Il 31 ottobre 1930 nasceva a Roma, in via Tevere, l’astronauta statunitense Michael Collins, protagonista della storica prima missione di allunaggio umano insieme a Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Collins rimase a bordo del veicolo spaziale principale mentre i suoi colleghi raggiungevano per la prima volta la superficie della Luna, e trascorse così molte ore da solo a bordo, con l’incubo di dover rientrare sulla Terra abbandonando i suoi compagni a morte certa sulla Luna se non fossero riusciti a ripartire e raggiungerlo.
Collins ha scritto una bellissima autobiografia, Carrying the Fire, una delle più umane e poetiche fra quelle degli astronauti di quell’epoca pionieristica, e come probabilmente sapete se seguite abitualmente questo blog sto curando da oltre un anno, insieme a una squadra di persone esperte, la traduzione italiana di questo suo racconto di vita.
Mi fa molto piacere festeggiare l’anniversario della nascita di Collins, scomparso nel 2021, annunciando che la traduzione e l’impaginazione (cartacea e in e-book) sono completate e il libro attende ora solo l’approvazione del titolare statunitense dei diritti per andare in stampa, grazie alla pazienza editoriale sovrumana di Cartabianca Publishing, che ha saputo gestire le condizioni e le limitazioni molto impegnative imposte dalla casa editrice americana, estremamente attenta a proteggere l’immagine pubblica di Collins.
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Aggiornamento (2023/11/03): L’approvazione del titolare statunitense dei diritti è arrivata e possiamo andare in stampa!
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I più attenti noteranno che la copertina (mostrata qui sopra) è leggermente cambiata rispetto alla versione presentata inizialmente, per garantire la maggiore fedeltà storica possibile: riuscite a vedere la differenza rispetto alla versione precedente?
Se tutto va bene, il libro sarà ordinabile a novembre su carta e in e-book. Chi ha partecipato al suo crowdfunding riceverà la sua copia con priorità rispetto a tutti gli altri acquirenti.
Ad agosto scorso vi ho raccontato alcuni esempi delle difficoltà traduttive che abbiamo incontrato e che molti lettori non immaginavano (alcune non ce le immaginavamo neanche noi). Se l’arte della traduzione letteraria e tecnica vi intriga e volete avere un’idea di quanto lavoro ci sia dietro una versione italiana curata e di quanto questo tipo di traduzione sia inarrivabile per i software automatici, ecco la seconda infornata di esempi.
LM o LEM? LEM!
Come discusso a settembre scorso in questo post, si poneva il problema degli acronimi delle parti del veicolo spaziale Apollo, che includeva un modulo lunare (Lunar Module), un modulo di comando (Command Module) e un modulo di servizio (Service Module). I rispettivi acronimi sono LM, CM e SM, e sono usatissimi in Carrying the Fire. Ma tradizionalmente in italiano il modulo lunare è noto come “il LEM”, perché all’inizio il suo acronimo era Lunar Excursion Module ed entrò nell’uso in questa forma, anche se poi perse la E di Excursion.
Un sondaggio fra i lettori di questo blog ha fatto prevalere l’acronimo classico, spiegato nel libro da una nota. Contravveniamo alla regola grammaticale, ma qui è più importante la comprensibilità che la pedanteria.
Citazioni sbagliate
- Nel Capitolo 4, Collins scrive bête noir [sic], ma la grafia corretta è bête noire.
- In un altro punto cita la stella Formalhaut [sic] (il refuso è presente anche nella versione cartacea del 1973).
- Nel Capitolo 14 scrive ad nauseum [sic] al posto di ad nauseam.
- Nell’Appendice, cita lo Shuttle Endeavor [sic], ma la grafia corretta è Endeavour, perché la navetta prese il nome dalla nave capitanata dall’esploratore britannico e matematico James Cook nel diciottesimo secolo, che da buon suddito di Sua Maestà usò la grafia British (anche la NASA riuscì a sbagliare, pur avendo dato il nome Endeavour a due veicoli, ossia a uno degli Shuttle e al modulo di comando di Apollo 15, quando espose un grande striscione con la scritta “Go Endeavor” [sic] al Kennedy Space Center a luglio 2007, prima di una missione di quello Shuttle, come raccontato qui).
