Ultimo aggiornamento: 2022/01/20 18:30.
Di recente l’esercito svizzero ha bandito l’uso di WhatsApp, Signal, Telegram e
di qualunque altra applicazione di messaggistica diversa da
Threema per le comunicazioni legate al
servizio.
Il portavoce dell’esercito, Daniel Reist, ha spiegato che la decisione
è stata presa per questioni di sicurezza e di protezione dei dati. I militari
potranno continuare a utilizzare WhatsApp e altre applicazioni per le
comunicazioni private.
La decisione dell’esercito ha comprensibilmente spinto molte persone a farsi
tre domande:
-
cosa c’è di così pericoloso in WhatsApp, Signal, Telegram eccetera da
indurre l’esercito svizzero a compiere questo passo?
- perché Threema invece non è pericolosa?
- se lo fa l’esercito, dovremmo farlo anche noi?
Alcuni si saranno anche fatti una quarta domanda: Threema chi? In
effetti Threema non è molto popolare: i suoi circa
dieci milioni di utenti
sono trascurabili rispetto ai due miliardi di utenti di WhatsApp. Molte
persone non l’hanno mai sentita nominare e vengono a sapere della sua
esistenza soltanto a causa della risonanza della notizia di questa decisione
militare svizzera.
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Cominciamo dalla prima domanda: le app di messaggistica non svizzere, come
appunto WhatsApp, Signal e Telegram, non rispettano le norme svizzere sulla
riservatezza. WhatsApp, in particolare, è soggetta alle leggi statunitensi e
in particolare al cosiddetto CLOUD Act (acronimo di
Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act), una legge del 2018 che consente alle autorità statunitensi di acquisire
informazioni sul traffico di dati da tutti i gestori di servizi di
telecomunicazioni sottoposti alla giurisdizione degli Stati Uniti e lo
consente anche se questi dati si trovano fuori dal territorio americano e
anche se sono gestiti per esempio da società europee che hanno una filiale
negli Stati Uniti, come spiega in dettaglio la legal specialist e
data protection officer Barbara Calderini su
Agenda Digitale.
In parole povere, gli Stati Uniti possono ottenere, aggregare e analizzare
tutti i dati trasmessi su WhatsApp da qualunque militare svizzero o di
qualunque altro paese. Il rischio non è ipotetico: è già
capitato
che messaggi o post di militari russi abbiano rivelato la loro presenza in
Ucraìna
e in Siria, a volte smentendo le dichiarazioni ufficiali. La Russia ha
vietato
completamente l’uso degli smartphone durante il servizio militare nel 2019.
È vero che WhatsApp ha la cosiddetta crittografia end-to-end, per cui
Meta (la società che possiede WhatsApp insieme a Facebook e Instagram) non può
cedere a nessuno il contenuto delle conversazioni fatte tramite
WhatsApp semplicemente perché non le ha a disposizione.
Ma la crittografia non copre i dati di contorno di queste conversazioni, ossia
i cosiddetti metadati: con chi avete parlato, a che ora di quale giorno
l’avete fatto, per quanto tempo avete conversato e quante volte avete
scambiato messaggi con ciascuna delle persone con le quali avete comunicato
tramite WhatsApp. Usare WhatsApp significa quindi dare a Meta, e quindi alle
autorità statunitensi, l’elenco completo dei propri amici, contatti di lavoro
e commilitoni. Messi insieme, tutti questi metadati hanno un valore strategico
enorme.
Faccio un esempio concreto: qualche anno fa, nel 2017, sono stato invitato a
parlare a Locarno a una conferenza organizzata dall’esercito svizzero e
dedicata alla digitalizzazione legata alla sicurezza nazionale. Il pubblico
era composto quasi esclusivamente da militari. Ho chiesto quanti di loro
avessero uno smartphone acceso in tasca con la geolocalizzazione attiva e
WhatsApp installato: hanno risposto affermativamente quasi tutti. Ma allora,
ho proseguito, Google o Apple, e sicuramente Facebook, sanno che buona parte
degli ufficiali dell’esercito svizzero, provenienti da tutti i cantoni, si
trovano radunati in questo preciso luogo in questo preciso momento. E lo
possono sapere in tante altre circostanze e passare questi dati al proprio
governo. In sostanza, un paese straniero può monitorare i movimenti dei nostri
militari, e può farlo oltretutto in modo perfettamente legale. La mia
osservazione è stata accolta, come dire, con consapevole disagio.
Per chi è nelle forze armate elvetiche, insomma, usare WhatsApp (e, in misura minore, Signal o Telegram) o in
generale applicazioni di messaggistica gestite da operatori situati al di
fuori della Svizzera ha delle implicazioni reali di sicurezza militare.
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Tutto questo spiega perché Threema, invece, non è considerata a rischio: si
tratta di un’app creata da una società che ha sede in Svizzera, a Pfäffikon,
nel canton Svitto, e che custodisce i dati in modo conforme alle leggi
nazionali e lo fa su server situati in Svizzera. Quindi non è soggetta al
CLOUD Act statunitense. Allo stesso tempo offre, come le app rivali, le stesse
protezioni di crittografia end-to-end ed è open source, quindi
liberamente ispezionabile. E a differenza delle altre app (in particolare di WhatsApp), non richiede di
dare al gestore un numero di telefono o altre informazioni personali e non si
mantiene offrendo queste informazioni ai pubblicitari (in questo senso Signal è più virtuosa rispetto a Telegram e WhatsApp). Threema è infatti
un’app a pagamento: costa quattro franchi, che si pagano una volta sola.
L’esercito svizzero pagherà questo abbonamento agli utenti militari.
La scelta dell’esercito di bandire le altre app dalle comunicazioni di
servizio ma consentire l’uso di WhatsApp e simili per comunicazioni private
non offre sicurezza assoluta: è un compromesso pragmatico, perché il semplice
fatto di usare queste app invia comunque dati preziosi e sensibili alle
società estere che le gestiscono. Ma è un passo nella direzione giusta.
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Alla luce di tutto questo, noi utenti comuni cosa dobbiamo fare? Dipende tutto
dalla situazione personale, ma l’esempio dato dall’esercito svizzero è valido,
anche per chi vive al di fuori dei confini elvetici, ed è un buon promemoria
del fatto che per molte categorie professionali, come per esempio medici,
consulenti legali, giornalisti o fornitori di servizi bancari, usare WhatsApp
e simili per comunicazioni legate alla propria attività è già ora una
violazione delle norme nazionali sulla riservatezza dei propri pazienti,
clienti o interlocutori. Usarle per la sfera personale, invece, è meno
problematico, ma va comunque valutato con attenzione.
Allo stesso tempo, è inutile avere un’app ipersicura che però non viene usata
dalle persone con le quali si vuole comunicare, per cui è necessario valutare
la situazione caso per caso. Possiamo provare a chiedere ai nostri
interlocutori se accettano di installare e usare app come Threema accanto a
WhatsApp: anche questo è un passo nella direzione giusta.
Fonti:
RSI,
La Regione,
Swissinfo,
La Regione,
Start Magazine,
TvSvizzera.it.