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Il Disinformatico

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2023/07/13

Podcast RSI - Storie positive di intelligenza artificiale

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Deepfake di Elon Musk che promuove servizio di criptovalute]

La voce è quella, molto caratteristica, di Elon Musk, e il video mostra chiaramente Musk che parla davanti a un microfono, in un’ambientazione da podcast, e raccomanda un sito che nasconde una truffa. Dice che un suo amico ha avuto un’idea geniale per un servizio di scambio di criptovalute che offre le condizioni migliori e la possibilità di ottenere queste criptovalute gratis. Elon Musk cita il nome del sito e invita a visitarlo.

Ma è tutto finto: è l’ennesimo deepfake, pubblicato oltretutto su Twitter, che è di proprietà proprio di Elon Musk, da un utente con il bollino blu, uno di quelli che Twitter continua a definire “verificati” quando in realtà hanno semplicemente pagato otto dollari.

[Il testo era “An incredible crypto gift from @ElonMusk
Promo code 68z88cnh for 6.5 ETH hxxps://t.co/7su64bT4Dq pic.twitter.com/NjiJlcVUE2 — PuprpleApe.eth (@purpleapeeth) July 7, 2023]. Ho alterato intenzionalmente i link mettendo “hxxps” al posto di “https”]

Quel tentativo di truffa è rimasto online per almeno 24 ore, nonostante le ripetute segnalazioni degli utenti esperti, ed è stato visto da quasi 250.000 persone. Dodicimila utenti hanno anche cliccato su “mi piace”. Non c’è modo di sapere quante persone abbiano invece creduto al video e all’apparente sostegno di Elon Musk e abbiano quindi affidato i propri soldi ai truffatori.

[Segnalo la scheda informativa “Deepfake - come proteggersi” del Garante per la protezione dei dati italiano]

Sono numeri che dimostrano chiaramente il potere di inganno dei deepfake generati usando l’intelligenza artificiale per far dire in video qualunque cosa a persone molto note e usarle come involontari testimonial che promovono truffe [un altro caso di deepfake truffaldino è qui]. Ma questa è la stessa tecnologia che consente a Harrison Ford di apparire realisticamente ringiovanito di quarant’anni nel film più recente della saga di Indiana Jones.

[Clip: Fanfara di Indiana Jones, dalla colonna sonora di Indiana Jones e il Quadrante del Destino]

Due settimane fa, nella puntata del 30 giugno, vi ho raccontato alcune storie di disastri e orrori resi possibili dall’uso e abuso dell’intelligenza artificiale e ho promesso che avrei presentato anche i lati positivi, e le nuove opportunità di lavoro, di questa tecnologia tanto discussa.

Benvenuti dunque alla puntata del 14 luglio 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Parole, parole, parole

Come tante altre tecnologie, anche l’intelligenza artificiale si presta a usi positivi e a usi negativi: dipende con che criterio la si adopera. L’esperto di intelligenza artificiale Stuart Russell, intervenuto pochi giorni fa al vertice “AI for Good” delle Nazioni Unite tenutosi a Ginevra, riassume questo criterio in un’intervista a Swissinfo con queste parole:

[CLIP: voce inglese, coperta da voce italiana che dice “Il modello di business non è 'posso risparmiare licenziando tutto il mio personale?' Il modello di business è che ora possiamo fare cose che prima non potevamo fare”]

Ne avete appena ascoltato un esempio concreto: con i metodi tradizionali e i tempi di produzione di un podcast come questo, scomodare uno speaker solo per fargli leggere in italiano le poche parole del professor Russell sarebbe stato un problema organizzativo e logistico ingestibile. Con l’intelligenza artificiale, invece, la voce può essere generata direttamente da me in una manciata di minuti usando un software come Speechify. Non è lavoro tolto a uno speaker professionista: è lavoro che uno speaker non avrebbe potuto fare e che permette di fare appunto una cosa che prima non si poteva fare: il cambio di voce permette di indicare chiaramente che si tratta di una citazione [le alternative sono cercare di far capire quando inizia e finisce la citazione usando il tono della voce, cosa che mi riesce malissimo, oppure ricorrere a formule poco eleganti come dire “inizio citazione” e “fine citazione”].

Fra l’altro, anche la voce inglese in sottofondo è generata [sempre con Speechify], eppure ha una cadenza molto naturale. Se non vi avessi detto che non è quella del professor Russell, avreste notato che era sintetica? Probabilmente no, e questo crea obblighi etici di trasparenza per chi usa queste voci giornalisticamente. Nulla di nuovo, in realtà, visto che da sempre nel giornalismo si usa far ridire da uno speaker le parole dette da una persona di cui si vuole proteggere l’identità, e si avvisa il pubblico di questo fatto. Tutto qui.

Un altro esempio di cosa che prima non si poteva fare arriva da Chequeado, che è un’organizzazione senza scopo di lucro che si impegna a contrastare la disinformazione nel mondo ispanofono. Ha creato un software di intelligenza artificiale che legge automaticamente quello che viene pubblicato nei social network, trova le notizie vere o false che si stanno diffondendo maggiormente e allerta i fact-checker, i verificatori umani, affinché possano controllarle. Questo permette alla redazione di Chequeado di concentrarsi sul lavoro di verifica e quindi di essere più efficiente e tempestiva nelle smentite delle notizie false. È un bell’esempio positivo, che si contrappone alle notizie di testate giornalistiche [CNET Money] che pubblicano articoli generati dall’intelligenza artificiale senza dirlo apertamente ai propri lettori e licenziano i redattori.

