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Il Disinformatico: Il Giornale

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2022/01/10

Nicolaporro.it e il giornalismo copiaincolla

Il sito di Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale, ultimamente se l’è presa con i debunker, scrivendo che è un’“arte che indegnamente guardiamo da lontano con qualche dose di disprezzo” e tirandomi in ballo esplicitamente insieme ai colleghi e amici: “Dove sono i Paolo Attivissimo, i Butac de noantri, i David Puente di turno?” (copia permanente) perché a quanto pare non indaghiamo gratis sulle cose che interessano alla redazione. Redazione che, ricordo, è composta da giornalisti che ricevono uno stipendio per fare indagini giornalistiche.

Ma a quanto pare alla redazione di Nicolaporro.it non sembra avere problemi di “disprezzo” quando si tratta di rubare intere frasi da un articolo di un debunker.

Questo è un brano di questo mio articolo del 4 gennaio 2022:

E questo è un brano dell’articolo uscito ieri, 9 gennaio 2022, su Nicolaporro.it e firmato da “Redazione” e da Paolo Becchi e Giovanni Zibordi (copia permanente):

Versione in formato testuale per agevolare il confronto:

(il mio articolo) Dagli Stati Uniti arriva un esempio tragico di questa regola: secondo quanto riferito da The Center Square, il direttore della compagnia assicurativa OneAmerica, Scott Davidson, ha detto che i tassi di mortalità attuali sono “i più alti mai visti nella storia di questo settore, e non solo alla OneAmerica” e sono saliti del 40% rispetto ai livelli pre-pandemia fra le persone in età lavorativa. Visto che OneAmerica gestisce polizze vita, questo dato è cruciale per la sua attività. Davidson ha aggiunto che non sono gli anziani a morire ma “principalmente le persone in età lavorativa, fra i 18 e i 64 anni.” “Tanto per darvi un’idea di quanto questo sia grave” ha dichiarato “una catastrofe da tre sigma, ossia una di quelle che avvengono una volta ogni 200 anni, comporterebbe un aumento del 10% rispetto al valore pre-pandemia, per cui il 40% è inaudito.” In altre parole, negli Stati Uniti in questo periodo c’è una sovramortalità eccezionale: qualcosa la sta causando.
(quello di Nicolaporro.it) Dagli Stati Uniti arriva infatti la notizia che il Ceo compagnia assicurativa OneAmerica, Scott Davidson, ha detto che i tassi di mortalità attuali sono “i più alti mai visti nella storia di questo settore, e non solo alla OneAmerica”: sono saliti ora del 40% rispetto ai livelli pre-pandemia fra le persone in età lavorativa. Visto che OneAmerica gestisce polizze vita, questo dato è cruciale per la sua attività e gli attuari e gli statistici impiegati dalle assicurazioni sono molto motivati a stimare in modo corretto la mortalità perché è il loro business. Davidson ha aggiunto che non sono gli anziani a morire ma “principalmente le persone in età lavorativa, fra i 18 e i 64 anni.” “Tanto per darvi un’idea di quanto questo sia grave – ha dichiarato – una catastrofe da tre sigma, ossia una di quelle che avvengono una volta ogni 200 anni, comporterebbe un aumento del 10% rispetto al valore pre-pandemia, per cui il 40% è un valore inaudito.” In altre parole, negli Stati Uniti in questo periodo c’è una mortalità eccezionale: qualcosa la sta causando e il Ceo Davidson non avanza ipotesi.

Persino il link della definizione di “tre sigma” è identico. Ma guarda che strana coincidenza.

Per gli immancabili cretini assortiti che insinueranno che potrei aver copiato io retrodatando il mio articolo: copia del mio articolo salvata su Archive.org il 4 gennaio 2022.

Non ho altro da aggiungere.


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2022/01/02

La bufala della richiesta di vietare “porco cane” perché offenderebbe l’animale

Ultimo aggiornamento: 2022/01/02 15:50.

Cominciamo subito bene l’anno con una fandonia pubblicata da alcuni giornalisti, che anche nel 2022 sembrano non avere alcuna voglia di fare verifiche prima di pubblicare sciocchezze, specialmente quando si tratta di storie che possono attirare polemiche e quindi clic pubblicitari.

Il Fatto Quotidiano, per esempio, ha pubblicato la “notizia” di un’iniziativa per togliere le parole porco e cane dalle parolacce, titolando “L’espressione ‘porco cane’ è volgare e insulta l’animale”: l’Associazione Difesa Animali e Ambiente chiede di “modificare queste espressioni” (copia permanente).


 

La Rai ha riportato la “notizia” della richiesta, citando la sigla dell’associazione che l’ha fatta: Animali: Aidaa, eliminiamo parola cane da bestemmie e parolacce (copia permanente). 


 

Il Giornale, a firma di Giannino della Frattina, parla della “meritoria Associazione italiana difesa animali e ambiente”, lamentandosi del “disorientamento di questa disgraziatissima società del politicamente corretto a tutti i costi (anche a costo del ridicolo) nella quale non si chiede di togliere la parola «Dio» dalle bestemmie, ma la parola «cane»” (copia permanente). Ma il disorientato è lui, insieme alle redazioni della Rai e del Fatto Quotidiano.


Infatti la sedicente Associazione Difesa Animali e Ambiente (AIDAA) è una vecchia conoscenza di chiunque faccia debunking: è costituita da una sola persona, Lorenzo Croce, nota per la sua abitudine di diffondere comunicati stampa pieni di “notizie” sballate o completamente inventate. Bufale un tanto al chilo ha accumulato un corposo e pluriennale dossier sul caso AIDAA e sulle redazioni che abboccano sistematicamente alle bufale diffuse da questa “associazione”. 

Pubblicare notizie come questa, senza mettere bene in chiaro che si tratta della fantasia di un singolo che non rappresenta affatto un sentire comune o un’esigenza di molti, inevitabilmente alimenta polemiche inutili e rinforza le posizioni di chi se la prende con gli animalisti asserendo che bloccano tutto e sono fuori dalla realtà. Gli strali di Giannino della Frattina sul Giornale sono un esempio perfetto di questo aiuto, che finisce per penalizzare chi invece difende l’ambiente e gli animali impegnandosi seriamente e usando il buon senso.

Purtroppo si conferma una vecchia regola delle fake news: il giornalista medio è pigro e non controlla, per cui se gli offri un comunicato stampa ben confezionato e pronto per un rapido copiaincolla, e se il comunicato propone una storia accattivante e perfetta per suscitare discussioni, clamori e polemiche, verrà pubblicata ciecamente. Come appunto avviene da anni e continua ad avvenire.

