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Il Disinformatico: riconoscimento vocale

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2022/09/29

Intelligenza artificiale per il riconoscimento di voci in ambienti rumorosi: Whisper

Il riconoscimento vocale oggigiorno funziona piuttosto bene quando la voce è scandita chiaramente e non c’è rumore di sottofondo, ma fallisce miseramente se chi parla si mangia un po’ le parole, ha un accento molto marcato oppure si trova in un ambiente rumoroso. Se poi si tratta di una voce che canta, accompagnata e magari coperta da tanti strumenti, non c’è niente da fare.

Ma pochi giorni fa la società OpenAI, già nota per altri prodotti di intelligenza artificiale di cui ho parlato in questo blog, come DALL-E per la generazione di immagini, ha rilasciato Whisper, che è un software di intelligenza artificiale capace di superare queste limitazioni, diventando abile quanto una persona nel decifrare le parole di una conversazione anche in contesti rumorosi.

Per esempio, Whisper è in grado di riconoscere le parole pronunciate in varie lingue, dette a grandissima velocità e registrate con bassa qualità, cantate in una canzone K-Pop o dette con un forte accento, come negli esempi che trovate sul sito di Whisper.

L’azienda ha addestrato Whisper alimentandolo con 680.000 ore di audio abbinato alle trascrizioni corrispondenti in 98 lingue differenti. Oltre a riconoscere il parlato in condizioni difficili, è anche in grado di fornirne una traduzione in inglese abbastanza dignitosa.

Whisper è stato rilasciato come prodotto open source, libero e gratuito, per cui chiunque lo può scaricare e installare liberamente e lo può anche modificare. Richiede un computer piuttosto potente, e i suoi creatori avvisano che il modo in cui Whisper analizza il parlato può a volte fargli “riconoscere” parole che in realtà non ci sono, per cui è sempre necessaria una revisione attenta da parte di una persona. Ma lo sviluppo esplosivo di questi software di intelligenza artificiale dovrebbe far riflettere molto attentamente chiunque faccia trascrizioni per lavoro. Forse dovrà cominciare a pensare a come riorganizzare il proprio lavoro per diventare revisore esperto anziché dattilografo.

Ci sono anche implicazioni più profonde e rivoluzionarie, che è necessario considerare ogni volta che un procedimento che prima era oneroso diventa semplice e automatizzato: se diventa possibile trascrivere enormi quantità di parlato a costo praticamente nullo e il costo dei supporti di registrazione è altrettanto trascurabile, diventa possibile per esempio automatizzare la sorveglianza di massa.

Diventa possibile registrare l’audio di tutte le telefonate di un intero paese e trascriverle tutte integralmente, per poi cercare eventuali nomi o parole di interesse o per riconoscere le singole voci, anche a distanza di tempo. C’è chi sospetta che alcuni governi abbiano già questo tipo di capacità, ma con Whisper potrebbe averle anche uno staterello relativamente squattrinato.

Pensando ad applicazioni meno controverse, invece, un riconoscimento vocale automatizzato con le capacità di Whisper permetterebbe di trasformare in testo, a costi ben più abbordabili di quelli attuali, gli enormi archivi dei programmi radiofonici e televisivi storici e renderli accessibili anche a chi ha difficoltà di udito oltre che ai linguisti, agli storici o a chiunque abbia semplicemente il desiderio di ritrovare una battuta o una dichiarazione fatta da qualcuno magari qualche decennio fa.

E queste sono solo le possibilità che vengono in mente adesso; chissà quali verranno inventate quando questa tecnologia sarà diventata normale.

 

Fonti aggiuntive: Ars Technica, Slashdot.

2022/07/01

Alexa fa parlare i morti

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

C’è una puntata della celebre serie distopica Black Mirror, intitolata Be Right Back (Torna da me nella versione italiana), nella quale una donna subisce la perdita drammatica del proprio partner in un incidente.

Al funerale, un’amica le parla di un servizio online che raccoglie tutte le informazioni pubblicate sui social network dal defunto e tutti i suoi messaggi vocali e video e da lì crea un avatar che sullo schermo dello smartphone parla esattamente come lui e ha il suo stesso aspetto. 

Inizialmente inorridita, la donna rifiuta, ma poi… succedono cose che non racconto per non guastare la storia a chi non ha ancora visto questa puntata.

Dovrebbe essere chiaro a tutti che le storie di Black Mirror sono esempi di cosa non fare con la tecnologia, ma a quanto pare qualcuno ad Amazon ha scambiato questa serie per un manuale di istruzioni.

Pochi giorni fa, infatti, Rohit Prasad, capo ricercatore dell’intelligenza artificiale di Alexa, il celebre assistente vocale di Amazon, ha presentato in una conferenza pubblica una versione di Alexa che è in grado di imitare le voci delle persone, e l’esempio che fa sembra proprio preso di peso da Black Mirror.

“In questi tempi di pandemia perdurante” dice “così tanti di noi hanno perduto qualcuno che amiamo. Anche se l’intelligenza artificiale non può eliminare quel dolore della perdita, può certamente far durare i loro ricordi.”

A questo punto Prasad mostra un video nel quale un giovane ragazzo chiede ad Alexa di fare in modo che la nonna, che non c’è più, gli finisca di leggere Il Mago di Oz.

Alexa risponde “OK” con la sua solita voce, ma poi cambia tono e recita con la voce della nonna del ragazzo.

Il video è già posizionato al momento giusto, a 1:02:38.

Già così la cosa può evocare sentimenti contrastanti, ma quello che dice poi Prasad è ancora più inquietante: la voce della nonna è stata ricreata partendo da meno di un minuto di una sua conversazione. Non servono più ampi e lunghi campioni di voce registrati accuratamente in uno studio.

Si potrebbe discutere sull’impatto emotivo di questa nuova tecnologia e chiedersi se sentire per casa la voce di una persona amata che non c’è più, ricreata artificialmente da un programma, sia davvero una consolazione o una forma di prolugamento del dolore. Ma c’è una questione molto più concreta, che va affrontata subito, mentre questa capacità di imitazione non è ancora disponibile al pubblico: se è possibile imitare facilmente la voce di una persona in questo modo per ricrearne la presenza, allora è possibile farlo, per esempio, anche per sbloccare il suo smartphone bloccato dal riconoscimento vocale o per scavalcare le cosiddette password vocali usate da alcune banche e persino dal Fisco britannico, che fino a pochi anni fa chiedeva ai contribuenti di identificarsi al telefono dicendo la frase “my voice is my password”, ossia “la mia voce è la mia password”.

No, non funziona così. Se la tua voce la possono imitare tutti, la tua password è di tutti.

Il problema è che Amazon non è l’unica azienda in grado di replicare realisticamente la voce di una persona specifica, la potenza di calcolo e il campione audio necessari diventano sempre più piccoli, e non sembra esserci alcun modo di impedire a malintenzionati di registrare la nostra voce. 

Forse è il caso di cominciare a smettere di usare sistemi di sicurezza basati sul riconoscimento vocale. E magari di passare del tempo a chiacchierare con la nonna, finché si può. 

Fonti aggiuntive: Graham Cluley, Ars Technica, The Register.