L’intelligenza artificiale offre anche un altro tipo di supporto positivo al giornalismo e a molti altri settori della comunicazione: la trascrizione automatica del parlato. Se frequentate YouTube, per esempio, avrete notato i sottotitoli generati automaticamente, a volte con risultati involontariamente comici. Ma ci sono software specialistici, come per esempio Whisper di OpenAI (la stessa azienda che ha creato ChatGPT), che sono in grado di trascrivere quasi perfettamente il parlato, e di farlo in moltissime lingue, con tanto di punteggiatura corretta e riconoscimento dei nomi propri e del contesto.

Invece di spendere ore a trascrivere manualmente un’intervista, chi fa giornalismo può affidare la prima stesura della trascrizione all’intelligenza artificiale e poi limitarsi a sistemarne i pochi errori [l’ho fatto proprio ieri per sbobinare un’intervista di ben 35 minuti di parlato che spero di poter pubblicare presto]. Gli atti dei convegni, che prima richiedevano mesi o spesso non esistevano affatto perché erano un costo insostenibile, ora sono molto più fattibili. Milioni di ore di interviste e di parlato di programmi radiofonici e televisivi storici oggi sono recuperabili dall’oblio, e una volta che ne esiste una trascrizione diventano consultabili tramite ricerca di testo, e diventano accessibili anche a chi ha difficoltà di udito, tanto che a New York un’emittente pubblica, WNYC, ha creato un prototipo di radio per i sordi, in cui le dirette radiofoniche vengono trascritte in tempo reale dal software addestrato appositamente. Tutte “cose che prima non si potevano fare”, per citare di nuovo il criterio del professor Russell, o che si potevano fare solo con costi spesso insostenibili.

E poi c’è tutto il mondo della traduzione e della programmazione. Software di intelligenza artificiale specializzati, come Trados o DeepL o Github Copilot, non sostituiscono la persona competente che traduce o scrive codice, ma la assistono nella parte tediosa e meccanica del lavoro, per esempio proponendo frasi o funzioni già incontrate in passato o segnalando potenziali errori di sintassi, grammatica e coerenza. Ma la decisione e il controllo finale devono restare saldamente nelle mani della persona esperta, altrimenti l’errore di programmazione imbarazzante sarà inevitabile e la città di Brindisi rischierà di diventare Toast, come è successo sul sito della recente campagna Open to Meraviglia del Ministero del Turismo italiano.

Produttività e accessibilità

Google ha presentato pochi giorni fa uno studio sull’impatto economico dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. È dedicato al Regno Unito, ma contiene alcuni princìpi applicabili a qualunque economia di dimensioni analoghe.

  • Il primo principio è che l’uso dell’intelligenza artificiale può far risparmiare oltre 100 ore di lavoro ogni anno al lavoratore medio, e questo costituirebbe il maggior aumento di produttività da quando fu introdotta la ricerca in Google.

  • Il secondo principio è che l’intelligenza artificiale può far risparmiare a medici e docenti oltre 700.000 ore l’anno di tedioso lavoro amministrativo in un’economia come quella britannica. Anche cose a prima vista banali, come la composizione di una dettagliata mail di richiesta di rimborso, portano via tempo e risorse mentali, se bisogna farle tante volte al giorno, e strumenti come Workspace Labs di Google permettono di offrire assistenza in questi compiti.

  • Il terzo principio, forse il più significativo, è che questa tecnologia, se usata in forma assistiva, permetterebbe a oltre un milione di persone con disabilità di lavorare, di riconquistare la propria indipendenza e di restare connesse al mondo che le circonda.

L’intelligenza artificiale consente anche di analizzare ed elaborare enormi quantità di dati riguardanti la protezione dell’ambiente, che sarebbero altrimenti impossibili da acquisire e gestire. L’azienda britannica Greyparrot, per esempio, usa l’intelligenza artificiale per riconoscere in tempo reale i tipi di rifiuti conferiti in una cinquantina di siti di riciclaggio sparsi in tutta Europa, tracciando circa 32 miliardi di oggetti e usando questi dati per permettere alle pubbliche amministrazioni di sapere quali rifiuti sono più problematici e consentire alle aziende di migliorare l’impatto ambientale delle proprie confezioni.

Passando a esempi più frivoli ma comunque utili a modo loro, l’intelligenza artificiale è uno strumento potente, e anche divertente, contro la piaga delle telefonate indesiderate di telemarketing e dei truffatori. La Jolly Roger Telephone Company è una piccola ditta californiana che permette ai suoi utenti di rispondere automaticamente a queste chiamate con voci sintetiche, pilotate da ChatGPT [CLIP in sottofondo: chiamata fra truffatore che crede di parlare con una persona anziana con difficoltà di attenzione e paranoia e per un quarto d’ora cerca di farsi dare i dati della sua carta di credito]. Tengono impegnati i televenditori e gli imbroglioni con conversazioni molto realistiche e basate sul contesto, rispondendo a tono ma senza mai dare informazioni personali.

