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Il Disinformatico

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2023/04/21

Podcast RSI - Story: "Drake" e "The Weeknd" banditi da YouTube, Spotify e TikTok: artisti sintetici e intelligenza artificiale nella musica online

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify (salvo che questa puntata venga bandita perché contiene una canzone controversa).

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Heart on My Sleeve - "Drake & The Weeknd" di Ghostwriter]

State ascoltando Heart on My Sleeve, una canzone uscita neanche una settimana fa e subito bandita da YouTube, Tidal e Spotify e in via di sparizione da TikTok dopo circa 15 milioni di visualizzazioni. La rimozione sta avvenendo su richiesta diretta dell’etichetta discografica UMG, Universal Music Group, che considera illegale questo brano perché a suo dire non rispetta i suoi accordi con le piattaforme di streaming e viola il copyright.

Infatti le voci, che avrete probabilmente riconosciuto, non sono in realtà quelle di Drake e The Weeknd. O meglio, in un certo senso sono le loro, ma loro non hanno mai cantato questo brano. Un software di intelligenza artificiale ha “ascoltato” le loro voci, ne ha imparato le caratteristiche peculiari e ha generato voci sintetiche che hanno quelle stesse caratteristiche, usandole per eseguire un brano originale. È giusto farlo? È legale? È la fine della musica come la conosciamo, perché gli artisti verranno soppiantati da loro cloni digitali, pilotati dall’onnipresente intelligenza artificiale?

Questa è la storia di come la tecnologia di registrazione, la digitalizzazione, lo streaming e ora l’evoluzione esplosiva dell’intelligenza artificiale stanno trasformando caoticamente l’industria musicale, creando scenari inattesi che includono le paure di chi si guadagna da vivere con la musica e gli entusiasmi di chi vede queste innovazioni come strumenti di libertà e creatività per tutti.

Benvenuti alla puntata del 21 aprile 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

L’industria musicale è un’anomalia storica

Siamo ormai abituati da tempo ad avere migliaia di brani musicali nelle memorie dei nostri smartphone e milioni di altri a portata di mano grazie ai servizi di streaming audio e video. Poter riascoltare qualunque artista, compresi quelli del passato, ci sembra normalissimo, e ci sembra altrettanto normale che un artista si guadagni da vivere andando in sala di registrazione, incidendo dei brani e vendendo copie di quelle registrazioni, magari senza mai esibirsi in pubblico. Ma in realtà questo modello commerciale è un’anomalia, ed è anche un’anomalia relativamente recente.

Per secoli, l’unico modo in cui un cantante o un suonatore di strumenti musicali poteva campare era cantare o suonare dal vivo. Mecenatismi a parte, se non si esibiva, non veniva pagato. Le registrazioni semplicemente non esistevano. Se la cavavano un po’ meglio i compositori, che potevano scrivere un brano o un’opera su commissione o comporre uno spartito e venderne copie, oppure i fabbricanti di carillon o di pianole.

Ma tutte queste tecnologie di riproduzione musicale sono piuttosto recenti su scala storica: i carillon portatili nacquero negli ultimi anni del Settecento, la pianola fu inventata alla fine dell’Ottocento, e la vendita di massa degli spartiti iniziò nel Novecento. Prima di queste invenzioni, o si cantava e suonava dal vivo, o niente. E la voce dell’artista era legata indissolubilmente alla sua presenza fisica.

Anche quando arrivarono il fonografo di Edison, nel 1877, e il grammofono di Berliner, nel 1894, questi apparecchi meccanici in grado di registrare suoni, strumenti e voci furono visti inizialmente come delle trovate frivole per via del loro suono gracchiante e poco fedele. Ci volle una celebrità assoluta come il tenore italiano Enrico Caruso per dare loro rispettabilità: fu lui il primo cantante a rendersi conto del “potere mediatico”, come si dice oggi, delle tecnologie di registrazione e fu il primo a usarle per guadagnare milioni di dollari* (cifre enormi per l’epoca) vendendo le registrazioni della sua voce fatte fra il 1904 e il 1920.

* Nel 1923 il New York Times scrisse che gli eredi di Caruso avevano ricevuto oltre 585.000 dollari per i diritti dei due anni precedenti, ossia 10,2 milioni di dollari di oggi.

[CLIP: Caruso in “La donna è mobile” (1908), Wikipedia]

Poi vennero tutti gli altri, e il resto è storia: storia dell’industria musicale. Grazie a dischi, nastri e poi supporti digitali e ora lo streaming, la voce di un cantante è diventata un’entità distinta dal cantante stesso, un prodotto commerciale separato che viene protetto da leggi specifiche e gestito da un’industria, ma tutto questo soltanto da poco più di cent’anni. Per tutto il resto della storia della cultura umana non è stato così. Su scala storica, le case discografiche sono un fenomeno passeggero. E con l’arrivo dell’elaborazione digitale e dell’intelligenza artificiale potrebbero essere soppiantate.

Digitalizzazione: la pirateria diventa di massa

Quando una tecnologia crolla di prezzo e diventa facile da usare, succedono sempre cose strane, inaspettate e dirompenti. Per capire cosa sta succedendo adesso è utile riesplorare il passato e far emergere la parola chiave di tutta la vicenda attuale, che è controllo.

La pirateria musicale non è un’invenzione dell’era digitale: già nel 1906 nel Regno Unito furono adottate leggi per proteggere i compositori di musica popolare da coloro che duplicavano abusivamente i loro spartiti e li rivendevano a metà prezzo. La pirateria degli spartiti era un problema talmente serio da giustificare irruzioni di polizia nelle tipografie e nei negozi.

Nei decenni successivi, il fenomeno dei bootleg, ossia delle copie abusive dei dischi, divenne più vasto; ma si trattava comunque di attività che richiedevano macchinari complessi e ingombranti e quindi piuttosto difficili da nascondere a lungo alle autorità. Gli utenti erano tanti, ma i produttori di musica contraffatta erano relativamente pochi e quindi abbastanza facili da tenere sotto controllo. Anche con l’avvento degli impianti stereo personali e dei radioregistratori a doppia piastra che consentivano di duplicare dischi e cassette a livello amatoriale, negli anni Ottanta del secolo scorso, la pirateria rimase un fenomeno tutto sommato modesto per via della scomodità del procedimento, ma questo non impedì all’industria discografica di reagire con celebri campagne terroristiche e slogan come Home taping is killing music (“la registrazione domestica sta uccidendo la musica”). 

