Pochi giorni fa ho comprato un’auto elettrica, una Peugeot iOn usata (costo circa 10.000 euro), e sto cominciando a usarla. Queste sono le mie prime impressioni sparse d’uso concreto.
In sintesi: funziona egregiamente nel modo in cui serve al mio caso particolare, permettendomi di portare agevolmente la spesa davanti a casa e di sgusciare nel traffico e nei parcheggi, ma ora comincio a capire molto meglio le difficoltà e le esitazioni di chi si affaccia all’auto elettrica.
Soprattutto ora mi è concretamente chiaro che l’usabilità di questo tipo di veicolo non è soltanto questione di batterie: senza una campagna di alfabetizzazione, senza un coordinamento delle infrastrutture e soprattutto senza il contributo dell’informatica, l’auto elettrica non può aspirare a un successo di massa. Questi fattori sono essenziali per la sua diffusione. Ed è per questo che l’idea di Tesla (basata in grandissima parte sul software nell’auto, nell’app e nella rete di ricarica dedicata) ha fatto la differenza rispetto a tutti i tentativi precedenti, anche se per ora è limitata al segmento di prezzo medio-alto.
1. Usare l’elettrica ben entro i suoi limiti per evitare gli stress
La prima cosa che mi sono ripromesso, quando ho acquistato la iOn, è che non mi sarei fatto prendere dall’ansia da autonomia (range anxiety, nel gergo inglese del settore). Avendo comunque un’auto a benzina, ho deciso di usare l’elettrica esclusivamente per viaggi che posso fare tranquillamente andando e tornando senza dovermi fermare a ricaricare in giro. Non ho tempo e non ho voglia di trovarmi a piedi o penalizzato in alcun modo perché la colonnina di ricarica su cui dovrei contare è guasta o occupata da un cretino con un’auto a carburante fossile. Se ho il minimo dubbio che l’elettrica non abbia autonomia sufficiente, vado con l’auto a benzina. La Dama del Maniero mi sta spingendo verso avventure elettriche più spavalde, ma queste ve le racconterò prossimamente.
L’autonomia dichiarata dal computerino di bordo della iOn, basata sul mio attuale stile di guida tutt’altro che ottimizzato, è 80 chilometri (anche se sta migliorando man mano). Quindi faccio solo viaggi a non più di 40 chilometri di distanza, così posso sicuramente tornare a casa anche senza ricaricare in giro. Questo può sembrare estremamente penalizzante, ma visto che i miei percorsi abituali (andare a fare la spesa, andare alla radio, andare nelle scuole del Canton Ticino) sono solitamente ben al di sotto di questo limite, per me non è affatto un problema. Ho risolto l’ansia da autonomia usando l’auto elettrica in maniera estremamente prudenziale e tenendomi ampi margini.
Lezione numero uno: se volete vivere assolutamente senza ansie, prendete l’autonomia dichiarata dai costruttori (secondo i generosissimi criteri NEDC, di solito) e dimezzatela. Se è comunque sufficiente, siete a posto. Altrimenti rassegnatevi, perché l’ansia da autonomia sarà vostra compagna.
Con questi criteri molto prudenziali mi godo serenamente l’auto elettrica: accendo il riscaldamento (elettrico) tutte le volte che mi serve (in questi giorni fa un freddo cane anche intorno al Maniero Digitale), faccio le partenze veloci ai semafori, accelero e sorpasso quando voglio e non mi faccio prendere dall’ansia, ma anzi mi diverto: la iOn non è un fulmine, ma ha la giusta dose di grinta in città. Arrivo a casa, attacco l’auto alla presa, e l’indomani mattina riparto col “pieno” senza neanche andare al distributore.
2. C’è tanto da (re)imparare. Anche le cose più banali
Cambiare auto richiede sempre un periodo di apprendimento, ma qui è tutto diverso.
