Persino gli esperti di sicurezza dell’NSA e della CIA -- gente che di
sorveglianza se ne intende un tantino --
raccomandano
(PDF) di
bloccare
le pubblicità potenzialmente ostili perché
“nonostante la natura benigna della maggior parte del contenuto
pubblicitario, la pubblicità è un noto vettore di distribuzione di malware
da oltre un decennio” e la CISA (Cybersecurity and Infrastructure Security Agency)
consiglia
di
“usare software di ad blocking sia per proteggersi contro le pubblicità
ostili, sia contro la raccolta di dati da parte di terzi.”
Ma il dubbio rimane: sono davvero efficaci queste misure? Parrebbe di sì, a giudicare dai toni e dai contenuti di un annuncio pubblicato su Facebook da Graham Mudd, vicepresidente del product marketing del social network, segnalato da Gizmodo.
Mudd si rivolge ai clienti di Facebook, le aziende che pagano le inserzioni pubblicitarie sul social network, e dice che “ci aspettavamo che i venti contrari più forti derivanti dai cambiamenti delle piattaforme, in particolare i recenti aggiornamenti di iOS, avrebbero avuto un impatto maggiore nel terzo trimestre che nel secondo” e che Facebook ha saputo che “l’impatto sul vostro investimento pubblicitario è stato maggiore di quello che avevate previsto.”
Il VP di Facebook, insomma, cita esplicitamente iOS come fattore di questo impatto. Aggiunge poi un dato significativo: Facebook ammette di non poter rendicontare circa il 15% delle conversion, ossia degli scaricamenti di app o dei clic sulle pubblicità mostrate ai propri utenti.
È un cambiamento di rotta non da poco, considerata la passata riluttanza di Facebook a rendere pubblici, o almeno controllabili indipendentemente, i risultati delle sue campagne pubblicitarie, e la sua documentata tendenza a gonfiare quei risultati rispetto alla realtà.
Le tecniche anti-tracciamento, insomma, qualcosa fanno. Più gente le usa, più
fanno.