Il 14 aprile scorso Elon Musk ha fatto un’offerta formale
di acquisto di Twitter, Inc., la società che gestisce il social network omonimo,
per circa 43 miliardi di dollari. La
notizia
ha generato molto clamore e un diffuso panico all’idea di cosa potrebbe fare
Musk, attualmente l’uomo più ricco del mondo, con questa piattaforma di
comunicazione.
Molti hanno interpretato la notizia come un semplice
“Musk ha comprato Twitter”, ma la cosa non è così semplice: l’offerta
del magnate è stata accettata dai dirigenti di Twitter il 25 aprile, ma deve
ancora ricevere l’approvazione degli enti di regolamentazione e degli
azionisti, e i soldi in gioco non sono tutti di Musk ma provengono in buona
parte da un gruppo di banche, che li presterebbero a Musk e che potrebbero
cambiare idea di fronte a una situazione diventata sfavorevole.
Di fatto, quindi, al momento Twitter è ancora in mano ai proprietari di prima
e le sue regole non sono cambiate. Quindi perché tutta questa agitazione per
un social network tutto sommato piccolo, con solo
190 milioni
di utenti attivi giornalieri in tutto il mondo, contro i due miliardi di
Facebook?
La ragione sta nelle idee controverse di Elon Musk sul tema della libertà di
espressione: poco dopo la notizia dell’offerta di acquisto, Musk ha
dichiarato
di voler comperare Twitter perché ritiene che
“possa essere la piattaforma per la libertà di espressione in tutto il
mondo”
e che intende sbloccare questo potenziale. La sua autodichiarata visione
assolutista
di questa libertà è stata prontamente
interpretata
come un via libera dagli hater, che rivendicano un presunto diritto di
pubblicare su Twitter discorsi di odio contro tutto e tutti sulla base appunto
di questo principio di libertà assoluta di espressione.
Molti utenti, già presi di mira oggi dagli hater, sono così preoccupati
da questo possibile cambio di gestione da aver già deciso di chiudere Twitter
e cancellare i propri account, migrando per esempio ad alternative come
Mastodon, che però non risolvono necessariamente il problema.
Musk, però, ha già
precisato, naturalmente su Twitter, dove ha oltre 90 milioni di follower, che per lui
“libertà di espressione” significa
“semplicemente ciò che corrisponde alla legge”. Che però è quello che
Twitter già fa,
secondo gli esperti. E c’è il problema che le leggi variano da paese a paese. Anche con Elon
Musk al timone, in Europa per esempio Twitter sarebbe comunque
soggetto, come lo è ora, alle normative europee, come la prossima
Legge sui servizi digitali
(Digital Services Act), e sarebbe soggetto alle normative sulla
disinformazione e sulla protezione delle affiliazioni politiche e religiose e
degli orientamenti sessuali.
C’è anche un’altra idea di Elon Musk che preoccupa gli esperti di diritti
digitali: quella di obbligare gli utenti a
verificare
la propria identità. Un obbligo del genere sarebbe paradossalmente contrario
alla libertà d’espressione che Musk dichiara di voler sostenere. Lo
spiega
bene la Electronic Frontier Foundation, un’organizzazione che da anni
si occupa di diritti online.
“Lo pseudonimato -- la gestione di un account su Twitter o su qualsiasi
altra piattaforma con un’identità diversa da quella del nome legale
dell’utente -- è un elemento importante della libertà di espressione.
Pseudonimato e anonimato sono essenziali per proteggere gli utenti che
possono avere opinioni, identità o interessi che non sono allineati con
quelli di chi è al potere.”
I dissidenti politici, per esempio,
“sarebbero in grave pericolo se chi è al potere fosse in grado di scoprire
le loro vere identità”.
Molti utenti comuni non esperti della materia sono favorevoli all’eliminazione
dell’anonimato e all’obbligo di dichiarare la propria vera identità, perché
ritengono che se non ci si potesse nascondere dietro l’anonimato gli utenti si
comporterebbero meglio. Ma la Electronic Frontier Foundation aggiunge,
fornendo fonti, che
“scarseggiano
le prove che obbligare le persone a postare usando i propri nomi ‘veri’ crei
un ambiente più civile, mentre al contrario
abbondano
le prove che questo obbligo possa avere
conseguenze disastrose
per alcuni degli utenti più vulnerabili della piattaforma.”
Insomma, Elon Musk sembra non aver capito bene i termini del problema che ha
deciso di affrontare in maniera così drastica e sembra essersi lanciato in un
pantano etico e giuridico dal quale sarà difficile uscire e che non si risolve
semplicemente buttandogli addosso montagne di soldi.
Però alcune idee interessanti le ha messe sul piatto: per esempio, rendere più
trasparenti gli algoritmi che rendono più o meno visibili i tweet ai vari
utenti, e
dotare
finalmente Twitter di un pulsante di modifica dei tweet, che esiste già in
quasi tutte le altre piattaforme social analoghe e sottopone gli utenti di
Twitter allo strazio tutto particolare dei refusi e degli errori che non si
possono correggere se non eliminando del tutto il tweet sbagliato, facendo
però perdere il filo del discorso a chi legge.
Un’altra idea interessante di Musk è quella di
adottare
la crittografia end-to-end per i messaggi diretti di Twitter (quelli
non visibili agli utenti comuni ma scambiati “privatamente”, si fa per dire,
dagli interlocutori). Oggi questi messaggi non sono protetti, per cui i
dipendenti di Twitter possono leggerli e questo accesso è già stato abusato in
passato,
nota
la Electronic Frontier Foundation.
Per ora, a parte alcuni hater molto seguiti che si sentono galvanizzati
e legittimati a disseminare odio più di prima, non è cambiato nulla su Twitter
e non è il caso di prendere decisioni emotive e fasciarsi la testa prima di
rompersela. Conviene semmai restare vigili per vedere cosa farà in concreto la
gestione Musk, sempre che vada in porto l’acquisto, e intanto magari studiarsi
le procedure per fare un rapido
backup
dei propri tweet e delle proprie
impostazioni di privacy. Non si sa mai.
Fonti aggiuntive:
Forbes,
MSNBC,
Mediamatters,
Teslarati,
The Verge,
Engadget, BBC,
Teslarati,
Ars Technica.