Quarant’anni dopo quello slogan, la musica non è ancora morta.

Il vero shock, però, arrivò con la diffusione di massa della musica digitale e poi di Internet. I CD erano in sostanza delle raccolte di file audio, pronte da duplicare ad alta velocità e senza la perdita di qualità tipica delle copie analogiche. E a giugno del 1999 nacque Napster, il primo circuito di scambio musicale peer-to-peer, seguito da Gnutella, Freenet, LimeWire, Kazaa e tanti altri.

Di colpo, con Napster duplicare la musica, legalmente o meno, richiedeva soltanto un computer, un accesso a Internet e del software gratuito. Niente più macchinari ingombranti e costosi; non serviva neanche più il masterizzatore per registrare copie dei CD. Di conseguenza, la pirateria musicale divenne un fenomeno di massa, incontrollabile e su vasta scala. Ciascun utente scaricava centinaia o migliaia di brani e li condivideva con tutti.

Le case discografiche, allarmatissime, agirono prontamente e drasticamente, avviando una causa già a dicembre del 1999, e Napster chiuse a luglio del 2001. Ma altri sistemi peer-to-peer ne presero il posto, e ancora oggi i vari circuiti Torrent fanno circolare musica, video e film tra milioni di persone al di fuori di ogni controllo significativo dei titolari dei diritti.

La legalità di questi circuiti dipende da come funzionano, da cosa viene scambiato e dalle leggi nazionali, ma quello che conta, in questa storia, è che il crollo dei prezzi e della difficoltà d’uso di questa tecnologia ha avuto l’effetto inatteso di far diventare sostanzialmente impossibili il controllo e la repressione* di questi scambi e scaricamenti.

* Le case discografiche ci provarono, introducendo tecnologie per bloccare la duplicazione della musica digitale su CD e nei file scaricabili, come il cosiddetto DRM o Digital Rights Management, ma invano, tanto che alla fine Steve Jobs, nel 2007, pubblicò una storica lettera aperta, Thoughts on Music, nella quale disse chiaramente che i sistemi anticopia erano inutili e controproducenti per l’industria e per gli utenti legittimi (e anche per le vendite degli iPod di Apple) e quindi andavano aboliti. Nel giro di pochi anni la sua proposta fu adottata da tutte le case discografiche, facendo esplodere le vendite legali di musica digitale.

Scaricare e conservare la musica, però, sta passando di moda. Oggi prosperano servizi commerciali e legali di streaming, come TikTok, YouTube e Spotify, che in sostanza mandano al singolo utente in tempo reale il brano desiderato di volta in volta e riportano gli utenti a dipendere da un sistema di distribuzione centralizzato, opposto a quello decentrato dei circuiti peer-to-peer.

Questo stesso modello centralizzato è attualmente usato dai sistemi di intelligenza artificiale più popolari, come Midjourney, DALL-E, Stable Diffusion o ChatGPT: normalmente l’utente li adopera collegandosi ai loro siti, senza dover installare nulla. Questo permette alle aziende e alle autorità di esercitare un controllo centrale sulle attività degli utenti, reprimendo quelle ritenute inaccettabili o illegali, come per esempio la generazione di false immagini pornografiche di persone reali a scopo di molestia e ricatto.

Certo, esistono delle versioni installabili di questi prodotti, ma sono complicate da installare e configurare e richiedono computer potenti e lunghi tempi di addestramento ed elaborazione e quindi sono al di fuori della portata di moltissimi utenti non esperti. Almeno per ora. Ma le cose stanno cambiando in fretta. Molto in fretta.

L’app per diventare Kanye

A fine marzo uno YouTuber, Roberto Nickson, ha trovato su Reddit un modello della voce di Kanye West generato tramite intelligenza artificiale da ignoti. Nel giro di due ore e mezza ha scritto, registrato e diffuso un video nel quale ha prima eseguito con la propria voce uno spezzone di rap inventato da lui [CLIP] e poi ha applicato a quello spezzone il modello vocale trovato su Reddit. Il risultato è quello che sembra un brano originale inedito di Kanye West [CLIP]. Questa breve dimostrazione di Roberto Nickson ha superato i 33 milioni di visualizzazioni solo su Twitter.

Secondo Nickson sono già in lavorazione modelli vocali di altri artisti, come Eminem, Tupac, Michael Jackson e altri ancora, tutti assolutamente non autorizzati e tutti man mano più facili da utilizzare. E la tecnologia galoppa, per cui i modelli diventano anche man mano più fedeli.

Di questo passo, dice Nickson, tra pochi mesi potremo ascoltare brani inediti cantati dalle voci di artisti famosi, senza neppure sapere che sono in realtà generati da software. Frank Sinatra che canta una canzone di Adele? Rihanna che canta in perfetto italiano? Si può fare, fuori da ogni controllo. Basta che ci sia in giro un numero sufficiente di campioni vocali di buona qualità. Enrico Caruso sintetico che canta il repertorio di Lady Gaga forse lo scamperemo, ma per tutto il resto il materiale da campionare non manca.

Per ora le case discografiche hanno reagito con interventi centralizzati: nel caso del finto brano di Drake e The Weeknd, hanno tentato di bloccare la sua circolazione agendo sui gestori dei sistemi di intelligenza artificiale e sui grandi distributori di contenuti, ossia i social network e i servizi di streaming. Ma la canzone sintetica continua a circolare lo stesso attraverso mille altri canali (compreso questo podcast, che spero non venga bloccato da Spotify).

Quando questi software saranno disponibili sotto forma di app da installare sullo smartphone, il controllo e la repressione saranno impraticabili e qualunque intervento legislativo sarà sostanzialmente inapplicabile. E l’incentivo economico non manca: quel finto brano di Drake e The Weeknd, nei pochi giorni in cui è rimasto online, ha fruttato al suo creatore quasi duemila dollari calcolando la tariffa peggiore di Spotify, che è 3 millesimi di dollari per ciascun ascolto, secondo la BBC.