- Nel Capitolo 5, Collins cita l'accelerazione di 9,8 m/s [sic], dimenticandosi l’esponente (la grafia giusta è 9,8 m/s2).
- Nel Capitolo 13 cita una persona che di cognome fa, secondo lui, Macleish [sic], ma in realtà si tratta di John E. McLeaish.
In tutti questi casi abbiamo deciso di correggere, invece di riportare pari pari gli errori, perché l’intenzione di Collins era di usare la grafia giusta, ma dato che lui stesso fa notare che il suo manoscritto è stato trascritto a macchina da altri, non possiamo attribuire sicuramente questi sbagli a lui. Se avessimo la certezza che gli errori furono suoi, allora avrebbe senso lasciarli, perché caratterizzerebbero la persona per quella che era invece di imbellettarla correggendone gli errori, ma non siamo affatto certi che Collins, altrove così forbito nelle citazioni letterarie, abbia commesso personalmente questi refusi. Oltretutto, se avessimo deciso di lasciarli per una (presunta) maggiore fedeltà, i lettori avrebbero pensato probabilmente a un nostro errore dilettantesco. Avremmo dovuto mettere una nota a piè pagina per spiegarlo ogni volta. E così abbiamo corretto.
Il problema principale, in casi come questi, è accorgersi dell’errore (per esempio insospettendosi per una grafia insolita di un cognome) e poi trovarne la correzione. Questo i traduttori software non lo fanno.
Correzioni ai dati di fatto
Si è posto anche un problema ben più spinoso per un altro tipo di errori: quelli riguardanti dati di fatto. Per esempio, nell’Appendice in originale citava la missione Apollo-Soyuz ancora come “scheduled” (pianificata), persino nella ristampa del 2001 e anche nell’attuale e-book inglese: abbiamo corretto mettendo le date di effettiva realizzazione della missione, perché presumiamo che Collins avrebbe corretto in questo modo se qualcuno avesse riletto il testo prima di ristamparlo.
Nel Capitolo 3 Collins dice che il 1964 fu un anno senza voli spaziali, ma non è vero, perché (come ha notato Gianluca Atti, una delle memorie storiche che hanno partecipato alla traduzione) ci fu un volo sovietico, quello della Voshkhod 1, con tre cosmonauti, a ottobre 1964: abbiamo scelto di aggiungere un semplice “per noi” per non mettere una nota che sarebbe suonata pedante.
Nel Capitolo 6 l’autore scrive che l’intenzione di effettuare una pericolosa “passeggiata spaziale”, la prima per gli americani, fu annunciata al mondo solo dopo che la missione (Gemini 4) si era alzata in volo, ma Gianluca ha notato che già il giorno del lancio sui quotidiani italiani (La Stampa) si riportava la notizia dell'EVA di White. Qui l’errore è di Collins e abbiamo deciso di mantenerlo.
Nel Capitolo 13, una lunga sequenza di dialoghi (un cosiddetto readback delle importantissime istruzioni per l’esecuzione dell’accensione del motore necessaria per centrare esattamente l’atmosfera terrestre senza rimbalzarvi e perdersi nello spazio e senza penetrarla troppo ripidamente e disintegrarsi) è riportata da Collins con molti errori: sembra essere in parte una versione riassunta e malamente trascritta di quanto trasmesso dal CAPCOM Charlie Duke, stando alla trascrizione pubblicata nell’Apollo 11 Flight Journal; lo stesso avviene nel Capitolo 7 con i dialoghi fra Collins e Young durante la loro missione Gemini 10. Anche qui, abbiamo deciso di mantenere l’aderenza all’originale, aggiungendo solo qualche puntino di sospensione per indicare che si tratta di una sintesi, perché una correzione completa sarebbe stata macroscopica e comunque i dettagli delle istruzioni non sono importanti per la comprensione del testo.
Riferimenti culturali
Nel Capitolo 5 e nel Capitolo 11, Collins parla del modulo di comando, denominato Columbia, descrivendolo come “gioiello dell'oceano”. Detto così non sembra avere senso, ma in realtà si tratta di un riferimento a una canzone popolare statunitense, Columbia, the Gem of the Ocean.
Nel Capitolo 9 a un certo punto scrive “back-to-back and belly-to-belly”; quanti traduttori (software o umani) saprebbero notare che si tratta di una citazione di Zombie Jamboree, una canzone di Harry Belafonte?