Per un paio di dollari al mese, argomenta il creatore del servizio, Roger Anderson, si può impedire a questi scocciatori di importunare altre persone e colpire nel portafogli i criminali che tentano truffe e le aziende che fanno telemarketing spietato, e come bonus si ottengono registrazioni esilaranti delle chiamate, che rivelano chiaramente che spesso chi chiama crede di parlare con una persona vulnerabile e la tratta come un pollo da spennare senza pietà. Lo so, prima o poi anche chi fa truffe e vendite telefoniche si armerà di queste voci sintetiche, e a quel punto il cerchio si chiuderà.

Google, invece, ha presentato la funzione Try On, che permette a una persona di provare virtualmente un capo di vestiario visto online: parte da una singola immagine del capo e la manipola con un modello basato sull’intelligenza artificiale per applicarla a un corpo virtuale simile a quello dell’utente, mostrando fedelmente come l’indumento cade, si piega e aderisce al corpo. In questo modo permette di ridurre i dubbi e le incertezze tipiche di quando si compra vestiario online.

L’intelligenza artificiale, insomma, è utile quando non viene usata come sostituto delle persone, ma lavora come assistente di quelle persone per potenziarle, e va adoperata in modo consapevole, senza considerarla una divinità infallibile alla quale prostrarsi, come propongono per esempio -- non si sa quanto seriamente -- gli artisti del collettivo Theta Noir o vari altri gruppi di tecnomisticismo online.

Ma misticismi salvifici a parte, c’è un problema molto concreto che mina alla base tutte queste promesse dell’intelligenza artificiale.

La spada di Damocle

Ai primi di luglio l’attrice comica e scrittrice statunitense Sarah Silverman, insieme ad altri due autori, ha avviato una class action contro OpenAI e Meta, argomentando che i loro servizi di intelligenza artificiale violano il copyright a un livello molto fondamentale, perché includono tutto il testo dei libri di questi autori e dell’attrice, e di circa 290.000 altri libri, senza aver pagato diritti e senza autorizzazione.

Questi servizi si basano sulla lettura ed elaborazione di enormi quantità di testi di vario genere. OpenAI e Meta non hanno reso pubblico l’elenco completo dei testi usati, ma gli autori hanno notato che ChatGPT è in grado di riassumere il contenuto di molti libri con notevole precisione e quindi questo vuol dire che li ha letti. Il problema è che secondo l’accusa li ha letti prendendoli da archivi piratati. In parole povere, queste aziende starebbero realizzando un prodotto da vendere usando il lavoro intellettuale altrui senza averlo pagato [BBC; Ars Technica].

La presenza di opere protette dal copyright all’interno dei software di intelligenza artificiale sembra confermata anche da un’altra osservazione piuttosto tecnica. Molto spesso si pensa che i generatori di immagini sintetiche, come DALL-E 2 o Stable Diffusion, creino immagini originali ispirandosi allo stile delle tante immagini che hanno acquisito, ma senza copiarle pari pari: nella loro acquisizione avrebbero per così dire riassunto l’essenza di ciascuna immagine, un po’ come un artista umano si ispira legittimamente a tutte le immagini che ha visto nel corso della propria vita senza necessariamente copiarle.

Ma un recente articolo scientifico intitolato Extracting Training Data from Diffusion Models, dimostra che in realtà è possibile riestrarre quasi perfettamente le immagini originali da questi software. Questo significa che se un generatore è stato addestrato usando immagini di persone, magari di tipo medico o comunque personale o privato, è possibile recuperare quelle immagini, violando la privacy e il diritto d’autore [Quintarellli.it].

I ricercatori sottolineano che il problema riguarda uno specifico tipo di generatore, quello basato sul principio chiamato diffusion, che è il più popolare ed efficace; altri tipi [i GAN, per esempio] non hanno questa caratteristica. Se il fenomeno fosse confermato, la scala della violazione del copyright da parte delle intelligenze artificiali sarebbe colossale e porrebbe un freno drastico al loro sviluppo esplosivo commerciale. Per ora, però, questo sviluppo continua, e al galoppo: Elon Musk ha appena annunciato x.AI, una nuova azienda di intelligenza artificiale il cui obiettivo leggermente ambizioso è (cito) “comprendere la vera natura dell’universo”.

La questione di dove ci sta portando questo sviluppo poggia insomma su due pilastri: uno è il modo in cui scegliamo di usare queste intelligenze artificiali, per fornire nuove opportunità creative e di lavoro o per sopprimerle; e l’altro è il modo in cui vengono generate queste intelligenze, usando dati pubblicamente disponibili e non privati oppure attingendo ad archivi di provenienza illegittima stracolmi di informazioni sensibili. Forse, prima di tentare di comprendere la vera natura dell’universo, dovremmo concentrarci su questi concetti più semplici.

2023/07/12

Lo “svapo” usa e getta butta in discarica l’equivalente di 1200 batterie di auto elettriche ogni anno nel Regno Unito

Le sigarette elettroniche usa e getta contengono una batteria al litio, che in teoria sarebbe ricaricabile ma viene invece buttata via quando si scarica. Il litio che finisce così in discarica in un anno nel Regno Unito equivale a quello necessario per fabbricare circa 1200 batterie per auto elettriche, secondo i dati del Bureau of Investigative Journalism. Oltre allo spreco demenziale c’è anche il rischio di incendi quando le batterie vengono schiacciate dai veicoli di trasporto dei rifiuti.

SpaceX ha riutilizzato lo stesso stadio 16 volte e ambisce a 20

Il primo stadio numero B1058 della flotta di lanciatori orbitali Falcon 9 di SpaceX ha completato il sedicesimo volo spaziale, stabilendo un nuovo primato di riutilizzi di un singolo esemplare della flotta.