In sintesi: questa tecnologia sta per trasformare completamente l’industria musicale, e sta per farlo a una velocità infinitamente superiore a quella di qualunque provvedimento di legge. Anzi, lo sta già facendo. La rivista specializzata Variety, per esempio, ha notato che su TikTok sono già in crescita le canzoni generate tramite l’intelligenza artificiale dai fan, che prendono brani esistenti e li alterano in modo che sembrino cantati da un altro artista. E i fan di Drake usano regolarmente un generatore basato sull’intelligenza artificiale per creare brani nello stile di questo rapper canadese.

Leggi, case discografiche e Spotify

La legalità del finto brano di Drake e The Weeknd è tutta da chiarire. UMG lo definisce chiaramente illegale e le piattaforme di streaming lo hanno rimosso per scrupolo e per evitare complicazioni, ma le leggi attuali sul copyright riguardano la realizzazione di copie di una registrazione di una specifica interpretazione; secondo alcuni esperti, l’imitazione della pura voce di un artista, fatta da un software che non campiona, non rimonta spezzoni, ma impara uno stile e lo fa per un brano inedito, probabilmente non è soggetta a vincoli di legge. Anzi, la canzone risultante potrebbe anche essere considerata un’opera creativa a sé stante e quindi essere protetta dalla legge, a patto ovviamente di non attribuirla al cantante imitato. UMG, però, ribatte che serve il consenso dei titolari per dare in pasto a un’intelligenza artificiale delle canzoni sotto copyright.

Ma c’è da considerare il fatto che anche alcuni artisti stanno usando questa tecnologia senza cavillare troppo sulle autorizzazioni. Per esempio, di recente David Guetta ha usato il sito Uberduck.ai per imitare la voce di Eminem, senza chiedergli il consenso, aggiungendola a un suo brano, che non può però distribuire commercialmente. Questo:

[CLIP]

E infine va notato che il fronte delle aziende dell’industria musicale non è così compatto come potrebbe sembrare. Gli artisti e le case discografiche mugugnano in coro di fronte al boom della musica generata dall’intelligenza artificiale, ma le piattaforme di streaming hanno un atteggiamento un po’ differente.

Queste piattaforme, infatti, devono ovviamente girare parte dei propri introiti agli artisti di cui diffondono i brani. E altrettanto ovviamente, se questi artisti non esistessero in carne e ossa ma fossero generati dal software, non ci sarebbe bisogno di pagarli. Quindi se la gente pagasse per ascoltare musica sintetica prodotta dall’intelligenza artificiale, magari nello stile di qualche cantante o musicista famoso, i guadagni delle piattaforme di streaming sarebbero massimizzati e quelli delle case discografiche verrebbero azzerati.

Forse è questa la spiegazione di un piccolo mistero scovato su Spotify pochi giorni fa da un utente, Adam Faze: decine di brani musicali strumentali che hanno titoli e autori completamente differenti ma durano tutti esattamente 53 secondi, hanno immagini di copertina assolutamente blande e generiche e soprattutto sono tutti estremamente simili.

[CLIP]

Non è la prima scoperta del suo genere. Già nel 2017 Music Business Worldwide aveva pubblicato un elenco di circa 50 artisti inesistenti che però erano fortemente presenti su Spotify e solo lì: senza nessun’altra presenza online, né su altre piattaforme di streaming né su Instagram, Facebook, SoundCloud o altro. Questi finti artisti erano stati ascoltati ben 520 milioni di volte, per un controvalore di circa 3 milioni di dollari.

Secondo Music Business Worldwide si tratta di persone che accettano compensi microscopici per produrre brani musicali riempitivi molto banali, allo scopo di “ridurre la percentuale della musica delle etichette discografiche legittime nelle playlist… in modo che Spotify possa ridurre i propri costi e l’influenza delle etichette”.

Anche il quotidiano svedese Dagens Nyheter [paywall] ha trovato una vicenda analoga nel 2022: centinaia di falsi nomi di artisti su Spotify, i cui brani sono riconducibili in realtà a una ventina di autori. Uno di questi compositori usava ben 62 pseudonimi e aveva generato da solo quasi 8 milioni di ascolti al mese.

Per le piattaforme di streaming, sostituire questi artisti fittizi con musica generata direttamente dall’intelligenza artificiale sembra essere il passo successivo più logico.

Siamo insomma alla confluenza di vari fenomeni: l’intelligenza artificiale sempre più efficace, i costi di utilizzo sempre più bassi, una zona grigia legale impossibile da colmare in tempo, degli interessi economici in conflitto e degli utenti estremamente motivati che hanno a disposizione strumenti sempre più potenti e sempre meno controllabili centralmente.

In queste condizioni, non ci sarebbe troppo da stupirsi se fra qualche anno diventasse assolutamente normale avere un’app per scegliere liberamente non solo quali canzoni vogliamo ascoltare nella nostra playlist, come facciamo adesso, ma anche chi vogliamo che ce le canti e come le vogliamo arrangiate, con o senza il consenso degli artisti o delle loro case discografiche. Le loro voci non sono più loro, e non c’è nulla che possano fare per riprenderne il controllo.

Ormai indietro non si torna, insomma, e alle etichette musicali resta solo da decidere se vogliono cercare di opporsi invano alle novità tecnologiche o se vogliono stare al passo con i tempi e diventare parte attiva nell’uso di queste novità, per esempio diventando garanti dell’autenticità delle esecuzioni canore o musicali. E potrebbero nascere nuovi mestieri, come il DJ che propone abbinamenti creativi e azzeccati fra voce, strumenti e canzone. Perlomeno finché anche questo compito verrà delegato all’intelligenza artificiale.


Fonti aggiuntive: The Verge, Medium, Britannica, Financial Times (copia su Archive.is), BBC (copia d’archivio), New York Post, BBC.

(AGG 2023/04/24 17:40) Twitterremoto, settima puntata: finalmente sparite le spunte blu “classiche”; riattivati 67mila account di hater; ridotte le protezioni LGBTQ; Microsoft molla Twitter

Pubblicazione iniziale: 2023/04/21 00:54. Ultimo aggiornamento: 2023/04/24 17:40.