2021/09/30

Alexa, riconoscimento vocale offline in arrivo

Mentre mancano prove di un ascolto generalizzato delle nostre conversazioni da parte degli smartphone, sappiamo invece con certezza che parte delle nostre conversazioni viene carpita dagli assistenti vocali, come Alexa, Cortana, Siri o l’Assistente Google. 

Il funzionamento di questi assistenti vocali, infatti, prevede esplicitamente che vengano registrati e trasmessi alle rispettive case produttrici tutti i suoni ambientali captati dai loro microfoni appena prima e appena dopo che è stata pronunciata la wake word o parola di attivazione (“Alexa” o “OK, Google”, eccetera): i comandi, infatti, vengono interpretati dai computer remoti di queste case produttrici, non dal dispositivo locale.

A volte questi assistenti credono di aver sentito la wake word quando in realtà è stato detto qualcos’altro e quindi può capitare che prendano degli spezzoni di conversazione privata e li mandino a Google, Amazon, Microsoft o Apple, dove possono essere archiviati e ascoltati da alcuni dipendenti di queste aziende (se la cosa non vi piace, potete chiedere l’eliminazione delle registrazioni). Ma a parte questi incidenti, non effettuano intercettazioni generalizzate e di massa.

Anche così, comprensibilmente molti utenti non vogliono correre il rischio di avere orecchie indiscrete in casa, per esempio nei momenti intimi o durante incontri professionali confidenziali, per cui rifiutano di installare Alexa e simili in casa o in ufficio. 

Però un assistente vocale è spesso molto comodo. I problemi di riservatezza e sorveglianza sparirebbero ce ne fosse uno che fa il riconoscimento vocale in locale, senza mandare spezzoni della nostra voce a nessuno e cancellandoli automaticamente dal dispositivo dopo che sono stati usati. Amazon ha presentato proprio questa possibilità pochi giorni fa: sarà disponibile “prossimamente”, perlomeno per gli utenti statunitensi (video, a 00:4:50).

Purtroppo questa opzione riguarda soltanto i dispositivi più recenti di Amazon, dotati di processore AZ1 Neural Edge e quindi è disponibile soltanto sugli Echo di quarta generazione, sull’Echo Show 10 e sui dispositivi futuri. Non sarà disponibile sui dispositivi precedenti.

È comunque un buon segno: la privacy aumenta e in più i tempi di risposta diventano più brevi grazie al fatto che il riconoscimento dei comandi avviene localmente invece di dover registrare la voce e mandarla via Internet a computer remoti che poi restituiscono l’azione corrispondente.


Fonti aggiuntive: The Verge, Engadget.

2021/06/06

Perché la guida autonoma è così difficile: la bufala del riconoscimento di schemi spacciato per “intelligenza”

Ultimo aggiornamento: 2021/11/12 1:40.

Vado subito al sodo per chi ha fretta. Faccio tre asserzioni-scommessa:

  • Il machine learning è semplicemente un riconoscimento di schemi (pattern recognition) e non costituisce “intelligenza” in alcun senso significativo della parola.
  • Il riconoscimento di schemi fallisce in maniera profondamente non umana e in situazioni che un umano invece sa riconoscere in maniera assolutamente banale. Questo rende difficilissimo prevedere e gestire i fallimenti del machine learning e quindi rende pericolosa la collaborazione umano-macchina.
  • Qualunque sistema di guida autonoma o assistita basato esclusivamente sul riconoscimento degli schemi è destinato a fallire in maniera imbarazzante e potenzialmente catastrofica.

Sono asserzioni molto forti, e le faccio sapendo di non essere un esperto di questi settori ma semplicemente un loro osservatore con un pizzico di esperienza personale: se vi fidate di me, lo fate a vostro rischio e pericolo, e sono disposto a cambiare idea di fronte a smentite documentate (e francamente sarei contento di perdere questa scommessa). Però temo che ignorare queste riflessioni possa essere un grosso pericolo per molti. 

Premetto inoltre che non sto dicendo che l’intelligenza artificiale è una bufala, ma che il machine learning viene spesso spacciato per “intelligenza”. E prima di criticare, vi chiedo di leggere attentamente le parole che ho scelto con cura nel formulare le mie asserzioni-scommessa.

Provo a spiegare cosa mi ha portato a queste conclusioni provvisorie.

Prima di tutto riassumo cosa si intende per machine learning: in estrema sintesi, si danno in pasto a un software tantissimi esempi di una cosa, tantissimi esempi di cose differenti (ossia che non sono quella cosa) e lo si “premia” quando riconosce correttamente la cosa in questione. Questo apprendimento automatico può raggiungere livelli di affidabilità altissimi e in molti casi funziona egregiamente. Il riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) e il riconoscimento vocale sono esempi di grande successo del machine learning.

Ma si può dire che un sistema di OCR sia intelligente? Capisce che sta leggendo un sonetto di Shakespeare o una mail di spam, e può quindi adeguarsi di conseguenza? È in grado di considerare il contesto e capire che magnifica e magni fica sono due letture molto differenti e potenzialmente imbarazzanti, ma che la seconda potrebbe essere valida se lo scrivente si esprime in romanesco? Un lettore realmente intelligente lo capirebbe dal contesto (e dalla sua conoscenza delle attività sessuali umane). Un OCR no. Non è intelligente, perché non ha conoscenza del mondo reale, ma conosce soltanto delle forme (le lettere) e assegna loro una probabilità di corrispondere a uno dei modelli che conosce. Non sa nulla del loro significato e quindi non può correggersi di conseguenza. E non importa quanti miliardi di campioni di lettere o di parole gli dai: non acquisirà mai la comprensione del testo.

Ogni tanto questi sistemi di riconoscimento sbagliano, ma non è un problema. Se un sistema di OCR “legge” una parola al posto di un’altra non muore nessuno. Se Alexa crede che l’abbiate chiamata, quando invece stavate pronunciando il nome della vostra spasimata Alessia durante un momento di passione, il peggio che può succedere è che la registrazione del vostro amplesso finisca nel cloud di Amazon e venga scambiata fra i dipendenti dell’azienda che fanno il monitoraggio dei campioni audio. Imbarazzante, ma probabilmente non letale.

La ragazza che si chiama Alessia è un cosiddetto edge case: un caso limite, una situazione rara che però fa sbagliare il sistema di riconoscimento.

Questi sbagli avvengono in modi strani perché l’addestratore umano, quello che insegna al software a riconoscere una forma, non riesce a calarsi nella “visione del mondo” che ha quel software e non riesce ad anticipare tutti i modi possibili nei quali potrebbe prendere un granchio e a insegnargli a riconoscere tutti questi casi limite. 

Lo spiega benissimo uno che di queste cose ne capisce a pacchi, Andrej Karpathy, direttore del reparto di intelligenza artificiale di Tesla, in questa lezione magistrale del 2018, quando mostra queste immagini:

Quante auto sono? Una, quattro o due?
Come si possono annotare (identificare per il software) le linee di corsia quando fanno così?

Altri due esempi fra tanti: un’auto caricata a coda in avanti su una bisarca è un’auto in contromano?

Credit: Roman Babakin / Shutterstock (fonte).

Una bici montata di traverso sul retro di un’auto è una bici che mi sta tagliando la strada e devo quindi frenare?