SpaceX aveva previsto inizialmente che un primo stadio potesse effettuare 10 voli, ma poi ha portato questa previsione a 15 e ora ha avviato il procedimento di certificazione dei primi stadi per un massimo di 20 lanci.

Considerato che fino a pochi anni fa l’idea stessa di riutilizzare un primo stadio facendolo atterrare verticalmente era considerata pura follia, è un risultato davvero notevole. Più sale il numero dei lanci effettuabili con un esemplare, più scende il costo operativo per ogni lancio. 

Il record assoluto di riutilizzi resta comunque saldamente in mano allo Shuttle Discovery, che raggiunse l’orbita terrestre 39 volte fra il 1984 e il 2011.


Threads supera i 100 milioni di iscritti in 5 giorni. Intanto Twitter perde traffico

Mark Zuckerberg ha annunciato che Threads ha superato il traguardo dei 100 milioni di iscritti, superando così anche il record storico di velocità di crescita di un servizio online (nel senso del tempo richiesto per arrivare a 100 milioni di utenti), che finora spettava a ChatGPT.

Twitter, invece, nei primi due giorni di disponibilità al pubblico di Threads ha perso il 5% di traffico rispetto agli stessi giorni della settimana precedente e l’11% rispetto a un anno fa.

2023/07/09

macOS Ventura, come installare da fonti qualsiasi (con molta cautela)

Chi usa macOS Ventura avrà notato che dalle opzioni di sicurezza è scomparsa quella che consentiva di installare senza ulteriori domande software da qualunque fonte oltre che dall’App Store e dagli sviluppatori identificati. È una misura di sicurezza che serve a proteggere gli utenti maldestri o poco esperti e rendere difficile per loro installare app pericolose o infette.

Per aggirare questa misura si può fare clic destro e scegliere Apri... durante ciascuna installazione, ma se per caso vi serve aggirarla ripetutamente, si può riabilitare l’opzione di installare da qualunque fonte come segue (fatelo solo se sapete esattamente cosa state facendo e quali sono le possibili conseguenze di questa scelta):

  • Chiudete le Preferenze di Sistema (System Settings), se le avete aperte
  • In Terminale, digitate sudo spctl --master-disable
  • Ovviamente vi verrà chiesta la password di amministratore
  • Riaprite System Settings. Non occorre riavviare
  • Se volete ripristinare, digitate sudo spctl --master-enable

Il mio primo TEDTalk sarà a Corropoli, in Abruzzo, il 22 luglio

Il 22 luglio alle 16 sarò ospite del TEDxToranoNuovo, al Palazzo Ducale Della Montagnola di Corropoli, in Abruzzo, per parlare di fake news pilotate con l’intelligenza artificiale. Insieme a me parleranno Manuel Salvadori (biohacker), Noemi Tarantini (content creator e podcaster dell’arte), Marco Ferrante (chimico, Data Scientist e fondatore di Trace Technologies), Stefania Federico (emotional coach), Francesco Salese (geologo planetario), Chiara De Iulis Pepe (imprenditrice) e NOVA (fumettista): le loro bio sono qui.

È la prima volta che partecipo a un evento TED e sono molto curioso di provare questo format. Tutte le informazioni su come raggiungere il luogo dell’evento e partecipare sono sul sito www.tedxtoranonuovo.it.

Prevengo una domanda inevitabile: sì, la Dama del Maniero ed io raggiungeremo Torano Nuovo e Corropoli in auto elettrica, nonostante gli scenari apocalittici presentati da Piazzapulita e altri fantasisti dell’informazione. Dal Maniero sono circa 620 km; partiremo con il “pieno”, fatto comodamente a casa durante la notte, e contiamo di arrivare a Modena per l’ora di pranzo (263 km) e ricaricare mentre pranziamo. Prevediamo di fare una seconda tappa di ricarica dopo un paio d’ore di guida, al Supercharger di Fano (208 km) o a quello di Porto Sant’Elpidio (303 km), per arrivare da lì a destinazione (160 o 60 km, rispettivamente), dove ci aspetta una comoda colonnina di ricarica presso l’azienda vinicola Emidio Pepe. Al ritorno faremo probabilmente lo stesso in senso inverso.

In ogni caso, lungo il percorso abbiamo varie altre opzioni di ricarica rapida (i Supercharger di Bologna, Forlì o Rimini); ci sono colonnine veloci di altri operatori in molti punti lungo l’autostrada, ma abbiamo ancora 8000 km di ricarica gratuita sulla rete Tesla e dobbiamo smaltirli entro marzo 2024, per cui cercheremo di usare i Supercharger nonostante siano fuori dai caselli autostradali invece che nelle aree di sosta in autostrada.

Sul Corriere del Ticino ho parlato di annunci di lavoro online; a Teleticino ho parlato di Threads

Il 5 luglio scorso sono stato intervistato da Sara Fantoni del Corriere del Ticino a proposito degli annunci di lavoro online, per aiutare a capire come distinguere quelli sinceri dalle truffe. L’articolo è disponibile qui.

Il 6 luglio sono stato ospite di Teleticino in collegamento, per parlare del nuovo social network Threads di Meta (da 6m50s): Video.

