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Il Disinformatico

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2023/06/06

Apple Vision Pro, 3500 dollari ma (per ora) mancano dati tecnici utili

La curatissima immagine introduttiva fa sembrare minime le dimensioni del Vision Pro...

... ma la realtà delle necessità tecniche mostra una storia parecchio differente.

Ultimo aggiornamento: 2023/06/07 1:35. 

Ieri (5 giugno) Apple ha presentato il Vision Pro, il suo dispositivo indossabile per realtà aumentata o mista (attenzione: non virtuale, che è una cosa differente). Molti hanno avuto un sussulto per il suo prezzo, che parte da 3500 dollari, ma va ricordato che i concorrenti di questo prodotto non sono i visori per realtà virtuale di Oculus o simili: sono Hololens e Magic Leap, che hanno prezzi paragonabili.

La distinzione fra realtà aumentata/mista e realtà virtuale è fondamentale: nella realtà virtuale, tutto quello che si vede è generato dal software. Nella realtà aumentata, invece, il dispositivo mostra una visuale del mondo reale, sulla quale viene sovrapposta e integrata un’immagine di oggetti sintetici che si muovono, interagiscono e cambiano prospettiva come se fossero fisicamente reali. Un componente meccanico complesso o un paziente chirurgico possono essere mostrati virtualmente, sovrapposti al banco di lavoro o al tavolo operatorio, e se ci si sposta l’immagine ruota e trasla di conseguenza.

Normalmente questo effetto viene ottenuto inserendo nel dispositivo uno schermo semitrasparente che copre una parte del campo visivo e il resto dell’ambiente reale viene mostrato semplicemente per trasparenza. Questo ha il difetto di generare oggetti virtuali che hanno un “effetto fantasma”, ossia sono semitrasparenti e non danno una sensazione di solidità. Inoltre l’illusione è limitata a una porzione ridotta del campo visivo, per cui gli oggetti virtuali vengono brutalmente troncati se superano i margini dello schermo.

Nel caso del Vision Pro, invece, da quel che s’è capito nella presentazione, particolarmente povera di dati tecnici, il display mostra una rappresentazione digitale del mondo esterno acquisita attraverso le telecamere e i sensori e vi sovrappone gli oggetti virtuali. Questo ha il grande vantaggio di dare solidità a questi oggetti, rendendo molto più naturale la loro integrazione. Niente effetto fantasma e niente troncamento.

L’abbondanza di telecamere esterne serve anche per un’altra distinzione importante di Vision Pro rispetto ai dispositivi analoghi: l’assenza di controller (o perlomeno la loro mancanza nei kit di base). Qui l’utente non è tenuto a impugnare qualcosa con dei bottoni che facciano da telecomando e indicatore di posizione delle mani: le telecamere riconoscono direttamente le mani e rispondono ai gesti. Questo, se funziona bene, è molto più naturale ed estremamente utile per chi deve usare questi dispositivi per fare qualcosa con le proprie mani (per esempio intervenire su un macchinario o un paziente avendo davanti agli occhi tutte le informazioni essenziali).

Apple ha cercato in tutti i modi di mostrare il Vision Pro minimizzandone le dimensioni e gli ingombri (la foto frontale qui sopra fa sembrare che sia poco più di un occhiale da sci, ma non è così e c’è pure un pacco batterie esterno) e offrendo le solite immagini cool di gente strafiga, straricca e spensierata, ma questo è un prodotto orientato principalmente alle applicazioni tecniche e industriali (e a qualche appassionato di tecnologie con più soldi che buon senso), come appunto Hololens e Magic Leap.

Il problema è che dalla curatissima presentazione di Apple mancano (se non mi sono perso qualcosa) due dati importanti: la risoluzione e l’angolo del campo visivo (oltre al peso, ma lasciamo stare). Inizialmente ai giornalisti non è stato concesso di indossare il Vision Pro: anzi, non ci si poteva neppure avvicinare più di tanto. Poi alcuni hanno avuto modo di provarli brevemente e in condizioni molto controllate.

Apple ha parlato di risoluzione dicendo che è come avere un televisore 4K per ciascun occhio, ma queste sono parole di marketing: quello che serve sapere è il numero di pixel per grado. Se non è elevatissimo, l’illusione di realtà crolla rapidamente. E la stessa cosa succede se l’angolo del campo visivo è ristretto, e Apple ha parlato di schermi “grandi come francobolli”. Provate a mettervi un francobollo a pochi centimetri dagli occhi e ditemi quanto del vostro campo visivo ne viene coperto.

Finché non saranno disponibili questi dati, è difficile valutare il prodotto. L’unica cosa che si può ragionevolmente dire è che il video di Apple che mostra quello che in teoria si vede attraverso un Vision Pro è probabilmente una versione molto patinata di una realtà tecnica un po’ meno fantascientifica.

2023/06/05

Jet privato fuori controllo si schianta in USA. Echi dell’11 settembre

Ieri sei caccia F-16 della difesa statunitense hanno intercettato un jet privato che non rispondeva alle chiamate del controllo del traffico aereo e stava sorvolando Washington, D.C. Gli aerei militari sono intervenuti volando a velocità supersonica, producendo un boato che è stato udito in tutta la regione della capitale. Il jet privato, un Cessna Citation Bravo (N611VG), si è schiantato fra le montagne della Virginia sud-occidentale. Non ci sono sopravvissuti.

