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2016/06/24
Quanto vale la geolocalizzazione? Abbastanza da rischiare un milione di dollari di multa
Molti utenti di Internet sottovalutano il valore dei dati che regalano ai fornitori di servizi, come per esempio la geolocalizzazione. A chi mai potrà interessare sapere dove mi trovo, visto che non sono una persona importante o speciale? Lo pensano in tanti. Eppure questi dati hanno un valore così alto che esistono società che rischiano multe milionarie pur di sfruttarli.
È quello che ha fatto la società di pubblicità per dispositivi mobili inMobi, che è stata multata dalla Federal Trade Commission statunitense per 4 milioni di dollari (poi ridotti, si fa per dire, a 950.000) perché è stata colta a pedinare segretamente circa cento milioni di utenti.
InMobi dichiarava che il suo software, incluso in moltissime app per Android e iOS per visualizzare pubblicità agli utenti, raccoglieva informazioni di geolocalizzazione soltanto se l’utente dava il permesso. In realtà il software utilizzava i segnali Wi-Fi per dedurre la localizzazione anche quando l’utente negava all’app il permesso di tracciarlo. In pratica, tramite il ricevitore Wi-Fi InMobi si faceva mandare i nomi delle reti Wi-Fi ricevibili dall’utente, li immetteva in un database di localizzazioni di queste reti e ne otteneva la localizzazione dell’utente. E lo faceva ogni trenta secondi circa quando l’app era in uso.
Questa geolocalizzazione aveva effetto anche sugli utenti minorenni, ai quali erano dedicate molte delle app che usavano il software pubblicitario di InMobi, violando quindi il Children's Online Privacy Protection Act statunitense.
Un motivo in più per spegnere il Wi-Fi dei dispositivi mobili quando non è indispensabile, insomma.
Fonti: QZ, Ars Technica.
È quello che ha fatto la società di pubblicità per dispositivi mobili inMobi, che è stata multata dalla Federal Trade Commission statunitense per 4 milioni di dollari (poi ridotti, si fa per dire, a 950.000) perché è stata colta a pedinare segretamente circa cento milioni di utenti.
InMobi dichiarava che il suo software, incluso in moltissime app per Android e iOS per visualizzare pubblicità agli utenti, raccoglieva informazioni di geolocalizzazione soltanto se l’utente dava il permesso. In realtà il software utilizzava i segnali Wi-Fi per dedurre la localizzazione anche quando l’utente negava all’app il permesso di tracciarlo. In pratica, tramite il ricevitore Wi-Fi InMobi si faceva mandare i nomi delle reti Wi-Fi ricevibili dall’utente, li immetteva in un database di localizzazioni di queste reti e ne otteneva la localizzazione dell’utente. E lo faceva ogni trenta secondi circa quando l’app era in uso.
Questa geolocalizzazione aveva effetto anche sugli utenti minorenni, ai quali erano dedicate molte delle app che usavano il software pubblicitario di InMobi, violando quindi il Children's Online Privacy Protection Act statunitense.
Un motivo in più per spegnere il Wi-Fi dei dispositivi mobili quando non è indispensabile, insomma.
Fonti: QZ, Ars Technica.
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