Si può di nuovo riattivare la vecchia versione di Tweetdeck. Per ora

La confusione regna sovrana su Twitter. Qualche giorno fa (4 luglio) avevo scritto che gli utenti erano stati costretti a passare alla nuova versione di Tweetdeck ed era sparita l’opzione di tornare alla versione vecchia (quella che funzionava bene e aveva più funzioni). 

Ora è tornata l’opzione, segnala The Verge. Le mie istruzioni sono qui

Non so per quanto durerà, e comunque Tweetdeck dovrebbe diventare a pagamento entro un mesetto. 

Ordine più contrordine uguale disordine.

2023/07/06

Podcast RSI - Threads, le cose da sapere e da evitare

logo del Disinformatico

Pubblicazione iniziale: 2023/07/06 23:02. Ultimo aggiornamento: 2023/07/10 9:30.

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: “Round one… Fight!” da Mortal Kombat]

Threads, la nuova app di Meta che sembra voler competere con Twitter, è stata rilasciata due giorni fa [il 5 luglio] in 100 paesi e sta già accumulando milioni di utenti [la presentazione formale di Meta è qui]. Tutti ne parlano, nonostante il fatto che in Europa non sia disponibile, e molti europei la vogliono lo stesso, un po’ per curiosità, un po’ per vanteria e un po’ per non sentirsi tagliati fuori da una nuova conversazione globale. E si parla tanto di Threads perché rappresenta un’altra tappa della rivalità diretta fra due fantastiliardari, Mark Zuckerberg e Elon Musk, che sono arrivati addirittura a proporre -- non si sa quanto seriamente -- un incontro personale di lotta corpo a corpo in un evento pubblico.

Se Threads vi incuriosisce e siete tentati di procurarvi un account per vie traverse, aspettate un momento. Ci sono parecchie cose importanti da sapere prima di lanciarsi nell’impresa, per evitare rischi e disastri. E se anche Threads non vi dovesse interessare, questa app è legata a un concetto informatico importante da conoscere, perché se prenderà piede cambierà radicalmente il modo in cui usiamo Internet.

Benvenuti alla puntata del 7 luglio 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Cos’è Threads

Threads è un nuovo social network basato sulla pubblicazione e condivisione di brevi testi, eventualmente accompagnati da un’immagine o da un video. È insomma molto simile a Twitter ed è il contrario di Instagram o TikTok, dove l’immagine è al centro e il testo è secondario. A differenza di Instagram consente link a fonti esterne. È gestito da Meta, l’azienda di Mark Zuckerberg che già gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp. Già nelle prime ore dopo il suo debutto in oltre 100 paesi ha raccolto oltre 10 milioni di utenti [saliti a 30 milioni nelle prime 24 ore e 70 milioni entro i primi due giorni, dice Zuckerberg; 100 milioni nella prima settimana, secondo Threads Tracker].

Questa crescita esplosiva è facilitata dal fatto che chi ha un account Instagram ha automaticamente già un account Threads riservato con il suo nome, che può scegliere di attivare, e l’accesso a questo account avviene tramite il suo account Instagram. Questo vuol dire che oltre un miliardo di persone nel mondo ha già tutto quello che serve per entrare in Threads, senza dover creare nuovi login, nomi utente o password. L’utente Instagram @pierabernasconi, per esempio, su Threads è automaticamente @pierabernasconi e i suoi post pubblici sono leggibili a tutti presso www.threads.net/@pierabernasconi.

[Per esempio, Mark Zuckerberg su Threads è presso www.threads.net/@zuck e io sono presso www.threads.net/@disinformatico]

Lo scopo dichiarato di Threads è rimpiazzare Twitter, che per anni è stato un punto di riferimento fondamentale per avere notizie di qualunque genere in tempo reale, ma è ora in serie difficoltà [che ho descritto in dettaglio qui] da quando è stato acquistato da Elon Musk: i ricavi pubblicitari sono crollati, gli inserzionisti sono più che dimezzati, la campagna di abbonamenti a pagamento annaspa, molti account di alto profilo sono stati chiusi e Musk proprio pochi giorni fa ha addirittura limitato il numero di tweet visibili agli utenti per bloccare, a suo dire, un eccesso di traffico prodotto da aziende che si stavano copiando tutti i tweet per addestrare le loro intelligenze artificiali [Techdirt.com]. Questo limite rende Twitter quasi inutilizzabile per gli utenti non paganti e scoraggia ulteriormente gli inserzionisti, che difficilmente pagheranno per pubblicità che gli utenti non possono vedere. Threads, invece, è gratuito, perlomeno in termini monetari.

Zuckerberg ha lanciato la sfida a Elon Musk molto apertamente, anticipando il debutto di Threads per sfruttare al massimo il momento di particolare debolezza di Twitter e dichiarando in un post su Threads che secondo lui ci dovrebbe essere un’app che consenta il dialogo collettivo di oltre un miliardo di persone e che “Twitter ha avuto l’opportunità di farlo ma non ce l’ha fatta, Noi speriamo di farcela” (ha detto proprio così). E i numeri sono a favore di Threads, perché avendo una base di oltre un miliardo di utenti già pronta grazie a Instagram, basta che un utente Instagram su dieci attivi Threads per creare un mercato di cento milioni di utenti, capace di competere significativamente con Twitter, che ne conta circa trecento milioni [quasi 238 milioni di “utenti giornalieri attivi monetizzabili”, secondo i dati di Twitter risalenti al suo ultimo resoconto pubblico di quasi un anno fa].

