C’è una funzione di Internet che è poco conosciuta dal grande pubblico,
nonostante il fatto che quel grande pubblico vi interagisce oltre cinquecento
miliardi di volte al giorno e che questa funzione produce ricavi per più di 117
miliardi di dollari l’anno. Eppure pochi sanno cosa sia il
real-time bidding. Molti non sanno neanche che esiste e quanto possa
essere invadente. Provo a raccontarvelo.
Quando vediamo una pubblicità su un sito Web, spesso quella pubblicità è stata
inserita nel sito automaticamente al termine di un’asta silenziosa che è
durata qualche millisecondo: il tempo che passa fra l’istante in cui
clicchiamo su un link e l’istante in cui la pagina desiderata corrispondente
compare sul nostro schermo. Quella velocissima asta in tempo reale, gestita
dai grandi operatori pubblicitari di Internet, come per esempio Google, è il
real-time bidding.
Funziona grosso modo così: immaginate di visitare il sito di promozione
turistica di una certa località, per esempio Parigi. Nel momento in cui ne
digitate il nome e premete Invio o cliccate sul suo link trovato in Google,
Google stessa sa che probabilmente siete interessati a visitare Parigi e sa
grosso modo dove vi trovate in base al vostro indirizzo IP.
Il sistema di real-time bidding di Google può quindi annunciare alle
agenzie pubblicitarie che siete una delle, per esempio, diciottomila persone
che vivono nella vostra regione e che in quel momento sono interessate ad
andare a Parigi. A quel punto chiede a queste agenzie quale è disposta ad offrire di più
per far comparire una pubblicità di un suo cliente sul vostro schermo. Spesso
Google sa già qual è il migliore offerente, perché le agenzie pubblicitarie
hanno già immesso nei suoi database le loro offerte per i vari tipi di utente.
E così Google, nel giro di qualche millesimo di secondo, fa comparire sul
vostro schermo la pubblicità dei prodotti gestiti dall’agenzia che ha offerto
di più.
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Detto così sembra tutto abbastanza innocuo, ma c’è un problema. Secondo un
recente
rapporto
dell’Irish Council for Civil Liberties o
ICCL, una associazione irlandese per la tutela dei diritti civili, il
real-time bidding è
“la più grande violazione di dati personali mai vista”, che
“agisce dietro le quinte nei siti web e nelle app, traccia quello che
guardi, non importa quanto sia privato o sensibile, e registra dove vai.
Ogni giorno trasmette continuamente questi dati su di te a una serie di
aziende, permettendo loro di profilarti”.
Le società che gestiscono il real-time bidding, ossia principalmente
Google ma anche Microsoft, Facebook e Amazon, raccolgono infatti molti dati su
ciascun utente: non solo la localizzazione e il nome del sito che sta
visitando, ma anche altre informazioni, per esempio tramite i cookie, e questo
permette di costruire un profilo del valore pubblicitario di ciascun utente. Non ci sono salvaguardie tecniche che impediscano ad altre aziende senza scrupoli di utilizzare questi profili.
Infatti un’indagine del Financial Times ha segnalato che esiste un mercato illegale di scambio dei dati più
sensibili, come l’appartenenza a un’etnia, l’orientamento sessuale, lo stato
di salute e le opinioni politiche. L’ICCL segnala che la cosiddetta tassonomia, ossia l’elenco delle categorie di dati personali, redatta da IAB Tech Lab, un importante consorzio del settore pubblicitario online, include categorie come religione, divorzio, lutto, salute mentale, infertilità e malattie sessualmente trasmissibili.
Anche se i dati non sono esplicitamente
associati al nome e cognome di un utente, sono comunque legati a un profilo
che rappresenta una persona, nota
9to5Mac. E
Techcrunch
sottolinea che è tecnicamente molto facile fare reidentificazione,
ossia riassociare un profilo a una persona specifica, usando informazioni come
gli identificativi unici dei nostri dispositivi e la geolocalizzazione.
Il
rapporto
dell’ICCL getta finalmente luce sull’invasività e sulle dimensioni di questa
incessante attività di profilazione di massa: Google, stando al rapporto,
permette a ben 4698 aziende di ricevere dati di
real-time bidding riguardanti gli utenti statunitensi. Per esempio, i
venditori di dati hanno usato questo real-time bidding per profilare chi
partecipava alle proteste del movimento attivista Black Lives Matter e il
Dipartimento per la Sicurezza Interna statunitense lo ha usato per il
tracciamento dei telefonini senza chiedere mandato.
Non si tratta di un problema solo statunitense: nonostante le leggi europee
sulla privacy, più restrittive di quelle americane, secondo il rapporto
dell’ICCL il comportamento online e la localizzazione degli utenti americani
vengono tracciati e condivisi 107 mila miliardi di volte l’anno, mentre gli
stessi dati degli utenti europei vengono raccolti comunque 71 mila miliardi di volte.
In Germania, per esempio, le attività online di un utente vengono trasmesse ai
circuiti di real-time bidding in media 334 volte al giorno, ossia circa
una volta al minuto se si considera il tempo medio di uso di Internet degli
utenti tedeschi (circa 326 minuti, ossia circa cinque ore e mezza). In Svizzera
questa trasmissione avviene un pochino meno, circa 300 volte al giorno, e in
Italia avviene 284 volte in media.
Va notato che queste sono stime per difetto, dato che non includono le
attività di real-time bidding di Facebook e Amazon ma si basano su un archivio di dati di Google che copre un periodo di 30 giorni e che è disponibile soltanto agli operatori del settore ma che l’ICCL è riuscito ad avere da una fonte confidenziale insieme a molti altri dati tecnici importanti.
Secondo l’agenzia Gartner, citata da
The Register, le industrie del settore del real-time bidding giustificano le
proprie pratiche usando una
clausola
del regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR), ma molti enti di
regolamentazione hanno respinto questa giustificazione e ci sono azioni legali
in corso nel Regno Unito, in Belgio, in Germania e in Irlanda per limitare
fortemente questo real-time bidding. Nel frattempo, ricordatevi che quando
navigate in Internet non siete mai veramente soli.
Fonti aggiuntive: BBC, Le Monde.