Ieri sera (20 aprile) intorno alle 20 ora italiana la mia spunta blu legacy su Twitter è finalmente scomparsa, come preannunciato da Twitter Verified, e lo stesso è successo a moltissimi altri account, compreso quello del Papa (@pontifex), Lady Gaga, Justin Bieber, Jack Dorsey e Parag Agrawal (ex CEO di Twitter), Donald Trump, Bill Gates, Cristiano Ronaldo, Kim Kardashian, Hillary Clinton, Jeri Ryan (fonti: Shayan86, unusual_whales).

A questo punto è una liberazione. Ho aggiornato il mio profilo per tenerne conto.


Il servizio Checkblue.org permette ancora, per ora, di controllare quali account avevano la vecchia spunta blu che indicava l’autenticazione effettiva.

Stephen King e LeBron James, invece, hanno la spunta blu nuova (quella che “autentica” solo il fatto che qualcuno paga otto dollari al mese per averla) anche se dicono di non aver pagato per averla.

Come qualcuno aveva sospettato, si tratta di un intervento personale di Elon Musk, che lo ha ammesso pubblicamente, precisando che paga solo per la spunta blu di William Shatner, LeBron James e Stephen King.

Ma questa dichiarazione è stata ben presto contraddetta dai fatti. Zoe Kleinman (BBC) riferisce che altre persone hanno ricevuto l’offerta di una spunta blu gratuita, citando il caso del fondatore del gruppo di giornalismo investigativo Bellingcat. E intorno al 23 aprile sempre Kleinman ha segnalato che alcuni account Twitter con più di un milione di follower hanno ricevuto gratuitamente la spunta blu, in alcuni casi contro la loro volontà. È successo a Beyoncé, Victoria Beckham, Neil Gaiman e altri (secondo ANSA è successo anche a Donald Trump).

Ma non tutti gli account con oltre un milione di follower sono nella stessa situazione: quello dell’attore Ryan Reynolds, per esempio (21 milioni di follower), non ha la spunta blu.

Secondo i dati raccolti dal ricercatore Travis Brown, gli account Twitter che hanno più di un milione di follower sono almeno 9884; di questi, 110 non hanno la spunta blu.

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Travis Brown ha anche pubblicato un elenco di 67.000 account di estremisti e disinformatori seriali che erano stati sospesi dalla gestione pre-Musk di Twitter e che ora sono stati riattivati.

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Secondo le stime di Sensor Tower, Twitter ha circa 386.000 utenti paganti (TechCrunch). Twitter non ha ancora rilasciato dati ufficiali sul numero di utenti a pagamento.

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Inoltre Twitter ha cambiato la propria policy sui comportamenti d’odio togliendo la sezione che vietava delle forme di abuso rivolte specificamente alle persone LGBTQ, ossia descriverle o rivolgersi a loro usando intenzionalmente il genere sbagliato (misgendering) o il loro nome pre-transizione (deadnaming).

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Microsoft ha annunciato che la sua piattaforma di gestione delle inserzioni pubblicitarie, Microsoft Advertising, cesserà il supporto all’integrazione con Twitter a partire dal 25 aprile. La piattaforma continuerà a permettere ai clienti di gestire le proprie campagne e i propri post su Facebook, Instagram Business e LinkedIn, ma non su Twitter. La ragione di questa decisione è la nuova struttura tariffaria decisa da Musk, che richiede un canone per accedere alle API che consentivano l’automazione dei post. Microsoft dovrebbe pagare da 42.000 a 210.000 dollari al mese per fare quello che prima faceva senza questo costo.

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Twitter ha aggiornato il testo dei propri Termini di servizio per indicare che ora Twitter è un servizio fornito dalla X Corp. per chi sta al di fuori dell’UE/UK/EFTA:

Se vivi al di fuori dell'Unione europea, degli stati EFTA o del Regno Unito, compreso se vivi negli Stati Uniti, i presenti Termini rappresentano un accordo tra te e X Corp. (che fornisce Twitter e i Servizi), 1355 Market Street, Suite 900, San Francisco, CA 94103 Stati Uniti. Le parole "noi", "ci" e "nostro" (qualsiasi genere e numero) fanno riferimento a X Corp.

Se vivi nell'Unione europea, negli stati EFTA o nel Regno Unito, i presenti Termini rappresentano un accordo tra te e Twitter International Unlimited Company ( numero di registrazione della società 503351, identificativo fiscale estero IE9803175Q), una società di diritto irlandese con sede legale presso One Cumberland Place, Fenian Street Dublin 2, D02 AX07 Irlanda. Le parole "noi", "ci" e "nostro" (qualsiasi genere e numero) fanno riferimento a Twitter International Company.

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È passato ormai quasi un anno da quando Elon Musk ha annunciato la propria intenzione di comprare Twitter. Come nota la già citata Zoe Kleinman per la BBC, oggi inizia una nuova era per Twitter. D’ora in poi la spunta blu indica soltanto “utente pagante” e dobbiamo dimenticarci che un tempo volesse indicare “autenticato”. Il fatto che Twitter si ostini a chiamare le spunte blu “account verificati” non aiuta a fare questa transizione.

E aver “verificato il numero di telefono” non vuol dire assolutamente nulla in termini di autenticazione, visto che gli impostori “autenticati” abbondano, come segnala Martin Lewis, popolare esperto di personal finance, vittima di una di queste imposture.

Anche la spunta oro, riservata agli account autenticati delle organizzazioni, ha qualche problema di credibilità: un utente ha cambiato il proprio nome utente e handle in “Disney Junior UK” e Twitter gli ha dato la spunta oro (BBC). L’account fasullo è riuscito ad accumulare 4700 follower prima che Twitter si accorgesse dell’errore e lo sospendesse.

Ci sono problemi anche gli utenti che hanno pagato inizialmente per passare a Twitter Blue e poi hanno disdetto: hanno ancora la spunta blu, ma nessuno dei suoi vantaggi

Insomma il caos è grande, come si può vedere da questo esempio:

L’account vero della città di New York ha successivamente ricevuto una spunta grigia, che indica che è “verificato poiché si tratta di un account istituzionale oppure di un account appartenente a un'organizzazione multilaterale.”

