Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2019/01/29
Servi dello smartphone che ci doveva servire
Rispondete sinceramente: siamo noi che usiamo i nostri smartphone, o sono gli smartphone a usare noi? È la domanda proposta sul New York Times (copia su Archive.is) dal professore associato d’informatica Cal Newport, partendo dalla storica presentazione dell’iPhone da parte di Steve Jobs nell’ormai lontano 2007. L’iPhone non fu il primo smartphone in assoluto, ma fu il primo realmente utilizzabile dall’utente comune.
Rispetto alle intenzioni del visionario Jobs, però, le cose sono andate un po’ diversamente. Lo smartphone era stato concepito come assistente: oggi siamo noi, in molti casi, i servitori dello smartphone. Chiede costantemente la nostra attenzione, con le sue infinite notifiche e distrazioni, da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. I social network e le app di messaggistica esigono che rispondiamo immediatamente, mettiamo cuoricini, condividiamo l’ennesima indignazione collettiva con tutti i nostri amici.
Invece di migliorare le attività che ritenevamo importanti prima dell’avvento di questa tecnologia, spiega il professor Newport, lo smartphone ne ha create di nuove che reclamano il nostro tempo, spesso in modi progettati più per far diventare ricche delle aziende che per darci un reale beneficio.
Steve Jobs aveva immaginato il suo smartphone come un dispositivo per ascoltare musica, fare telefonate, avere indicazioni stradali e poco altro. Nel progetto iniziale dell’iPhone non esisteva neanche l’App Store, perché Jobs pensava che i creatori esterni di app non sarebbero stati in grado di fornire qualità, estetica e stabilità sufficienti. Era insomma uno strumento che decidevamo noi di usare quando serviva a noi, non un compagno costante, petulante e bisognoso di attenzioni continue da soddisfare subito.
Il professor Newport non propone soluzioni radicali, come per esempio tornare al telefonino classico o rinunciare del tutto alla comunicazione mobile, ma suggerisce un ridimensionamento minimalista dello smartphone che già abbiamo: togliere tutte le app che traggono denaro dalla nostra attenzione, come per esempio i giochi, le app dei social network e le app di notizie che ci riempiono lo schermo di notifiche.
Se non siamo giornalisti o operatori di borsa, essere informati minuto per minuto su quello che avviene nel mondo non ci serve. Le nostre amicizie, se sono vere, possono anche aspettare un pochino. Invece di dedicare attenzione a fotografare un momento magico, possiamo viverlo.
A livello professionale, spiega il professore, di solito possiamo anche evitare di avere la mail di lavoro sul telefonino. Certo, rispondere a qualche messaggio mentre siamo in giro è comodo, ma questa comodità diventa quasi sempre un’ossessione di controllare continuamente se ci sono nuovi messaggi.
Vale la pena di fare l’esperimento; non costa nulla. Se vi sembra una proposta esagerata, guardate la sezione Tempo di utilizzo del vostro iPhone, nelle Impostazioni, e notate quanto tempo avete già passato oggi a servire lo smartphone.
Il rischio, per così dire, è di ritrovarsi con un oggetto che corrisponde alla visione originale di Steve Jobs, che sostiene le nostre attività ma non le sovverte, efficientemente e con discrezione, che dura di più e interrompe di meno.
Rispetto alle intenzioni del visionario Jobs, però, le cose sono andate un po’ diversamente. Lo smartphone era stato concepito come assistente: oggi siamo noi, in molti casi, i servitori dello smartphone. Chiede costantemente la nostra attenzione, con le sue infinite notifiche e distrazioni, da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. I social network e le app di messaggistica esigono che rispondiamo immediatamente, mettiamo cuoricini, condividiamo l’ennesima indignazione collettiva con tutti i nostri amici.
Invece di migliorare le attività che ritenevamo importanti prima dell’avvento di questa tecnologia, spiega il professor Newport, lo smartphone ne ha create di nuove che reclamano il nostro tempo, spesso in modi progettati più per far diventare ricche delle aziende che per darci un reale beneficio.
Steve Jobs aveva immaginato il suo smartphone come un dispositivo per ascoltare musica, fare telefonate, avere indicazioni stradali e poco altro. Nel progetto iniziale dell’iPhone non esisteva neanche l’App Store, perché Jobs pensava che i creatori esterni di app non sarebbero stati in grado di fornire qualità, estetica e stabilità sufficienti. Era insomma uno strumento che decidevamo noi di usare quando serviva a noi, non un compagno costante, petulante e bisognoso di attenzioni continue da soddisfare subito.
Il professor Newport non propone soluzioni radicali, come per esempio tornare al telefonino classico o rinunciare del tutto alla comunicazione mobile, ma suggerisce un ridimensionamento minimalista dello smartphone che già abbiamo: togliere tutte le app che traggono denaro dalla nostra attenzione, come per esempio i giochi, le app dei social network e le app di notizie che ci riempiono lo schermo di notifiche.
Se non siamo giornalisti o operatori di borsa, essere informati minuto per minuto su quello che avviene nel mondo non ci serve. Le nostre amicizie, se sono vere, possono anche aspettare un pochino. Invece di dedicare attenzione a fotografare un momento magico, possiamo viverlo.
A livello professionale, spiega il professore, di solito possiamo anche evitare di avere la mail di lavoro sul telefonino. Certo, rispondere a qualche messaggio mentre siamo in giro è comodo, ma questa comodità diventa quasi sempre un’ossessione di controllare continuamente se ci sono nuovi messaggi.
Vale la pena di fare l’esperimento; non costa nulla. Se vi sembra una proposta esagerata, guardate la sezione Tempo di utilizzo del vostro iPhone, nelle Impostazioni, e notate quanto tempo avete già passato oggi a servire lo smartphone.
Il rischio, per così dire, è di ritrovarsi con un oggetto che corrisponde alla visione originale di Steve Jobs, che sostiene le nostre attività ma non le sovverte, efficientemente e con discrezione, che dura di più e interrompe di meno.
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