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2018/05/10
Fabbriche di fake news: ora anche in Ghana
Uno dei dubbi più frequenti a proposito del fenomeno fake news è che le notizie false sono sempre esistite: ma allora come mai se ne fa un gran parlare proprio adesso? Convenienza politica? No, c’è una ragione molto concreta: le fake news di oggi sono industrializzate.
In passato le notizie false venivano disseminate principalmente per propaganda ideologica, politica o governativa e, secondariamente, per promuovere un prodotto denigrando quelli concorrenti. Ma oggi si è aggiunto un motivo in più: i soldi. Soldi che chi fa fake news intasca direttamente grazie a Internet e ai suoi meccanismi pubblicitari automatici, come AdSense di Google.
Questi meccanismi inseriscono pubblicità nei siti Web e nelle pagine Facebook, i cui proprietari ricevono un compenso per ogni visualizzazione. Non importa se le notizie ospitate sono vere o false: importa solo che vengano lette tante volte. Di conseguenza, si è sviluppato un arcipelago di piccoli imprenditori delle fake news che non sono mossi da ideologie ma soltanto dall’intento di guadagnare, senza alcuno scrupolo morale.
Ne avevo parlato a dicembre 2016 per un caso italiano, e a febbraio 2017 aveva fatto scalpore la rivelazione che Veles, una cittadina di circa 50.000 abitanti nella Repubblica di Macedonia, era una fucina di questi piccoli imprenditori: gente che pubblicava qualunque storia falsa purché fosse capace di attirare clic e quindi generare incassi pubblicitari.
C’erano diciottenni che, gestendo siti di fake news favorevoli a Donald Trump durante la sua campagna presidenziale, incassavano migliaia di euro al mese in un paese nel quale lo stipendio medio si aggira intorno ai quattrocento euro. Pubblicavano queste fake news e poi usavano decine di profili falsi per segnalarle nei gruppi Facebook politicamente schierati, i cui membri facevano il resto del lavoro, condividendo queste notizie a loro gradite e generando un numero elevato di visitatori e quindi di incassi pubblicitari.
I ragazzi di Veles non lo facevano perché credevano nel programma del candidato alla presidenza, ma semplicemente perché volevano un’auto nuova e uno smartphone più bello e perché Internet glielo rendeva facile. Facile, s’intende, a patto di essere disposti a infischiarsene delle conseguenze.
Google ha poi scoperto la manipolazione e ha revocato le inserzioni pubblicitarie di queste catene di montaggio delle fandonie, ma ne sono subito emerse altre in altri paesi.
Uno dei casi più recenti riguarda il Ghana, dove è stata smascherata una rete di siti i cui nomi erano molto simili a quelli delle testate giornalistiche internazionali, come tv-cnn.com, france24-tv.com o huffingtonpost-fm.com. Questi siti pubblicavano notizie false, specializzandosi in annunci di morte di persone celebri o arresti clamorosi per droga. Se avete sentito la storia del ristorante che servirebbe carne umana, ambientata in vari paesi del mondo, è parte del repertorio di questa fabbrica ghanese. Forse le fake news prenderanno il posto delle truffe “alla nigeriana”.
Anche qui il motore era il denaro pubblicitario di Google, ContentAd e altre agenzie, e anche qui, alla fine di una lunga e complessa indagine tecnica, realizzata da Leadstories.com, che ha rivelato i legami fra questi siti, le agenzie hanno revocato i propri pagamenti.
Ma non appena viene chiusa con fatica una rete di fake news, se ne apre un’altra con facilità. Per debellarle c’è una sola tecnica efficace, che spetta a noi utenti mettere in atto: fare attenzione alla fonte prima di condividere online qualunque notizia.
In passato le notizie false venivano disseminate principalmente per propaganda ideologica, politica o governativa e, secondariamente, per promuovere un prodotto denigrando quelli concorrenti. Ma oggi si è aggiunto un motivo in più: i soldi. Soldi che chi fa fake news intasca direttamente grazie a Internet e ai suoi meccanismi pubblicitari automatici, come AdSense di Google.
Questi meccanismi inseriscono pubblicità nei siti Web e nelle pagine Facebook, i cui proprietari ricevono un compenso per ogni visualizzazione. Non importa se le notizie ospitate sono vere o false: importa solo che vengano lette tante volte. Di conseguenza, si è sviluppato un arcipelago di piccoli imprenditori delle fake news che non sono mossi da ideologie ma soltanto dall’intento di guadagnare, senza alcuno scrupolo morale.
Ne avevo parlato a dicembre 2016 per un caso italiano, e a febbraio 2017 aveva fatto scalpore la rivelazione che Veles, una cittadina di circa 50.000 abitanti nella Repubblica di Macedonia, era una fucina di questi piccoli imprenditori: gente che pubblicava qualunque storia falsa purché fosse capace di attirare clic e quindi generare incassi pubblicitari.
C’erano diciottenni che, gestendo siti di fake news favorevoli a Donald Trump durante la sua campagna presidenziale, incassavano migliaia di euro al mese in un paese nel quale lo stipendio medio si aggira intorno ai quattrocento euro. Pubblicavano queste fake news e poi usavano decine di profili falsi per segnalarle nei gruppi Facebook politicamente schierati, i cui membri facevano il resto del lavoro, condividendo queste notizie a loro gradite e generando un numero elevato di visitatori e quindi di incassi pubblicitari.
I ragazzi di Veles non lo facevano perché credevano nel programma del candidato alla presidenza, ma semplicemente perché volevano un’auto nuova e uno smartphone più bello e perché Internet glielo rendeva facile. Facile, s’intende, a patto di essere disposti a infischiarsene delle conseguenze.
Google ha poi scoperto la manipolazione e ha revocato le inserzioni pubblicitarie di queste catene di montaggio delle fandonie, ma ne sono subito emerse altre in altri paesi.
Uno dei casi più recenti riguarda il Ghana, dove è stata smascherata una rete di siti i cui nomi erano molto simili a quelli delle testate giornalistiche internazionali, come tv-cnn.com, france24-tv.com o huffingtonpost-fm.com. Questi siti pubblicavano notizie false, specializzandosi in annunci di morte di persone celebri o arresti clamorosi per droga. Se avete sentito la storia del ristorante che servirebbe carne umana, ambientata in vari paesi del mondo, è parte del repertorio di questa fabbrica ghanese. Forse le fake news prenderanno il posto delle truffe “alla nigeriana”.
Anche qui il motore era il denaro pubblicitario di Google, ContentAd e altre agenzie, e anche qui, alla fine di una lunga e complessa indagine tecnica, realizzata da Leadstories.com, che ha rivelato i legami fra questi siti, le agenzie hanno revocato i propri pagamenti.
Ma non appena viene chiusa con fatica una rete di fake news, se ne apre un’altra con facilità. Per debellarle c’è una sola tecnica efficace, che spetta a noi utenti mettere in atto: fare attenzione alla fonte prima di condividere online qualunque notizia.
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