Kleinman segnala inoltre altre due informazioni interessanti:

  • Twitter dice che potranno fare pubblicità sulla sua piattaforma soltanto le imprese che pagano per la spunta, a meno che spendano più di mille dollari al mese, che però è una somma importante per qualunque piccola impresa. Questa scelta va contro un principio generale della pubblicità digitale, ossia che la maggior parte degli introiti arriva dalle piccole aziende, non dalle grandi. 
  • La BBC ha detto che non pagherà per avere la spunta e ha già perso la spunta oro che la identificava come testata giornalistica. Di conseguenza, come segno alternativo di autenticazione, l’account Twitter di BBC News è follower dei singoli giornalisti della testata.

La BBC ha successivamente riottenuto la spunta oro intorno al 23 aprile.

Ne vedremo ancora delle belle.

2023/04/20

(AGG 2023/04/21 23:10) SpaceX ritenta il lancio della Starship e offre lo spettacolo promesso

Ultimo aggiornamento: 2023/04/21 23:10.

Stamattina sono stato ospite di Radio3scienza (Rai) per parlare del nuovo tentativo di lancio di Starship, previsto per oggi. Qui trovate la registrazione.

Sto correndo per chiudere il podcast di domani per la RSI, ma ho un occhio sulla diretta streaming del tentativo di lancio di SpaceX, che è visibile qui sotto. La finestra di lancio inizia alle 15.28 italiane e dura un’oretta. Buona visione!

2023/04/20 19:00. Come avete probabilmente visto, il lancio si è concluso prematuramente con un’esplosione controllata dopo quattro minuti di volo. In dettaglio:

  • 00:00 Dopo un breve fermo del conto alla rovescia quando mancavano solo 40 secondi al decollo, il vettore ha acceso quasi tutti i suoi 33 motori del primo stadio (due perimetrali e uno centrale non si sono accesi), si è sollevato da terra e ha superato la torre di lancio indenne, diventando così il veicolo spaziale più grande (119 metri di altezza), pesante (5000 tonnellate a pieno carico) e potente mai lanciato (7000 tonnellate di spinta), superando sia il Saturn V statunitense sia l’N-1 sovietico (anche come numero di motori nel primo stadio).
    Dopo aver superato la torre, la Starship ha iniziato a scivolare lateralmente in maniera molto vistosa, forse a causa della spinta sbilanciata derivante dai motori non funzionanti, e il getto dei motori ha scagliato detriti a grande distanza. A differenza di altri vettori, la nube al decollo è costituita da polvere sollevata: il getto dei motori in sé è quasi trasparente.
  • 00:34 Si è visto un bagliore alla base del vettore.
  • 00:42 Si è spento un quarto motore, un altro di quelli perimetrali.
  • 01:03 Si è spento un quinto motore, anch’esso perimetrale.
  • 01:09 Le riprese video da terra hanno permesso di notare la particolare combustione dei motori Raptor, alimentati a ossigeno liquido e metano liquido, che producono una fiammata quasi trasparente attraverso la quale era visibilissimo il bagliore intenso dei motori accesi, ed è stato possibile notare che anche un sesto motore, anch’esso perimetrale, era spento. Questo spegnimento non è stato indicato nella telemetria pubblica. I cinque motori perimetrali spenti si trovavano tutti sullo stesso lato del veicolo, producendo una spinta sbilanciata.
  • 01:24 A 9 km di quota, con 6 motori spenti, la Starship ha superato il Max Q, ossia il momento di massima pressione aerodinamica longitudinale, generata dal passaggio a quasi 900 km/h attraverso gli strati densi dell’atmosfera. Questa è una fase critica per verificare la resistenza strutturale di qualunque veicolo spaziale: averla superata già al primo volo è un ottimo risultato.
  • 01:40 A circa 14 km e 1200 km/h, secondo la telemetria il veicolo ha perso un settimo motore, anche questo perimetrale. Questo settimo motore si è riacceso poco dopo, a circa 18 km di quota. Alcune riprese mostrano tuttavia otto motori spenti.
  • 02:09 A circa 24 km e 1790 km/h, sono state diffuse le prime immagini in diretta dalle telecamere di bordo del primo stadio, con visuale esterna e anche dell’interno, nella zona interstadio.
  • 02:25 A circa 29 km e 2100 km/h, le riprese hanno mostrato una rapida variazione di orientamento del veicolo, che ha iniziato a ruotare su se stesso disponendosi addirittura in senso contrario alla traiettoria di ascesa, e ha cominciato a perdere velocità. Il primo stadio non si è sganciato dal secondo, come avrebbe dovuto fare.
  • 03:09 A 1650 km/h, la Starship ha raggiunto una quota massima di circa 39 km (eguagliando il miglior risultato dell’N-1 sovietico) e poi ha cominciato a ricadere, vistosamente fuori controllo.
  • 04:00 L’intero veicolo è stato fatto esplodere con un comando a distanza, squarciando i serbatoi e disperdendo il propellente senza fargli prendere fuoco, a circa 40 km dalla costa, sopra il Golfo del Messico. Il primo stadio aveva comunque quasi esaurito il proprio carico di ossigeno liquido e metano liquido.

Dopo il volo ho fatto questa intervista a caldo su Radio Radicale:

Sto ancora raccogliendo i dati e le immagini; spero di pubblicare qualcosa stanotte. In ogni caso, lo spettacolo promesso c’è stato e questo è solo il primo lancio di prova di una lunga serie. Sarebbe stato un miracolo se fosse andato tutto secondo i piani.

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Per i giornalisti e per chiunque abbia problemi a capire perché questo lancio non è da chiamare “fallimento”: perché è un test, e i test consistono proprio nel provare cose nuove fino a distruggerle, se necessario, per scoprirne i limiti prima che vengano usate dalla gente. Direste che un crash test di un’auto nuova è un “fallimento” perché l’auto si è accartocciata quando è stata scagliata contro un muro?

E per chi pensa che il volo di oggi metta in qualche modo a repentaglio tutto il programma spaziale di SpaceX e la reputazione dell’azienda, forse non è chiaro come lavora SpaceX. Fa quella che si chiama iterazione rapida: fai un prototipo spiccio, lo collaudi, scopri cosa non va; correggi rapidamente il problema nel prototipo successivo, lo collaudi, scopri altre cose da sistemare e le sistemi; e ripeti questo processo fino a che non c’è più niente che non va.