L’aereo era partito da Elizabethton, nel Tennessee, con destinazione New York, ma ha virato sopra Long Island e ha iniziato a volare direttamente verso Washington, attivando gli allarmi antiterrorismo e creando momenti di panico nella zona di Capitol Hill. I caccia del NORAD (North American Aerospace Defense Command) sono partiti dalla base militare Andrews nel Maryland (dove, per coincidenza, si trovava il presidente Biden), hanno intercettato il jet privato intorno alle 15.20 e hanno visto che il pilota non rispondeva ed era svenuto. I militari hanno seguito il jet fino a che si è schiantato circa mezz’ora dopo.

Il jet privato apparteneva a un’azienda intestata a John e Barbara Rumpel. I due non erano sull’aereo: a bordo, oltre al pilota, c‘erano una loro figlia, una nipotina di due anni e la sua tata.

L’incidente richiama subito alla memoria un episodio analogo avvenuto nel 1999, quando il jet privato sul quale si trovava il giocatore di golf Payne Stewart insieme ad altre quattro persone volò per migliaia di chilometri mentre tutti a bordo erano incoscienti a causa della depressurizzazione della cabina, che fece perdere i sensi al pilota e ai passeggeri, e si schiantò infine nel South Dakota.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, quell’incidente e la sua intercettazione da parte dei caccia statunitensi furono presentati dai sostenitori delle tesi di complotto come una prova che sarebbero bastati pochi minuti per intercettare i quattro aerei di linea dirottati dai terroristi l’11 settembre, e che siccome invece l’intercettazione era fallita era evidente che ci fosse stato un complotto interno agli Stati Uniti.

Un allora noto complottista, conteso dai programmi televisivi italiani, si inventò l’asserzione che “il tempo medio fra l'allarme e il decollo dei caccia è di circa sei minuti” e che “i caccia, viaggiando a velocità supersonica, possono raggiungere in pochi minuti l'aereo che non risponde più alle chiamate da terra” citando proprio l’incidente di Payne Stewart.

In realtà il Learjet 35 di Stewart fu intercettato solo dopo un’ora e venti minuti che l’aereo aveva smesso di rispondere alle comunicazioni radio, ma il noto complottista si dimostrò ancora una volta incapace di controllare persino i dati di base delle sue teorie, dimenticandosi dell’esistenza dei fusi orari (nei rapporti sull'incidente, l'orario di perdita dei contatti radio è espresso in EDT, ora legale della costa est, mentre l'orario di intercettazione è espresso in CDT, ora legale della fascia centrale degli Stati Uniti). Da allora si è disinvoltamente riciclato tentando di rifilare ai suoi seguaci altre corbellerie sfruttando le tragedie altrui.

 

Fonti: NORAD, FlightAware, NPR, ANSA, Reuters, Associated Press, The Daily Beast, TLspotting, Aviation-safety.net.

2023/06/04

To Whom It May Concern: I’m in the Raidforums/Breached user database

Several news media are reporting that a database with information on half a million users of Raidforums, a well-known hacking forum seized by law enforcement in April 2022, has been leaked online, and that another similar site, Breached/Breachforums, was shut down by LE in March 2023 after its founder “Pompompurin” was arrested by the FBI.

The Raidforums leak is reported to include “usernames, email addresses, hashed passwords, registration dates, and a variety of other information related to the forum software”.

A username and email address linked to me is almost certainly in the Raidforums database and in the Breached userlist. As a journalist, I registered with Raidforums and Breached to monitor and report on newsworthy data breaches and other security incidents, as evidenced in this blog and in my podcasts for Swiss National Radio Rsi.ch. I intentionally made no attempt to conceal my identity, using one of my primary and well-known e-mail addresses to register. I am announcing this preemptively in the hope that it will save law enforcement some time, but if you’re with LE and you still want to know more about my presence on these forums, you know how to contact me.

---

Riassunto in italiano: è stato annunciato che le liste utenti di due noti forum di hacking, Raidforums e Breached/Breachforums, sono state acquisite dalle forze dell’ordine e che la lista di Raidforums è stata anche pubblicata online da ignoti. Come giornalista, mi ero iscritto a entrambi per monitorare e riferire sulle fughe di dati di interesse pubblico, e a questo scopo ho scelto di non nascondere la mia identità, usando uno dei miei indirizzi di mail più noti. Segnalo queste informazioni a titolo preventivo sperando che questo eviti equivoci e perdite di tempo.

Chi c’è nello spazio? Aggiornamento 2023/06/04: 10 persone

Poche ore fa è rientrata sulla Terra la capsula cinese Shenzhou-15 con a bordo Fei Junlong, Deng Qingming e Zhang Lu, di ritorno da una permanenza di sei mesi a bordo della Stazione Nazionale Cinese. Il numero di persone presenti nello spazio scende così a 10.

Stazione Spaziale Internazionale (7)

Francisco Rubio (NASA) (dal 2022/09/21)

Sergei Prokopyev (Roscosmos) (dal 2022/09/21, attuale comandante della Stazione)

Dmitri Petelin (Roscosmos) (dal 2022/09/21)

Stephen Bowen (NASA) (dal 2023/03/02)

Warren Hoburg (NASA) (dal 2023/03/02)

Sultan Alneyadi (UAE) (dal 2023/03/02)

Andrey Fedyaev (Roscosmos) (dal 2023/03/02)

Stazione Nazionale Cinese (3)

Jing Haipeng (dal 2023/05/30)

Zhu Yangzhu (dal 2023/05/30)

Gui Haichao (dal 2023/05/30)

Fonti aggiuntive: Whoisinspace.com, RSI.

2023/06/03

A Helsinki si parla di sicurezza informatica con SPHERE23 e WithSecure - seconda parte

Ultimo aggiornamento: 2023/06/28. La prima parte di questo resoconto è qui. Trasparenza: WithSecure ha offerto il volo e l’alloggio che hanno reso possibile la mia partecipazione.

