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2016/10/21
Social network usati per tracciare e arrestare manifestanti: succede anche nei paesi democratici
“Ma io non ho niente da nascondere, che mi traccino pure”: quante volte avete sentito questa frase? I social network contano proprio su quest’indifferenza per fare soldi vendendo le informazioni degli utenti. In realtà non bisognerebbe parlare di nascondere, ma di proteggere. Perché i dati non vengono venduti solo agli inserzionisti pubblicitari.
A volte si tratta di proteggere dati che potrebbero facilitare un abuso o una molestia, come l’indirizzo di casa o del posto di lavoro o della scuola dove mandiamo i nostri figli. A volte, invece, si tratta di proteggere i diritti civili, persino in paesi che normalmente consideriamo democratici.
È emerso pochi giorni fa che i dati di Twitter, Facebook e Instagram sono stati usati per monitorare attivisti e manifestanti, identificarli e arrestarli: non in qualche regime dittatoriale, ma negli Stati Uniti. Questi social network, infatti, inviavano dati a una società esterna, Geofeedia, che a sua volta passava i dati alla polizia per creare mappe in tempo reale delle attività sui social media delle zone in cui si svolgevano proteste, allo scopo di identificare i manifestanti man mano che pubblicavano i propri post.
Quando Facebook, Instagram e Twitter sono stati allertati della situazione da una segnalazione della American Civil Liberties Union (ACLU), hanno interrotto la cessione di dati a Geofeedia, che si vantava del fatto che il suo prodotto veniva usato “con grande successo” per sorvegliare proteste razziali come quelle seguite all’uccisione del diciottenne di colore Michael Brown da parte della polizia a Ferguson, in Missouri.
In occasione di un’altra uccisione, quella di Freddie Gray, sempre ad opera delle forze dell’ordine a Baltimora, i social network sono stati usati per tracciare i manifestanti di una scuola che avevano deciso di unirsi alla protesta prendendo i mezzi pubblici. Va detto che la polizia ha trovato che nei loro zaini c’erano “sassi, bottiglie e paletti”, ma il potere di sorveglianza capillare dimostrato è davvero impressionante e fa riflettere.
A volte si tratta di proteggere dati che potrebbero facilitare un abuso o una molestia, come l’indirizzo di casa o del posto di lavoro o della scuola dove mandiamo i nostri figli. A volte, invece, si tratta di proteggere i diritti civili, persino in paesi che normalmente consideriamo democratici.
È emerso pochi giorni fa che i dati di Twitter, Facebook e Instagram sono stati usati per monitorare attivisti e manifestanti, identificarli e arrestarli: non in qualche regime dittatoriale, ma negli Stati Uniti. Questi social network, infatti, inviavano dati a una società esterna, Geofeedia, che a sua volta passava i dati alla polizia per creare mappe in tempo reale delle attività sui social media delle zone in cui si svolgevano proteste, allo scopo di identificare i manifestanti man mano che pubblicavano i propri post.
Quando Facebook, Instagram e Twitter sono stati allertati della situazione da una segnalazione della American Civil Liberties Union (ACLU), hanno interrotto la cessione di dati a Geofeedia, che si vantava del fatto che il suo prodotto veniva usato “con grande successo” per sorvegliare proteste razziali come quelle seguite all’uccisione del diciottenne di colore Michael Brown da parte della polizia a Ferguson, in Missouri.
In occasione di un’altra uccisione, quella di Freddie Gray, sempre ad opera delle forze dell’ordine a Baltimora, i social network sono stati usati per tracciare i manifestanti di una scuola che avevano deciso di unirsi alla protesta prendendo i mezzi pubblici. Va detto che la polizia ha trovato che nei loro zaini c’erano “sassi, bottiglie e paletti”, ma il potere di sorveglianza capillare dimostrato è davvero impressionante e fa riflettere.
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