Questo è stato il metodo usato da SpaceX per il razzo Falcon 9: quello che tutti dicevano che era impossibile far volare e soprattutto far tornare a terra intero per riutilizzarlo. E sappiamo benissimo com’è andata. Oggi il Falcon 9 trasporta regolarmente cargo e astronauti e il suo primo stadio atterra regolarmente su una nave appoggio o sulla terraferma, intanto che le aziende concorrenti sono ancora fermi ai razzi usa e getta che costano una pazzia. Ma arrivare a questo successo non è stato immediato. Ci sono voluti tanti tentativi. Lo ricorda bene questo video:

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2023/04/20 21:45. Comincio a pubblicare alcuni video e alcune immagini, perché sono straordinarie e documentano bene le fasi del test e dei danni eccezionali prodotti sotto la rampa (un cratere enorme) e nella zona di decollo.

SpaceX scrive che “alle 8.33 CT, Starship si è sollevata con successo dalla rampa di lancio orbitale per la prima volta. Il veicolo ha superato la rampa e la spiaggia, arrampicandosi fino a un apogeo di circa 39 km sopra il Golfo del Messico – la quota massima mai raggiunta finora da una Starship. Il veicolo ha subìto lo spegnimento di vari motori durante il collaudo in volo, ha perso quota e ha iniziato a ruotare su se stesso. Il sistema di autodistruzione è stato attivato sia sul vettore, sia sul veicolo spaziale. Come da procedura standard, la rampa e la zona circostante erano state sgomberate con ampio anticipo e ci aspettiamo che la strada e la spiaggia vicino alla rampa restino chiuse fino a domani. Con un test come questo, il successo deriva da quello che si impara, e abbiamo imparato tantissimo a proposito del veicolo e dei sistemi a terra. Questo ci aiuterà a migliorare i voli futuri di Starship.”

Il volo


Il momento del decollo della Starship, ripreso molto da vicino. Fonte: Elon Musk.
La Starship raggiunge velocità supersonica. Si vedono molto chiaramente i motori spenti. Fonte: Elon Musk.

Segnalo inoltre le magnifiche foto di John Kraus, dalle quali estraggo due dettagli della situazione dei motori:


I danni

Il cratere che si è formato sotto la rampa di lancio è enorme e la quantità di detriti scagliati dal razzo a grande distanza è impressionante. Chiaramente non scavare una trincea di scarico della spinta e non predisporre un sistema di assorbimento delle onde d’urto, come fanno da tempo la NASA e anche SpaceX per i lanci normali, è stato un errore, che dovrà essere rimediato non solo qui, ma anche presso la rampa gemella attualmente in avanzata costruzione al Kennedy Space Center.

Un’altra immagine del cratere alla base della rampa di lancio scavato dalla spinta e dalla pressione sonora dei motori dei primo stadio (fonte: Techniques Spatiales).

2023/04/16

(AGG 2023/04/18 1:45) Starship, tentativo di lancio domani (17/4) dalle 14 italiane

La Starship e il vettore Super Heavy sulla rampa di lancio. Fonte: Elon Musk.

Ultimo aggiornamento: 2023/04/18 1:45.

SpaceX e Elon Musk hanno tweetato ufficialmente che domani, 17 aprile, verrà effettuato un tentativo di lancio della Starship portata dal vettore gigante Super Heavy. Questa è la patch ufficiale del tentativo:


Infografica di Tony Bela.

La finestra di lancio inizia alle 14 CEST (ora legale dell’Europa centrale). Il programma di volo è descritto in questo mio articolo; SpaceX ha una pagina che fornisce i dettagli del lancio (in inglese). 

Qui sotto trovate lo streaming ufficiale su YouTube, che dovrebbe iniziare alle 13:15 CEST.

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2023/04/17 17:00. Il lancio è stato rinviato di almeno 48 ore a causa di una valvola malfunzionante nel vettore.

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2023/04/18 1:45. SpaceX ha annunciato che il prossimo tentativo verrà effettuato il 20 aprile, con una finestra di lancio di 62 minuti che inizierà alle 15:28 italiane e terminerà alle 16.30 italiane: “SpaceX is targeting as soon as Thursday, April 20 for the first flight test of a fully integrated Starship and Super Heavy rocket from Starbase in Texas. The 62 minute launch window opens at 8:28 a.m. CT and closes at 9:30 a.m. CT.”.

Twitterremoto, sesta puntata: lenta purga delle spunte blu originali e degli account di servizio automatizzati

Ultimo aggiornamento: 2023/04/16 23:10. Le puntate precedenti di questa cronologia sono qui: prima, seconda, terza, quarta, quinta.

Il ricercatore Travis Brown ha pubblicato un elenco aggiornato degli account Twitter che finora hanno perso la spunta blu “legacy” di autenticazione e non hanno chiesto quella a pagamento (che, ricordo, non autentica nulla). Sono 1402 account su un totale di circa 408.000. La Grande Purga, dice Elon Musk, dovrebbe concludersi il 20 aprile, ma per farlo dovrà procedere molto più speditamente.

Nell’elenco dei “degradati” si notano alcuni nomi di spicco (perlomeno per me; se ne trovate altri, segnalatemeli): il New York Times (55 milioni di follower), Doja Cat (5 milioni; ha commentato “Having a blue tick now means theres a higher chance that you're a complete loser and that you're desperate for validation from famous people”), Rose McGowan (980.000), Pat Sajak (370.000), MalwareTechBlog (Marcus Hutchins), Katharine Hayhoe, Electrek.co, Desigual_ES, American Red Cross Greater North Texas Region, NASA Center for Climate Simulation, FAADroneZone.

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Come preannunciato dall’azienda il 2 febbraio scorso, Twitter sta disattivando l’accesso gratuito alla sua API e lo sta facendo diventare a pagamento. Di conseguenza, molti servizi informativi di Twitter chiuderanno o stanno già chiudendo.