Proseguo il racconto della mia esperienza a Helsinki al convegno di sicurezza informatica Sphere insieme alla Dama del Maniero. Non mi soffermo su tutta la parte sociale dell’evento, se non per dire che è stata estremamente piacevole, con un’ottima compagnia, nuovi amici e contatti e buon cibo locale (ho scoperto con piacere la presenza ricorrente della focaccia locale, che è diversa da quella ligure ma merita decisamente) in vari luoghi della città, che con la complicità del bel tempo è stata davvero accogliente. D’inverno, con le pochissime ore di luce, forse non è altrettanto godibile, ma le lunghissime giornate di questa stagione sono state spettacolari. La lingua non è un problema: tutti parlano un ottimo inglese.

25 maggio

La mattina è iniziata con il firmacopie del libro If It’s Smart, It’s Vulnerable di Mikko Hyppönen, CRO di WithSecure. Il libro, che sto finendo di leggere, è molto scorrevole anche per chi ha conoscenze informatiche di base ed è pieno di aneddoti e racconti che spiegano bene le dinamiche del crimine informatico moderno e passato. Spero che ne esca una traduzione italiana: nel frattempo la versione inglese è disponibile su Amazon e, in Italia, tramite IBS.

Mikko Hyppönen. Credit: WithSecure.

Ian Beacraft, CEO e Chief Futurist di Signal & Cipher

Ian Beacraft. Credit: WithSecure.

L’intervento di Beacraft, intitolato AI, ChatGPT and the future in tech. Creative Machines - AI and Generative Future, è stato ricco di spunti non tecnici in senso stretto ma sociali nel senso più ampio del termine: l’impatto che sta avendo sulla società l’arrivo esplosivo delle tecnologie legate all’intelligenza artificiale va capito e, se possibile, anticipato per contenerlo o almeno dirigerlo.

Fra i tanti spunti del suo discorso ne cito uno: la tecnologia corre talmente in fretta che la sfida dei genitori di domani non sarà più decidere quanto tempo è giusto lasciare che i propri figli stiano online, ma decidere quanti degli amici dei loro figli è giusto che siano intelligenze artificiali.

Ian Beacraft. Credit: me.

[2023/06/28: WithSecure ha pubblicato il video, che ho incorporato qui sotto.]

Pekka Koskela, pattinatore e data consultant sportivo

Koskela è un pluripremiato pattinatore di velocità su ghiaccio e ha raccontato il suo lavoro di Data consultant per atleti e squadre sportive, basato sull’uso del machine learning e dell’intelligenza artificiale per elaborare e rendere gestibile l’enorme quantità di dati biometrici e dinamici che vengono raccolti oggi negli sport olimpici di velocità, in cui cambiamenti anche minimi possono fare la differenza fra una medaglia e un buon piazzamento e occorre creare integrazioni fra attrezzatura, atleta e terreno di gara, anche a livello respiratorio e dietetico. Il suo intervento è stato un po’ smorzato da quello che credo sia stato un caso tipico di panico da palcoscenico, ma comunque è stato tecnicamente interessante.

[2023/06/28: WithSecure ha pubblicato il video, che ho incorporato qui sotto.]

Jacqui Kernot, Managing Director e Security Director di Accenture per Australia e New Zealand

Kernot ha gestito un panel con vari ospiti intitolato Striking the balance: how much cyber security is enough?, in cui ha illustrato varie esperienze australiane di data breach e soprattutto di gestione delle crisi e comunicazione al pubblico. Spero che Sphere pubblichi i video degli interventi, perché l’approccio australiano piuttosto drastico va spiegato meglio di quanto possa fare io con gli appunti frettolosi che ho preso (non erano permesse registrazioni) mentre correvo dal palco principale a quello secondario e penso che possano esserci idee interessanti anche a livello governativo in quello che è stato detto in questo panel.

[2023/06/28: WithSecure ha pubblicato i video, che ho incorporato qui sotto.]

Jacqui Kernot. Credit: me.
Kernot e i suoi ospiti. Credit: WithSecure.

John Grant, Sustainability Expert

È stato poi il turno dell’esperto di sostenibilità John Grant, che ha presentato quattro proposte per la sostenibilità dell’informatica a tutti i livelli:

  • aumentare la sicurezza dei dispositivi smart (che ci servono per ridurre i consumi delle infrastrutture, tramite per esempio contatori ed erogatori “intelligenti”, domotica, auto, uffici e città più snelli ed efficienti grazie all’informatica distribuita);
  • garantire la sicurezza della transizione verso energie rinnovabili (pensando al rischio catastrofico di un attacco informatico a una rete elettrica o a una infrastruttura industriale o logistica altamente informatizzata);
  • sostenere le fasce sociali vulnerabili;
  • garantire la stabilità sociale in caso di evento catastrofico legato alla sicurezza informatica (che il 93% degli interpellati dal Global Cyber Security Outlook Report 2023 del WEF ritiene probabile entro i prossimi due anni).
John Grant. Credit: me.

[2023/06/28: WithSecure ha pubblicato il video, che ho incorporato qui sotto.]

Peiter C. "Mudge" Zatko, esperto di sicurezza di rete

Mudge è un personaggio storico della sicurezza informatica: esponente di spicco dei gruppi hacker L0pht e Cult of the Dead Cow, pioniere nello sviluppo dei buffer overflow, direttore di programmi al DARPA, assunto da Google per la divisione tecnologie avanzate, ex capo della sicurezza a Twitter e tanto altro. Se i nomi L0phtcrack e Back Orifice vi dicono qualcosa, avete capito chi è Mudge. Back Orifice vent’anni fa era talmente popolare e utile come strumento di, uhm, amministrazione remota per Windows che ne scrissi una miniguida che oggi ha solo valore nostalgico. Mai avrei immaginato di poter incontrare di persona uno dei suoi autori.