Dal Tesla Autonomy Day (2019) a 2:06:25.

Di recente su Reddit è stato pubblicato un bell’esempio di questi edge case: un camion ha dei cartelli di stop dipinti sul portellone posteriore, e il sistema di riconoscimento ottico dei cartelli di una Tesla li etichetta e li mostra come se fossero cartelli reali.

Cosa succede se il sistema di decisione dell’auto ritiene che quei cartelli siano reali e quindi inchioda in mezzo alla strada, creando la situazione perfetta per un tamponamento a catena? Ìl sistema è sufficientemente sofisticato da tenere conto del contesto e quindi “sa” che i cartelli stradali normalmente non si muovono lungo le strade, per cui rigetta il riconoscimento e lo ignora nelle sue decisioni di guida?

Un conducente umano, avendo conoscenza del mondo, non avrebbe la minima esitazione: sono cartelli dipinti sul retro di un camion, li posso tranquillamente ignorare. Un sistema di guida autonoma o assistita sarà altrettanto consapevole? E il conducente saprà anticipare questi possibili errori che lui non farebbe mai?

Beh, direte voi, dai, una cosa del genere sarà un caso raro. Poi succede questo:

Una Tesla Model 3 viaggia a 130 km/h e mostra un flusso costante di semafori che appaiono dal nulla sulla corsia del conducente. 

Un essere umano sa in un millisecondo che questo è impossibile, perché ha conoscenza del mondo e sa che i semafori non volano e non compaiono dal nulla; il sistema di guida assistita di Tesla no, perché non “sa” realmente che cosa sono i semafori nel mondo reale e quindi non “sa” che non possono apparire dal nulla a 130 km/h.

Che cosa ha causato questo clamoroso errore di riconoscimento? Un camion che trasportava semafori.

Eh dai, ma i semafori erano spenti, obietterete voi. Poi succede questo:

Questo è esattamente il tipo di errore che un conducente umano non farebbe mai e che invece un sistema di guida basato esclusivamente sul riconoscimento delle immagini farà, e farà in circostanze imprevedibili. Con conseguenze potenzialmente mortali. Se state valutando un’auto dotata di questi sistemi, pensateci bene. Se ne avete una, pensateci ancora di più.

Certo, gli umani commettono altri tipi di errori, per cui alla fine l’obiettivo non è creare un sistema di guida assolutamente infallibile, ma semplicemente uno che fallisca mediamente meno (ossia causi meno incidenti) della media dei conducenti umani.

Tutto questo vuol dire che la guida autonoma basata sul riconoscimento puro degli schemi è impossibile? No. Una soluzione potrebbe essere semplificare l’ambiente operativo (strade su misura, rigidamente normate, accessibili solo a veicoli autonomi/assistiti). Per esempio, un ascensore (che in sostanza è un treno verticale in una galleria verticale chiusa) è un sistema di “guida autonoma” affidabilissimo, che richiede pochissima “intelligenza” grazie a un ambiente operativo ipersemplificato.

Allo stesso tempo, va notato che ci sono esempi di sistemi che interagiscono egregiamente con un ambiente operativo complesso pur avendo una “intelligenza” molto limitata: le api. Con un solo milione di neuroni riescono a navigare, interagire con i fiori, comunicare con le altre api, gestire gli aggressori e avere una società complessa e organizzata (hanno persino delle “votazioni”). Noi abbiamo cento miliardi di neuroni (centomila cervelli d’ape) a testa e non riusciamo a capire come indossare una mascherina o perché. Chiaramente c’è un margine di ottimizzazione che le api sfruttano e noi no, ma è anche vero che un’ape va in crisi quando incontra l’edge case di una cosa che non esiste in natura, tipo una barriera trasparente (il vetro di una finestra).

È anche possibile che estendendo il concetto di riconoscimento degli schemi all’asse del tempo (ossia imparando a riconoscere come cambia un oggetto nel corso del tempo) ed estendendo il concetto di schema a oggetti complessi (incroci, rotatorie, attraversamenti pedonali) si riesca a ottenere risultati accettabili. Ma questo richiede un database di esempi colossale, una classificazione vastissima e una potenza di calcolo ancora più colossale. Nessuno dei sistemi attualmente in commercio ci si avvicina, come spiega bene Filip Piekniewski. Siate prudenti.

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico) o altri metodi.

2021/04/23

Perché i computer sono stupidi?

Si fa un gran parlare di intelligenza artificiale: computer che riconoscono la voce, come Siri o Alexa o OK Google, giocano a scacchi meglio degli esseri umani, identificano ed evitano ostacoli nella guida autonoma o assistita, con tempi di reazione fulminei e irraggiungibili per una persona. È facile pensare che siamo ormai vicini alla creazione di una vera intelligenza sintetica generalista, capace di competere con un essere umano.

Ma l’informatico statunitense Terry Winograd ha ideato un test che dimostra che non è affatto così. Il bello è che lo ha fatto nel 1972, e il suo test funziona ancora adesso. Non per nulla è diventato professore d’informatica alla Stanford University ed è considerato uno dei massimi esperti nel settore.

Il test di Winograd è beffardo, dal punto di vista degli informatici, per la sua semplicità. Una delle sue formulazioni tipiche è questa:

Il trofeo non ci stava nella valigia marrone perché era troppo grande.

Una frase banale, con una struttura grammaticale semplice e parole comunissime, perfettamente comprensibile. Talmente comprensibile e ovvia, per noi umani, che neanche ci accorgiamo che è ambigua. Quale dei due oggetti era troppo grande? Il trofeo o la valigia? Per noi la risposta è istantanea. Per un computer, invece, no.

Infatti una semplice analisi meccanica della frase (“questo è un sostantivo, questo è un verbo”, eccetera) non consente di risolvere l’ambiguità. Per farlo bisogna sapere che cos’è un trofeo, che cos’è una valigia, quali sono i normali rapporti di dimensione fra trofei e valigie, che le valigie sono fatte per contenere oggetti e i trofei no, e il fatto che se l’oggetto A deve stare dentro l’oggetto B, non è un problema se l’oggetto B è molto più grande dell’oggetto A: bisogna sapere che le cose piccole possono stare dentro le cose grandi ma non viceversa.

Non è neanche possibile usare uno dei trucchi preferiti dei sistemi di intelligenza artificiale, ossia sfruttare un enorme corpus di testo e un po’ di statistica per arrivare a una disambiguazione affidabile, o la tecnica tipica degli assistenti vocali, ossia estrarre le singole parole riconosciute e tirare a indovinare sul significato generale della frase. Serve esperienza del mondo.

Il test di Winograd ha varie versioni, chiamate schemi, composte da due frasi che sono differenti tra loro soltanto per una o due parole ma contengono un’ambiguità che si risolve in due modi opposti. Risolverla non è possibile usando le regole della grammatica e della sintassi: richiede conoscenza della realtà e ragionamento. Un computer che fosse capace di farlo sarebbe, all’atto pratico, intelligente.