[CLIP: “Finish him!” da Mortal Kombat]

[La fretta di far debuttare il prodotto è forse il motivo per cui non c’è in Threads un feed dedicato per vedere solo il contenuto pubblicato da chi si segue (come nei Seguiti su Instagram) ma c'è solo un unico flusso che mescola post suggeriti e post seguiti, creando un fastidioso rumore di fondo. O forse è intenzionale]

Mark Zuckerberg, insomma, sembra aver trovato la maniera di risolvere il problema tipico di ogni nuovo social network: la cosiddetta massa critica. Normalmente nessuno si iscrive perché non c’è nessuno da seguire o con cui comunicare, e non c’è nessuno da seguire o con cui comunicare perché nessuno si iscrive, e tutti così se ne stanno invece nei social network preesistenti, perché lì ci sono già tutti i loro amici. Per questo WhatsApp predomina e alternative come Clubhouse, Mastodon e Telegram restano piccole e crescono molto lentamente. Con Threads, invece, un miliardo di utenti e passa è già potenzialmente iscritto e pronto a migrare in massa con tutti i propri amici, mantenendo lo stesso nome utente. E fra l’altro i post di Threads sono leggibili anche a chi non è iscritto, senza nessuna delle limitazioni, per esempio, di Twitter. 

[Shakira, per esempio, ha già due milioni di follower su Threads]

[CLIP: “Flawless victory!” da Mortal Kombat]

Ma Zuckerberg e Meta si sono trovati davanti un ostacolo formidabile: l’Unione Europea.

Il baluardo Europa

Threads, infatti, al momento non è disponibile nei paesi europei, Svizzera compresa, perché raccoglie una quantità spropositata di dati personali, incompatibile con le norme europee sulla privacy, e la combina inaccettabilmente con i tanti dati già raccolti da WhatsApp, Facebook e Instagram: dati sanitari, finanziari, cronologie di navigazione, geolocalizzazione, acquisti, contatti e tante altre informazioni sensibili. L’elenco completo, disponibile per esempio sull’App Store statunitense [o qui su The Register], è impressionante.

L’elenco completo dei dati raccolti da Threads, secondo le informazioni pubblicate nell’App Store di Apple in USA (fonte: The Register). Sì, è chilometrico e ho scelto di pubblicarlo tutto e in grande per sottolinearne la vastità.

Per fare un paragone, Mastodon invece non raccoglie nulla.

Meta, oltretutto, è già finita nei guai per il modo in cui ha trattato i dati degli utenti. A maggio scorso ha subìto una sanzione record di 1,2 miliardi di euro per il trasferimento irregolare di dati verso gli Stati Uniti e a settembre 2022 è stata condannata a pagare oltre 400 milioni di euro per le sue violazioni dei diritti di privacy dei bambini. Anche Twitter ha ricevuto sanzioni pesanti per la sua gestione dei dati personali.

Quindi se state pensando di attivare Threads, magari eludendo il blocco geografico usando una VPN e un account non europeo, pensateci due volte, anche se credete di non avere niente da nascondere (in realtà, come si dice spesso, tutti abbiamo qualcosa da proteggere, non necessariamente da nascondere). Threads è davvero ficcanaso, e da alcune indicazioni sembra che una volta attivato non possa essere disattivato [più precisamente eliminato] senza perdere anche l’account Instagram collegato.

[Adam Mosseri, CEO di Instagram, scrive che l’account Threads per ora non si può eliminare ma si può disattivare, nascondendo così il profilo e i contenuti di Threads, si può impostare a privato il proprio profilo e si possono cancellare i singoli post su Threads]

Fate attenzione anche alle app o APK offerte da sedicenti amici o da siti non ufficiali, che potrebbero essere delle trappole infette, e fate attenzione alle app omonime che sono nate subito per approfittare della popolarità di Threads.

L’esclusione europea di Threads non include il Regno Unito, che dopo la Brexit sta introducendo regole di protezione dei dati personali molto più favorevoli alle aziende che vivono di questi dati, come Meta. Non si sa ancora, al momento, se Meta adeguerà Threads per rispettare le norme europee e conquistare così l’accesso a un mercato particolarmente vasto, abbiente e quindi appetibile.

Twitter, però, non è l’unico avversario sfidato da Threads.

Fediverso, decentralizzazione e interoperabilità

[CLIP: “Round Two… Fight!” da Mortal Kombat]

Nel mirino di Threads ci sono infatti anche le altre piattaforme social basate sul testo, come Mastodon, Bluesky, T2 e altre ancora, che hanno raccolto molti utenti fuggiti da Twitter. Una delle risorse che Threads metterà in campo per battere queste alternative è la semplice massa dei suoi utenti: se centinaia di milioni di persone adotteranno Threads, queste alternative smetteranno di crescere e resteranno delle nicchie meno allettanti.

L’altra risorsa, invece, è più sottile e complessa, ma è importante conoscerla anche se non vi importa nulla di Twitter o Threads, perché potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui noi tutti usiamo Internet. Questa risorsa si chiama ActivityPub, e in gergo tecnico è un protocollo aperto di interoperabilità social. Tradotto in parole umanamente comprensibili, vuol dire che Threads userà uno standard aperto per lo scambio di dati fra i vari social network.