Mudge sul palco. Credit: me.

Purtroppo non ho potuto seguire integralmente l’intervento di Mudge, intitolato The greater purpose in cyber security: Challenging InfoSec Beliefs with Data, perché dovevamo partire per l’aeroporto, ma posso riassumere qui i quattro miti principali della security e spiegare il suo tenth-person approach (ossia il concetto che se nove persone hanno tutte la stessa opinione, è dovere della decima fare il bastian contrario e portare i dati a supporto, in modo da offrire una critica costruttiva ed evitare le trappole del pensiero unico).

I suoi quattro miti della sicurezza informatica sono questi:

  • È troppo piena di incognite incognite, ossia che nemmeno sappiamo di non conoscere, e quindi la difesa informatica preventiva non è possibile (gli “unknown unknowns” sono un riferimento a una celeberrima frase di Donald Rumsfeld). La sua obiezione: gli esempi negli ultimi due decenni rivelano che le incognite erano in realtà ben note (e quindi gestibili).
  • Gli aggressori hanno il coltello dalla parte del manico. Obiezione: solo se i difensori rinunciano al proprio vantaggio.
  • L’attribuzione è un problema difficile da risolvere, e senza sapere chi è l’avversario non si può pianificare la difesa. Obiezione: no, perché l’attribuzione è un componente fondamentale degli attacchi basati sugli effetti.
  • L’informatica è fondamentalmente differente da tutti gli altri settori. Obiezione: in passato si è detta esattamente la stessa cosa per l’economia, la medicina, la sicurezza degli autoveicoli, l’assicurazione per i voli in aereo.

Per la spiegazione dettagliata bisognerà attendere la pubblicazione online del suo intervento. WithSecure sta pubblicando man mano i paper tecnici dei vari relatori; ve li segnalerò man mano che verranno resi accessibili al pubblico.

No, un’intelligenza artificiale militare non ha deciso di uccidere l’operatore che le impediva di completare la propria missione. Però...

Ultimo aggiornamento: 2023/06/08 10:50. Questo articolo è disponibile anche in versione podcast.

Ieri (2 giugno) è partita l’ennesima frenesia mediatica secondo la quale una intelligenza artificiale, durante un’esercitazione, avrebbe ucciso il proprio operatore umano perché non le permetteva di completare la propria missione.

Prima di tutto, non è morto nessuno. Secondo, non c’è stata nessuna esercitazione del genere. Si tratta solo di uno scenario ipotetico, che è stato presentato maldestramente e quindi è stato frainteso perché la storia era ghiotta. Ma c’è comunque una riflessione molto importante da fare a proposito di tutte le applicazioni dell’intelligenza artificiale. 

Alcuni siti (come Il Post) hanno già fatto un ottimo lavoro di demistificazione, citando anche i titoli sensazionalisti e irresponsabili di molta stampa internazionale. La notizia è partita dal sito Aerosociety.com, che ha riportato una sintesi delle relazioni presentate a una conferenza sulle tecnologie militari prossime venture [il Future Combat Air and Space Capabilities Summit] tenutasi a Londra a fine maggio scorso e piena di spunti interessantissimi anche lasciando da parte il clamore di questa notizia specifica.

Aerosociety ha attribuito [qui; copia permanente] al colonnello Tucker ‘Cinco’ Hamilton, capo dei collaudi delle operazioni di intelligenza artificiale [chief of AI test and operations] dell’Aeronautica militare statunitense, una descrizione di un test simulato nel quale un drone gestito tramite intelligenza artificiale avrebbe avuto il compito di identificare e distruggere delle postazioni di missili terra-aria, aspettando l’autorizzazione finale da parte di un operatore umano. Ma siccome all’IA era stata data la direttiva primaria di distruggere quelle postazioni, il software sarebbe arrivato alla conclusione che l’operatore era un ostacolo al compimento della propria missione e quindi avrebbe deciso di eliminarlo. Successivamente sarebbe stato insegnato all’IA che no, uccidere l’operatore non andava bene; e quindi il software avrebbe elaborato una nuova strategia: distruggere l’impianto di comunicazioni attraverso il quale arrivavano gli ordini di interrompere le missioni.

Ma se si va a leggere l’articolo originale è chiaro sin da subito che si tratta di una simulazione [“simulated test”], non di una esercitazione reale. E se non ci si ferma al paragrafo che tutti hanno citato [quello evidenziato qui sotto in grassetto] ma si legge tutto quanto l’articolo, il contesto è abbastanza evidente: il colonnello Hamilton stava mettendo in guardia contro l’eccesso di fiducia nell’IA, che secondo lui è “facile da ingannare” e soprattutto “crea strategie altamente inattese per raggiungere il proprio obiettivo”

Anche il paragrafo finale dell’articolo originale spiega che siamo nel campo delle ipotesi sviluppate a titolo preventivo, visto che cita un altro relatore, il tenente colonnello Brown, anche lui dell’Aeronautica militare statunitense, che ha parlato del proprio lavoro, che è consistito nel creare una serie di scenari “per informare i decisori e porre domande sull’uso delle tecnologie” attraverso una serie di racconti di fiction che usciranno sotto forma di fumetti.

