Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2016/11/01
Antibufala: il “server segreto” di Donald Trump
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Ieri Slate ha pubblicato un lungo articolo, a firma di Franklin Foer, nel quale si accusa Donald Trump di avere un server segreto con il quale comunicherebbe con la Russia, specificamente con la Alfa Bank, una delle più grandi banche commerciali del paese.
L’accusa sarebbe avvalorata dalle dichiarazioni di vari esperti informatici, che hanno studiato attentamente il traffico di dati fra questo server e Alfa Bank. Ma la storia, nonostante provenga da una testata solitamente attendibile, sta rapidamente prendendo la forma di una bufala alla quale ha dato corda anche la campagna elettorale di Hillary Clinton.
È facile perdersi nei dettagli tecnici della vicenda, in gran parte basata sui log DNS (semplificando, i registri dei contatti fra computer effettuati attraverso Internet), ma in estrema sintesi l’articolo di Slate si basa soltanto su indizi: “Quello che gli scienziati hanno raccolto non è una pistola fumante. È un insieme di indizi che non preclude in alcun modo delle spiegazioni alternative”, come dice l’articolo stesso.
Gli esperti informatici consultati e citati dall’articolo di Slate sono quasi tutti anonimi e se si leggono bene le loro dichiarazioni emerge che nessuno di loro ha confermato esplicitamente l’accusa; tutti hanno solo confermato alcuni aspetti secondari della vicenda. Uno dei pochi esperti citati per nome nell’articolo ha preso seccamente le distanze dalle conclusioni proposte.
L’analisi tecnica di Errata Security ha poi smontato pezzo per pezzo il castello di congetture di Slate. Il New York Times ha pubblicato un articolo nel quale risulta che l’FBI aveva già indagato sul presunto “server segreto” e aveva concluso che il traffico di dati poteva benissimo avere una spiegazione innocua. Il sito antibufala Snopes ha pubblicato una bella sintesi della vicenda. E The Intercept ha pubblicato uno dei messaggi inviati da questo presunto “server segreto”: una pubblicità per gli alberghi di Trump.
Il server, poi, non è neanche di Trump in senso stretto (o in senso largo): appartiene alla società di marketing Cendyn, usata da Trump dal 2007 per gestire le campagne di spam – pardon, di pubblicità – dei suoi alberghi; e la Cendyn a sua volta subappalta alla Listrak, che ospita materialmente il server in un data center di Philadelphia.
Ed è abbastanza difficile credere che Trump e soprattutto i russi scelgano, come nome del server segreto da usare per comunicazioni clandestine, proprio il nome trump-email.com.
Ieri Slate ha pubblicato un lungo articolo, a firma di Franklin Foer, nel quale si accusa Donald Trump di avere un server segreto con il quale comunicherebbe con la Russia, specificamente con la Alfa Bank, una delle più grandi banche commerciali del paese.
L’accusa sarebbe avvalorata dalle dichiarazioni di vari esperti informatici, che hanno studiato attentamente il traffico di dati fra questo server e Alfa Bank. Ma la storia, nonostante provenga da una testata solitamente attendibile, sta rapidamente prendendo la forma di una bufala alla quale ha dato corda anche la campagna elettorale di Hillary Clinton.
È facile perdersi nei dettagli tecnici della vicenda, in gran parte basata sui log DNS (semplificando, i registri dei contatti fra computer effettuati attraverso Internet), ma in estrema sintesi l’articolo di Slate si basa soltanto su indizi: “Quello che gli scienziati hanno raccolto non è una pistola fumante. È un insieme di indizi che non preclude in alcun modo delle spiegazioni alternative”, come dice l’articolo stesso.
Gli esperti informatici consultati e citati dall’articolo di Slate sono quasi tutti anonimi e se si leggono bene le loro dichiarazioni emerge che nessuno di loro ha confermato esplicitamente l’accusa; tutti hanno solo confermato alcuni aspetti secondari della vicenda. Uno dei pochi esperti citati per nome nell’articolo ha preso seccamente le distanze dalle conclusioni proposte.
L’analisi tecnica di Errata Security ha poi smontato pezzo per pezzo il castello di congetture di Slate. Il New York Times ha pubblicato un articolo nel quale risulta che l’FBI aveva già indagato sul presunto “server segreto” e aveva concluso che il traffico di dati poteva benissimo avere una spiegazione innocua. Il sito antibufala Snopes ha pubblicato una bella sintesi della vicenda. E The Intercept ha pubblicato uno dei messaggi inviati da questo presunto “server segreto”: una pubblicità per gli alberghi di Trump.
Il server, poi, non è neanche di Trump in senso stretto (o in senso largo): appartiene alla società di marketing Cendyn, usata da Trump dal 2007 per gestire le campagne di spam – pardon, di pubblicità – dei suoi alberghi; e la Cendyn a sua volta subappalta alla Listrak, che ospita materialmente il server in un data center di Philadelphia.
Ed è abbastanza difficile credere che Trump e soprattutto i russi scelgano, come nome del server segreto da usare per comunicazioni clandestine, proprio il nome trump-email.com.
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