L’uomo che vedete nella foto si chiamava Alan Shepard. È morto nel 1998, a 74 anni. È la prima e finora unica
persona, nella storia dell’umanità, ad aver mai giocato a golf sulla Luna.
Questo evento bizzarro accadde proprio cinquant’anni fa, il 6 febbraio 1971, durante la missione Apollo 14. Shepard, appassionato giocatore di golf oltre che astronauta celeberrimo (fu il primo americano a volare nello spazio, nel 1961), era sulla Luna insieme al collega Ed Mitchell, e alla fine della loro estenuante escursione sulla superficie lunare estrasse da una tasca della sua tuta spaziale una testa di bastone da golf, la agganciò al manico di uno degli strumenti scientifici usati per la raccolta dei campioni e la usò per lanciare alcune palline da golf che aveva portato con sé nella stessa tasca.
L’evento fu trasmesso in diretta TV, e rimase celebre la frase che Shepard usò per descrivere il risultato dei suoi tiri, effettuati nonostante l’impaccio della rigidissima tuta spaziale ma con il vantaggio della ridotta gravità lunare (un sesto di quella terrestre) e dell’assenza di resistenza aerodinamica (non essendoci un’atmosfera).
“Miles and miles and miles!”, disse scherzosamente Shepard. Miglia e miglia e miglia. Durante il viaggio di ritorno, riferì via radio che stimava che una pallina avesse percorso circa duecento metri e l’altra ne avesse coperti circa quattrocento. Ma come andarono realmente le cose? Era chiaro sin da subito che quelle miglia erano un’esagerazione, viste le condizioni difficilissime del tiro, ma oggi sappiamo con precisione quanta strada fecero quelle palline grazie alle ricerche degli esperti e al restauro digitale delle immagini scattate all’epoca sulla Luna.
Le palline da golf tirate da Shepard e le posizioni di tiro sono state infatti localizzate nelle fotografie, come mostrato qui sotto (divot è il termine inglese usato per indicare un incavo nel terreno prodotto dal bastone da golf nel colpire la pallina):
L’immagine qui sopra è una composizione digitale di varie fotografie scattate
dall’interno del Modulo Lunare (il veicolo che aveva portato sulla Luna i due
astronauti).
Il restauratore di fotografie Andy Saunders ha recuperato le immagini migliori
disponibili della missione e ha prodotto questi ingrandimenti delle zone
intorno alle due palline da golf (l’asta nella prima foto proviene da un
esperimento per il vento solare e fu lanciata dal collega Ed Mitchell come se
fosse un giavellotto):
Sì, sulla Luna ci sono due palline da golf, ripetutamente cotte e congelate da cinquant’anni di esposizione al calore del sole e al gelo della notte lunare (un “giorno” lunare dura circa 29 giorni terrestri). E ora sappiamo anche a che distanza si trovano dal punto di tiro.
Infatti Saunders ha elaborato digitalmente tramite stacking i fotogrammi della ripresa del decollo dalla Luna, fatta dall’interno del Modulo Lunare usando pellicola cinematografica nel formato 16 mm, e ha ottenuto quest’immagine della zona di decollo, nella quale si possono scorgere le due palline e il “giavellotto”.
Quest’immagine, però, è inclinata, per cui è difficile usarla per determinare le distanze esatte. Ma dal 2009 la sonda Lunar Reconnaissance Orbiter fotografa l’intera superficie lunare da una quota di circa 100 chilometri, con occasionali discese a quote più basse, e nel 2011 ha scattato un’immagine della zona di allunaggio di Apollo 14 che è una veduta sostanzialmente verticale della zona e come tale non è affetta da distorsioni di prospettiva.
Saunders l’ha elaborata per ottenere questo risultato: 22 metri per il primo
tiro e 36,5 metri per il secondo.
Il bastone da golf usato sulla Luna fu riportato sulla Terra e ora è presso il
museo della USGA, che
racconta in dettaglio
tutta la vicenda, spiegando che la testa è una Wilson Staff Dyna-Power da
ferro 6 (credo che si dica così nel gergo del golf italiano) e mostrando anche
le foto di una delle fosse e delle impronte lasciate nella polvere lunare da
Shepard quando si posizionò per uno dei tiri. L’astronauta non rivelò mai la marca delle palline usate, per evitare pubblicità, anche se ci sono alcuni indizi in proposito: gli furono donate da un professionista del golf, Jack Harden, presso il River Oaks Country Club di Houston.
Questa è una foto di Shepard, scattata qualche anno dopo, che mostra bene l’attacco della testa e le dimensioni molto compatte del manico ripiegabile.
Il gesto di Alan Shepard fu un momento di umanità in una serie di missioni a volte caratterizzate da un eccesso di tecnologica freddezza, ma ebbe anche un valore simbolico. Il golf divenne il primo sport giocato su un altro corpo celeste e gli Stati Uniti dimostrarono anche in questo modo la loro maestria nel campo spaziale rispetto ai sovietici, che non riuscivano neppure a far arrivare sulla Luna un cosmonauta mentre gli americani si permettevano persino di giocare. Non va dimenticato che le missioni Apollo erano un esercizio di propaganda politica nel quale la scienza era secondaria.
Fra l’altro, inizialmente la NASA si era opposta all’idea di Shepard. L’astronauta spiegò che il bastone e le due palline non sarebbero costate nulla al contribuente americano e che li avrebbe usati soltanto se la missione avesse avuto successo e soltanto al termine di tutte le attività pianificate. In un’intervista nel 1998, Shepard raccontò di aver detto molto chiaramente a Bob Gilruth, direttore del Manned Spaceflight Center che era contrario alla proposta, queste parole: “Non sarò così frivolo. Voglio aspettare la fine della missione, mettermi davanti alla telecamera, dare una botta a queste palline con questo bastone improvvisato, ripiegarlo, mettermelo in tasca, risalire la scaletta, chiudere la porta e andare.”
In ogni caso, quei due tiri di Alan Shepard costituirono un esperimento di fisica non banale. L’idea di giocare a golf sulla Luna era stata lanciata per scherzo dal popolarissimo comico statunitense Bob Hope durante una sua visita alla NASA e Shepard notò che sarebbe stato un ottimo modo per mostrare agli spettatori della missione la differenza della gravità lunare. Nessuno aveva mai tirato una pallina da golf nel vuoto, dove non c’è l’effetto Magnus prodotto dall’interazione delle fossette della pallina con l’aria. Inoltre il fatto stesso di riuscire a centrare le palline con la testa del bastone, nonostante la limitatissima visibilità verso il basso offerta dalla tuta e la rigidità delle articolazioni delle braccia della tuta, fu una testimonianza dell’abilità e della determinazione di Alan Shepard.
Quelle palline sono ancora là, piccole testimoni di un’avventura incredibile di mezzo secolo fa, in attesa che qualcuno ritorni a visitare quei luoghi alieni e silenti.
Fonti aggiuntive: BBC Sport, Ars Technica.
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