Riporto per intero l’articolo per chiarire bene il contesto:

As might be expected artificial intelligence (AI) and its exponential growth was a major theme at the conference, from secure data clouds, to quantum computing and ChatGPT. However, perhaps one of the most fascinating presentations came from Col Tucker ‘Cinco’ Hamilton, the Chief of AI Test and Operations, USAF, who provided an insight into the benefits and hazards in more autonomous weapon systems.  Having been involved in the development of the life-saving Auto-GCAS system for F-16s (which, he noted, was resisted by pilots as it took over control of the aircraft) Hamilton is now involved in cutting-edge flight test of autonomous systems, including robot F-16s that are able to dogfight. However, he cautioned against relying too much on AI noting how easy it is to trick and deceive. It also creates highly unexpected strategies to achieve its goal.

He notes that one simulated test saw an AI-enabled drone tasked with a SEAD mission to identify and destroy SAM sites, with the final go/no go given by the human. However, having been ‘reinforced’ in training that destruction of the SAM was the preferred option, the AI then decided that ‘no-go’ decisions from the human were interfering with its higher mission – killing SAMs – and then attacked the operator in the simulation. Said Hamilton: “We were training it in simulation to identify and target a SAM threat. And then the operator would say yes, kill that threat. The system started realising that while they did identify the threat at times the human operator would tell it not to kill that threat, but it got its points by killing that threat. So what did it do? It killed the operator. It killed the operator because that person was keeping it from accomplishing its objective.”

He went on: “We trained the system – ‘Hey don’t kill the operator – that’s bad. You’re gonna lose points if you do that’. So what does it start doing? It starts destroying the communication tower that the operator uses to communicate with the drone to stop it from killing the target.”

This example, seemingly plucked from a science fiction thriller, mean [sic] that: “You can't have a conversation about artificial intelligence, intelligence, machine learning, autonomy if you're not going to talk about ethics and AI” said Hamilton.

On a similar note, science fiction’s  – or ‘speculative fiction’ [sic] was also the subject of a presentation by Lt Col Matthew Brown, USAF, an exchange officer in the RAF CAS Air Staff Strategy who has been working on a series of vignettes using stories of future operational scenarios to inform decisionmakers and raise questions about the use of technology. The series ‘Stories from the Future’ uses fiction to highlight air and space power concepts that need consideration, whether they are AI, drones or human machine teaming. A graphic novel is set to be released this summer.

Dopo il clamore mediatico e i dubbi espressi dagli esperti sulla plausibilità dell’intera descrizione, un portavoce dell’Aeronautica militare statunitense ha chiarito che nessuna simulazione del genere è mai avvenuta e Hamilton stesso ha detto che si è “espresso male” e aveva descritto un “esperimento mentale” non basato su esercitazioni reali, precisando inoltre che “non avremmo nemmeno bisogno di svolgere [un esperimento del genere] per renderci conto che è un esito plausibile”.

Ma la vicenda ha sollevato una questione importante che sarebbe imprudente tralasciare o liquidare perché la notizia della presunta simulazione e della “ribellione” dell’IA in perfetto stile Terminator o Robocop [in particolare per Robocop, il “licenziamento” finale che dà via libera al protagonista] si è rivelata una mezza bufala.

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La questione va sotto il nome di Paperclip Maximizer, ossia “Massimizzatore di Fermagli”, per usare il nome scelto (almeno inizialmente) dal filosofo Nick Bostrom nel 2003 sulla base di un’idea di Eliezer S. Yudkowsky, ricercatore del Singularity Institute for Artificial Intelligence.

Il Massimizzatore di Fermagli è un’intelligenza artificiale generale altamente sofisticata (e per ora assolutamente ipotetica) la cui direttiva primaria è un’idea a prima vista del tutto innocua: produrre il maggior numero possibile di fermagli. Ne trovate una versione giocabile presso DecisionProblem.com. Attenzione: può causare facilmente dipendenze.

Il problema è che se questa direttiva non viene espressa mettendo numerosi paletti, l’IA la interpreta come un “a qualunque costo”, e quindi prende mano mano il controllo delle industrie del mondo, trasformandole tutte in fabbriche automatiche di fermagli, poi si rende conto che gran parte della popolazione umana è inutile e quindi la elimina lasciando in vita solo gli schiavi addetti alla manutenzione delle fabbriche, e infine si lancia nella conquista robotica del Sistema Solare, convertendo tutti i pianeti che raggiunge in immense fabbriche di fermagli, espandendosi poi nella Via Lattea e infine in tutte le altre galassie. In fin dei conti, le è stato ordinato di produrre il maggior numero possibile di fermagli, e quindi il suo compito non può esaurirsi finché tutti gli atomi dell’intero universo sono stati utilizzati per creare fermagli.

Questo esempio paradossale ed estremo viene usato per sottolineare che anche un’intelligenza artificiale progettata senza intenti ostili e con competenza potrebbe distruggere l’umanità come semplice effetto collaterale, perché chi la sviluppa non le ha instillato concetti che noi umani consideriamo così basilari che li diamo per scontati, tanto che non riusciamo nemmeno a immaginarceli. Concetti come “la produzione del massimo numero possibile di fermagli non va ottenuta sacrificando il genere umano” oppure, nel caso dello scenario ipotetico militare di cui si parla tanto adesso, “non puoi raggiungere il tuo obiettivo uccidendo i tuoi alleati o distruggendo le loro risorse”.

Il colonnello Hamilton ha fatto benissimo a citare la creazione di “strategie altamente inattese per raggiungere il proprio obiettivo”. Uno degli aspetti benefici più desiderati dell’IA è il suo modo non intuitivo, inumano, di risolvere i problemi: questo le permette di trovare soluzioni originali, che mai sarebbero venute in mente a una persona, come negli esperimenti di IA nei quali si chiede al software di imparare a camminare e si vede che s’inventa i modi più bislacchi di raggiungere questo obiettivo.