In una redazione moderna dovrebbe esserci sulla scrivania di ogni giornalista un elenco delle fonti da ritenere inattendibili a prescindere e da non pubblicare in nessun caso. Ma sembra che non ci sia alcun interesse a prendere nemmeno queste minime misure di buon senso e di rispetto verso il lettore, che non costerebbero nulla. O forse costerebbero troppo in termini di clic pubblicitari perduti o di linee editoriali da alimentare. 

 

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2021/08/16

L’ennesima figuraccia del giornalismo: la foto falsa della bandiera su Kabul spacciata per vera

Ultimo aggiornamento: 2021/08/16 18:45.

Ho perso la pazienza. La gente disperata muore a Kabul, e coloro che dovrebbero informarci su questa tragedia fanno ancora una volta i cialtroni totali.

O un giornalista.

Gli anni passano e i giornalisti non imparano nulla. Nemmeno un concetto semplicissimo come controllare le fonti. E il suo corollario: non pubblicare la prima foto che trovi in giro. Le basi, insomma.

Dieci anni fa, i giornali italiani abboccarono in massa ai palesi fotomontaggi che ritraevano il cadavere di Osama bin Laden e li pubblicarono senza il benché minimo controllo. Poteva essere una buona occasione per imparare la lezione, scusarsi pubblicamente e fare in modo che non accadesse mai più, istituendo una semplice regolina: non si pubblicano foto di cui non è garantita la fonte. E magari aggiungendole un corollario: prima di pubblicare una foto, di qualunque fonte, chiediti se è almeno vagamente plausibile; nel dubbio, non pubblicarla.

E invece no. Tantissimi giornali e telegiornali italiani stanno pubblicando in queste ore un palese fotomontaggio che mostra una bandiera attribuita ai Talebani che hanno riconquistato Kabul.

A parte la natura dilettantesca del fotomontaggio, che dovrebbe rivelare immediatamente a chiunque che la foto è un falso, basterebbe considerare che quella bandiera dovrebbe avere dimensioni enormi e che per sventolare così dritta dovrebbe essere investita da un vento da uragano. Macché, al Vero Giornalista queste semplici osservazioni non interessano.

Questo è Gianni Riotta (copia permanente):

Screenshot e segnalazione di Paolo Mellere.
Screenshot del Corriere della Sera pubblicato da evaristegal0is.
Screenshot de Il Giornale pubblicato da evaristegal0is.
Screenshot de La Stampa pubblicato da evaristegal0is.

Arrivano segnalazioni di pubblicazione o messa in onda da parte di TGLa7, TG2, SkyTG24, ItaliaOggi, Il Giornale, La Stampa, Corriere della Sera, TG5. Altri casi vengono segnalati da Pagella Politica, che insieme a Open ricostruisce la fonte della foto originale e l’itinerario virale del fotomontaggio.

Questo non è giornalismo, questo è dilettantismo puro. O è la furberia di chi non gliene frega niente del proprio dovere di informare il lettore. Questi sono i giornalisti ai quali affidiamo il compito di raccontarci la tragedia afghana e che si dimostrano incapaci persino di riconoscere un fotomontaggio da due soldi.

E non mi si venga a dire “eh, ma l’abbiamo tolta”. No: una porcheria simile non andava pubblicata in partenza. Non avrebbe dovuto superare i controlli redazionali e quelli di chiunque avesse due neuroni da sfregare l’uno contro l’altro.

Matteo Salvini (tweet; copia permanente):


 

 

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2020/11/25

Maradona è morto di “parata cardiorespiratoria”: lo scrivono ANSA, RAI e altre testate. E il Corriere lo fa risorgere

Davvero nessuno in redazione che si sia fermato un nanosecondo a chiedersi che cosa potesse mai voler dire "parata cardiorespiratoria"

Poi la gente dice che me la prendo troppo quando parlo di giornalismo a neuroni spenti. Manco la morte di Maradona sanno scrivere giusta. Qui non stiamo parlando di paleontologia comparata o di fisica quantistica. C'è solo da dare la notizia della morte di un calciatore popolarissimo. E per la foga di essere primi, per il malvezzo di copiaincollare, per l’abitudine a lavorare a neuroni spenti, senza controllare niente e senza avere nessuno che li controlli, sbagliano persino questo.

Google

ANSA




Questa disastrosa cialtroneria collettiva deriva probabilmente dal fatto che in spagnolo l’arresto cardiaco si chiama “paro cardiorrespiratório" o "parada cardiorrespiratória". La fretta, la pigrizia e l’abitudine a strafottersene della qualità e restare impuniti hanno fatto il resto.

 

21:30. Pensavo che la farsa tragica sarebbe finita qui, e invece no. Il Corriere ha appena annunciato questo, pubblicato alle 21.15 (copia permanente):


Se non erro, è la ripubblicazione di un articolo del 3 novembre scorso. Il Corriere l’ha rimosso poco dopo.

Non ho altro da aggiungere a questa fiera degli inetti. Spero. Beh, ci sarebbe Orlando Sacchelli, o il suo titolista neurodeficitario, che su Il Giornale scrive che “pibe de oro” vuol dire “piede d’oro”, ma del resto è Il Giornale.


 

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2019/06/09

Quando le fake news le fanno i giornalisti: il “malore” di Miley Cyrus

“Miley Cyrus, selfie a letto con cannula al naso: improvviso malore”. Questa notizia falsa è sul sito del TGcom24 da ieri (copia su Archive.org). Non solo è falsa: nessuno l’ha rettificata. Questo significa fregarsene del proprio lavoro, della deontologia e dei lettori.



Lo stesso, anzi peggio, fa Il Giornale. In un articolo a firma di Novella Toloni, pubblicato due giorni fa e non ancora rettificato, la Toloni “informa” i lettori del Giornale che “La cantante e attrice americana ha, infatti, avuto una violenta reazione allergica dopo aver mangiato pietanze a base di molluschi. Inconsapevole della sua intolleranza Miley Cyrus ha mangiato il pesce che le ha procurato una forte reazione, con rigonfiamento della gola e conseguente insufficienza respiratoria.” (copia su Archive.org).


“Miley Cyrus, si mostra ai fan con la cannula dell'ossigeno dopo un malore”


Ma non è vero niente. Miley Cyrus ha partecipato a un episodio della serie di fantascienza distopica Black Mirror di Netflix, per la quale ha fatto un post promozionale su Instagram e su Twitter usando il nome del proprio personaggio nella puntata, Ashley O. Nei suoi post, per chiarezza, c’è l’hashtag #BlackMirror e viene menzionato l’account @netflix.



