Pubblicazione iniziale: 2017/05/19 7:44. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale per chiarire alcuni concetti. Ultimo aggiornamento: 2021/01/23 9:44.
Vorrei dirlo subito, chiaro e tondo: il
Blue Whale Challenge, la serie di sfide coordinate da fantomatici “curatori” che porterebbero al suicidio di cui si parla tanto ultimamente, soprattutto dopo un
servizio trasmesso da
Le Iene il 14 maggio scorso,
per ora è un mito senza prove; ma rischia di trasformarsi in realtà se si continua a parlarne in modo irresponsabile, sensazionalista e acchiappaclic, quasi compiacendosi di raccontarne i dettagli, di descrivere l'elenco preciso delle sfide da superare, come stanno facendo tanti giornali e come ha fatto appunto
Le Iene con un servizio agghiacciante, durato oltre mezz'ora, che ha indugiato lungamente su immagini scioccanti ma ha portato ben pochi elementi concreti e ha spesso creato accostamenti falsi e ingannevoli.
Continuare con questi toni gridati, spettacolarizzare le sofferenze,
rischia di creare solo fascino morboso e di ispirare emulatori invece di affrontare seriamente un problema gravissimo come quello del suicidio fra gli adolescenti.
Aggiornamento (2017/05/22 10:20): Come era facile prevedere, con questo sensazionalismo giornalistico il mito di nicchia è diventato realtà di massa. Si è creata una psicosi collettiva per cui non si parla d'altro e si regala visibilità a questo Blue Whale Challenge, contribuendo a diffonderlo e a dargli potere psicologico.
È importante chiarire un equivoco ricorrente: non sto dicendo che il Blue Whale Challenge è una bufala. Sto dicendo che era un fenomeno relativamente limitato e poco conosciuto, che è diventato enorme per colpa del giornalismo irresponsabile. Se volete approfondire, leggete questo articolo di Rosita Rijtano.
Il suicidio giovanile è un problema serio. Parlarne in toni che lo rendono spettacolare e alimentano miti non fa altro che peggiorare il problema ed è una violazione delle regole basilari del giornalismo e delle raccomandazioni degli esperti.
Provo quindi a fare un passo indietro ed esaminare con calma i fatti. Ma prima vorrei mettere in chiaro un'altra cosa: le persone crudeli, i malati di mente, gli idioti che per malsano divertimento o incoscienza istigano i ragazzi e le ragazze a fare cose pericolose o a compiere gesti estremi esistono
realmente, e da sempre, su Internet e fuori da Internet. Poco importa se stavolta si fanno chiamare
Blue Whale (
balenottera azzurra, non
"balena blu") o in qualunque altro modo. Quello che conta è che
questi istigatori, "curatori" o "tutor" non hanno poteri magici, non sono una setta o un culto internazionale organizzato, e non è vero che vanno in giro a ricattare e punire chi si rifiuta di seguire le loro istruzioni.
Questa gente disturbata ha potere soltanto se glielo diamo noi: se i genitori lasciano che i figli giovanissimi parlino con gli sconosciuti e girino su Internet senza tenerli d'occhio e senza spiegare loro com'è il mondo; se si crede a tutto quello che si vede su Internet; se i giornalisti presentano questi adescatori come dei geni della perversione e si attaccano a etichette di facile presa come appunto
Blue Whale Challenge.
Il Blue Whale Challenge è come
Slenderman o
Talking Angela: esiste e fa danni solo se crediamo che esista e gli diamo visibilità senza fare critica. Più lo pubblicizziamo e ci concentriamo sul mito, parlandone in toni di certezza (
Gdp.ch, per esempio, anche
qui), più lo rinforziamo e facciamo il suo gioco. Non facciamoci trollare crudelmente.
In particolare,
cerchiamo di non fare l'errore di concentrarci solo sul caso Blue Whale e sulla sua specifica mitologia, ma
cogliamo l'occasione per parlare con i ragazzi e le ragazze del problema generale del suicidio giovanile, nei toni e nei modi consigliati dagli esperti, che segnalo più avanti.
Cogliamo quest'occasione
per metterli in guardia contro tutti i criminali e malati di mente che, con qualsiasi etichetta e qualsiasi mezzo, possono spingerli a buttare via la loro vita. Leggiamo insieme a loro la ridicola lista di "sfide" per toglierle potere. Proviamo a occuparci un po' di più di come passano il loro tempo invece di parcheggiarli davanti allo smartphone o al videogioco. E cogliamo l'occasione, magari, per dare loro un abbraccio in più, una parola in più, un sorriso in più, per ricordare loro che ciascuno di loro è unico e prezioso.