Questo è un esempio di schema di Winograd:

I consiglieri comunali rifiutarono il permesso ai manifestanti perché temevano disordini

I consiglieri comunali rifiutarono il permesso ai manifestanti perché istigavano disordini

Le persone interpretano la prima frase nel senso che sono i consiglieri comunali a temere disordini; interpretano la seconda nel senso che gli istigatori sono i manifestanti. Eppure le frasi sono strutturalmente identiche. Lo fanno perché sanno cosa sono i consiglieri comunali e quali sono i loro compiti, e sanno che cosa sono le manifestazioni e le loro possibili conseguenze.

Beh, direte voi, ma frasi ambigue come queste sono rare. Invece no: un gruppo di ricercatori ne ha radunati 150 esempi, da usare come test d’intelligenza per computer. Frasi banalissime, come “ho messo un libro pesante sul tavolo e si è rotto”. Persino GPT-2, uno dei sistemi di intelligenza artificiale più moderni applicato al linguaggio, va in crisi di fronte agli schemi di Winograd, come spiega bene Tom Scott in questo video.

Potremmo risolvere il problema rivolgendoci ai computer in modo meno ambiguo? È improbabile. Il guaio è, infatti, che siamo talmente abituati a usare sottintesi basati sulla conoscenza del contesto che troveremmo estenuante parlare o scrivere in maniera perfettamente non ambigua.

Questa necessità di avere contesto per capire e risolvere le ambiguità non è solo una questione linguistica: è un ostacolo per un settore delicatissimo come la guida autonoma.

Un’automobile che usi un sistema di puro riconoscimento delle immagini, per esempio, verrà confusa dall’immagine della bambina in mezzo alla strada che vedete all’inizio di questo articolo e probabilmente frenerà di colpo per non colpirla. Al sistema mancano il contesto temporale (la deduzione delle forme reali a partire dal modo in cui cambia l’aspetto nel corso del tempo, e alcuni costruttori ci stanno lavorando) e la conoscenza del comportamento dei bambini: due cose che consentono di capire che non ha senso che una bambina sia perfettamente immobile in quella posizione e che la forma della “bambina” cambia, man mano che ci si avvicina, in un modo che rivela senza dubbio che si tratta di un disegno applicato alla superficie stradale.

Senza dubbio, s’intende, se siete esseri umani. Forse servono strade disambiguate, percorsi semplificati e ben demarcati, che vengano incontro alle limitate capacità dei sistemi di guida autonoma attuali.

Chiarisco che qui non si tratta di rivendicare una superiorità innata e invalicabile dei cervelli biologici su quelli sintetici: non è la materia prima che fa la differenza, è la conoscenza associata agli oggetti che vengono elaborati. Noi l’abbiamo (la acquisiamo), ma le macchine no, perché non gliela diamo. Il giorno che sapremo insegnare a un computer questa conoscenza, avremo davvero macchine intelligenti.  

In sintesi: l’intelligenza artificiale fallisce in modi profondamente “inumani”. Dà l’illusione della comprensione. Questo rende particolarmente difficile prevedere i suoi errori e correggerli. Specialmente quando si è al volante. Ricordiamocene prima di affidarci a questi sistemi.

2020/10/09

Riconoscere le canzoni con Google, senza installare app

Se vi capita di sentire una canzone alla radio o in giro e non sapete di che brano si tratti, ci sono da tempo applicazioni come Shazam, ma l’amico Paolo Amoroso segnala una chicca che evita di dover installare app dedicate: su Android si può usare l’app di Google.
 
È sufficiente avvicinare lo smartphone alla fonte della musica e poi toccare l’icona del microfono nella casella di ricerca di Google sullo smartphone. Questo attiva non solo il riconoscimento vocale convenzionale di Google ma fa comparire in basso un’opzione aggiuntiva: Che cos’è questo brano?
 
A questo punto si tocca l’icona della nota e Google si mette in ascolto del brano, per poi tentare di identificarlo. Non funziona sempre, ma è un trucchetto potenzialmente utile in caso di emergenza musicale.

2020/07/31

Pirati che usano satelliti militari per comunicare e come ascoltarli

Credit: @TrackerIss.

Fra le cose strane del 2020 probabilmente non vi aspettavate di trovare che esistono pirati che prendono il controllo di satelliti militari americani per comunicare abusivamente e che vengono intercettati tramite radio digitali software-defined e tradotti in tempo reale tramite Google Translate.

Questo è un uso decisamente creativo e originale delle risorse tecnologiche di Internet e del digitale in generale, mostrato da un consulente di sicurezza informatica e radioamatore noto su Twitter come @TrackerIss.

Come spiegato in questo video, incorporato qui sotto, esistono dei satelliti della Marina militare statunitense, denominati FLTSATCOM (Fleet Satellite Communications System), lanciati fra il 1978 e il 1989 in orbita geostazionaria e usati per le comunicazioni radio in UHF fra le navi, i sommergibili, gli aerei e le basi su terraferma della Marina USA, oltre che per la rete di comando presidenziale.

Questi satelliti non sono più in uso da parte dei militari da oltre un decennio, ma due di essi funzionano ancora ben oltre la loro data di scadenza operativa e soprattutto non hanno nessuna protezione di accesso: sono sostanzialmente dei ripetitori che ritrasmettono qualunque segnale radio venga inviato verso le loro antenne.


Di conseguenza, è facile usare una piccola antenna e un impianto radio a basso costo per inviare un messaggio tramite questi satelliti, che lo diffonderanno su un’area vastissima. Oggi questa tecnica illegale viene usata soprattutto in Brasile da migliaia di persone, dai camionisti ai criminali a chi vive in località molto isolate, per comunicare gratuitamente su grandi distanze, come racconta Wired.

Questi utenti abusivi sono localizzabili, ma le autorità locali non investono molte risorse nella repressione di questa attività illecita e quindi il sottobosco dei pirati satellitari prospera. Oggi è tecnicamente possibile non solo ascoltare queste conversazioni a migliaia di chilometri di distanza (anche in Europa), ma anche trascriverle e farsele tradurre almeno approssimativamente grazie alle radio SDR (con il software SDRSharp) combinate con il riconoscimento vocale di Google e con i servizi di traduzione automatica di questo motore di ricerca.

Ne potete sentire un campione nel video qui sopra da 3:18 in poi: l’audio è molto disturbato, ma si capisce che è una voce che parla in portoghese. Se conoscete questa lingua, potete provare a decifrare la conversazione. Buon ascolto.

2019/07/05

Amazon conferma che non cancella tutto quello che dite ad Alexa. Neanche se glielo chiedete

Alexa, l’assistente vocale di Amazon, non cancella tutte le cose che registra, neppure quando l’utente glielo chiede (con comandi come “Alexa, cancella quello che ho appena detto” oppure “Alexa, cancella tutto quello che ho detto oggi”).

Lo segnala Gizmodo, citando una lettera pubblica del vicepresidente per le politiche pubbliche di Amazon, Brian Huseman, che dice che le trascrizioni automatiche di quello che è stato detto dagli utenti non sempre vengono eliminate. Amazon, dice la lettera, può decidere di conservare questi dati nonostante le richieste di cancellazione delle registrazioni degli utenti se includono per esempio richieste di abbonamento, ordini di pizza, acquisti online, impostazioni di sveglie, o messaggi agli amici.