Ashley O is unable to perform due to a detrimental shellfish allergy. She is still capable of SHELFIES! #AshleyO #BlackMirror @netflix

Senza fare troppi spoiler, nella puntata di Black Mirror il personaggio interpretato da Miley Cyrus è in ospedale, come spiega Davide Sica su Everyeye.it. Ed è solo per questo che la cantante ha fatto questi post, cambiando identità e mettendo questi hashtag e queste menzioni. Nella realtà non ha avuto nessun malore e nessuna reazione allergica a molluschi. Per saperlo basterebbe informarsi prima di scrivere.

Paradossalmente, Novella Toloni cita proprio la puntata di Black Mirror, dicendo che “Miley Cyrus parla di lei come Ashley O il suo personaggio nella7 serie Netflix "Black mirror" per scherzare sulla vicenda, che però è tutt'altro che leggera.”  E lo stesso fa l’anonimo estensore di TGcom24: “Ora la cantante e attrice di "Black Mirror" (Miley è la protagonista di un episodio della stagione 5 della nota serie tv nei panni della pop idol Ashley O, ndr)...”. Ma a nessuno dei due si accende la lampadina.

Per carità, posso capire che in una redazione di stressati sottopagati possa capitare l’equivoco o l’errore. Ma quello che trovo imperdonabile è che l’errore non venga corretto.

E poi ci sono i giornalisti che dicono ancora che le fake news stanno su Internet.


2019/06/10: La notizia falsa su TGCom24 è ancora lì, intatta e senza vergogna. La notizia falsa sul Giornale è stata invece riscritta senza alcuna rettifica, con buona pace della deontologia.



Ringrazio Claudio Michelizza di Bufale.net per la segnalazione iniziale.


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2018/07/20

Chi ha paura di Momo? Come il giornalismo crea le psicosi

Ultimo aggiornamento: 2018/08/05 9:10.

Niente paura: quella nella foto è solo una scultura moderna. Non ha poteri magici: è una bufala. Se la ricevete sullo smartphone, cestinatela pure.

C’è una catena di Sant’Antonio che circola principalmente su WhatsApp e che sta scatenando paura in molti utenti, soprattutto giovanissimi: si basa sulla foto che vedete qui accanto e dice di chiamarsi Momo.

Secondo quello che afferma la catena, chi la riceve deve rispondere mandando immagini horror, altrimenti continuerà a essere bersagliato da quest’immagine impressionante.

Ma niente panico! Non ci sono virus o molestatori dietro questa storia. Momo è semplicemente il nomignolo dato a una scultura creata da una società giapponese di effetti speciali, la Link Factory.

L’origine della catena, spiega Know Your Meme, è un utente Instagram, nanaakooo, che il 25 agosto 2016 aveva postato una versione più ampia della foto: è esplosa quando il 10 luglio scorso è stata pubblicata su Reddit (/r/creepy) una versione tagliata della foto della scultura, che ha ricevuto moltissimi voti positivi e commenti, e da lì è partita inarrestabile grazie agli utenti che credono a qualunque cosa vedano.

Questa è la scultura completa:


Altre info sulle origini della scultura sono su Delucats (in cinese).


2018/08/05 9:10 - Momo rischia di diventare il nuovo Blue Whale grazie ai giornalisti affamati di clic


Il giornalismo irresponsabile che vive pensando soltanto a quanti clic farà un articolo e se ne strafrega di concetti come “verità”, “verifica” o “fatti” sta gonfiando il meme di Momo per cercare di farlo diventare il successore della psicosi per il Blue Whale Challenge. Non aiutatelo: non diffondete Momo e le stupidaggini che lo circondano. Cestinatelo e basta.

Dagospia offre un perfetto esempio di questo giornalismo spazzatura: “LA PAURA CORRE SU WHATSAPP – UNA NUOVA PREOCCUPANTE SFIDA IN STILE “BLUE WHALE” DILAGA TRA I GIOVANI”, dice nel tweet, scritto tutto in maiuscolo così è più drammatico. Ma nell’articolo (link intenzionalmente alterato) salta fuori che il “dilagare” è in realtà un singolo caso non confermato: “si ipotizza che possa essere collegata al suicidio di una ragazzina in Argentina che si sarebbe tolta la vita”.

Anche l’emittente TV statunitense CBS47 ne parla, citando un articolo basato sul vuoto pneumatico.

Ne parla anche Il Giornale (link intenzionalmente alterato, grazie a @martacagnola per la segnalazione), basandosi esclusivamente sull’“articolo” di Dagospia.

Stessa fame disperata di psicosi su Il Messaggero (link intenzionalmente alterato), basata sempre sulla stessa singola storia non confermata.

Tranquilli: Momo è e resta una bufala. Ditelo agli amici e ai figli e liquidate questi tentativi giornalistici di creare psicosi. Rideteci sopra insieme per neutralizzare Momo e i suoi sciacalli.

2018/05/17

Fake news tramite comunicato stampa: ci cascano in tanti

Il gatto è bellissimo,
ma la notizia è falsa.
Nota: alcuni link sono intenzionalmente alterati aggiungendo “togliquesto-” all’indirizzo per non regalare clic a notizie errate e false.

Avete sentito la notizia del gattino Pilù, che avrebbe ereditato un milione e mezzo di euro? Ne hanno parlato molti giornali nazionali e locali (per esempio Repubblica).

E quella dell’eredità trovata in una cassetta di sicurezza a Lugano, in Svizzera, composta da quasi tre miliardi di lire italiane in banconote che però per la Banca d’Italia sono carta straccia? Questa ha avuto grande risonanza non solo in Italia (Il Giornale) ma anche, comprensibilmente, sulla stampa svizzera (per esempio Tio.ch e Rsi.ch).

C’è anche la notizia di un risarcimento di oltre 800 mila euro che il Ministero della Salute dovrà versare agli eredi di un uomo che contrasse l’epatite C in seguito a una trasfusione, diffusa da una nota agenzia di stampa (AGI) e pubblicata per esempio da La Stampa e Torino Oggi.

A prima vista queste notizie non hanno nulla in comune a parte un’ampia diffusione nei media, ma scavando un po’, come ha fatto il collega debunker David Puente qui, si scopre che tutte coinvolgono la stessa organizzazione, la Fondazione Italiana Risparmiatori, e sono soltanto alcune delle storie diffuse tramite comunicati stampa da questa fondazione. Storie che sono tutte inventate.

La Fondazione è una fabbrica di fake news che sfrutta la catena di fiducia che c’è nel giornalismo: se un giornalista riceve una notizia da un’agenzia di stampa, presume che sia corretta e verificata e quindi non la ricontrolla. A sua volta, l’agenzia di stampa presume che i comunicati stampa che riceve siano veritieri e raramente li verifica. E così i comunicati stampa falsi e inventati, come quelli di questa fantomatica Fondazione, arrivano sui giornali senza essere stati controllati.