I fatti e le origini del mito
Secondo le
indagini del giornalista Russell Smith, del collega debunker
David Puente, di
Know Your Meme, de
Il Post e del sito antibufala
Snopes, il mito del Blue Whale Challenge (BWC) è iniziato a maggio del 2016, quando la rete televisiva russa RT (Russia Today) ha trasmesso un servizio sui gruppi di discussione sul suicidio presenti sul social network VK. I
n questo servizio non si parlava specificamente del BWC, ma più generalmente della piaga del suicidio giovanile in Russia.
Sempre a maggio del 2016, un'altra testata giornalistica russa, la
Novaya Gazeta, ha
citato per la prima volta specificamente qualcosa che somiglia al Blue Whale Challenge (
«киты плывут вверх» e simili), dichiarando che su 130 suicidi giovanili avvenuti in Russia fra novembre 2015 e aprile 2016 almeno 80 erano collegati a questa serie di sfide e a vari gruppi che usano la balena come nome o simbolo (ma, ancora una volta,
non erano collegati specificamente al BWC).
La risonanza di questo servizio e di questo articolo ha inevitabilmente generato imitatori, per cui in Rete ha preso a diffondersi una serie di immagini e di memi dedicati alle varie sigle e parole chiave incentrate sulle balene. E non sono mancati gli sciacalli che hanno speculato sulla vicenda creando pagine social sul tema che generavano guadagni pubblicitari, come nota
Sofia Lincos su Queryonline.
A novembre 2016 il sito di notizie russo RBTH ha
annunciato l'arresto di un uomo, Filipp Budeikin, accusato di aver gestito un gruppo dedicato al suicidio su VK. Ma RBTH non ha menzionato specificamente il Blue Whale Challenge.
Non c'è nessun legame fra Budeikin e il BWC. Eppure l'arresto è stato interpretato lo stesso dai
media come una conferma dell'esistenza e dell'efficacia del Blue Whale Challenge.
Le dichiarazioni sprezzanti di Budeikin sulle proprie vittime, riportate mesi dopo dai giornali sensazionalisti di lingua inglese (
Daily Mail e
Metro) e dalla
BBC, provengono da un solo
sito russo ma sono rimaste prive di qualunque conferma. Budeikin si è
dichiarato colpevole di
istigazione al suicidio di almeno 16 ragazze; ma non è chiaro se le ragazze abbiano seguito fino in fondo le sue istruzioni.
Sono stati ancora i giornali scandalistici britannici a pompare la notizia a febbraio e marzo di quest'anno: il
Daily Mail, il
Daily Express e il
Sun hanno ripetuto il dato sbagliato dei 130 morti attribuiti al BWC senza fare alcuna verifica, copiando ciecamente le prime fonti russe (ma, va detto, precisando quasi sempre in piccolo che non ci sono conferme). La polizia britannica ha pubblicato un tweet di avvertimento ai genitori, a titolo prudenziale in risposta agli strilli di questi giornali, e questo per molti adulti ha "autenticato" la storia.
Ma i giornalisti che fanno indagini, come quelli di
Radio Free Europe, hanno notato a febbraio 2017 che
né i 130 suicidi né l'arresto in Russia sono stati legati concretamente al Blue Whale Challenge. I giornalisti di RFE hanno tentato di infiltrarsi in presunti gruppi BWC usando false identità e gli hashtag che sarebbero associati al BWC (
#F57 #F58 #СИНИЙ КИТ) ma non hanno trovato nulla, tranne un presunto “curatore” che però dopo la prima sfida (simulata dai giornalisti) è sparito.
La BBC ha
riassunto bene la questione:
"In realtà non ci sono dati ufficiali che colleghino specificamente una singola morte al Blue Whale Challenge [...] ma il concetto indubbiamente esiste".
Le parole di Matteo Viviani nel servizio de Le Iene sono insomma sbagliate e ingannevoli: a parte le dichiarazioni di un intervistato (Sergey Pestov), non ci sono prove che
"centinaia di adolescenti si sono suicidati [...] per seguire le regole di un macabro gioco: la Blue Whale" (a 1:50). Il servizio stesso indica che nel caso del ragazzo suicidatosi a Livorno non ci sono prove di legame specifico con il Blue Whale Challenge (a 23:20). Anzi, la
dichiarazione del dirigente locale della Squadra Mobile, Giuseppe Testaì, smentisce quest'ipotesi:
“Si tratta di un dramma privato, legato a motivi esclusivamente familiari”. Quindi
tutta la parte del servizio de Le Iene dedicata a tentare di collegare questo suicidio italiano al Blue Whale Challenge intervistando un compagno di scuola della vittima è una bufala.