Huseman spiega che Amazon conserva queste trascrizioni perché, dice, “i clienti non vorrebbero e non si aspetterebbero che la cancellazione della registrazione vocale cancellasse anche i dati di contorno o impedisse ad Alexa di svolgere il compito richiesto.”

Meglio tenerne conto, se usate questo genere di dispositivo: separate i vostri ordini dalle altre cose che dite in casa, sperando che Amazon le archivi altrettanto separatamente e quindi cancelli eventuali conversazioni confidenziali captate dai sensibilissimi microfoni di Alexa.

2019/05/24

La Trascrizione Istantanea di Google elimina le barriere di comunicazione

Ultimo aggiornamento: 2020/11/15 15:35. 

Immaginate di dover parlare con una persona che ha difficoltà di udito o è completamente sorda, oppure sta semplicemente dall’altra parte di un vetro e non vi può sentire.

Scrivere quello che volete dire e poi mostrarlo sarebbe fattibile ma molto lento; in molti casi non sarebbe praticabile. Non tutti conoscono le lingue dei segni.

Ma se aveste a disposizione uno strumento che trascrive per voi quello che state dicendo, mentre lo state dicendo, sarebbe molto più facile comunicare. Lo strumento ce l’avete: è un qualunque smartphone Android recente che supporti Android 5.0 o successivo. Vi manca solo l’app apposita, che è Trascrizione Istantanea (Live Transcribe) di Google.

L’app è in grado di riconoscere e trascrivere oltre 70 lingue, e lo fa con una velocità, precisione e fluidità impressionanti, con tanto di punteggiatura e riconoscimento di molti titoli di film, libri e canzoni e di nomi di persone famose.

È facilissima da usare: una volta installata, la si lancia quando serve e si sceglie la lingua da trascrivere, poi si gira lo schermo del telefonino verso chi deve leggere la trascrizione. Tutto qui.

Ho fatto una demo nella puntata del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera di oggi: la trovate a 42:30 nel video qui sotto.


L’interlocutore può rispondere a voce oppure digitando sullo smartphone in un’area separata dello schermo. È possibile scegliere le dimensioni dei caratteri in modo che quello che viene trascritto sia visibile anche da lontano o chi ha limitazioni della vista. L’audio delle conversazioni, dice Google, non viene conservato dall’azienda.

L’app è utile anche per avere una rapida trascrizione immediatamente disponibile di una lezione, di un’intervista o di un discorso, oppure per capire meglio il parlato di un film che non ha i sottotitoli in una lingua che si conosce ma che si fa fatica a seguire avendo solo l’audio.




La prossima versione, che verrà rilasciata a giugno, sarà anche in grado di descrivere sullo schermo i suoni captati: per esempio quelli di un cane che abbaia o di qualcuno che bussa alla porta. Sarà inoltre in grado di copiare e salvare il testo trascritto. Provatela: è spettacolare.

 

2020/11/15 15:35

Non ho trovato una funzione specifica per esportare le trascrizioni, ma si può salvare una trascrizione per tre giorni (nelle opzioni) e la si può selezionare tutta e poi copiaincollarla in una mail.


Fonti: Engadget, Android, Google.

2019/02/15

“OK Google” origlia un po’ troppo. Sapete come sistemarlo?

Chiedo aiuto ai Disinformatici: come si può bloccare davvero l’attivazione automatica dell’Assistente di Google su uno smartphone Android? Ho seguito le istruzioni classiche: Impostazioni - Google Servizi e preferenze - Ricerca, assistente e funzioni vocali - Voce - Voice Match - Accedi con Voice Match - tutto spento.

Ho seguito anche istruzioni alternative: App Google - Altro - Impostazioni - Assistente Google/Impostazioni - Assistente - Dispositivi assistente/Telefono - Assistente Google - spento.

L’Assistente Google è ufficialmente disattivato: se tengo premuto a lungo il tasto Home, compare l’invito ad attivarlo.

Eppure ogni tanto, mentre sto parlando, OK Google si attiva lo stesso e lo fa anche se non dico “OK Google”. E registra pezzi a caso delle mie conversazioni, che quindi finiscono sui server di Google, con tutte le implicazioni di privacy e di tutela della riservatezza altrui che questo può comportare. Uno smartphone Android in uno studio di un avvocato o di un medico, per esempio, rischia di diventare una spia.

Se andate a myactivity.google.com dal vostro account Google e selezionate la casella Vocale e audio, potreste trovare campioni della vostra voce, con la trascrizione corrispondente. Questi sono alcuni dei miei: brani di conferenze, conversazioni in casa, dettature. Tutto riascoltabile cliccando su Riproduci.




Intendiamoci: l’Assistente di Google è utilissimo per dettare una mail o per comunicare un indirizzo a Maps mentre si è in auto. Ma sapere che questo microfono aperto non si può disabilitare mi sta facendo seriamente ricredere sull’uso di uno smartphone.

Mi resta un’ultima opzione, quella nucleare: disabilitare totalmente l’app Google a livelli di permessi (Impostazioni - App e notifiche - Autorizzazioni app - Microfono - Google - Nega comunque). Ma se lo faccio, riattivare tutto ogni volta che mi serve (e quando mi serve è perché ho fretta e/o non posso digitare manualmente) sarà un incubo.

Avete idee?

2018/05/18

Gli assistenti vocali danno i numeri

Un utente ha chiesto ad un’Alexa statunitense quanto fa 10308: è interessante notare che la sintesi vocale varia la pronuncia della parola “oh” invece di essere sempre monocorde.


Questo è quello che succede se si chiede la stessa cosa ad un’Alexa britannica, che risponde con toni leggermente languidi:


Siri, a quanto pare, è un po’ meno robotica: dice che 10308 è un numero di 309 cifre che inizia con 1, 0, 0, 0 e poi propone il numero per esteso sullo schermo, attingendo al motore di ricerca matematico Wolfram Alpha.

Google Assistant, invece, risponde pigramente “1.0 x 10^308”:



Mah.

2018/05/11

Intelligenza artificiale e robotica: demo impressionanti

Google ha presentato pochi giorni fa una demo di una conversazione telefonica nella quale un assistente digitale prenota un appuntamento dal parrucchiere in modo assolutamente naturale, dialogando con la persona che risponde alla chiamata e inserendo anche degli umanissimi ”uhm” e “mm-mmh” qua e là.



La reazione alla demo è stata fortissima e molto emotiva: molti utenti si sono sentiti ingannati da questo uso della tecnologia perché vorrebbero sapere se stanno parlando con una persona reale o con una segreteria telefonica particolarmente sofisticata. Google si è affrettata a precisare che Google Duplex (si chiama così questa nuova, imminente versione dell’assistente digitale dell’azienda) si identificherà chiaramente quando verrà messo a disposizione degli utenti.

Intanto la robotica umanoide fa grandi passi (perdonatemi il gioco di parole): se nove anni fa era ancora al livello di prototipi ingombranti, goffi e legati a un’imbracatura e a un’alimentazione esterna...



...oggi Boston Dynamics presenta un robot che cammina da solo su terreno accidentato e supera gli ostacoli saltando, senza un’alimentazione esterna:



Certo, bisogna tenere presente che queste sono dimostrazioni ottenute in ambienti controllati e selezionando soltanto i risultati migliori, per cui vanno prese con un pizzico di prudenza, ma il progresso è davvero notevole.