In questo caso c’è anche una furberia aggiuntiva: queste notizie inventate non sono di importanza vitale, e quindi non attirano sospetti, e sono al tempo stesso curiose e interessanti, per cui sono altamente pubblicabili. Sono materiale ideale da offrire ai lettori: innocuo ma intrigante, ideale per fantasticarci sopra o per un commento al bar o sui social network. Ma restano comunque delle fake news.

Poco male, potreste pensare: se il gattino Pilù non esiste, non cambia la vita di nessuno. Ma in realtà i comunicati della sedicente Fondazione, che non risulta avere uno statuto, una partita IVA o un codice fiscale e dichiara sul proprio sito una sede milanese presso la quale però non c’è nessuna fondazione, rischiano di essere pubblicità gratuita per un’organizzazione che promette a chi si rivolge ai suoi servizi di poter ottenere improbabilissimi risarcimenti.

In cambio, si presume, di una parcella, come è già accaduto per un altro nome ricorrente nelle fake news propagate tramite comunicato stampa: quello di Giacinto Canzona, ex avvocato che si fece conoscere in questo modo e riuscì a farsi dare cento euro di anticipo da circa novecento vittime, attratte dal miraggio di poter recuperare le lire dai libretti di risparmio dormienti. Fate voi i conti di quanto gli ha fruttato questa promessa impossibile da mantenere.

Per i giornalisti è insomma il caso di segnarsi nomi come quello della Fondazione Italiana Risparmiatori, di Giacinto Canzona, e anche dell’agenzia Agitalia e di Alessandro Proto, altre conclamate fabbriche di notizie false: se compaiono in un comunicato stampa, è quasi sicuro che si tratta di fake news da cestinare per proteggere i lettori. Peccato per il gattino.


Fonti aggiuntive: Corriere della Sera.

2018/01/11

Come nasce una notizia falsa: il tunnel “troppo stretto” della metropolitana di Napoli

Come nasce una fake news? Si parla spesso di disinformazione pianificata a tavolino, ma esistono anche le notizie false che nascono per caso. O meglio, per una tempesta perfetta di fattori.

Prendiamo il caso recentissimo della notizia secondo la quale i treni destinati alla Linea 6 della metropolitana di Napoli non sarebbero utilizzabili perché, dice un titolo di giornale, “il tunnel è troppo stretto e i treni nuovi non passano”.

La notizia è falsa, perché i treni ci passano eccome, ma ormai ha assunto una visibilità enorme. Le ragioni di questa visibilità sono varie: la storia fa leva sui luoghi comuni della burocrazia cieca, incompetente e sprecona, nella quale un ufficio non sa cosa fa l'altro, e gioca probabilmente anche su alcuni pregiudizi regionali. È per questo che si consiglia sempre di fare attenzione alle storie che soddisfano e rinforzano i preconcetti e sfruttano le emozioni. Ma è anche una vicenda accattivante, gustosa da raccontare e da condividere sui social network; per chi la segnala ha poca importanza se sia vera o no. Come si dice nel giornalismo, mai lasciare che i fatti intralcino una buona storia.

Gli ingredienti giusti per ottenere una diffusione a tappeto, insomma, ci sono tutti. Ma non servirebbero a nulla se non ci fosse stato, a monte, un errore giornalistico molto frequente: l’articolo di giornale originale dal quale è scaturita la bufala in realtà è corretto, ma è il titolo che è sbagliato, e i giornalisti che hanno ripreso la notizia si sono fermati al titolo invece di leggere l’articolo [Leggo, Il Fatto Quotidiano, Il Giornale].

L'articolo, infatti, spiega che il problema non riguarda affatto i tunnel della metropolitana di Napoli ma soltanto le dimensioni del pozzo usato per inserire i treni la prima volta nei tunnel. Il pozzo non consente di calare un treno intero di quelli nuovi, più lunghi dei precedenti, ma questa limitazione si risolve calando il treno una cassa per volta.

Il titolo dell’articolo, però, parla erroneamente di tunnel troppo stretto, e per chi si è fermato a quel titolo l’equivoco è stato quindi inevitabile e le successive smentite ufficiali non otterranno mai la stessa diffusione della notizia falsa, perché sono meno interessanti.

Come spesso accade, insomma, la bufala nasce da una catena di errori e di automatismi:

  • il titolista fraintende l’articolo, in sé corretto, scritto dal giornalista;
  • gli altri giornalisti e gli utenti dei social network leggono soltanto il titolo dell’articolo e diffondono l’errore;
  • l’errore attecchisce, prospera e si propaga perché la storia è accattivante e soddisfa i pregiudizi e perché ci si fida della fonte originale, che è tutto sommato una testata giornalistica, alla quale viene spontaneo dare attendibilità.

Sono insomma gli stessi meccanismi che stanno da sempre alla base delle bufale e della propaganda, ma che oggi operano a velocità elevatissime grazie ai mezzi di comunicazione informatici.

Possiamo imparare molto da incidenti come questo:

  • mai fermarsi al titolo, spesso creato da una persona diversa dal giornalista che ha scritto l’articolo;
  • aumentare i controlli quando una storia fa leva sui pregiudizi;
  • e mai fidarsi ciecamente delle fonti apparentemente autorevoli.

Così, forse, raggiungeremo la luce alla fine del tunnel. Sempre che non sia troppo stretto.


Questo articolo è il testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu dell’11 gennaio 2018. Fonti: Bufale un tanto al chilo, Repubblica.

2017/07/27

Clima: la petizione anti-ecobufale di Zichichi si rivela una bufala

Scansione tratta da Qualenergia.
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Ai primi di luglio Il Giornale ha pubblicato una petizione (versione completa qui), anzi, un “appello della scienza”, contro le “eco-bufale” (che, parrebbe di capire, sarebbero i cambiamenti climatici di origine umana), con la partecipazione di Antonino Zichichi. Titolo: “L'inquinamento va punito come reato, ma è da ciarlatani dire che modifica il clima”. Notate il ciarlatani.

L’appello risultava sottoscritto da venti scienziati. Certo, una rondine non fa primavera e venti scienziati non sono “la scienza” nel suo complesso, anche perché nessuno di quei venti è climatologo. Ma salta fuori che alcune delle loro adesioni sono false.

Antonello Pasini, insieme a Climalteranti, ha contattato questi firmatari chiedendo se avessero davvero aderito alla petizione del Giornale e di Zichichi. I risultati sono eloquentissimi: li trovate nell’articolo di Pasini.

Se si arriva a mentire e manipolare per sostenere la propria tesi, forse la tesi è marcia.

2016/03/28

Farsi selfie fa male alla pelle? No, ma scopiazzare dal Daily Mail fa male al giornalismo

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Il Giornale, a firma di Rachele Nenzi, pubblica un articolo (copia su Archive.is) intitolato I selfie fanno male alla pelle. Senza ma e senza se, e senza punti interrogativi a salvaguardia del legittimo dubbio. No, per Rachele Nenzi e per il Giornale è un dato di fatto incontestabile.

