Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2019/04/12
Si può sbloccare un Samsung S10 con un dito stampato in 3D
Ormai il sensore d’impronta è presente su molti smartphone ed è considerato un sistema di protezione piuttosto efficace, anche se rimane valido il principio che un’impronta digitale, che ti porti in giro sempre, lasci in giro continuamente e non puoi cambiare più di dieci volte nella vita non è una password.
La corsa ai telefonini “tutto schermo”, tuttavia, rischia di compromettere l’efficacia di questo sistema. Infatti negli smartphone più recenti il sensore d’impronta viene collocato sotto lo schermo, in modo da non occupare spazio frontale e permettere allo schermo di occupare tutta la superficie del dispositivo.
Ma collocare il sensore dietro lo schermo significa rinunciare al funzionamento capacitivo, che è quello standard e ben collaudato di questi sensori, e adottare un sistema ultrasonico, come ha fatto per esempio Samsung con la gamma Galaxy S10 (a parte l’S10 Essential, che ha un sensore capacitivo sul bordo).
Il risultato di questa rinuncia è che il sensore può essere beffato usando semplicemente una copia dell’impronta generata con una stampante 3D.
Perlomeno questo è quello che dichiara un informatico che si fa chiamare Darkshark e che ha postato un video nel quale sblocca uno di questi telefonini usando una lamina di plastica sulla quale ha creato un’impronta del proprio dito, presa da un bicchiere scattandone una foto con un normale smartphone e poi usando Photoshop per aumentare il contrasto e il software 3DS Max 3D per generarne i rilievi tridimensionali. Una stampante 3D Anycubic Photon a resina, che costa circa 500 dollari, ha poi stampato la lamina con la finta impronta. Tempo necessario: meno di quindici minuti.
Questa tecnica funziona solo con i sensori ultrasonici, perché quelli capacitivi tradizionali si accorgerebbero della falsa impronta per via della sua resistenza elettrica differente rispetto a quella della pelle.
Dato che molte app che maneggiano soldi (da PayPal alle app delle banche alle app di micropagamento) oggi si basano sul sensore d’impronta, è importante conoscere queste limitazioni dei nuovi sensori ultrasonici ed eventualmente adottare una seconda forma di protezione (per esempio un PIN). O comperare un telefonino che invece di pensare all’estetica a qualunque costo offre una soluzione più semplice: mettere un sensore tradizionale sul retro.
Fonti: Naked Security, Graham Cluley.
La corsa ai telefonini “tutto schermo”, tuttavia, rischia di compromettere l’efficacia di questo sistema. Infatti negli smartphone più recenti il sensore d’impronta viene collocato sotto lo schermo, in modo da non occupare spazio frontale e permettere allo schermo di occupare tutta la superficie del dispositivo.
Ma collocare il sensore dietro lo schermo significa rinunciare al funzionamento capacitivo, che è quello standard e ben collaudato di questi sensori, e adottare un sistema ultrasonico, come ha fatto per esempio Samsung con la gamma Galaxy S10 (a parte l’S10 Essential, che ha un sensore capacitivo sul bordo).
Il risultato di questa rinuncia è che il sensore può essere beffato usando semplicemente una copia dell’impronta generata con una stampante 3D.
Perlomeno questo è quello che dichiara un informatico che si fa chiamare Darkshark e che ha postato un video nel quale sblocca uno di questi telefonini usando una lamina di plastica sulla quale ha creato un’impronta del proprio dito, presa da un bicchiere scattandone una foto con un normale smartphone e poi usando Photoshop per aumentare il contrasto e il software 3DS Max 3D per generarne i rilievi tridimensionali. Una stampante 3D Anycubic Photon a resina, che costa circa 500 dollari, ha poi stampato la lamina con la finta impronta. Tempo necessario: meno di quindici minuti.
Questa tecnica funziona solo con i sensori ultrasonici, perché quelli capacitivi tradizionali si accorgerebbero della falsa impronta per via della sua resistenza elettrica differente rispetto a quella della pelle.
Dato che molte app che maneggiano soldi (da PayPal alle app delle banche alle app di micropagamento) oggi si basano sul sensore d’impronta, è importante conoscere queste limitazioni dei nuovi sensori ultrasonici ed eventualmente adottare una seconda forma di protezione (per esempio un PIN). O comperare un telefonino che invece di pensare all’estetica a qualunque costo offre una soluzione più semplice: mettere un sensore tradizionale sul retro.
Fonti: Naked Security, Graham Cluley.
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