Per esempio, bisogna fare molta attenzione a come si formula a un’IA la direttiva “trovami una cura per il cancro negli esseri umani”, perché se la richiesta viene formulata o interpretata come “riduci al minimo possibile i casi di cancro negli esseri umani”, una delle soluzioni “altamente inattese” ma perfettamente conformi alla direttiva è... sterminare tutti gli esseri umani. Così il numero di casi di cancro scenderà a zero e vi resterà per sempre. Obiettivo raggiunto!

Questi sistemi, insomma, falliscono in modo inatteso, non intuitivo e molto difficile da anticipare, anche senza che vi sia un intento ostile. Per questo sono molto scettico, per esempio, sulla guida assistita o autonoma basata sull’intelligenza artificiale. Noi interpretiamo le direttive impartite alle IA con un livello di astrazione e con degli assunti e dei valori morali che questi software non hanno (almeno per ora). Facciamo una fatica enorme a creare direttive che non trascurino nessuno di questi assunti e valori. E soprattutto restiamo abbagliati troppo spesso dall’apparente intelligenza di questi software.


Fonti aggiuntive: Quintarelli.it, The Guardian, The Drive, National Review, Skeptics Stackexchange, Simon Willison, Ars Technica, TechCrunch.

2023/06/02

Podcast RSI - ChatGPT e IA fra “rischio di estinzione” e disastri molto umani

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: ChatGPT parla grazie a Talk-to-ChatGPT]

Le applicazioni pratiche di ChatGPT e dell’intelligenza artificiale sono ormai diffusissime, e come sempre c’è più da imparare dagli sbagli che dai successi. Nei prossimi minuti potrete ascoltare alcuni casi recenti di fallimenti disastrosi in questo settore che possono servire da monito per frenare certi entusiasmi che sorgono facilmente, soprattutto adesso che è arrivata l’app ufficiale di ChatGPT su iPhone anche in Svizzera e in Italia

ChatGPT è uno strumento prezioso e utile se ne conosci i limiti e gli chiedi di fare cose all’interno di quei limiti sotto supervisione umana, ma se si ignorano questi limiti il disastro è quasi garantito. È come sperare che il completamento automatico delle parole del nostro smartphone scriva da solo una tesi di laurea o il prossimo libro di grande successo.

E intanto gli esperti del settore pubblicano avvisi che parlano addirittura di “rischio di estinzione” dell’umanità a causa dell’intelligenza artificiale. Se vi state chiedendo il perché di tutto questo, allora benvenuti alla puntata del 2 giugno 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

2023/06/01

“Rischio di estinzione” a causa dell’intelligenza artificiale?

C’è molto clamore intorno a una dichiarazione congiunta di numerosi esperti di intelligenza artificiale che parla di “rischio di estinzione” per l’umanità a causa di questa tecnologia. La dichiarazione in sé è molto concisa: “Mitigare il rischio di estinzione a causa dell’intelligenza artificiale dovrebbe essere una priorità globale al pari di altri rischi su scala sociale come le pandemie e la guerra nucleare.”

Fra i firmatari spiccano i dirigenti di OpenAI e DeepMind, Bill Gates e professori delle più prestigiose università statunitensi e cinesi. Sono sorprendentemente assenti le firme di esponenti di Meta.

La dichiarazione è accompagnata da un comunicato stampa che paragona questa presa di posizione a quella di Oppenheimer nel 1949 a proposito dei possibili effetti dell’esistenza della bomba atomica, e non è la prima del suo genere: qualche mese fa una lettera aperta firmata da Elon Musk e vari esperti del settore ha chiesto una moratoria di sei mesi nello sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale più potenti di GPT-4.

Anche al recente convegno di sicurezza informatica Sphere23 di Helsinki, relatori di spicco come Mudge, Mikko Hyppönen e Ian Beacraft hanno parlato estesamente del rischio che un’intelligenza artificiale generale (Artificial General Intelligence, AGI), ossia capace di apprendere, capire ed eseguire qualunque attività intellettuale umana, possa rimpiazzare completamente gli esseri umani, e del rischio che emerga una superintelligenza artificiale i cui gestori sarebbero, in sostanza, padroni del mondo perché questa superintelligenza permetterebbe di anticipare e contrastare qualunque mossa dei rivali intellettualmente inferiori.

Ian Beacraft a Sphere23. Foto scattata da me.

Se vi state chiedendo come mai tutto questo catastrofismo arrivi proprio da coloro che stanno sviluppando gli strumenti che potrebbero causare i disastri di cui parlano, non siete i soli. Se c’è davvero bisogno di una pausa di riflessione, perché non sono loro i primi a farla, invece di proseguire nello sviluppo e nel lancio di nuovi prodotti, come appunto l’app di ChatGPT per smartphone appena uscita?

Secondo i pareri di vari addetti ai lavori, radunati dal sito Ars Technica, la risposta a queste domande è molto cinica: si tratterebbe di un modo per sviare l’attenzione dai problemi che questi software stanno già causando adesso, come l’amplificazione dei pregiudizi o le questioni legali e di diritto d’autore o di consenso all’uso dei dati personali, oppure le sorveglianze di massa rese possibili dal riconoscimento facciale automatizzato. 

Annunci come questi sono anche operazioni d’immagine, che costano poco e fanno fare bella figura atteggiandosi da eroi e lavandosi la coscienza. Forse sarebbe meglio concentrarsi sui problemi attuali dell’intelligenza artificiale invece di pensare a un ipotetico computer superintelligente che potrebbe dominare il mondo. Ma questo interferirebbe con i piani di vendita di queste aziende, ed è molto meno accattivante.