- Il riscaldamento è elettrico (dietro le bocchette di ventilazione c'è una resistenza che scalda l’aria, come un phon, e il sedile è riscaldabile) e consuma moltissima energia, quindi incide pesantemente sull’autonomia, visto che la batteria è da soli 16 kWh. Qui non c’è un motore endotermico che genera quantità esagerate di calore da smaltire. La neve sul cofano non si scioglie, perché il cofano resta freddo. Conviene coprirsi bene in auto.
- L’auto è totalmente silenziosa quando è accesa e ferma. All’inizio è disorientante, poi diventa un piacevole promemoria che stai viaggiando in elettrico.
- Togliere il piede dall’acceleratore frena la macchina, perché interviene la rigenerazione che ricarica la batteria.
- Anche la prima parte della corsa del pedale del freno attiva la rigenerazione. Trovo meravigliosa la consapevolezza che invece di buttare via stupidamente energia sotto forma di calore e consumo dei freni a ogni rallentamento, come avviene con un’auto endotermica, genero un po’ di energia che ricarica la batteria. Una discesa diventa una fonte di energia invece di una causa di consumo dei freni. Mi rendo conto di quanto sia stupidamente inefficiente qualunque auto tradizionale.
Il problema di fondo, però, è dove imparare queste cose. C’è una generale mancanza di informazioni pratiche e precise.
- Non ci sono, che io sappia, corsi di preparazione offerti dai concessionari o dai fabbricanti: tutto è lasciato alla passione e all’iniziativa personale.
- Il manuale della iOn, per esempio, non spiega affatto che il connettore per la carica domestica in realtà è usabile anche con le colonnine pubbliche di ricarica e dà l’impressione che solo il connettore veloce (CHAdeMO) possa essere usato per caricare in giro. Se neanche chi fabbrica le auto informa correttamente, siamo messi male.
- Le informazioni fornite dal manuale sono davvero laconiche per tutta la parte di trazione elettrica e di gestione della batteria.
- Se non avessi avuto la rete di amici che hanno già un’auto elettrica non avrei avuto modo di scoprire molte delle cose che ho descritto qui sopra e che è indispensabile sapere per usare in modo efficace questo genere di auto.
3. Carica domestica: una pacchia, ma migliorabile
Arrivare a casa con il “serbatoio” quasi vuoto e “riempirlo” semplicemente attaccando una spina a una presa, quasi come se l’auto fosse un telefonino, è splendido (dico quasi perché la presa, i cavi e il contatore devono essere in grado di reggere 2,3 kW continui, che sono molto più di quello che assorbe un cellulare; il mio impianto elettrico è in grado di farlo, ma non tutti lo sono).
Certo, la carica completa sulla presa domestica richiede circa cinque ore, ma tanto avviene di notte, per cui la durata non è un problema. In emergenza ho sempre l’auto a benzina. L’indomani mattina avrò il “pieno” elettrico senza sprecare neanche un minuto al distributore (foto qui accanto). E avrò speso circa un quarto di quello che mi sarebbe costato un rifornimento equivalente di benzina.
Sempre come un telefonino, l’auto ha un indicatore di carica in corso sul cruscotto e visualizza le tacche di carica anche quando è spenta. Comodo.
Piccolo problema: devi ricordarti di mettere l’auto sotto carica, altrimenti l’indomani mattina sarai appiedato. Idem se per caso scatta il salvavita o s’interrompe la corrente durante la notte. All’inizio questo gesto di collegare l’auto alla presa potrebbe non venire automatico. Cosa peggiore, una volta diventato automatico potresti non ricordare se l‘hai fatto o no, e quindi ti toccherà tornare in garage a vedere se l’auto è sotto carica o no. Sto pensando di mettere una webcam.