La API (Application Programming Interface) è, semplificando, un linguaggio comune che permette ai programmi di parlarsi tra loro. Consente per esempio di creare programmi che mandino automaticamente istruzioni a Twitter per pubblicare un post o rispondere con dei dati a un tweet. Moltissimi servizi amatoriali e accademici usano questa tecnica per diffondere le proprie informazioni. Si va dal frivolo (una foto di opossum ogni ora, presso @PossumEveryHour) all’essenziale (gli avvisi meteo, gli allarmi per gli tsunami di @nws_ntwc). 

Tantissimi account di comunicazione scientifica e accademica in generale, di arte, di poesia, di assistenza ai disabili, di allerta sismica dovranno sospendere le pubblicazioni perché non possono permettersi di pagare o hanno restrizioni legali che impediscono di farlo: Slate ha pubblicato un elenco molto ampio di questi servizi, la cui scomparsa è “una tragedia che sicuramente farà diminuire il valore di Twitter per tante persone”.

Tutto dipende dalle decisioni di Twitter, che vengono prese caso per caso e piuttosto arbitrariamente, a quanto pare, e vengono cambiate solo su protesta: un allarme tsunami governativo statunitense, per esempio, si è visto riattivare l’accesso all’API dopo che ha denunciato pubblicamente il blocco del servizio da parte di Twitter.

Non è andata altrettanto bene, invece, a DSCOVR:EPIC, che pubblicava varie volte al giorno le bellissime immagini della Terra vista da lontano grazie alle telecamere della sonda DSCOVR. Il suo accesso all’API di Twitter è stato annullato il 15 aprile per una “violazione” imprecisata. L’account è ora operativo su Mastodon qui.


[aggiornamento 23:10: l’accesso all’API è stato ripristinato].

Ancora una volta, Elon Musk sembra non capire che l'essenza del valore di Twitter sta negli utenti e nei loro contenuti. Se fa di tutto per farli scappare invece di agevolarli, Twitter diventerà un guscio vuoto.

2023/04/15

Ford, la guida assistita senza obbligo delle mani sul volante arriva anche in UK

Ultimo aggiornamento: 2023/04/18 9:40.

Il 13 aprile scorso Ford ha presentato la versione britannica di BlueCruise, il suo sistema di guida assistita (non autonoma), che consente al conducente di viaggiare senza tenere le mani sul volante su specifici tratti autostradali, a velocità fino a 130 km/h, ma con l’obbligo di tenere gli occhi sulla strada, sotto la sorveglianza di una telecamera a infrarossi, e di essere pronto a intervenire.

II sistema accetta che il conducente tolga gli occhi dalla strada per un massimo di cinque secondi e chiede di rimettere le mani sul volante in prossimità di incroci, confluenze o curve strette. Se il conducente non lo fa, l’auto emette avvisi sempre più intensi, fino a dare lievi colpi di freno, e poi rallenta fino a fermarsi.

Questa facoltà di togliere le mani dal volante per periodi prolungati rende BlueCruise superiore per certi versi al ben più conosciuto sistema Autopilot di Tesla, che tuttora obbliga il conducente a tenere le mani sul volante e consente di toglierle solo per poche decine di secondi o anche meno, a seconda del modello. 

BlueCruise, inoltre, offre la sterzata collaborativa, ossia permette al conducente di sterzare (per esempio per dare margine a un ciclista o evitare una buca) senza che questo disattivi l’assistenza di guida, come avviene invece con altri sistemi “tutto o niente”, compreso Autopilot, nei quali il conducente deve agire con decisione sul volante per riprendere il controllo e poi deve riattivare manualmente l’assistenza di guida. La sterzata collaborativa non è una novità assoluta: è offerta per esempio in Europa da VW con il nome di Travel Assist.

Un altro pregio di BlueCruise è il mantenimento di corsia adattivo. Invece di tenere l’auto perfettamente centrata fra le strisce sempre e comunque, come fanno alcuni sistemi di mantenimento di corsia, BlueCruise sposta il veicolo leggermente a destra o a sinistra quando supera o affianca un altro veicolo, esattamente come fa istintivamente un buon conducente umano, aumentando così i margini di sicurezza e togliendo quella fastidiosa sensazione di eccessiva vicinanza che si prova spesso con altri assistenti di guida (dai commenti mi segnalano che anche le Tesla recenti si spostano in questo modo).

BlueCruise è già disponibile dal 2021 negli Stati Uniti e in Canada; questo annuncio è il suo debutto europeo, con la prima approvazione ministeriale (solo in UK) a togliere le mani dal volante durante la guida; è gratuito per i primi 90 giorni e poi viene offerto in abbonamento a 18 sterline al mese. Per ora è usabile esclusivamente su circa 3700 chilometri di autostrade premappate nel Regno Unito (mappa).

Gli utenti canadesi e statunitensi di BlueCruise sono circa 200.000 e hanno percorso oltre 102 milioni di chilometri a mani libere. Il sistema di Ford si è aggiudicato il primo posto nella classifica di Consumer Reports dei sistemi di assistenza alla guida, che consiglio di leggere perché è estremamente completa e informativa sui concetti di base di questi sistemi.

Questa classifica, fra l’altro, offre una rassegna dei vari nomi scelti dalle case automobilistiche per gli assistenti di guida: BlueCruise (Ford), ActiveGlide (Lincoln), SuperCruise (Chevrolet/GMC/Cadillac), Driver Assistance (Mercedes), Driving Assistance Professional (BMW), Safety Sense (Toyota), Safety System (Lexus), Travel Assist (Volkswagen), Adaptive cruise assist (Audi), Autopilot (Tesla), Highway Assist (Rivian), ProPILOT Assist (Nissan/Infiniti), Sensing (Honda), AcuraWatch (Acura), Pilot Assist (Volvo/Polestar), Highway Driving Assist (Hyundai/Kia/Genesis).

Qui c’è un video che mostra BlueCruise in funzione sulle strade statunitensi:

Questo è un video promozionale postato su Twitter da Martin Sander, general manager Model e Europe di Ford:

Va ricordato, come sempre, che questi sistemi sono assistenti di guida e non sostituiscono il conducente; possono al massimo affiancarlo. Sono tutti sistemi di Livello 2, secondo la classificazione SAE (automazione parziale). Ford sottolinea inoltre che in caso di incidente è comunque il conducente a essere pienamente responsabile dal punto di vista assicurativo.

