George Lakoff. Fonte: Wikipedia. |
Si dice spesso che smentire pubblicamente una notizia falsa non fa che ripetere ulteriormente quella notizia e quindi paradossalmente tende a rinforzarla e farla rimanere nei ricordi delle persone. Molti personaggi pubblici, compresi i politici, conoscono questa regola e la sfruttano per usare i media a proprio vantaggio, praticamente obbligando i giornalisti a ripetere le loro dichiarazioni perché fanno notizia.
Per esempio, se dico “Non è vero che il nonno di Gianni Morandi era un clandestino a bordo del Titanic”, il concetto che probabilmente vi resterà in mente non è la smentita, ma l’idea che il nonno di Morandi fosse davvero un clandestino. È un’immagine accattivante, per quanto falsa e assurda, ed è decisamente più memorabile di un arido “non è vero che”, e quindi la smentita diventa un autogol che contribuisce alla memorizzazione e diffusione della notizia falsa.
Oggi che scriviamo tutti in pubblico attraverso i social network, questo problema di come articolare una smentita in modo da evitare che diventi un rinforzo della notizia falsa non riguarda più soltanto chi fa comunicazione tradizionale, ma può interessare chiunque.
Per fortuna esiste una tecnica comunicativa che aiuta a risolvere il problema, perlomeno secondo lo studioso di scienze cognitive George Lakoff della University of California, Berkeley. Ha un nome piuttosto curioso: “truth sandwich”, ossia “tramezzino di verità”.
Si chiama così perché consiste nel costruire la smentita presentando per primissima cosa il quadro generale dei fatti, poi citando brevemente la notizia falsa e infine spiegando in dettaglio perché è falsa. La notizia falsa è, per così dire, inserita come farcitura fra due strati di verità.
Pignoleria: se state pensando che in realtà si dovrebbe chiamare “tramezzino di bugie” perché i tramezzini si descrivono in base alla farcitura, avete perfettamente ragione, ma Lakoff ha scelto così, e del resto “tramezzino di bugie” indubbiamente sarebbe stato un brutto nome.
Per esempio, considerate il caso delle recenti immagini e dei file audio agghiaccianti che arrivano dagli Stati Uniti e mostrano i bambini dei migranti ammassati e rinchiusi in gabbie, separati dai propri genitori nei centri di detenzione governativi.
Fonte: US Border Patrol/Avvenire. |
Il modo tradizionale di smentire le dichiarazioni false del presidente Trump, che dice testualmente “siamo costretti a spezzare le famiglie [...] quella legge ce l’hanno data i democratici e non vogliono farci niente” (“We have to break up families. The Democrats gave us that law. It’s a horrible thing. We have to break up families. The Democrats gave us that law and they don’t want to do anything about it.”), sarebbe quello di dire “Trump incolpa i Democratici, ma non è vero che è colpa loro. Ecco perché.” Ma così facendo resta in mente principalmente il concetto che sono stati incolpati i democratici.
Secondo il principio del “truth sandwich”, invece, la smentita andrebbe data dicendo per esempio innanzi tutto:
“La politica che ha portato ai bambini in gabbia è stata voluta dall’amministrazione Trump.”
Questo è il primo strato di verità di questo tramezzino immaginario, che prosegue per così dire con la farcitura:
“Trump dice erroneamente che è colpa delle leggi volute dai democratici”.
E poi arriva lo strato finale:
“Qui su Factcheck.org viene ricostruita in dettaglio la scelta dell’amministrazione Trump di cambiare le regole di gestione degli immigrati.”
Nel caso specifico, in sintesi, questo cambiamento consiste nel fatto che l’amministrazione Trump ha deciso di procedere penalmente contro gli immigrati genitori invece di usare la procedura civile usata solitamente in precedenza. Questo obbliga alla detenzione, e la detenzione per legge è separata per adulti e minori, e questo porta alle famiglie spezzate. La separazione è particolarmente traumatica perché le autorità di immigrazione statunitensi non prendono alcuna misura significativa per tracciare i minori e i loro genitori e quindi consentirne il futuro ricongiungimento (molti bambini di tenerissima età non sanno dare generalità dettagliate: per loro la mamma è la mamma e basta). Il risultato finale è che i bambini strappati ai loro genitori rischiano di non poter mai più ritrovarli e di diventare orfani di Stato.
Poche ore fa Trump ha firmato un executive order che almeno a prima vista è mirato a interrompere queste detenzioni separate. Un evento notevole, considerato che fino a pochi giorni fa l’amministrazione Trump diceva di avere le mani legate e che comunque la politica di separazione non esisteva, ma questa è un’altra storia. Circa duemila bambini restano tuttora in gabbie.
Prima che parta il coro dei “Ma anche Obama...”, metto subito in chiaro tre cose:
- primo, la politica di Bush Jr e di Obama portava alle separazioni solo in casi molti particolari, mentre con Trump è diventata la norma;
- secondo, uno sconcio inaccettabile precedente non cambia il fatto che quello che sta avvenendo adesso è e resta uno sconcio inaccettabile;
- terzo, parlare del passato non risolve il problema del presente ed è solo una foglia di fico per non affrontarlo e distrarre dalla realtà drammatica di oggi e buttarla in caciara politica inutile e idiota. Non attacca, quindi non provateci, cari troll.
Ha ragione lo studioso? Il “tramezzino di verità” è più efficace ed evita che i politici usino i giornalisti come amplificatori delle proprie menzogne? Provate anche voi a costruire le vostre comunicazioni sui social network usando questa tecnica, soprattutto nei dibattiti più accesi. Vale la pena di tentare: la posta in gioco è alta. Fatemi sapere.
2019/06/21
Un bell’esempio di uso del truth sandwich arriva dal Washington Post di oggi:
Credit where due: This @washingtonpost article does a great job in its headline and initial paragraphs of leading with the facts and making Trump's falsehood the story, rather than privileging the lie. Even uses the truth sandwich a la Lakoff. https://t.co/kanYnBz9VK pic.twitter.com/imA03hYCir— Matthew Gertz (@MattGertz) June 21, 2019
Il titolo dell’articolo dice “La Casa Bianca non ha imposto nuove sanzioni all’Iran giovedì, nonostante l’asserzione di Trump”. In altre parole, per prima cosa mette i fatti e poi segnala la fonte che ha diffuso la fandonia.
Il corpo dell’articolo segue lo stesso schema: fatti in sintesi, fonte della fandonia, ripetizione estesa dei fatti.
Fonti aggiuntive: Washington Post, BBC, Avvenire.