Secondo i documenti legali depositati dagli inquirenti, Manafort ha usato WhatsApp e Telegram per mandare messaggi cifrati a questi testimoni, ma gli inquirenti sono riusciti lo stesso a leggerli. Questo vuol dire che c’è una falla o una backdoor in WhatsApp, che permette di intercettare e leggere i messaggi protetti dalla crittografia? No.
Come capita spesso, di fronte alle soluzioni tecnologiche si dimentica il lato umano: qualunque messaggio, per quanto sia cifrato da qualunque app, è rivelabile in una maniera estremamente semplice. Basta chiederlo alla persona che l’ha ricevuto.
La crittografia end-to-end, infatti, protegge solo i messaggi in transito da un dispositivo a un altro: rende difficili le intercettazioni durante questo transito e impedisce che il fornitore del servizio di messaggistica possa leggerli, ma non può più fare nulla una volta che il messaggio è arrivato a destinazione. Quindi se le autorità riescono a mettere le mani sul vostro smartphone o semplicemente vi chiedono di mostrare loro i messaggi in questione, la conversazione non è più segreta. Lo stesso vale, naturalmente, se il destinatario decide spontaneamente di condividere con altri il contenuto di un messaggio cifrato.
Nel caso di Manafort, questa semplice tecnica è spiegata da una nota a pié pagina:
Persons D1 and D2 both preserved the messages they received from Manafort and Person A, which were sent on encrypted applications, and have provided them to the government.
È vero, come mi segnala Telegram Wiki, che “Telegram offre la possibilità di aprire chat segrete con timer di autodistruzione dei messaggi, e che in qualunque momento l'utente può eliminare i propri messaggi da una chat segreta, facendoli sparire immediatamente anche al partner”, ma questo non impedisce a chi li riceve di memorizzarli o fotografarli e riferirli a terzi.
Fonte: Graham Cluley.
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