Questo è uno dei casi nei quali il software fa una grande differenza: avere un’app che dialoga con l’auto tramite la rete cellulare e ti informa sullo stato di carica è decisamente più rassicurante ed evita di doversi rimettere il cappotto per andare a vedere come sta l’auto. Non solo: un’app di controllo remoto permette di programmare l’orario di inizio della ricarica in modo da sfruttare le tariffe notturne ridotte. Confesso che con questo freddo non ho nessuna intenzione di uscire di casa dopo le 22 per andare ad avviare la carica quando inizia la tariffa ridotta; se potessi farlo dal mio telefonino, cambierebbe tutto. Se si vuole rendere appetibile l’auto elettrica, queste piccole grandi comodità ci devono essere. Sì, le Tesla le hanno, dannazione: le paghi care, ma in cambio ti danno molto.
Venerdì scorso per la prima volta sono andato a lavorare alla Radiotelevisione Svizzera, a Lugano, in auto elettrica. È stato il primo viaggio fatto per ragioni pratiche, di lavoro, e non per prova: venticinque chilometri tra andata e ritorno, senza inquinare e senza fare rumore. Da oggi per le strade svizzere c’è un’auto a benzina in meno. Non ho neanche acceso l’autoradio per godermi il silenzio di bordo.
4. Carica in viaggio: un delirio frustrante
Le cose cambiano completamente se si tenta di ricorrere alle ricariche in viaggio. Se riuscite a immaginare un mondo nel quale le auto a benzina o diesel vanno usate a queste condizioni:
- fra un distributore di carburante e l’altro ci sono duecento chilometri;
- per rifornirsi è necessario avere fatto in anticipo un abbonamento che varia da catena a catena;
- ci sono diciassette tipi di carburante differenti, di cui solo due sono compatibili con la vostra specifica auto;
avete un’idea di cosa significa oggi usare un’auto elettrica di qualunque marca se si dipende dai punti di ricarica delle varie reti municipali e commerciali (con l’eccezione, ancora una volta, di Tesla, che ha semplificato il tutto).
Per curiosità ho provato a fare una carica presso un punto di ricarica della rete ticinese Emoti. Mi sono documentato prima: sono andato sul sito, ho consultato la cartina delle colonnine di questa rete, cercando quelle compatibili con uno dei miei due connettori (CHAdeMO e Tipo 1). Poi ho installato l‘app di Emoti sul mio smartphone, ho creato un account e vi ho caricato del credito usando la mia carta di credito.
Sono arrivato alla colonnina, che sapevo essere libera grazie all’app, ho collegato il cavo Tipo 1 (l’unico compatibile con la mia auto fra quelli disponibili) e ho tentato di avviare la carica dall’app. Non ha funzionato. Ho ricontrollato tutto, scollegato tutto e riprovato. L’app si è piantata in continuazione. E così sono iniziati i dubbi del principiante.
Sarà che l’auto va spenta completamente? Devo togliere le chiavi dall’avviamento? Devo chiudere a chiave le portiere? Devo prima tentare di avviare la carica dall’app e poi collegare il cavo, come si fa con una pompa di benzina self-service, o viceversa? Sarà che non è vero che posso usare il connettore domestico per caricare in giro (visto che il manuale non dice che si può)? Boh.
Non c’era nessun manuale che me lo dicesse. Non c’era un “benzinaio” che mi facesse assistenza. C’era soltanto un numero di telefono da chiamare.
Solo dopo vari esperimenti e tentativi ho scoperto due cose fondamentali. La prima è che l’app che comanda la colonnina chiama sinistro e destro i connettori (ce ne sono due serie) dal punto di vista di chi sta davanti alla colonnina e guarda la colonnina, non dal punto di vista di chi sta davanti alla colonnina e guarda la propria auto. Per cui stavo cercando di attivare il connettore sul lato sbagliato, e la mia inesperienza mi faceva pensare a chissà quale altro mio errore ben più tecnico o a un’incompatibilità dell’auto. Scemo io, certo, ma come ergonomia sarebbe meglio chiamarli A e B (etichette assolute) invece di sinistro e destro (etichette relative).