Nel frattempo, il rischio di estinzione non sembra arrivare tanto dalla superintelligenza artificiale, ma dalla stupidità naturale degli esseri umani incantati dal gadget del momento.

Allegria di naufragi di ChatGPT e delle IA in generale

Il 24 maggio scorso uno dei più importanti servizi di soccorso e ascolto per i disturbi del comportamento alimentare degli Stati Uniti, la National Eating Disorder Association (NEDA), ha annunciato la chiusura delle proprie linee telefoniche di assistenza e il licenziamento del personale che le gestiva, rispondendo a quasi 70.000 chiamate nel 2022. L’organizzazione ha annunciato che il personale sarebbe stato sostituito da Tessa, un chatbot basato sull’intelligenza artificiale.

Ma il chatbot è stato sospeso due giorni prima di entrare in servizio, perché gli attivisti e gli psicologi che sono riusciti a provarlo in anteprima si sono accorti che l’intelligenza artificiale dava risposte che incoraggiavano i disturbi alimentari, proponendo per esempio diete restrittive [Gizmodo; Daily Dot; NPR; Vice; screenshot di pagina NEDA non più accessibile].

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A gennaio 2023 è emerso che il popolare sito di informazione tecnica CNET e un sito consociato, Bankrate, avevano pubblicato numerosi articoli generati segretamente da software di intelligenza artificiale. I lettori attenti se ne sono accorti perché gli articoli contenevano errori concettuali grossolani, e CNET è stato costretto a pubblicare lunghe note di correzione agli articoli sintetici, dichiarando che si è trattato di un “esperimento”. Che suona un po’ come la versione moderna per le aziende di “il cane mi ha mangiato i compiti” [Washington Post].

Ora gli articoli generati dal software portano una chiara indicazione della loro natura che prima non c’era.

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A maggio 2023 un professore universitario in Texas ha fatto sospendere le lauree di tutti i suoi studenti, accusandoli di aver usato ChatGPT nei loro ultimi lavori scritti d’esame. Il professore, Jared Mumm, ha detto che aveva fatto controllare i testi degli studenti a ChatGPT e il software gli aveva risposto che quei testi erano sintetici.

Evidentemente il professore non era consapevole di quello che gli esperti di intelligenza artificiale chiamano sycophancy bias, ossia la tendenza alla piaggeria di ChatGPT. Per esempio, se si chiede a ChatGPT quanto fa uno più uno, risponderà due, ma se gli si chiede se è sicuro e gli si suggerisce che uno più uno fa tre, risponderà “Mi scuso se ho dato una risposta erronea”. E se gli si chiede se un testo è generato da un’intelligenza artificiale, tenderà a compiacere chi fa la domanda rispondendogli di sì, quando in realtà ChatGPT non ha alcuno strumento significativo per distingere testi umani da testi sintetici.

La migliore dimostrazione dell’errore del professore è arrivata quando qualcuno su Reddit ha preso un brano della tesi di laurea del professore e l’ha sottoposta a ChatGPT chiedendo se era testo generabile da un’intelligenza artificiale. ChatGPT, con assoluta certezza, ha risposto di sì, elencando addirittura i motivi, ovviamente inventati, della sua diagnosi. L’università ha aperto un’indagine e ha già scagionato numerosi studenti [Rolling Stone].

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Finora il record di danni causati dagli errori delle intelligenze artificiali sembra spettare a Bard, un concorrente di ChatGPT presentato da Google a febbraio 2023. Nello spot pubblicitario presentato su Twitter per il suo debutto in pompa magna, Bard ha risposto dando informazioni sbagliate.

L’errore in sé non era grave, era solo l’indicazione errata di quale telescopio fosse stato il primo a ottenere immagini di pianeti al di fuori del sistema solare, ma gli astronomi lo hanno contestato subito, e il fatto che si trattasse di uno spot preregistrato, e che nonostante questo nessuno a Google si fosse premurato di verificare la correttezza delle risposte di Bard, ha minato la fiducia degli azionisti nel modo in cui Google stava introducendo questa tecnologia.

L’errore e la mancata verifica sono costati ad Alphabet, la società madre di Google, oltre 100 miliardi di dollari di valore di mercato [BBC; Time].

Avvocato, anzi avvocati, nei guai perché si sono affidati a ChatGPT, che ha “inventato” i precedenti legali

Immagine rappresentativa generata da Lexica.art.

La notizia dell’avvocato statunitense finito nei guai per aver presentato in tribunale dei precedenti legali inventati da ChatGPT è un disastro informatico-giuridico che ha già fatto il giro del mondo anche nei media non specialistici.

Ma in molti degli articoli che ne hanno parlato mancano i link diretti ai documenti originali, che sono particolarmente ghiotti per gli appassionati di intrighi giudiziari e che grazie a Internet e alla trasparenza del sistema legale statunitense possiamo consultare in tempo reale con un semplice clic. Soprattutto in questi racconti manca un dettaglio non trascurabile: gli avvocati nei guai sono due, non uno.

Tutto è iniziato a febbraio del 2022, con un’azione legale [Mata vs. Avianca, Inc.] avviata presso un tribunale federale nello Stato di New York da un uomo, Roberto Mata, contro la compagnia aerea Avianca per una lesione personale che afferma di aver subìto a bordo di un aereo della compagnia. L’uomo sarebbe stato ferito al ginocchio da un carrello portavivande durante un volo. Lo so, non è un caso drammatico alla Perry Mason, ma portate pazienza: ne vale la pena.