“Una ricerca di un dermatologo inglese ha svelato la pericolosità per la pelle dei famosi autoscatti” dice l’articolo, facendo il nome del dermatologo in questione, il londinese Simon Zokaie, e precisando che si tratta di una “ricerca scientifica”.

Ci si potrebbe aspettare che la Nenzi abbia attinto a qualche rivista scientifica, visto che parla di “ricerca scientifica”, ma una ricerca in Google per le parole “Simon Zokaie” selfie rivela invece soltanto un articolo del Daily Mail (copia su Archive.is). Che, vorrei ricordare ai lettori distratti e ai giornalisti pigri, non è una pubblicazione scientifica.

L’articolo del Mail parla della presunta pericolosità dermatologica della “HEV light”, ossia la luce blu, visibile ad alta energia emessa dagli schermi dei computer e del telefonini. Non dalle fotocamere (che non emettono luce, ma la raccolgono). Quindi la quantità di selfie non c’entra nulla: è il fatto di passare tanto tempo davanti agli schermi a causare, secondo il Mail, l’invecchiamento precoce della pelle.

In sintesi: l’articolo del Daily Mail è una stronzata e Rachele Nenzi ha copiaincollato una stronzata. E il Giornale l’ha pubblicata.

Per chi volesse sapere come stanno le cose, un paio di articoli un po’ più documentati: All About Vision, PreventBlindness, che ricordano che la fonte di luce HEV di gran lunga più importante è il Sole. Specificamente, “trascorrere un’ora all’aperto in una normale giornata di cielo coperto espone i nostri occhi a 30 volte più luce blu che trascorrere un’ora al chiuso davanti a uno schermo” (Zeiss.com) e che finora gli effetti sugli occhi (non sulla pelle, come scrive il Mail) di questa luce sono stati rilevati soltanto su cavie esposte a dosi equivalenti a fissare una lampada da 100 watt per ore di seguito. Meglio tenerlo presente prima che parta l’ennesima orgia di articoli seminapanico che denunciano il nuovo pericolo tecnologico e vendono cremine, gingilli e altri rimedi truffaldini.

2016/02/22

Antibufala: suoni segreti captati dagli astronauti lunari!

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori e con il contributo tecnico di @RiccardoDeias, @pd_76 e @Solincos. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Pubblicazione iniziale: 2016/02/22 22:04. Ultimo aggiornamento: 2019/03/23 23:30.

Oggi (22 febbraio) ricorre il ventennale del volo spaziale di due italiani insieme: il 22 febbraio 1996 partivano per lo spazio Maurizio Cheli e Umberto Guidoni sullo Shuttle. Sarebbe magari carino parlare dell’eredità delle loro esperienze in occasione dell’anniversario. Macché: i giornalisti di Repubblica, Il Giornale, La Stampa si buttano a pesce invece su un’altra storia spaziale e rifilano ai loro lettori una panzana datata 1969, copiandola dai media fuffaroli americani senza la minima verifica.

La balla pubblicata da queste testate racconta che quando la missione Apollo 10 era dietro la Luna gli astronauti captarono un suono “simile a una musica” che “non fu divulgato per quarant’anni. La Nasa, incapace di spiegare il fenomeno, secretò e archiviò tutto quello che la radio dell’astronave aveva registrato in quel lasso di tempo e rese pubbliche le trascrizioni delle conversazioni avvenute solo nel 2008” (Repubblica). 

La Stampa, nella sezione Tuttoscienze, pubblica un articolo a firma di Fulvio Cerutti che dice che l’episodio è “rimasto top secret sino al 2008” ed è un “fenomeno a cui non è mai stata trovata una spiegazione” (l’articolo è stato parzialmente corretto dopo la mia segnalazione).

Il Giornale, a firma di Franco Iacch, scrive che “l’episodio top secret... è stato declassificato in parte solo nel 2008 (con pesanti censure)” e che gli astronauti nelle loro cuffie udirono “urla”. Iacch conclude scrivendo che “Le registrazioni integrali captate dall’Apollo 10 rimangono top secret”.

Il Corriere pubblica sull’argomento un video con didascalia che dice che il “suono, registrato e trascritto dalla Nasa, è rimasto top secret fino al 2008”. Il link è stato successivamente cambiato.

Ne parla anche Panorama con un articolo di Sabrina Pieragostini, scrivendo che “per decenni l’ente spaziale ha preferito mantenere nascosta la notizia”.

Come mai tutto questo improvviso e simultaneo interesse del giornalismo italiano per un’oscura vicenda di quasi cinquant’anni fa? Semplice: hanno tutti fatto copiaincolla dai media americani, in particolare dalle pagine di notizie bislacche dell’Huffington Post (traduzione italiana qui), che stanno pompando la storia per promuovere una nuova serie televisiva del Science Channel, intitolata NASA’s Unexplained Files. Se guardate i suoi video promozionali (uno e due) vedrete che il ritmo del montaggio rivela chiaramente che si tratta di un programma di spazzatura sensazionalista alla stregua di Alieni Nuove Rivelazioni. E se ascoltate bene l’inglese, noterete che le dichiarazioni degli intervistati, fra i quali c’è anche l’astronauta lunare Al Worden, sono state palesemente rimontate ad arte per farle sembrare a sostegno del mistero.

Solo che non c'è nessun mistero. A parte quello di come facciano, certi giornalisti nostrani ed esteri, a guardarsi allo specchio la mattina senza vergognarsi, a furia di ingannare i propri lettori pubblicando fandonie senza uno straccio di controllo dei fatti.

Infatti è una balla che l’episodio sia rimasto segreto fino al 2008, nonostante lo scriva anche ANSA: come confermato dalla mia esperienza personale nella raccolta di documentazione spaziale storica e come ribadito dalla NASA su Tumblr (e anche qui), l’audio e le trascrizioni della missione Apollo 10 sono pubblicamente disponibili sin dal 1973 a chiunque ne facesse richiesta presso i National Archives statunitensi. Nel 2012 audio e trascrizioni sono stati inoltre pubblicati online per lo scaricamento libero. Lo spezzone audio in questione è questo (a 2:51 e 7:43); le trascrizioni delle registrazioni a bordo di Apollo 10 sono disponibili qui come scansioni degli originali (uno dei brani in questione è a pagina 241) e qui come trascrizioni digitali.

Ecco quello che dissero gli astronauti durante il quinto giorno di volo, il 23 maggio 1969:


102:13:02 Cernan: Quella musica suona persino spaziale, vero? Lo senti? Quel fischio?