La citazione di “Amateur hour” (Capitolo 9) è un riferimento al titolo di un popolare programma di ricerca di nuovi talenti della TV statunitense. Abbiamo usato “dilettante allo sbaraglio” come riferimento sottile alla Corrida, programma equivalente della Rai di quegli anni.
L’espressione “...but this beast is best felt. Shake, rattle, and roll! Noise, yes, lots of it, but mostly motion...” usata da Collins per descrivere lo sballottamento prodotto dal suo veicolo spaziale include un riferimento alla canzone Shake, Rattle and Roll, popolarissima in quegli anni. Per rendere chiaro in italiano questo riferimento, che altrimenti si sarebbe perso completamente, abbiamo aggiunto “come dice la canzone”.
La citazione di una domanda da 64.000 dollari nel Capitolo 13 può sembrare stranamente specifica, ma bisogna ricordarsi che The $64,000 Question era il nome di un telequiz popolarissimo alla TV statunitense dell’epoca.
Per sapere come abbiamo risolto in italiano la citazione salace dell’espressione “rub-a-dub-dub” vi toccherà aspettare di leggere il libro tradotto: posso solo anticiparvi che ci abbiamo sudato parecchio.
Anche la citazione di Lew’s submarine (Capitolo 11), in un contesto per nulla navale, non è stata facile da sistemare. Quanti traduttori (automatici o meno) si accorgerebbero che non si tratta di terminologia navale ma di un riferimento a un particolare tipo di panino? Alla fine la soluzione l’ha trovata la co-traduttrice Paola Arosio. Voi come avreste tradotto?
“I decided it was time to move on, while I could still leave with my shield rather than on it!”: scrive così Collins nel Capitolo 14. Ma non si tratta di scudi termici per il rientro o altro: è una citazione greca (“con lo scudo o sullo scudo”), nel senso di “o vittoria o morte”, perché la locuzione originale greca si riferisce “al saluto che le madri spartane rivolgevano ai loro figli prima della partenza per la guerra: essi potevano ritornare a casa portando lo scudo oppure essere riportati morti sullo scudo. Va ricordato che perdere lo scudo era sinonimo di diserzione e codardia, poiché non si poteva scappare senza esserselo tolto, data la sua pesante mole.“
Riferimenti religiosi
La prosa di Collins è piena di citazioni dai testi sacri. Per esempio, nel Capitolo 6 parla di “fatted calf”, che è il vitello grasso dal Vangelo secondo Luca, e cita l’espressione “living right”, che non vuol dire semplicemente vivere correttamente, ma indica specificamente la condotta secondo la retta via religiosa.
Nel Capitolo 9 parla di “ruin and damnation”, che è un’espressione specifica del lessico cristiano (“rovina e dannazione”).
Nei Capitoli 8 e 10 Collins parla di “path of righteousness”, che è il “sentiero di rettitudine” nel lessico cristiano. Però bisogna accorgersene, altrimenti il riferimento si perde completamente.
Nel Capitolo 11 cita scherzosamente un “comandamento” degli astronauti, scrivendo “Thou shalt not screw up”. Collins usa il lessico arcaico della Bibbia tradizionale inglese, ma il lessico biblico italiano non ha nulla del genere e quindi abbiamo scelto di aggiungere un “Ricordati di”, come in “Ricordati di santificare le feste”, per richiamare con pari efficacia e chiarezza il testo dei comandamenti.
Nel Capitolo 12 Collins cita l’“original man”, che non è un uomo originale, ma è una citazione teologica che in italiano si rende normalmente con “Uomo originale” (con la U maiuscola) oppure “uomo primordiale”.
“The Jewish mother is in orbit”, scrive Collins a un certo punto nel Capitolo 13. Ma non si tratta di un’astronauta ebrea: è un riferimento allo stereotipo della mamma ebrea iperprotettiva, familiarissimo per gli americani ma molto meno per chi ha una cultura italiana. Come renderlo in italiano? Non è facile, ma si può.
Citazioni letterarie
Nel Capitolo 8 Collins cita “The Ballad of East and West” di Kipling; nel Capitolo 9 cita la poesia If, sempre di Kipling; nel 14 cita T.S. Eliot; in vari punti viene citato Omar Khayyam. In tutti questi casi occorre trovare l’equivalente italiano, se già esiste.