Che io sappia, l’unico sistema di guida assistita attualmente disponibile che si assume la responsabilità legale in caso di incidenti è il Drive Pilot di Mercedes, che è un sistema di Livello 3 SAE e consente al conducente di togliere le mani dal volante e gli occhi dalla strada, ma funziona soltanto su tratti di strada molto specifici, solo di giorno, fuori dalle gallerie e a velocità ridotta (sotto i 60 km/h), ed è disponibile soltanto in Germania, in California e nel Nevada. Anche questo sistema, comunque, non consente pisolini o altre distrazioni consistenti, visto che dà un preavviso di soli 10 secondi prima di disattivarsi se incontra una situazione che non è in grado di gestire.

 

Fonti aggiuntive: BBC, Electrek, Road and Track, Electrek.

2023/04/14

Podcast RSI - Tesla e video intimi troppo condivisi; Hyundai e fuga di dati dei clienti; FBI e allarme per le prese di ricarica pubbliche

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano ii testo di accompagnamenti e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

2023/04/13

Antibufala: l’allarme dell’FBI per le prese pubbliche di ricarica dei telefonini

Moltissime testate giornalistiche [per esempio Corriere della Sera, Open, Secolo XIX, CBS, El Pais, Fortune], compresa la RSI, hanno pubblicato la notizia dell’allarme diffuso via Twitter dall’FBI a proposito delle prese pubbliche di ricarica per telefonini e altri dispositivi elettronici: queste prese sarebbero pericolose perché potrebbero essere usate da criminali informatici per infettare i dispositivi, leggere e rubare dati e anche tracciare smartphone, tablet e computer dopo che sono stati scollegati. Sarebbero maggiormente esposti gli utenti Android, ma anche gli utenti Apple non dovrebbero sentirsi al sicuro.

La tecnica usata dai malfattori ha un nome specifico: si chiama juice jacking, che in inglese significa “presa di controllo tramite la corrente” (juice è un modo informale per indicare la corrente elettrica e jacking è un troncamento di hijacking, ossia “dirottamento, presa di controllo”).

L’idea di non poter usare queste comodissime prese di ricarica, così preziose quando si è in viaggio e il telefonino, il tablet e il computer sono a corto di energia, è preoccupante e riguarda moltissime persone, e la fonte dell’allarme, l’FBI, sembra assolutamente attendibile; è quindi comprensibile che i giornalisti l’abbiano diffuso con entusiasmo. Ma scavando un pochino viene fuori che l’allarme è basato sul nulla: o meglio, su un corto circuito. Non elettrico, ma informativo.

L’avviso dal quale è partita tutta la preoccupazione è infatti un tweet della sede distaccata dell’FBI di Denver, datato 6 aprile 2023, che dice che “attori ostili hanno trovato modi per usare le porte USB pubbliche per inserire malware e software di monitoraggio nei dispositivi” e raccomanda di portare con sé un proprio caricatore e un proprio cavetto USB e di usare le prese elettriche normali invece dei cavetti offerti.

Questo tweet dell’FBI, però, non fornisce dettagli tecnici o fonti.

Così il giornalista informatico Dan Goodin ha contattato l’FBI, un cui portavoce gli ha spiegato che la sede di Denver ha basato il proprio allarme su informazioni provenienti dalla FCC, la Federal Communications Commission, l’autorità governativa statunitense che regola e amministra l’uso delle frequenze radio e delle telecomunicazioni. E in effetti sul sito della FCC c’è un avviso, datato 11 aprile 2023, che ripete sostanzialmente le raccomandazioni dell’FBI, anche qui senza fornire dettagli tecnici o fonti.

Ma a sua volta, spiega sempre Goodin, la FCC dice che le sue informazioni si basano su un articolo del New York Times del 2019 [probabilmente questo, paywallato], che si basava su un avviso diffuso dall’ufficio del procuratore distrettuale di Los Angeles. Ma quell’avviso è stato rimosso a dicembre 2021, dopo che era emerso che i funzionari del procuratore distrettuale non avevano alcuna prova del fenomeno. Anche la FCC non è in grado di citare un singolo caso in cui questo juice jacking su prese pubbliche sia realmente avvenuto.

In altre parole, l’allarme dell’FBI si basa su un complicato passaparola alla cui origine c’è il nulla. 

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Possiamo quindi stare tranquilli e collegare i nostri dispositivi alle prese negli aeroporti e nei luoghi pubblici e dimenticarci di questo falso allarme? Probabilmente sì. La capacità di infettare uno smartphone semplicemente collegandolo a un cavetto di ricarica sarebbe una tecnica troppo potente e pericolosa per sprecarla su bersagli comuni in luoghi pubblici, e se esistesse da ben quattro anni, le case produttrici di dispositivi avrebbero nel frattempo rimediato, diffondendo aggiornamenti correttivi. Quindi le prese USB e i cavetti che trovate nei normali luoghi pubblici sono quasi sicuramente privi di pericoli informatici.

Detto questo, esiste un rischio teorico. Le prese di ricarica dei dispositivi includono quasi sempre dei contatti elettrici che accettano dati e comandi. Sarebbe quindi possibile mandare dei comandi a un dispositivo connesso attraverso un cavetto appositamente costruito, come per esempio l’OMG Cable di Hak5. Questi comandi permetterebbero di prendere il controllo di un dispositivo sbloccato quanto basta per infettarlo o estrarne dati. Ma cavetti speciali come questi hanno un costo piuttosto alto (oltre 100 dollari). Troppo alto per lasciarli in giro in un luogo pubblico.

Il rischio reale, insomma, è minimo, e infatti non ci sono casi documentati di questo juice jacking nonostante se ne parli a livello teorico da anni. Ma se preferite evitare anche quel minimo rischio, usate il vostro caricatore, quello che si inserisce nella presa elettrica, o una vostra batteria esterna o powerbank. E se proprio siete paranoici, esistono anche dei cavetti speciali e degli isolatori per cavetti di ricarica, i cosiddetti data blocker, che fanno passare solo la corrente elettrica ma non i dati.


Fonte aggiuntiva: Graham Cluley.

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