Per noi utenti, questo ha un’importanza enorme: vuol dire che potremo comunicare con gli utenti di Threads e seguirli anche senza iscriverci a Threads e quindi senza dover cedere montagne di dati personali. L’ipotetica utente di Threads @pierabernasconi sarà raggiungibile da un utente Mastodon semplicemente cercandola in Mastodon come @pierabernasconi@threads.net. Non sarà neanche necessario installare l’app ufficiale: si potrà usare qualunque app compatibile con questo protocollo. Non solo: se per qualunque motivo ci dovessimo stancare di Threads, potremo trasferire facilmente tutti i nostri dati e contatti altrove [perlomeno se Threads seguirà l’esempio di Mastodon e anche di Instagram].

L’idea non è nuova: la decentralizzazione viene già adottata da social network come Mastodon, Medium, Flipboard e Bluesky. E se ci si pensa un momento, è quello che fa da sempre la mail. Ed è un’idea che abbatte i giardini cintati, o se volete i ghetti, nei quali ci siamo abituati a stare: oggi se vuoi comunicare con qualcuno su Twitter devi iscriverti a Twitter, se vuoi dialogare con un utente su Instagram devi avere Instagram, per Facebook devi stare in Facebook, e così via, con tutte le scomodità e i tracciamenti pubblicitari multipli che tutto questo comporta.

Con un social network basato su un protocollo aperto, invece, tutti possono parlare con tutti, esattamente come un utente di Gmail può scambiare mail con una utente di BlueWin, Libero, Protonmail, Yahoo, Microsoft o Apple, e tutti possono seguire tutti. Lo standard aperto consente ai servizi di competere sulla qualità invece di intrappolare gli utenti, creando quello che viene chiamato fediverso: un universo di servizi distinti ma federati, dove ognuno può scegliere quello che gli calza meglio senza rinunciare a nulla o sacrificare informazioni personali.

È importante sottolineare, però, che tutto questo è previsto per il futuro: in questo momento Threads non supporta affatto il protocollo aperto ActivityPub e Meta ha soltanto annunciato che intende “lavorare per rendere Threads compatibile” con questo standard, per cui Threads per ora è un giardino cintato come tutti gli altri. Ma già il fatto di aver annunciato questa intenzione è una novità importante per il futuro di Internet, perché è un primo passo verso la riduzione del potere accentrante delle grandi aziende. Al tempo stesso, preoccupa gli altri social network basati sullo standard aperto, perché temono di essere fagocitati dall’enorme massa degli utenti provenienti da Instagram attraverso Threads. 

[Eugen Rochko, CEO e fondatore di Mastodon, ha pubblicato un suo parere tecnico dettagliato su Threads e la sua annunciata adozione di ActivityPub, che risponde in modo chiaro a molti dei dubbi più ricorrenti]

Lo scontro corpo a corpo fra Elon Musk e Mark Zuckerberg è probabilmente solo una boutade di infantilismo alimentato dai troppi gigadollari, ma il combattimento reale fra i due si sta già svolgendo online. Musk ha scritto scherzosamente che la sua mossa segreta è il “Tricheco”, in cui lui semplicemente si sdraia sull’avversario e non fa nulla, ma in questo caso la massa maggiore e schiacciante – in termini di utenti – ce l’ha Zuckerberg. Staremo a vedere. 

[Dopo la chiusura del podcast, Twitter ha mandato a Meta una comunicazione legale nella quale minaccia di citarla in giudizio, asserendo che Meta ha assunto ex dipendenti di Twitter per sviluppare Threads. Il direttore delle comunicazioni di Meta, Andy Stone, ha detto che nessuno dei tecnici che lavora a Threads è un ex dipendente di Twitter. La comunicazione di Twitter parla di “appropriazione scorretta sistematica, intenzionale e illegale dei segreti commerciali di Twitter e di altre sue proprietà intellettuali” (Dexerto.com; CNBC). Il corpo a corpo online si fa serio]

Fonti aggiuntive: Ars Technica, BBC.

2023/07/04

(AGG 2023/07/05 16:15) Twitterremoto, nona puntata: il caos delle limitazioni di lettura e Tweetdeck “anteprima” imposto a tutti e tra poco riservato ai paganti. E arriva Threads

Pubblicazione iniziale: 2023/07/04 11:26. Ultimo aggiornamento: 2023/07/05 16:15.

Sembra proprio che Elon Musk stia facendo tutto quello che può per affossare definitivamente Twitter. Durante il fine settimana ha annunciato (via Twitter, ovviamente) una “azione drastica e immediata” per reagire a quelli che ha definito “livelli ESTREMI di data scraping”. A suo dire, le aziende che si occupano di intelligenza artificiale stavano facendo scansioni pesanti di tutti i tweet pubblicati (data scraping) per alimentare i propri software, e questo stava obbligando Twitter a mettere online ulteriori server per gestire questo traffico, con i costi che ne conseguivano.

Nell’ambito di questa azione, l’1 luglio scorso ha imposto dei limiti temporanei di lettura a tutti gli utenti: 6000 post al giorno per gli utenti “verificati”, 600 post per quelli non verificati e 300 post per quelli non verificati e nuovi. Poco dopo ha portato questi limiti a 10.000, 1000 e 500. Il risultato è che da tre giorni, ormai, Twitter è praticamente inservibile.