Anche
i video mostrati nel servizio de Le Iene, veri o falsi che siano, non contengono alcun riferimento preciso al Blue Whale Challenge ma sono facilmente reperibili con una ricerca in Google, come notano i commenti dei lettori qui sotto.
In Svizzera, invece, il caso che
Tio.ch dichiara confermato nel Canton Vaud è basato esclusivamente su una
telefonata al numero di un'associazione di sostegno ai giovani (147); l'altro caso riportato da
Le Nouvelliste è pura
congettura:
"à ce stade des investigations, il n'y a aucun lien avéré avec ce "Blue Whale Challenge". Rien n'indique que la jeune fille était dans cette démarche. Nous privilégions pour l'heure la piste d'un défi lancé entre camarades", dice la polizia (ma questo non ha impedito al titolista di citare il Blue Whale Challenge).
Come parlare correttamente del suicidio giovanile
Io non sono un esperto e non voglio fingere di esserlo: quindi vi invito a consultare i vostri esperti locali (come
147.ch, disponibile anche in
italiano). Le
raccomandazioni degli esperti
concordano su alcuni punti (
informativa ISTAT;
linee guida generali OMS;
risorse della International Association for Suicide Prevention), che valgono specialmente per i giornalisti (
linee guida OMS specifiche) ma riguardano chiunque:
- È importante evitare di indugiare sulle descrizioni dei dettagli di un suicidio o indicarne i luoghi: questo tende ad aumentare il rischio di imitazione.
- Bisogna invece concentrarsi sui sentimenti evocati dalla notizia.
- Bisogna essere sinceri, chiari e concisi, senza usare giri di parole o eufemismi che possono creare equivoci.
- Bisogna spiegare che è normale provare sentimenti come rabbia, colpa, paura, insensibilità apparente di fronte a un dramma come questo.
- Non bisogna indugiare sulle ipotetiche colpe o responsabilità, ma ispirare e manifestare offerte di ascolto, sicurezza, protezione e amore.
Da parte mia aggiungo:
giornalisti, non chiamatelo “gioco”.
Conclusioni
Dall'analisi dei fatti emerge insomma che
Blue Whale è solo una delle tante etichette, più o meno temporanee, di un problema ben più durevole e ampio: quello dei gruppi online e delle pagine dei social network che alimentano il disagio giovanile e sono infestate da bulli e predatori. È importante parlare della questione nel suo complesso con i propri figli e, se siete docenti, con i propri studenti, per evitare che si diffondano false credenze sull'onnipotenza di questi "tutor" o "curatori", come è già accaduto per altri casi, come appunto Slenderman.
Concentrarsi solo su questa sigla, o sulle altre che circolano, e tentare di attribuire ogni suicidio giovanile al Blue Whale Challenge è quindi soltanto una pigrizia mentale, una scorciatoia giornalistica per creare titoli sensazionali e acchiappaclic, che rischia di distrarci dalla vera questione, di scatenare psicosi e di dare una gruccia verbale comoda agli sciacalli.
Conseguenze
Le prime conseguenze di questa psicosi si stanno già facendo sentire: circola infatti la falsa notizia di una prima vittima italiana del Blue Whale Challenge ad Avellino, ma è
opera di un sito sparabufale. Un lettore mi segnala un altro esempio di sciacallaggio acchiappaclic in Italia:
Un'altra conseguenza assurda di questo clima di isteria è che ci sono
app e locali il cui nome richiama per puro caso la balenottera azzurra e che per questo vengono
inondati di insulti e di recensioni negative da utenti che chiaramente non hanno capito un'acca di come funziona Internet (o il mondo, probabilmente). Per non parlare delle
teorie di complotto anti-Putin de
Il Giornale.
Fonti aggiuntive: Tio.ch, Butac.it (video), Bufale.net, Thatsmag, Wired UK, Vita.it, The Submarine, Ansa, Tio.ch.
Aggiornamento (2017/10/09)
Le Iene ha riparlato dell’argomento: i dettagli sono in
questo mio articolo.