Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2018/06/08
Non tutti i cybercriminali sono dei geni del male
C’è la percezione molto diffusa che i criminali informatici siano geni del male inarrestabili, ma non è affatto così: come in qualunque settore di attività umana, i veri talenti sono pochi, mentre la massa è composta da dilettanti e incompetenti.
Una dimostrazione di questo fatto arriva dai ricercatori di NewSky Security, che hanno analizzato e smantellato una botnet di nome Owari, che usava i dispositivi dell’Internet delle Cose maldestramente protetti per sferrare attacchi informatici di tipo DDoS (distributed denial of service), ossia l’equivalente Internet di intasare e paralizzare il centralino di un’azienda convincendo migliaia di persone a chiamarne il numero contemporaneamente.
I ricercatori hanno scoperto che il server di comando e controllo di questa botnet aveva la porta 3306 (MySQL) aperta e aveva il nome utente e la password più stupidi dell’universo, ossia root:root.
Questo consentiva a chiunque di leggere e scrivere nel database di gestione della botnet. In altre parole, questi attaccanti che sfruttavano le password deboli delle loro vittime avevano a loro volta delle password deboli.
È vero che queste botnet hanno una durata media molto breve, perché spesso vengono scoperte e bloccate nel giro di poche settimane, ma rendere così facile il lavoro dei difensori della Rete fa un po’ sorridere.
Fonte: Naked Security.
Una dimostrazione di questo fatto arriva dai ricercatori di NewSky Security, che hanno analizzato e smantellato una botnet di nome Owari, che usava i dispositivi dell’Internet delle Cose maldestramente protetti per sferrare attacchi informatici di tipo DDoS (distributed denial of service), ossia l’equivalente Internet di intasare e paralizzare il centralino di un’azienda convincendo migliaia di persone a chiamarne il numero contemporaneamente.
I ricercatori hanno scoperto che il server di comando e controllo di questa botnet aveva la porta 3306 (MySQL) aperta e aveva il nome utente e la password più stupidi dell’universo, ossia root:root.
Questo consentiva a chiunque di leggere e scrivere nel database di gestione della botnet. In altre parole, questi attaccanti che sfruttavano le password deboli delle loro vittime avevano a loro volta delle password deboli.
È vero che queste botnet hanno una durata media molto breve, perché spesso vengono scoperte e bloccate nel giro di poche settimane, ma rendere così facile il lavoro dei difensori della Rete fa un po’ sorridere.
Fonte: Naked Security.
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