100.000 (limite sotto il quale le regole di Parliament.uk respingono una petizione) e sembra improbabile che oltre il 97% delle adesioni sia falso.
6. Non farà rivotare comunque. La cosa più importante, però, è altrove: la BBC
segnala infatti che la petizione
“ha zero probabilità di essere applicata, perché chiede leggi retroattive”. Vale, insomma, zero se si pensa di applicarla per invalidare il referendum già svolto. Certo, prima della frode poteva essere forse un indicatore dei sentimenti degli elettori, ma ora non è più attendibile.
7. Era pensata PRO-Brexit. Ciliegina sulla torta, sempre
la BBC nota che la persona che ha avviato la petizione, Oliver Healy, degli English Democrats, lo aveva fatto per dare una nuova possibilità di votare per
uscire dall’UE e aveva attivato l’iniziativa
prima del referendum, precisamente il 24 maggio,
“quando sembrava improbabile che il ‘Leave’ avrebbe vinto, con l’intento di rendere più difficile a quelli del ‘Remain’ di incatenarci maggiormente all’UE. A causa del risultato, la petizione è stata usurpata dalla campagna per il ‘Remain’”.
8. Erano i PRO-Brexit a ritenere giusto rivotare in caso di risultato sfavorevole. Da molti democratici a senso unico è partito il coro dei
“non vale, il voto è definitivo, non si può rivotare solo perché la volontà popolare è contraria ai desideri dei Poteri Forti”, ma va notato che era stato
Nigel Farage, dell’UKIP (partito indipendentista, quindi radicalmente pro-Brexit), a parlare di
“richiesta inarrestabile di nuovo referendum” (
“unstoppable demand for a re-run of the EU referendum”) quando temeva che vincessero i contrari all’uscita dall’UE, e che il primo a ventilare l’ipotesi di un secondo referendum fu
Boris Johnson, anche lui pro-Brexit.
9. È un referendum consultivo. Il governo del Regno Unito non è formalmente obbligato a fare nulla come conseguenza del referendum e nessuna legge è stata abrogata dal referendum, che in sostanza ha valore soltanto come sondaggio. Il parlamento è sovrano e i referendum britannici di norma non sono vincolanti, come spiega bene
The Guardian.
Fonti aggiuntive: Bufale un tanto al chilo, L’Express.