Una citazione meno aulica è nel Capitolo 13, quando parla di “huffing and puffing”: è un riferimento alla fiaba del lupo e dei tre porcellini, e bisogna cercare un modo per mantenerlo per il lettore italiano.
Questione cromatica: soluzione al limite dell’ossessivo-compulsivo
Nel Capitolo 10 viene citato il colore di una delle tre squadre di controllori che si avvicendavano nel corso delle ventiquattro ore durante le missioni spaziali, e il colore è maroon. Ma che colore è esattamente in italiano? Non è certo marrone; potrebbe essere bordeaux, vino, granata, insomma un rosso cupo tendente al marrone. Andando a vedere le tabelle Pantone emergono risultati contrastanti.
Soluzione (resa possibile dal provvidenziale intervento di un appassionato lettore, Morando 68): scrivere direttamente al direttore di quella squadra, Milt Windler, che è ancora con noi e ha risposto per lettera e (da bravo ingegnere preciso) allegando campioni di colore. E la risposta esatta è “granata”, come le maglie del Torino. Eccezionale.
L’ape regina leccata dai fuchi
Collins scrive, parlando di uno dei grandi computer dell’epoca (Capitolo 11), che sembrava “the queen bee, licked by drones and fed by workers”. Salta fuori che no, quel “licked” non è un errore di battitura ma è un comportamento reale dei fuchi, ma dopo lunga discussione e temendo che i lettori pensassero a un nostro errore abbiamo preferito evitare l’immagine mentale porno-entomologica.
Come si chiama la navicella spaziale in Dalla Terra alla Luna di Verne? Sbagliato, Neil!
Nel Capitolo 11 viene riportato il discorso fatto da Neil Armstrong in diretta TV durante il viaggio di ritorno dalla Luna, e Neil cita il fatto che il nome del modulo di comando è Columbia e nota che Columbiad è “il nome della navicella che Jules Verne mandò sulla Luna nel libro che scrisse cent’anni fa”. Ma in realtà è il nome del cannone che spara la navicella-proiettile, non della navicella stessa (che è senza nome). Collins, in un altro punto, specifica correttamente che si tratta del nome dato al cannone. Abbiamo lasciato intatto l’errore di Armstrong.
Collins dà ragione ai complottisti?
E per finire, un paio di quizzelli tecnici che a prima vista potrebbero sembrare delle prove a favore dei lunacomplottisti: nel Capitolo 12, Collins spiega che il veicolo spaziale raggiunge la velocità di “10,8 chilometri al secondo, oltre 39.000 chilometri l’ora, più che sufficiente per uscire dal campo gravitazionale terrestre” (“35,579 feet per second, more than enough to escape from the earth’s gravitational field”). Ma in realtà questa velocità non è sufficiente ad abbandonare completamente il campo gravitazionale terrestre, cosa per la quale occorrerebbe raggiungere la cosiddetta velocità di fuga, pari a 11,2 chilometri al secondo o 40.320 chilometri l’ora). Come si spiega questa anomalia? Se volete lo spoiler, la spiegazione è qui.
Sempre nello stesso capitolo, Collins nota che il terzo stadio del Saturno V viaggia alla stessa velocità del veicolo spaziale Apollo, eppure abbandona il campo gravitazionale della Terra e addirittura entra in orbita attorno al Sole, cosa che richiede molta più velocità di quella del veicolo Apollo (che invece non riesce neppure a sfuggire completamente alla Terra. E il terzo stadio ha esaurito il propellente. Ma allora da dove prende questa velocità aggiuntiva? Se vi arrendete, la soluzione è qui (in inglese).
Questi quiz sono un ottimo esempio di come il mestiere del complottista sia facile e quello del debunker sia invece ben più arduo: il complottista non deve fare altro che notare l’anomalia e gridare al complotto. Il debunker, invece, deve informarsi sulle complicate ragioni di meccanica celeste che rendono possibile e realistica, anzi reale, questa apparente anomalia. Ed è per questo che nei dibattiti dal vivo il complottista di turno ha il gioco troppo facile, per cui conviene evitare di parteciparvi ma rispondere solo dopo essersi documentati.
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