Impedire agli utenti di leggere più di tanto il proprio social network pare una mossa suicida: è come vendere un giornale vietando però di leggerne più di quattro pagine al giorno. Gli inserzionisti pubblicitari, ovviamente, ne risentono, perché gli utenti che raggiungono il limite di tweet letti (cosa che succede facilmente) non possono vedere nulla, quindi neanche le pubblicità, e così Twitter diventa ancora meno interessante come spazio pubblicitario (già non è appetibile per via del caos e dell’aumentato odio online; le vendite di inserzioni sono scese del 59% rispetto a un anno fa). Il limite, oltretutto, impedisce anche agli utenti di ricevere le notifiche dei servizi di emergenza e ai giornalisti di leggere le notizie via Twitter. 

Un autogol enorme, insomma.

Un altro effetto di questa decisione di Musk è che Google ha rimosso il 52% dei link a Twitter, da 471 milioni di URL a 227, visto che i contenuti sono diventati inaccessibili. E se non sei su Google, non sei nessuno.

Inoltre ora per vedere un tweet o un profilo Twitter è necessario avere un account Twitter e avervi fatto login. Prima i tweet erano visibili a tutti.

2023/07/05 16:15. Sembra che l’obbligo di login stia scomparendo, secondo varie segnalazioni (Engadget).

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Tutte queste limitazioni possono anche essere viste come l’ennesimo tentativo di Musk di convincere gli utenti a passare alla versione a pagamento di Twitter. Infatti diecimila tweet al giorno (il limite per gli utenti “verificati”, ossia paganti) sono un limite ragionevole; mille no.

C’è anche un’altra ipotesi: la mossa sarebbe dettata da problemi finanziari e tentativi di ridurre i costi. Sono molte le bollette non pagate da Twitter per servizi erogatigli da vari fornitori in tutto il mondo. Per esempio, sembra che Twitter abbia rifiutato di pagare la fattura per i servizi di Google Cloud e rinviato i pagamenti ad Amazon Web Services, per poi riprendere i pagamenti a Google.

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Un altro effetto di queste decisioni di Elon Musk è che Tweetdeck, l’applicazione per power user di Twitter, ha sostanzialmente smesso di funzionare (tutte le colonne diverse dalla Home davano solo un’icona di attesa di caricamento). La versione legacy è ora irraggiungibile (il trucchetto che avevo descritto a febbraio 2023 non funziona più) e al suo posto viene presentata la nuova versione, che è ufficiale ma è ancora etichettata “Anteprima” e va sostanzialmente riconfigurata da capo, con una perdita di tempo inutile e impostazioni demenziali. 

Per esempio, la cosa che mi interessa di più, ossia i tweet degli account che seguo, non c’è di default: bisogna aggiungere manualmente una colonna e scegliere Cronologia principale, che è descritta come Vedi prima i Tweet suggeriti, ma non è vero: non mostra i tweet suggeriti dall’algoritmo (il “Per te” dell’app Twitter standard), ma mostra i tweet degli account che ho deciso io di seguire. E comunque fra un mesetto Tweetdeck sarà disponibile soltanto agli utenti paganti (quelli che Twitter si ostina a chiamare “verificati” quando non lo sono).

Tweetdeck era una delle poche cose buone che rendeva sopportabile l’uso di questa piattaforma; niente pubblicità, tutto ben visibile e facilmente gestibile. Ora ho ancora meno motivi per passare tempo su Twitter. Se mi scrivete lì, probabilmente non vi leggerò o lo farò con molto ritardo. Ci vedremo su Mastodon o in questo blog. E forse, quando arriverà, anche su Threads (l’alternativa a Twitter di Meta, interoperabile con Mastodon). 

2023/07/04 13:50. Threads dovrebbe arrivare giovedì 6 luglio negli Stati Uniti e nel Regno Unito. È già prenotabile sull’App Store USA. Essendo un’app di Meta, la sua gratuità ha un costo in termini di privacy: conviene leggerne attentamente le condizioni supplementari e la privacy policy supplementare.

2023/07/05 8:25. Secondo Independent.ie, Threads per ora non verrà lanciato nell’Unione Europea, ma solo negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Lo ha dichiarato un portavoce della Commissione per la Protezione dei dati irlandese. Threads importa dati da Instagram, e nell’UE Meta ha il divieto di riunire i dati personali provenienti da WhatsApp, Facebook e Instagram a scopi pubblicitari. Le norme sulla privacy britanniche e statunitensi, più deboli, invece consentono questa fusione di dati sanitari, finanziari, cronologie di navigazione, geolocalizzazione, acquisti, contatti e altre informazioni sensibili. Threads è anche nel Play Store di Google e ha un sito informativo/promozionale, Threads.net.

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Fra le tante novità di Twitter, segnalo inoltre che ad aprile scorso è stata attivata anche la funzione di monetizzazione: un utente può pubblicare dei tweet che verranno mostrati soltanto agli altri utenti che gli pagano un abbonamento. Per il primo anno tutti gli incassi vanno all’utente; dopo Twitter si prenderà una percentuale.

A maggio, invece, Twitter ha abbandonato il codice di autoregolamentazione europeo sulla disinformazione. Ma le leggi europee rimangono valide, e se Twitter non lotta contro la disinformazione, a partire dal 25 agosto, quando entra in vigore la nuova normativa europea del settore, potrebbe essere bloccato in UE (BoingBoing; BBC).

 

Fonti aggiuntive: Ars Technica, The Register.

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