Il 25 maggio scorso è diventato applicabile il GDPR (General Data Protection Regulation), una serie di norme europee sulla gestione dei dati personali, e nonostante due anni di preavviso (le norme furono approvate nel 2016) molti siti sono arrivati all’ultimo giorno senza alcuna preparazione. Il caos è stato davvero notevole.
A parte l’ondata di mail di siti di aziende, alberghi e social network che ci chiedono il consenso per continuare a mandarci quello che loro chiamano “materiale informativo”, l’effetto immediato più visibile per molti utenti è stato l’oscuramento volontario di molte testate giornalistiche statunitensi, che hanno preferito rendersi inaccessibili agli utenti europei piuttosto che affrontare l’onere di adeguarsi alle nuove regole sul trattamento dei dati personali. Lo stesso ha fatto temporaneamente Instapaper; anche alcuni videogiochi online hanno cessato l’attività in via definitiva.
Numerosi proprietari di Pagine Facebook, invece, lamentano di non essere più in grado di accedervi per amministrarle. Facebook è anche oggetto di azioni legali, insieme a Google, Instagram e WhatsApp, con l’accusa di violazione del GDPR perché non offrono agli utenti una vera scelta: gli utenti, infatti, possono soltanto scegliere fra accettare che i loro dati vengano raccolti, condivisi e usati per la pubblicità mirata e cancellare i propri account. Prendere o lasciare, insomma.
Secondo i promotori di queste azioni legali, “il GDPR consente esplicitamente qualunque trattamento di dati strettamente necessario per il servizio, ma usare quegli stessi dati anche per pubblicità o per rivenderli richiede il consenso libero ed esplicito degli utenti.”
Molti utenti percepiscono il GDPR come un disagio, che crea situazioni problematiche come l’aumento dell’età minima per usare Whatsapp a 16 anni (interessante il commento dell’avvocato Guido Scorza sulle reali ragioni di questa scelta), ma i nuovi obblighi stanno anche mettendo a nudo il peso del tracciamento pubblicitario operato da moltissimi siti, come nel caso della testata giornalistica statunitense USA Today, il cui sito Web viene offerto agli utenti europei in versione priva di pubblicità e di script di tracciamento.
Il risultato è che al posto di 5,2 megabyte la pagina pesa 500 kilobyte, ossia meno di un decimo. Il 90%, insomma, è zavorra pubblicitaria:
Because of #GDPR, USA Today decided to run a separate version of their website for EU users, which has all the tracking scripts and ads removed. The site seemed very fast, so I did a performance audit. How fast the internet could be without all the junk! 🙄— Marcel Freinbichler (@fr3ino) May 26, 2018
5.2MB → 500KB pic.twitter.com/xwSqqsQR3s
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