Ingannare Siri, Alexa, Google Assistant con comandi vocali nascosti

I dispositivi digitali dotati di riconoscimento vocale hanno una caratteristica che per molti utenti è inaspettata: “sentono” e “capiscono” in maniera molto differente da come lo facciamo noi. Di conseguenza, suoni che per noi non hanno senso, o non sono neanche udibili, possono essere usati per mandare a questi dispositivi dei comandi nascosti.

Un gruppo di studenti universitari statunitensi ha ampliato le ricerche iniziate nel 2016 e ora ha dimostrato di essere in grado di nascondere comandi vocali all’interno del rumore bianco, un particolare tipo di fruscio, simile a quello che si capta sintonizzando una radio su una frequenza dove non c’è una stazione che trasmette. L’orecchio umano sente solo fruscio, appunto, ma i sistemi di riconoscimento vocale captano i comandi e li eseguono. Nel video, un iPhone bloccato viene indotto a comporre un numero telefonico usando questa tecnica.


I ricercatori dicono di essere stati in grado di attivare Google Now per mettere il telefono in modalità aereo e di manipolare il sistema di navigazione di un’auto della Audi, di indurre uno smartphone a visitare un sito pericoloso, a fare una foto o inviare un messaggio.

Altri studiosi hanno dimostrato di poter creare frasi che al nostro orecchio sembrano dire una cosa ma che vengono interpretate in tutt’altro modo da questi dispositivi (un esempio semplice: cocaine noodles viene interpretato come OK Google), oppure canzoni che contengono messaggi “subliminali” (stavolta sul serio, non come nella leggenda metropolitana).

Questo genere di attacco è prevenibile evitando di tenere costantemente aperto il microfono dei dispositivi, cosa peraltro consigliabile anche per altre ragioni.

2018/04/26

Tenere attivo “OK Google” significa mandare pezzi di conversazioni a Google

Ultimo aggiornamento: 2018/05/03 8:20.

La funzione OK Google o Assistente Google degli smartphone Android è comoda, per carità: permette di usare queste parole per attivare il telefono e dargli dei comandi a voce. In teoria il telefono dovrebbe attivarsi soltanto quando viene pronunciato “OK Google”, ma la realtà è diversa. Oggi l’ho tenuto acceso per prova e i risultati sono stati piuttosto comici.


L’Assistente Google si è messo in testa che io gli abbia detto “OK Google” e poi gli abbia chiesto “lo fai quando scopi”. Cortesemente mi ha risposto proponendomi un link intitolato “Come fare l’amore la prima volta: com’è? Fa male?”. Grazie, ma non è un’informazione che mi serve in questo momento. Poi ha capito (erroneamente) che gli ho detto “Milan” e ha risposto dandomi il risultato del Milan contro il Benevento Calcio (se ci tenete a saperlo, Google dice che il Milan ha perso 1 a 0).

In realtà ha captato frammenti di una mia dettatura in inglese, nella quale non ho assolutamente pronunciato “OK Google”. Sono andato nella cronologia dell’attività vocale (sotto myactivity.google.com) e ho trovato le registrazioni degli spezzoni di voce che hanno attivato per errore la funzione OK Google: stavo dettando dei numeri e della punteggiatura. Nulla che somigliasse, neanche vagamente, alle parole capite dall’Assistente Google.

Bizzarro e divertente, certo, ma bisogna anche tenere presente che il riconoscimento vocale dell’Assistente Google implica quasi sempre l’invio a Google degli spezzoni di voce. Quindi se tenete attiva l’opzione di pronunciare OK Google, lo smartphone manderà a Google non solo le cose che dite dopo aver detto “OK Google” (e quindi quando sapete di avere Google in ascolto), ma anche quelle che dite quando lo smartphone crede che abbiate detto “OK Google”.

Un altro aspetto curioso di questa funzione è che è dannatamente difficile da disabilitare, perlomeno in Android 8.1.0 aggiornato sui miei due Nexus 5X. La dicitura “Pronuncia ‘Ok Google’” continua ad essere presente nel widget di ricerca di Google nonostante i miei vari tentativi di disabilitarla.

Ho provato a seguire le istruzioni della guida di Google: ho richiamato l’Assistente tenendo premuto a lungo il tasto Home, ho toccato l'icona blu in alto a destra, ho toccato i tre puntini in alto a destra, ho toccato Impostazioni, sono andato nella sezione Dispositivi, ho toccato la voce Telefono e ho disattivato la voce Assistente Google. Niente da fare.

Sono andato nell’app di Google (la G colorata su sfondo bianco), ho toccato le tre righe orizzontali in alto a sinistra, ho scelto Impostazioni, ho toccato l’opzione Voce, ho scelto Voice Match e poi ho disabilitato Dì “Ok Google” in qualsiasi momento e Durante la guida. Ho anche eliminato il modello vocale. Macché.

Posso ancora disabilitare l’accesso al microfono dell’app di Google (Impostazioni - App e notifiche - Google - Autorizzazioni - Microfono: la dicitura “Pronuncia ‘Ok Google’” rimane visibile nel widget, ma se dico “OK Google” il telefono non reagisce. Per contro, non funziona più neanche l’attivazione del microfono toccando la sua icona nel widget. Scomodo.

Fra l’altro, il widget di Google è diventato inamovibile. Non c’è modo di rimuoverlo. E non sono il solo a notare problemi di questo genere. Questa difficoltà nell’impedire la raccolta di dati da parte di Google è ben descritta da The Register come la sua tendenza, lentamente ma inesorabilmente crescente, a usare gli smartphone come dispositivi di data slurping. Del resto, raccogliere dati è il core business di Google, a differenza per esempio di Apple.

Altra particolarità: ho riacceso oggi un vecchio WileyFox che ha su Android 7.1.2 e l’app di Google versione 7.19.20.21 e ho trovato attivo l’Assistente Google. Eppure non ho mai attivato l’Assistente su quel telefono. Però qui sono andato nell’app di Google, ho toccato le tre righe orizzontali (che qui sono in basso a destra) - Impostazioni - Impostazioni - Telefono, ho disabilitato Assistente Google e ora non risponde più ai comandi vocali. Inoltre il widget di ricerca in Google è inamovibile.

Per i miei Nexus 5X, l’unica soluzione che ho trovato e verificato è installare un launcher come Apex; questo disabilita il riconoscimento di “OK Google” e permette, se si vuole, di rimuovere il widget di Google dalla schermata Home del dispositivo.

Avete qualche soluzione migliore?


2018/05/03 8:20


Ho tenuto sotto osservazione la mia cronologia delle registrazioni vocali e non ho trovato attivazioni non intenzionali da quando ho installato il launcher alternativo. Direi che la soluzione non è perfetta ma funziona.


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2018/04/19

Intelligenze artificiali per creare cartoni animati o isolare voci

Ultimamente si fa un gran parlare di intelligenza artificiale: sembra quasi che qualunque progetto informatico o tecnologico che non includa queste parole magiche sia da cavernicoli, e molti fra i non addetti ai lavori immaginano chissà quali computer superintelligenti o robot assassini pronti a dominare il mondo e renderci schiavi.