102:13:06 Stafford: Sì.

102:13:07 Cernan: Whooooooooooo.

102:13:12 Young: Anche tu hai sentito quel fischio?

102:13:14 Cernan: Sì. Sembra, sai, musica spaziale.

102:13:18 Young: Chissà cos’è.

[...]

102:17:58 Cernan: Accidenti, quella è davvero musica strana.

102:18:01 Young: Dovremo scoprire cos’è. Non ci crederà nessuno.

102:18:07 Cernan: No. È un fischio, sai, come una cosa spaziale.

102:18:10 Young: Probabilmente è colpa del rilevamento di distanza VHF, immagino.


In originale:

102:13:02 Cernan: That music even sounds outer-spacey, doesn't it? You hear that? That whistling sound?

102:13:06 Stafford: Yes.

102:13:07 Cernan: Whooooooooooo.

102:13:12 Young: Did you hear that whistling sound, too?

102:13:14 Cernan: Yeah. Sounds like - you know, outer-space-type music.

102:13:18 Young: I wonder what it is.

[...]

102:17:58 Cernan: Boy, that sure is weird music.

102:18:01 Young: We're going to have to find out about that. Nobody will believe us.

102:18:07 Cernan: No. It's a whistling, you know, like an outer space-type thing.

102:18:10 Young: Probably due to the VHF ranging, I'd guess.


Fra l’altro, la vicenda è talmente “top secret” che ne parlò apertamente nel 1974 l’astronauta di Apollo 11 Mike Collins nel suo libro Carrying the Fire, dicendo (nel capitolo 13) che gliel’avevano raccontata, prima che partisse per la Luna, proprio gli astronauti di Apollo 10. Per chi è troppo pigro per consultare un libro, inoltre, tutta la faccenda era già stata sbufalata pubblicamente sette anni fa su Internet da ApolloHoax, come segnalato da Metabunk. Quelli di NASA’s Unexplained Files evidentemente hanno preferito far finta di niente e i giornalisti italiani ed esteri si sono accodati.

È falso anche che “non è mai stata trovata una spiegazione”: fu trovata già nel 1969, spiega Collins nel suo libro. I suoni erano il risultato di normali interferenze fra le radio VHF del modulo lunare e del modulo di comando (le due parti indipendenti nelle quali si divideva il veicolo spaziale per effettuare l’allunaggio).

Se i giornalisti di Repubblica, Corriere, Il Giornale e La Stampa avessero dato un'occhiata alle trascrizioni e ascoltato l’audio originale, invece di fare un pigrissimo copiaincolla dagli articoli di fuffa altrui, si sarebbero accorti che i suoni sono banalissimi (niente “urla”) e che oltretutto gli astronauti li considerano talmente poco misteriosi che subito dopo averli notati si mettono a parlare d’altro. Anzi, uno di loro, John Young, già propone una spiegazione al momento: “Probably due to the VHF ranging, I guess” (“Probabilmente è colpa del rilevamento di distanza VHF, immagino”) e poi cambia discorso. Uno di loro, Gene Cernan, contattato oggi dalla NASA, ha detto chiaro e tondo: “Non mi ricordo che quell’episodio mi abbia emozionato abbastanza da prenderlo sul serio. Probabilmente era soltanto interferenza radio. Se avessimo pensato che fosse qualcosa di diverso, lo avremmo riferito a tutti nei briefing dopo il volo. Non ci abbiamo più pensato per niente.” Lo ha ribadito anche a Fox News.

Se i suddetti giornalisti si fossero soltanto presi la briga di fare una telefonatina a un esperto, si sarebbero accorti di essere stati fregati da una campagna promozionale per un programma-fuffa e avrebbero evitato di propinare ai loro lettori una nuova fregnaccia spaziale. Sarebbe bastato, per esempio, consultare la discussione sull’argomento di Collectspace, noto forum di esperti del settore, oppure mandare un tweet a Luigi Pizzimenti, storico delle missioni Apollo (suo il libro Progetto Apollo: Il sogno più grande dell’uomo), curatore del Padiglione Spazio presso il Museo del Volo Volandia e presidente dell'Associazione per la Divulgazione Astronomica e Astronautica, per entrare in contatto tramite lui con Al Worden, l’astronauta intervistato dal programma del Science Channel, e avere subito una smentita secca della pseudonotizia: “I don't think there is any mystery to the event” (“Non credo che ci sia alcunché di misterioso nell’evento”), ha scritto Worden a Pizzimenti. Worden ha detto molto altro su questa faccenda: ne trovate un resoconto completo qui nel blog di Pizzimenti.

Luigi, fra l’altro, riassume bene il disappunto che prova chi fa vera ricerca storica dell’esplorazione spaziale quando legge queste scempiaggini. Mi scrive in una mail (che cito qui col suo permesso):

“È mai possibile che si pubblichino bufale senza nessun riscontro scientifico? Sono stufo di rispondere in prima persona a domande generate da lettori, che perplessi, mi scrivono se ciò che hanno letto è vero. Per favore: rivolgetevi direttamente a chi scrive cose non vere e non confermate. Esiste una miriade di missioni spaziali in corso e tante in preparazione, lasciate perdere il Programma Apollo e parlate di attualità, magari andando sul posto, verificando le notizie di persona. Perché cercare sempre qualcosa che non esiste per parlare a sproposito del Programma Apollo? Perché ci sono giornalisti che scrivono di cose che non conoscono? Perché parlano di persone che non hanno mai conosciuto? Perché una volta tanto non prendono la valigia e vanno di persona a chiedere come sono andate le cose? Ve lo dico io: perché costa fatica, denaro e tanto lavoro e poi ci vuole passione, tanta passione, e solitamente chi scrive queste bufale tempo e passione non ne ha, ma deve semplicemente riempire uno spazio vuoto.”

Seguite quindi il consiglio di Luigi: scrivete alle redazioni di questi giornali e chiedete loro di giustificare, o almeno rettificare, le balle che vi hanno propinato. E chiedetevi se è questo il modo di fare giornalismo.

2016/02/13

Lezioni di giornalismo avanzato: “Big Ben” è un grosso orologio, non l’inizio dell’Universo

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/02/13 11:45.

L’origine dell’universo secondo
Il Giornale e Serena Pizzi.
Credit: Wikipedia.
Il Giornale ci insegna come si fa il giornalismo pubblicando un articolo intitolato “Vi spiego cosa sono le onde gravitazionali” in cui la giornalista, Serena Pizzi, intervista Giovanni Prodi, “uno dei massimi esperti della materia... fisico sperimentale e professore di fisica all’Università di Trento”.