Non è vero che gli altri due connettori (Cavo tipo 2 e Domestica CH) sono collegati a delle auto, ma dalle diciture parrebbe di sì. |
Sì, la carica di questo tipo è lentissima (va bene se parcheggi e vai a fare altro) e cara. |
Il display della colonnina Emoti. Pulsanti misteriosi, e non è vero che devo presentare una tessera (ho l’app). |
La seconda, una volta decifrata la questione sinistra-destra, è che il connettore non si era innestato bene perché il cavo sospeso lo tirava leggermente. Ho scollegato il tutto e ho ricominciato. Stavolta ha funzionato e sono riuscito a caricare (lentamente, ma ci sono riuscito).
Indicatore di carica in corso e di livello di carica presenti anche ad auto spenta e chiave disinserita. Comodo. |
Ma che fatica: e questo nonostante io mi fossi preparato prima. Immaginate uno che è in giro e sta cercando di caricare, o un turista elettrico che arriva dall’estero: pensate che si metterà a scaricare l’app, creare un account e caricarvi del credito? Ovviamente no.
È esattamente quello che è successo mentre stavo caricando (la carica è lenta: la colonnina eroga 7 kW sul connettore Tipo 1, ma la iOn è in grado di assorbirne solo 3,2, praticamente come a casa). È arrivata una Tesla, il cui proprietario era incuriosito dalla colonnina nuova, ma quando ha saputo da me quanto era complessa la procedura per usarla ha lasciato perdere. Un cliente perso.
Tutto questo è semplicemente ridicolo.
- Ci sono almeno cinque connettori differenti sul mercato: Tipo 1, Tipo 2/Mennekes, CHAdeMO, CCS, Tesla. Se non hai i cavi adattatori, che costano un botto e sono ingombrantissimi, o trovi la colonnina compatibile col connettore della tua auto o sei fregato: la colonnina c’è ma non la puoi usare. Decidersi per uno standard unico no?
- Non c’è un’opzione di pagamento diretto (con carta di credito), come c’è da millenni presso le stazioni di servizio self-service tradizionali: bisogna passare dall’app, e per usare l’app bisogna creare un account e metterci del credito, oppure avere una tessera prepagata. Di nuovo, se non hai tutte queste cose, la colonnina c’è ma non la puoi usare. Perché?
- Dopo che hai fatto tutta la trafila dell’account e dell’app o ti sei procurato in anticipo la tessera, puoi comunque usare solo le colonnine di quella rete. Tutte le altre ti restano inaccessibili. Il roaming fra questa rete e le altre non c‘è. Geniale.
- L’app di Emoti, fra l’altro, è instabile e macchinosa, con parti in tedesco frammiste all’italiano (ho già scritto ai gestori con alcuni commenti costruttivi). Se crasha mentre stai caricando, come è successo a me, che si fa? La carica si interrompe? Solo a furia di tentativi ho scoperto che non si interrompe e che bisogna rifare login nell‘app riavviata, andare poco intuitivamente sotto Cariche (che sembra un log delle cariche fatte ma include anche la carica in corso) e toccare il pulsante Arrestare. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se nel frattempo mi si fosse scaricato lo smartphone.
Se volete che la gente non usi l’auto elettrica, continuate così, state andando benissimo.
Di nuovo, Tesla insegna come si fa a eliminare tutti questi problemi: ha costruito una rete dedicata di punti di ricarica Supercharger o Destination Charger (le cui ubicazioni sono indicate sul navigatore dell’auto). Così inserisci il connettore standard della colonnina e sei a posto. Puoi persino prenotare la colonnina in anticipo. L‘app sul telefonino ti avvisa quando la carica è finita, così sai quanto tempo ti resta da aspettare anche se sei lontano dall’auto. Tutto qui. È questo il segreto del suo successo: la semplificazione di servizi che già esistevano, ma in forma scomoda e macchinosa. In altre parole, Tesla è l'iPhone delle auto elettriche (anche nel prezzo). Speriamo che i concorrenti imparino da questo esempio.
Intanto questa storia ha un seguito.
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