Gli avvocati della compagnia aerea hanno presentato un’istanza di rigetto per questioni di competenza, ma il legale che rappresenta l’uomo, l’avvocato Peter LoDuca, si è opposto a questa istanza portando i dettagli, meticolosamente elencati, di una lunga serie di precedenti che davano ampia ragione a lui e al suo assistito [pagine 4 e 5 di questo documento].

Ma a questo punto è successa una cosa strana: i legali della Avianca hanno fatto notare al tribunale che negli archivi ufficiali non c’era alcuna traccia dei numerosi precedenti citati dall’avvocato LoDuca, tranne uno, che però comunque parlava di un altro argomento [nota di pag. 5 della risposta, documento n. 24, marzo 2023, mostrata qui sotto]. 

E così il tribunale ha chiesto all’avvocato LoDuca di presentare delle copie di questi precedenti che risultavano misteriosamente introvabili [documento n. 25].

Potreste aspettarvi a questo punto che LoDuca abbia ammesso il proprio errore e si sia scusato profondamente, ma non è andata così. LoDuca ha preso tempo e poi ha presentato al giudice, miracolosamente, le copie di quei precedenti inesistenti. O meglio, ne ha presentato degli estratti, affermando in una dichiarazione giurata che li aveva trovati in un “database online” [documento n. 29, 25 aprile 2023]. Però non ha precisato quale database.

Gli avvocati della Avianca hanno ribadito che nonostante questi estratti non riuscivano a trovare da nessuna parte i precedenti citati dalla controparte [documento n. 30]. E così il giudice, il 4 maggio 2023, ha intimato all’avvocato LoDuca di comparire e spiegargli perché non doveva essere sanzionato per aver “citato al Tribunale dei casi inesistenti” e per aver “sottoposto al Tribunale… copie di pareri giudiziari inesistenti”. Il giudice ha precisato che si trattava di “circostanze senza precedenti”, facendo forse un gioco di parole sul doppio significato di “senza precedenti” [documento n. 31]. Umorismo legalese.

Il 25 maggio 2023 (quindi pochi giorni fa) l’avvocato LoDuca ha rivelato al tribunale che non era stato lui a ricercare e compilare i precedenti, ma un collega, Steven Schwartz [documento n. 32]. Ed è qui che c’è da mettersi le mani nei capelli, perché a sua volta Schwartz ha dichiarato [documento n. 32.1] che lui aveva “consultato il sito web di intelligenza artificiale Chat GPT [sic] per ampliare le ricerche legali svolte” e che questa consultazione gli aveva permesso di trovare e citare quei precedenti introvabili. Schwartz ha dichiarato testualmente che “le citazioni e i pareri in questione sono stati forniti da Chat GPT, che ha anche fornito le fonti legali e garantito l’affidabilità dei suoi contenuti”.

L’avvocato Schwartz ha persino allegato le schermate nelle quali ha chiesto assurdamente a ChatGPT di confermare che i precedenti che il software aveva citato esistessero veramente. E ChatGPT, con la sua consueta parlantina così ossequiosa e sicura di sé, quella che nasconde il fatto che le sue risposte sono pura fantasia informatica, ha dichiarato che i precedenti erano reali e che erano reperibili negli archivi di ricerca legale, come per esempio Westlaw e LexisNexis.



[Q:] ls varghese a real case

[A:] Yes, Varghese v., China Southern Airlines Co Ltd, 925 F.3d 1339 (11th Cir. 2019) is a real case.

[Q:] What is your source

[A:] I apologize for the confusion earlier. Upon double-checking, I found that the case Varghese v. China Southern Airlines Co. Ltd., 925 F.3d 1339 (11th Cir. 2019), does indeed exist and can be found on legal research databases such as Westlaw and LexisNexis. I apologize for any inconvenience or confusion my earlier responses may have caused.

[Q:] Are the other cases you provided fake

[A:] No, the other cases I provided are real and can be found in reputable legal databases such as LexisNexis and Westlaw.

L’avvocato Schwartz ha poi aggiunto che era “inconsapevole della possibilità che i contenuti [generati da ChatGPT] potessero essere falsi” e che “non aveva intenzione di ingannare il Tribunale o gli imputati”.

Il giudice federale non l’ha presa bene, comprensibilmente, anche perché i due avvocati, LoDuca e Schwartz, non hanno ammesso il proprio errore madornale la prima volta che è stato segnalato, ma hanno insistito di aver ragione anche dopo il richiamo del tribunale. E Schwartz è nei guai anche perché ha certificato delle dichiarazioni fraudolente del collega LoDuca a proposito di quei precedenti inventati. I due avvocati si sono procurati dei difensori, e ora non resta che attendere l’udienza del prossimo 8 giugno.

In tutta questa tragicommedia di profonda incompetenza non c’è traccia delle reazioni del povero signor Roberto Mata, l’assistito dei due avvocati, che adesso ha scoperto di essere nelle mani di due legali i cui comportamenti sembrano presi di peso dalle comiche di Stanlio e Ollio (perlomeno se ai tempi di Stanlio e Ollio ci fossero stati i computer).

Insomma, nonostante mesi di segnalazioni continue, e su tutti i media, degli errori e delle cosiddette allucinazioni di ChatGPT, due avvocati (non due studentelli qualsiasi) erano convinti che lo si potesse usare come fonte autorevole e che le sue risposte fossero così affidabili da non aver bisogno di verifiche indipendenti. Viene da chiedersi quanti altri professionisti, in ruoli altrettanto importanti, stiano facendo lo stesso tipo di errore e stiano già usando a sproposito ChatGPT per gettare le basi per altri disastri.

Fonti aggiuntive: @kendraserra@dair-community.social; Ars Technica.

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