Potreste aspettarvi che un giornale serio, per intervistare un esperto su un argomento complesso e scientifico come le onde gravitazionali, mandi qualcuno che abbia almeno un’infarinatura di fisica o di astronomia. Macché: ci manda qualcuno che non sa la differenza fra Big Ben (la celeberrima campana che per estensione dà il nome anche al celeberrimo orologio montato sulla celeberrima torre a Londra) e Big Bang (l’espansione esplosiva che ha dato origine all’universo).

Dice infatti la Pizzi: “I fenomeni dell'Universo, da questo momento, saranno più comprensibili? E il Big Ben?”

Su, Paolo, non infierire, direte voi. Un errore di battitura può capitare a tutti. Un momento di distrazione, un calo di zuccheri, un caffé di troppo. Ma non è un errore, perché la stessa perla ricompare più avanti, insieme ad altri tre svarioni (cinque se includiamo quelli tecnici): “I segnali che abbiamo raccolto ieri appartengono ad un universo di 1 miliardi e tre anni fa da noi. Per riuscire ad arrivare agli anni del Big Ben bisgonerà potenziare i nostri strumenti.” Questo è quello che la Pizzi fa dire al povero Prodi.

L’errore di confondere Big Ben e Big Bang è uno dei più ricorrenti nel giornalismo italiano: un vero e proprio pons asinorum. Gli anni passano, l’errore resta.

Lezione di giornalismo avanzato: Ricordati che Big Ben è un orologio e Big Bang è un concetto di astrofisica. Ah, e Big Babol è una cicca e non c’entra un c*zzo con gli altri due.

E poi i giornalisti si chiedono perché gli scienziati sono spesso riluttanti a farsi intervistare.

Screenshot e copia su Archive.is per documentare il tutto:


Se non trovate tutti e cinque gli svarioni nella frase finale della Pizzi, la soluzione è nei commenti.


Aggiornamento (2016/02/13 11:45): L’articolo de Il Giornale è stato corretto, ma solo per la parte riguardante il Big Ben/Bang.

2015/11/14

Attentati a Parigi, attenzione alle false notizie. Anche quelle diffuse da giornalisti incapaci

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle gentili donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2020/12/12 23:10.

Lascio ad altri, più saggi e qualificati di me, commentare e ragionare sugli attentati di Parigi di stanotte. In casi come questi il rischio di dare aria ai denti e di dire banalità pur di dire qualcosa è troppo alto e il silenzio commosso è sempre un’opzione tanto nobile quanto trascurata. Mi limito a fare quello che so fare: segnalare le false notizie che circolano.

Per esempio:

– La notizia che la Torre Eiffel sia stata spenta stanotte in segno di lutto, come ha riportato La Stampa, è falsa: in realtà viene spenta ogni notte all’una. Verrà invece davvero spenta questo sabato (14/11) in ricordo delle vittime, secondo Time.

– Il grattacielo Empire State Building, a New York, non è stato illuminato nei colori della bandiera francese stanotte (14/11): le immagini risalgono a gennaio 2015 e si riferiscono all’attacco a Charlie Hebdo. Invece la Freedom Tower (One World Trade Center) stanotte (14/11) ha illuminato la propria antenna in blu, bianco e rosso.

– Il logo con la Torre Eiffel incorporato nel simbolo della pace non è un’opera di Banksy ma è di Jean Jullien.

– Non è vero che fra gli attentati di stanotte e quello a Charlie Hebdo sono passati 11 mesi e 9 giorni e quindi c’è un nesso con la data degli attentati dell’11/9/2001 negli Stati Uniti: in realtà sono passati 10 mesi e sei giorni.

– La foto con le bombe francesi recanti la scritta “From Paris with Love” non mostra bombe francesi ma armi americane (dettagli qui).

Maggiori dettagli su queste e moltissime altre false notizie riguardanti gli attentati e i loro postumi sono qui su Buzzfeed a cura di Adrien Sénécat e qui su Le Monde.

Consiglio di seguire su Twitter Reportedly e il servizio antibufala francese Vérifié, dal quale segnalo queste immagini che circolano erroneamente riferite agli attentati di stanotte.

Questa foto viene presentata come un’immagine scattata al Bataclan poco prima degli attacchi ma risale al 2011:

E questa è invece una foto scattata dopo gli attacchi a Charlie Hebdo: non mostra Parigi stanotte.

2015/11/15


Ieri, 14 novembre, il Giornale ha pubblicato (copia permanente su Archive.org), a firma di Andrea Riva, la foto falsa di un “presunto kamikaze”, dicendo che la notizia proviene da Andrea Casadio del Fatto Quotidiano.

Scrive Andrea Riva:

A riportare la notizia Andrea Casadio per il Fatto Quotidiano. Il giornalista, raggiunto telefonicamente da SkyTg 24, ha raccontato di esser riuscito ad ottenere la foto grazie a suoi contatti, francesi e inglesi, che hanno abbandonato il Vecchio Continente e che ora si trovano nello Stato islamico.

Il presunto kamikake, come riporta il Fatto, “sorride, mentre si fa un selfie con il suo Ipad, riflesso nello specchio. Addosso, in bella vista, ha la cintura imbottita d’esplosivo, da kamikaze. Sembra la stanza da bagno d’una camera d’albergo. Davanti a lui un tubetto di dentifricio ed un bicchiere. Dietro di lui, la vasca da bagno, e appoggiata sull’orlo, una camicia a quadri. Le tapparelle sono abbassate, perché da fuori non possa vedere nessuno”.

La didascalia, in inglese, recita: “Fonti indicano che questo è uno dei fratelli che ha compiuto gli attacchi benedetti di Parigi #ParisAttacks”. Per ora il terrorista non ha un nome.

Soltanto dopo tutta questa descrizione il lettore scopre di essere stato gabbato:

La fotografia pubblicata dal Fatto e da noi ripresa si è dimostrata non corrispondere ai fatti: descritti: il ragazzo ritratto in foto, infatti, non ha nulla a che fare con gli attentati di Parigi.

Dircelo prima, no?

E il titolo continua a essere l’acchiappaclic “Il presunto kamikaze di Parigi”. Il sottotitolo, infine, continua a spacciare la notizia per vera:

Il sito Khilafah News, molto vicino all’Isis, pubblica una foto del presunto terrorista di Parigi: “Fonti indicano che questo è uno dei fratelli che ha compiuto gli attacchi benedetti di Parigi #ParisAttacks”

Non una parola per avvisare il lettore che sta perdendo tempo a leggere una balla. Lo screenshot qui sopra non include la marea di banner pubblicitari che circonda l’articolo-bufala.

