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2018/03/27
Griefbot: fantasmi digitali
In Be Right Back, una puntata della celebre serie di fantascienza Black Mirror, una giovane donna che ha perso tragicamente il proprio partner in un incidente stradale si trova a dover affrontare una tentazione inattesa che le arriva dagli amici: iscriversi a un servizio online che usa i dati accumulati nei social network dalla persona deceduta per creare una sorta di personalità virtuale che scrive, chatta, parla e si comporta come il partner che non c’è più. In pratica la donna continua a dialogare con il partner morto, come se fosse ancora vivo. Sul telefonino riceve messaggi che sembrano provenire da lui e sente persino la sua voce.
Quella puntata risale al 2013, ma cinque anni dopo la sua idea è già diventata realtà. Questo servizio viene chiamato “griefbot”, una parola che combina il termine inglese “grief” (ossia “lutto”), con “bot”, ossia “programma o agente automatico”.
Gli amici di un uomo russo, Roman Mazurenko, morto a Mosca investito da un’auto, hanno creato un griefbot, ossia un programma che attinge al vasto archivio di messaggi social lasciati da Roman e scrive come se fosse lui: gli amici considerano questo griefbot una sorta di monumento digitale in memoria dello scomparso.
Lo stesso ha fatto il tecnologo Muhammad Ahmad, che lavora presso l’università di Washington: quando è morto suo padre, ha raccolto tutti i suoi scritti, li ha digitalizzati e inseriti in un programma di intelligenza artificiale per dare ai propri figli l’occasione di farsi un’idea di come fosse il loro nonno che non hanno mai potuto conoscere.
Si tratta di sistemi sperimentali, costruiti pazientemente e in modo personalizzato: siamo ancora lontani da un servizio “chiavi in mano” che consenta, per esempio, di prendere tutte le chat di Facebook e WhatsApp e tutti i messaggi vocali di una persona e creare un suo duplicato virtuale credibile. Ma non sembrano esserci ostacoli tecnologici significativi.
Gli ostacoli, infatti, sono semmai di ordine etico. Per esempio, si può creare un clone virtuale di una persona senza il suo consenso? Chi è il titolare dei diritti sulla personalità di un defunto? E se il clone fosse di qualcuno che è ancora vivo e che quindi si trova ad avere un gemello online che parla e scrive come lui o lei?
Gli psicologi dicono che questo genere di personalità virtuale può avere una funzione consolatoria nella gestione di un lutto, persino quando chi ne fa uso è consapevole che si tratta semplicemente di un programma che pesca e rimescola le frasi pertinenti dall’archivio delle cose dette dalla persona defunta e non è capace di creare pensieri nuovi. In psicoterapia si usa spesso la tecnica della sedia vuota: il paziente dialoga con la sedia come se vi fosse seduta la persona che non c’è più. Questi griefbot sarebbero una versione digitale di questa tecnica.
La puntata di Black Mirror ha una conclusione che non è il caso di svelare qui ed è ben lontana dalle prestazioni dei griefbot attuali. Ma l’intelligenza artificiale progredisce in fretta e l’illusione di parlare con una persona reale diventa sempre più potente. E propone uno scenario inquietante: un giorno i social network saranno ricolmi di fantasmi.
Questo articolo è basato sul testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu del 27 marzo 2018.
Quella puntata risale al 2013, ma cinque anni dopo la sua idea è già diventata realtà. Questo servizio viene chiamato “griefbot”, una parola che combina il termine inglese “grief” (ossia “lutto”), con “bot”, ossia “programma o agente automatico”.
Gli amici di un uomo russo, Roman Mazurenko, morto a Mosca investito da un’auto, hanno creato un griefbot, ossia un programma che attinge al vasto archivio di messaggi social lasciati da Roman e scrive come se fosse lui: gli amici considerano questo griefbot una sorta di monumento digitale in memoria dello scomparso.
Lo stesso ha fatto il tecnologo Muhammad Ahmad, che lavora presso l’università di Washington: quando è morto suo padre, ha raccolto tutti i suoi scritti, li ha digitalizzati e inseriti in un programma di intelligenza artificiale per dare ai propri figli l’occasione di farsi un’idea di come fosse il loro nonno che non hanno mai potuto conoscere.
Si tratta di sistemi sperimentali, costruiti pazientemente e in modo personalizzato: siamo ancora lontani da un servizio “chiavi in mano” che consenta, per esempio, di prendere tutte le chat di Facebook e WhatsApp e tutti i messaggi vocali di una persona e creare un suo duplicato virtuale credibile. Ma non sembrano esserci ostacoli tecnologici significativi.
Gli ostacoli, infatti, sono semmai di ordine etico. Per esempio, si può creare un clone virtuale di una persona senza il suo consenso? Chi è il titolare dei diritti sulla personalità di un defunto? E se il clone fosse di qualcuno che è ancora vivo e che quindi si trova ad avere un gemello online che parla e scrive come lui o lei?
Gli psicologi dicono che questo genere di personalità virtuale può avere una funzione consolatoria nella gestione di un lutto, persino quando chi ne fa uso è consapevole che si tratta semplicemente di un programma che pesca e rimescola le frasi pertinenti dall’archivio delle cose dette dalla persona defunta e non è capace di creare pensieri nuovi. In psicoterapia si usa spesso la tecnica della sedia vuota: il paziente dialoga con la sedia come se vi fosse seduta la persona che non c’è più. Questi griefbot sarebbero una versione digitale di questa tecnica.
La puntata di Black Mirror ha una conclusione che non è il caso di svelare qui ed è ben lontana dalle prestazioni dei griefbot attuali. Ma l’intelligenza artificiale progredisce in fretta e l’illusione di parlare con una persona reale diventa sempre più potente. E propone uno scenario inquietante: un giorno i social network saranno ricolmi di fantasmi.
Questo articolo è basato sul testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu del 27 marzo 2018.
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