Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2019/05/07
Cina, il Grande Fratello ti osserva e lascia in giro i tuoi dati
Questo articolo è il testo del mio podcast settimanale La Rete in tre minuti su @RadioInblu, in onda ogni martedì alle 9:03 e alle 17:03. L’audio del podcast è ascoltabile qui su RadioInblu.
C’è una vecchia battuta in informatica: sbagliare è umano, ma per combinare veri disastri ci vuole il computer.
È un concetto semiserio che viene confermato da una notizia che arriva dalla Cina, paese noto per la sua propensione a creare le cosiddette “smart city”, ossia città altamente informatizzate e sorvegliate da una rete di sensori.
L’idea di fondo delle smart city è allettante ed è condivisa da molti governi: sistemi informatici gestiscono il traffico ed evitano le code, trovano il parcheggio libero, avvisano sulla situazione dei trasporti pubblici e vigilano sulla sicurezza pubblica tramite telecamere che sorvegliano ogni punto della città, scoraggiando il crimine.
Le autorità cinesi hanno abbracciato quest’idea con particolare entusiasmo, soprattutto per la sorveglianza, arrivando a installare sistemi di riconoscimento facciale in alcuni passaggi pedonali per identificare e segnalare chi attraversa con il rosso e adottando un sistema di “punteggio sociale” che premia chi si comporta in modo accettabile per la collettività e punisce chi non rispetta le regole decise dal governo, per esempio togliendo l’accesso ai trasporti pubblici o ai mutui agevolati.
Presentata così, sembra una soluzione vincente per tutti: se ci si comporta bene, non si ha nulla da temere e si ha tutto da guadagnare. Fino al momento in cui la vecchia battuta torna a farsi valere.
Infatti creare una “smart city” significa accentrare un enorme numero di dati personali, e se questi dati non vengono tutelati adeguatamente si prestano ad abusi di ogni sorta e diventano un pericolo.
Lo ha dimostrato molto chiaramente un ricercatore di sicurezza informatica, John Wethington, che di recente ha trovato un archivio di dati riguardanti una porzione di una “smart city” cinese, specificamente un quartiere della capitale Pechino, che stava su Internet, accessibile a chiunque, senza neanche digitare una password, nel cloud di Alibaba.
In questo archivio c’era tutto quanto serviva per uno stalking di massa da parte di qualunque ficcanaso, molestatore, ladro, partner o ex partner geloso, oltre che da parte del governo o delle forze dell’ordine: i dati raccolti, infatti, includevano anche la localizzazione e identificazione delle persone in base al loro volto e anche in base a qualunque dispositivo Wi-Fi avessero addosso, come per esempio uno smartphone. Il sistema tracciava ed etichettava anche le etnie delle persone sulla base dei loro lineamenti, e lo faceva automaticamente, con tutte le conseguenze immaginabili.
Probabilmente questo Grande Fratello orwelliano è tuttora attivo, ma non lo si può più sapere, perché dopo la segnalazione del ricercatore l’archivio pechinese è stato protetto più adeguatamente. In ogni caso, l’incidente ha dimostrato quanto è facile mettere a rischio tante persone con un singolo errore informatico quando i dati sono accentrati e raccolti in enormi quantità indiscriminatamente ma al tempo stesso non si pensa abbastanza a proteggere questi dati.
Cosa più importante, questa scoperta ha mostrato quanto è dettagliata la raccolta di dati di questi sistemi, che sanno per esempio riconoscere chi sorride e chi no. Quindi se siete a favore delle smart city, preparatevi a sorridere tanto.
C’è una vecchia battuta in informatica: sbagliare è umano, ma per combinare veri disastri ci vuole il computer.
È un concetto semiserio che viene confermato da una notizia che arriva dalla Cina, paese noto per la sua propensione a creare le cosiddette “smart city”, ossia città altamente informatizzate e sorvegliate da una rete di sensori.
L’idea di fondo delle smart city è allettante ed è condivisa da molti governi: sistemi informatici gestiscono il traffico ed evitano le code, trovano il parcheggio libero, avvisano sulla situazione dei trasporti pubblici e vigilano sulla sicurezza pubblica tramite telecamere che sorvegliano ogni punto della città, scoraggiando il crimine.
Le autorità cinesi hanno abbracciato quest’idea con particolare entusiasmo, soprattutto per la sorveglianza, arrivando a installare sistemi di riconoscimento facciale in alcuni passaggi pedonali per identificare e segnalare chi attraversa con il rosso e adottando un sistema di “punteggio sociale” che premia chi si comporta in modo accettabile per la collettività e punisce chi non rispetta le regole decise dal governo, per esempio togliendo l’accesso ai trasporti pubblici o ai mutui agevolati.
Presentata così, sembra una soluzione vincente per tutti: se ci si comporta bene, non si ha nulla da temere e si ha tutto da guadagnare. Fino al momento in cui la vecchia battuta torna a farsi valere.
Infatti creare una “smart city” significa accentrare un enorme numero di dati personali, e se questi dati non vengono tutelati adeguatamente si prestano ad abusi di ogni sorta e diventano un pericolo.
Lo ha dimostrato molto chiaramente un ricercatore di sicurezza informatica, John Wethington, che di recente ha trovato un archivio di dati riguardanti una porzione di una “smart city” cinese, specificamente un quartiere della capitale Pechino, che stava su Internet, accessibile a chiunque, senza neanche digitare una password, nel cloud di Alibaba.
In questo archivio c’era tutto quanto serviva per uno stalking di massa da parte di qualunque ficcanaso, molestatore, ladro, partner o ex partner geloso, oltre che da parte del governo o delle forze dell’ordine: i dati raccolti, infatti, includevano anche la localizzazione e identificazione delle persone in base al loro volto e anche in base a qualunque dispositivo Wi-Fi avessero addosso, come per esempio uno smartphone. Il sistema tracciava ed etichettava anche le etnie delle persone sulla base dei loro lineamenti, e lo faceva automaticamente, con tutte le conseguenze immaginabili.
Probabilmente questo Grande Fratello orwelliano è tuttora attivo, ma non lo si può più sapere, perché dopo la segnalazione del ricercatore l’archivio pechinese è stato protetto più adeguatamente. In ogni caso, l’incidente ha dimostrato quanto è facile mettere a rischio tante persone con un singolo errore informatico quando i dati sono accentrati e raccolti in enormi quantità indiscriminatamente ma al tempo stesso non si pensa abbastanza a proteggere questi dati.
Cosa più importante, questa scoperta ha mostrato quanto è dettagliata la raccolta di dati di questi sistemi, che sanno per esempio riconoscere chi sorride e chi no. Quindi se siete a favore delle smart city, preparatevi a sorridere tanto.
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