La foto è falsa per alcune ragioni piuttosto evidenti:

  • la foto è un fotomontaggio palese (il giubbetto e la cover del tablet sono vistosamente aggiunti);
  • si vede una presa elettrica tipicamente nordamericana, che non ha senso per un attentato avvenuto in Francia;
  • la persona ritratta indossa un dastar, ossia un copricapo sikh, e i sikh non c’entrano nulla con il terrorismo islamista;
  • sul bordo della vasca, a destra, è stato aggiunto col fotoritocco un dildo, che non credo faccia parte della normale dotazione di un terrorista dell’Isis.

Inoltre la foto originale dalla quale è stato creato il fotomontaggio è quella qui sotto, e la persona ritratta è un giornalista: un uomo che non c’entra assolutamente nulla con gli attentati, come segnala Grasswire Fact Check.

Questo è il testo dell’articolo di Andrea Casadio sul Fatto Quotidiano, mostrato nello screenshot qui sotto (copia permanente):

Attentati Parigi, “ecco uno dei terroristi”. L’Isis pubblica la fotografia di un presunto kamikaze senza nome

Ancora non ha un nome. Sorride, mentre si fa un selfie con il suo ipad, riflesso nello specchio. Addosso, in bella vista, ha la cintura imbottito [sic] d’esplosivo, da kamikaze. Sembra la stanza da bagno d’una camera d’albergo. Davanti a lui un tubetto di dentifricio ed un bicchiere. Dietro di lui, la vasca da bagno, e appoggiata sull’orlo, una camicia a quadri. Le tapparelle sono abbassate, perché da fuori non possa vedere nessuno. La didascalia della foto lascia pochi dubbi: “Fonti indicano che questo è uno dei fratelli che ha compiuto gli attacchi benedetti di Parigi #ParisAttacks.” Non ha un nome, ma questo sarebbe uno degli [sic] 7 uomini che si sono fatti saltare in aria, a Parigi, poche ore dopo.

Questa foto è stata postata pochi secondi fa su uno dei social network preferiti dai jihadisti dell’Isis. Come trovarla è stato riferito da fonti costantemente monitorate nel tempo. E’ una foto attendibile? Di certo è stata postata da Khilafah News, in pratica una sorta di ufficio stampa dell’Isis. Sullo stesso social network stamattina Khilafah News aveva postato il messaggio in cui l’Isis rivendicava gli attentati di Parigi.


La notizia del Fatto viene rilanciata anche dal suo direttore Peter Gomez su Twitter (copia permanente). In questa versione il dildo aggiunto si vede molto chiaramente.



Il Fatto ha pubblicato un altro articolo che spiega che la foto è un falso, ma l’articolo originale non è stato rimosso o integrato per rettificarlo.

La voglia di scoop si è insomma abbinata all’ignoranza dei fatti e alla mancata verifica delle fonti.

Complimenti a chi coinvolge gli innocenti semplicemente perché non ha voglia di imparare a usare gli strumenti di Internet per verificare le notizie prima di pubblicarle. Ringrazio Gabriele Persi per la segnalazione.

 

2020/12/12 23:10

A distanza di cinque anni, il tweet di Peter Gomez è ancora pubblicato e l’articolo del Fatto Quotidiano è ancora online.

2015/02/26

Antibufala: Italia, gli negano la patente perché è gay

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “gft*” e “pa.arq*” ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.

Un ventottenne di Pavia, tale Simone R., originario della Spezia, si è visto negare dalla Prefettura di Milano il rinnovo della patente di guida perché è omosessuale e questo farebbe mancare i “requisiti psicofisici richiesti”: l'uomo ha quindi presentato ricorso al giudice di pace di Pavia. Così, perlomeno, raccontano in queste ore moltissime testate giornalistiche: Corriere della Sera (a firma di Paola Arosio), ADNKronos, L'Unione SardaTGcom24, La Provincia Pavese, Il Mattino, Affaritaliani, Leggo, Il Giornale (a firma di Ivan Francese), Huffington Post e altre ancora (screenshot qui accanto).

La notizia avrebbe portato anche a un'interrogazione parlamentare del deputato Alessandro Zan (PD) ai ministri dei trasporti e della salute, stando ad alcune delle suddette testate; altre scrivono che per ora si tratta soltanto di un'intenzione.

Ma l'unica fonte diretta della storia della patente negata per omosessualità che viene citata dalle testate giornalistiche è l'associazione Agitalia, a sua volta citata da ADNKronos. Il problema è che Agitalia è una nota fabbrica di bufale, come segnalano diligentemente da tempo Bufale un tanto al chilo e Il Tirreno: anche qui, sembra che nessuna delle testate che ho citato all'inizio si sia presa la briga di cercare Agitalia su Google prima di fidarsene o di fidarsi di ADNKronos. Affaritaliani, fra l'altro, si limita a riportare per intero la nota di Agitalia; il copiaincolla elevato ad arte. Eppure già ieri Francesco Loiacono, su Fanpage.it di Milano, poneva dubbi sull'intera vicenda. Dubbi puntualmente ignorati dalle altre testate nonostante fossero a portata di clic tramite Google.

La giornalista Elena Tartaglione ha invece fatto i debiti controlli: “Ho chiamato l'ufficio stampa della prefettura di Milano, citata nel lancio, mi ha scritto,“mi hanno detto che non ne sanno nulla, che non risulta, che non hanno nessuna persona con quelle caratteristiche che ha fatto esposti, che hanno provato a contattare Agitalia invano, e che insomma è una bufala. Ma non faranno smentite e comunicati.”

La notizia di base è quindi priva di riscontri e proviene da una singola fonte di pessima reputazione.

Lo stato dell'interrogazione parlamentare di Zan era invece ancora confuso al momento della pubblicazione iniziale di questo articolo: sulla propria pagina Facebook, Zan aveva scritto ieri su Twitter di aver “disposto interrogazione”. Successivamente gli ho chiesto aggiornamenti via Twitter, e qualche ora più tardi mi ha risposto di averla “presentata oggi” (26/2). L'ho letta ed è in forma dubitativa: chiede innanzi tutto di accertare se la notizia è vera. Zan mi ha chiarito inoltre di aver preso la notizia da ADNKronos, che a sua volta sostiene di avere come fonte il giudice di pace, e che farà ulteriori verifiche. Ho chiesto lumi ad ADNKronos e ho contattato via mail il giudice di pace di Pavia.

Va chiarito, infine, che questo (presunto) episodio attuale di discriminazione assurda è distinto da quelli avvenuti realmente in passato.

Ancora una volta, insomma, troppe testate giornalistiche pubblicano una notizia senza alcun controllo e senza accorgersi che viene diffusa da un bufalificio conclamato. Per fortuna fra i tanti giornalisti che lavorano male ce n'è qualcuno che si guadagna lo stipendio invece di consumare i tasti Ctrl, C e V.


Aggiornamento (2015/02/01): Ancora nessuna risposta né da ADNKronos, né dal giudice di pace di Pavia.
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