La realtà, per fortuna, è molto diversa: quella che oggi viene chiamata “intelligenza artificiale” non è un’intelligenza generalista ma è una tecnologia che risolve un singolo problema ben specifico ma non è capace di fare altro. Però quello che fa, lo fa con una capacità sorprendente.

Prendete per esempio il progetto presentato di recente dall’Allen Institute for Artificial Intelligence di Seattle, negli Stati Uniti: è un software superspecializzato, chiamato Craft, che è capace di creare un cartone animato dei Flintstones tutto da solo, partendo soltanto da una descrizione scritta delle situazioni da animare. Craft è stato addestrato dandogli in pasto circa 25.000 spezzoni di questi popolarissimi cartoni classici, ciascuno dotato di una descrizione testuale, ed è capace di decodificare queste istruzioni e cucire insieme gli elementi contenuti negli spezzoni per creare un cartone nuovo.


I risultati non sono da premio Oscar, ma sono un’anteprima dimostrativa di quello che potrebbe accadere fra qualche anno: invece di spendere mesi e milioni per creare un cartone animato, gran parte del lavoro ripetitivo, tipico di questa forma d’arte, che richiede dieci o più disegni per ogni secondo di durata, potrebbe essere delegato a un’intelligenza artificiale specializzata, lasciando agli artisti gli aspetti creativi e permettendo quindi a chiunque di portare sullo schermo storie che prima sarebbero state impossibilmente costose e laboriose da animare.

Un altro esempio di queste intelligenze artificiali dedicate a un singolo compito arriva da Google, che ha presentato una dimostrazione di un sistema che riesce a isolare una singola voce da un gruppo di persone che parlano contemporaneamente: una cosa che noi umani sappiamo fare molto bene ma che i computer normalmente fanno malissimo. La tecnica usata da questo sistema è molto umana: l’intelligenza artificiale si addestra guardando i volti delle persone mentre parlano singolarmente e impara a riconoscere i suoni corrispondenti alla forma della loro bocca. A quel punto è capace di scartare tutti i suoni estranei.



I risultati sono impressionanti e le applicazioni sono molto promettenti: questo sistema di Google sarebbe utilizzabile per esempio per rendere più comprensibile la voce di una persona che fa una videochiamata in una stanza affollata e rumorosa oppure per creare apparecchi acustici che fanno sentire bene solo la voce della persona che ci sta davanti e smorzano tutte le altre, per esempio in un locale pieno di persone che chiacchierano.



Naturalmente questo tipo di ascolto selettivo, che Google sta già valutando di includere in alcuni dei propri prodotti, sarebbe utilizzabile anche in modi più controversi. Per esempio, sarebbe perfetto per le intercettazioni o per spiare una conversazione in un ambiente rumoroso. Ma di certo il settore dell’intelligenza artificiale, che sta compiendo progressi rapidissimi, non è pronto per dominarci tutti, ma è solo un utile servo. Almeno per ora.


Questo articolo è basato sul testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu del 16 aprile 2018. Fonte aggiuntiva: Engadget,

2017/10/27

Google Home Mini: mettersi un microfono aperto in casa non è mai una buona idea

Il nuovo Home Mini di Google è un piccolo altoparlante “smart” che si collega a Internet e da lì ai servizi del grande motore di ricerca, consentendo di ascoltare musica, comandare dispositivi domotici, fare chiamate e chiedere informazioni tramite il suo microfono incorporato, che consente di dargli comandi vocali.

Un gingillo accattivante, ma come tutti gli oggetti dell’Internet delle Cose ha qualche problemino di privacy: il giornalista Artem Russakovskii ne ha ricevuto un esemplare da recensire e si è accorto che si attivava anche se non gli veniva chiesto di farlo, come il giornalista ha documentato in un video.

Esaminando i log del dispositivo si è accorto che per due giorni il Mini aveva registrato tutti i suoni che aveva rilevato, invece di limitarsi a registrare quelli pronunciati dal giornalista dopo la frase di attivazione “OK Google”.

In pratica, il Mini aveva ascoltato, registrato e trasmesso a Google tutto quello che era successo in casa.

Il giornalista ha contattato Google chiedendo chiarimenti e l‘azienda ha risposto che si era trattato di un malfunzionamento dovuto a un difetto fisico del pannello sensibile al tatto, quello che consente gli utenti di attivare la registrazione manualmente in alternativa alla pronuncia della frase di attivazione. Il difetto riguarda solo gli esemplari di prova per le recensioni e Google ha disattivato l’opzione di attivazione tramite il pannello tattile difettoso.

Ma il problema di fondo rimane: questo dispositivo di Google, come tutti gli altri del suo genere che rispondono ai comandi vocali (per esempio Echo di Amazon, certe “smart TV” e Siri), deve per forza avere un microfono costantemente attivo e in ascolto, in modo da poter reagire quando l‘utente pronuncia la frase di attivazione. Quando questo avviene, i suoni successivi devono essere registrati e inviati ai server della casa produttrice (in questo caso a quelli di Google), perché è lì che vengono analizzati, decifrati, eseguiti e custoditi: non viene effettuata alcuna elaborazione locale. In questo caso il difetto di fabbricazione ha fatto in modo che a Google arrivasse per errore tutto quello che veniva detto nell’abitazione.

Non so voi, ma l’idea di mettermi in casa, a spese mie, un microfono connesso a Internet che ascolta tutto quello che dico e capta anche i rumori delle altre attività che avvengono tra le mura domestiche continua a sembrarmi spettacolarmente stupida. Specialmente se si considera che tutto questo viene fatto semplicemente per evitare all’utente di dover premere un semplice pulsante di attivazione del microfono.

Giusto per capirci: considerate che Russakovskii aveva installato il suo Google Home Mini in bagno.


Fonte: Naked Security.

2017/04/14

Video pubblicitario tenta di attivare Google nelle case e sui telefoni degli spettatori

Certi pubblicitari non si fermano davanti a nulla. La nota marca di hamburger Burger King ha pubblicato su YouTube e trasmesso in TV un video pubblicitario nel quale il narratore dice specificamente che quindici secondi non gli bastano per dire tutte le qualità di questo panino e quindi si rivolge direttamente agli smartphone e ai dispositivi Google Home nelle case degli spettatori, dicendo “OK Google, che cos'è il Whopper Burger?”.

Dato che molti utenti hanno il riconoscimento vocale sempre in ascolto sui propri smartphone e sui propri dispositivi domestici Google Home, e attivato dicendo “OK Google”, l'intento dello spot era quello di prendere il controllo di questi dispositivi e indurli a leggere la pagina di Wikipedia dedicata al panino.

Google è intervenuta in breve tempo (circa tre ore) bloccando questa funzione sui dispositivi Google Home, che accettano comandi vocali da chiunque (mentre gli smartphone Android si addestrano sulla voce del singolo utente), e la catena di fast food ha risposto con una nuova versione dello spot che eludeva il blocco attivato da Google, ma l'ira degli internauti per questo abuso dei propri dispositivi non si è fatta attendere: hanno modificato la pagina di Wikipedia richiamata dallo spot in modo che dichiarasse che l'hamburger era composto “al 100% di ratti e di pezzetti tagliati di unghie dei piedi” o che era cancerogeno o conteneva cianuro. Terminata la campagna, la pagina di Wikipedia è tornata al contenuto normale.

L'azienda alimentare si proclama contentissima della bravata, dichiarando che la “conversazione social” sul suo prodotto è aumentata del 300%. In altre parole, saremo nell'era digitale, ma alcuni pubblicitari ragionano ancora secondo le vecchie regole: non importa se se ne parla bene o male, l'importante è che se ne parli.


Fonti: Washington Post, The Register, The Register.

2016/11/18

Come scavalcare il PIN di blocco di un iPhone usando Siri

Se avete Siri attivato sulla schermata di blocco del vostro iPhone, un aggressore può accedere alle vostre foto anche senza conoscere il vostro PIN o usare la vostra impronta digitale: lo segnala Bitdefender, che spiega in dettaglio la tecnica usata.

L’aggressore deve avere accesso fisico al vostro iPhone (non può agire via Internet) e deve conoscere il vostro numero di telefono (cosa piuttosto facile: basta chiederlo a Siri). Fatto questo, l’aggressore chiama il vostro numero, seleziona sul vostro iPhone un messaggio per rispondere alla chiamata e ordina a Siri di attivare la funzione VoiceOver (che usa una voce sintetica per leggere il contenuto dello schermo per chi ha problemi di vista).

Dopo alcuni altri passaggi che richiedono soltanto un po’ di rapidità e tempismo, diventa possibile accedere all’album delle foto usando l’espediente di aggiungere un nuovo contatto fittizio. Anche i messaggi sono accessibili.

Il difetto di sicurezza vale per iPhone e iPad (usando il nome FaceTime della vittima al posto del suo numero di telefono) e per tutte le versioni di iOS dalla 8.3 in poi fino alla versione più recente, la 10.2 beta. Una dimostrazione in video è qui.

È prevedibile che Apple rilascerà un aggiornamento che correggerà questa falla, ma gli iPhone meno recenti (per esempio l’iPhone 4S), che Apple non aggiorna, resteranno permanentemente vulnerabili.

Per rimediare a questa falla è possibile andare in Impostazioni - Touch ID e codice e poi disattivare la voce Siri in Consenti accesso se bloccato.

2016/07/08

Comandi vocali nascosti nei video attivano i telefonini? Calma un attimo

Sta circolando la notizia che dei ricercatori della Georgetown University e della University of California hanno dimostrato di poter eseguire comandi a distanza sugli smartphone Android e iOS ricorrendo a istruzioni vocali fortemente distorte, diffuse da un altoparlante. Il video è notevole, anche perché i comandi sono incomprensibili all’orecchio umano (perlomeno al mio) ma vengono capiti egregiamente dal telefonino, e hanno una sonorità inquietante.

Il risultato, nel video, è che un comando vocale riesce a far visitare un sito (che potrebbe essere un sito ostile o imbarazzante) e addirittura riesce a mettere il telefonino in modalità aereo: in pratica lo spegne a distanza, rendendo irreperibile il suo proprietario.



Ma la realtà dei fatti non è così semplice ed elegante come mostrato nel video, perlomeno secondo le mie prove. Infatti non sono riuscito a replicare gli effetti descritti facendo ascoltare il video all mio Nexus 5X, sul quale ho Android 6.0.1, che ho impostato andando in Impostazioni - Lingua e immissione - Lingua - English (US) e poi attivando OK Google (Settings - Language and input - Google Voice Typing - "Ok Google" detection - Always on), probabilmente perché questa versione di Android confronta l’audio con i campioni della mia voce che mi ha chiesto e accetta solo la mia voce o una voce molto simile.

L’articolo scientifico originale cita la versione 4.4.2 di Android (oltre alla versione 9.1 di iOS), per cui ho riesumato un vecchio Switel con Android 4.4.2 e l’ho configurato come sopra. Stavolta Google non mi ha chiesto campioni della mia voce e il riconoscimento dei comandi distorti è andato un pochino meglio: il comando “Ok Google” è stato riconosciuto, ma soltanto quando ho riprodotto l’audio mettendo l’altoparlante a ridosso del microfono dello smartphone.

Morale della storia: la dimostrazione dei ricercatori è concettualmente intrigante, perché mostra una vulnerabilità che molti non immaginano, ma in termini realistici le possibilità di eseguire un attacco in questo modo sono piuttosto modeste: serve un Android vecchio, sul quale sia attiva l’opzione OK Google e sia anche stata scelta la lingua corrispondente a quella delle registrazioni audio usate per l’attacco. Inoltre le condizioni audio necessarie sono particolarmente delicate.

In realtà se avete un Android vulnerabile a questo attacco dovreste preoccuparvi del fatto che state usando una versione di Android troppo antica, che vi espone a ben altri attacchi più semplici e probabili. Ma questa è un’altra storia.

2015/10/23

Ricerche fatte a voce? Google le ha registrate, ecco come cancellarle

L’articolo è stato aggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2015/10/23 17:00.

Non è un segreto che Google ricorda tutto quello che ciascun utente digita nella casella di ricerca; è forse meno noto che quando si usa Google per una ricerca fatta a voce, come si fa spesso con i telefonini, questo motore di ricerca registra la voce e la conserva.

Lo scopo di questa registrazione di massa non è la sorveglianza, ma l’affinamento del riconoscimento vocale, che migliora man mano che aumenta il numero di campioni di riferimento (generali dei vari utenti oppure dello specifico individuo). Ma è comunque impressionante vedere quanti brani della nostra voce sono stati incamerati da Google. Se volete farvi un'idea dei vostri spezzoni vocali collezionati dal motore di ricerca, entrate nel vostro account Google e poi seguite questo link. Troverete sorprese notevoli: io, per esempio, ho in archivio anche spezzoni casuali di conversazioni, probabilmente registrati perché ho toccato inavvertitamente l’icona del microfono nella casella di ricerca di Google sul telefonino.

Per fortuna è possibile cancellare selettivamente o in massa tutte queste registrazioni andando nelle Opzioni di eliminazione ed è possibile dire a Google di anonimizzare la raccolta di questi spezzoni di audio (seguendo questo link e scegliendo di disattivare l'opzione Comandi e ricerche vocali): si ottiene la richiesta di conferma mostrata qui di seguito, che spiega che “questa impostazione non incide sulla memorizzazione di informazioni da parte di prodotti Google (come Voice) che potrebbero essere utilizzati per memorizzare i tuoi input vocali o audio. Google potrebbe anche continuare a raccogliere e memorizzare dati audio in forma anonima.”


A questo punto, però, arriva una domanda inevitabile: cosa fanno gli altri fornitori di ricerche vocali, come Siri di Apple, Echo di Amazon e Cortana di Microsoft? Ci sono sospetti che Siri e Cortana conservino le registrazioni. Di questi tre, solo il servizio di Amazon offre esplicitamente un’opzione di cancellazione; per Siri e Cortana e più in generale, se volete essere sicuri di non regalare campioni della vostra voce l’unica soluzione semplice è non usare mai la ricerca vocale.


Fonti aggiuntive: Wired, Time.
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