L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Oggi è stato
comunicato ufficialmente
che nel 2014 volerà nello spazio Samantha Cristoforetti, che insieme a Luca
Parmitano, Andreas Mogensen, Alexander Gerst, Timothy Peake e Thomas Pesquet
forma la classe 2009 degli astronauti dell'Agenzia Spaziale Europea. Partirà il
30 novembre e resterà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per circa
sei mesi.
Samantha ha, fra i suoi numerosi
talenti,
quello di essere una
geek blogger molto coinvolgente. Mi ha gentilmente
concesso il permesso di ospitare qui la traduzione in italiano dei suoi post,
che descrivono l'avventura del suo addestramento e che per ragioni di tempo lei
scrive in inglese.
Se volete conoscere da vicino cosa significa prepararsi per vivere nello spazio
e vi interessa scoprire tanti dettagli poco noti di questa sfida tecnica e umana
internazionale, seguite Samantha in originale (in inglese) nel
blog degli astronauti ESA del 2009, via Twitter (
@AstroSamantha) e attraverso le sue magnifiche
foto su Flickr, oppure
in italiano nei post che pubblicherò man mano qui. Qui sotto trovate il
primo.
Sopravvivere all'inverno russo
di Samantha Cristoforetti, tradotto e pubblicato con il suo permesso dal
post originale in inglese
del 30 gennaio 2012. Diversamente dal resto di questo blog, questo articolo
non è liberamente distribuibile senza il permesso esplicito del suo autore. Le
parentesi quadre indicano note del traduttore. La parte in corsivo è così
anche nell'originale.
Il 18 gennaio Thomas
[Pesquet] ed io abbiamo preso parte a un programma
di addestramento di sopravvivenza di due giorni che è obbligatorio per tutti i
membri degli equipaggi Soyuz e serve per dare agli astronauti e ai cosmonauti le
competenze e la fiducia che servono per sopravvivere nei climi freddi. Anche se
le squadre di soccorso di solito arrivano al sito di atterraggio della Soyuz
ancor prima che la capsula abbia toccato terra nel caso di una discesa che si
svolga secondo i piani, un rientro d'emergenza non pianificato può avvenire in
qualunque momento durante il volo indipendente o mentre si è attraccati alla
Stazione Spaziale Internazionale. Nel caso peggiore può capitare persino durante
il decollo a causa di un'avaria del razzo lanciatore.
Questo è il mio tentativo di condividere con voi la nostra esperienza nei boschi
intorno a Star City
[il centro di addestramento per cosmonauti a circa 180 km da Mosca].
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Accendere il fuoco.
Credit: GCTC.
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Potrei stare a guardare in eterno la danza ipnotica delle fiamme. Ma il mio
turno di veglia notturna di un'ora è finito: è ora di svegliare il mio collega
d'equipaggio e cercare di dormire un po'. Mentre Thomas si stiracchia le membra
irrigidite dal freddo e dallo spartano giaciglio di foglie e rami, faccio una
rapida chiamata via radio per riferire che il nostro equipaggio sta bene. Ieri,
durante la nostra prima notte di sopravvivenza, la procedura è stata diversa:
bloccati e senza contatti con le squadre di soccorso, facevamo tre chiamate di
MAYDAY alla cieca allo scoccare di ogni ora a intervalli di due minuti.
Procedura ora non più necessaria, dato che siamo stati localizzati!
Ieri notte abbiamo effettuato un contatto simulato con un elicottero di
soccorso. Su loro richiesta abbiamo acceso il nostro fuoco di segnalazione e un
bengala in modo che potessero definire con precisione la nostra posizione. Come
previsto, ci hanno detto che saremmo stati recuperati soltanto l'indomani
mattina, e così eccoci qui, nel nostro
tepee
[tenda in stile pellerossa], in quello che a questo punto è
principalmente un esercizio di pazienza e di sopportazione del freddo.
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Thomas raccoglie legna per il fuoco.
Credit: GCTC.
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A dirla tutta non possiamo lamentarci. Stanotte ci sono -15°C, con pochissimo
vento; la neve sul terreno arriva al ginocchio. Gioisco al pensiero di quanto
siamo fortunati, rammentando i tanti resoconti di equipaggi che hanno affrontato
l'addestramento con la neve alta fino al petto e -30°C. Anche così, sembrava una
sfida molto impegnativa quando, due giorni fa, ci hanno aiutato a infilarci le
tute di volo Sokol e ci hanno detto di salire a bordo di un vecchio modulo di
discesa Soyuz coricato su un fianco nell'area di sopravvivenza. Dentro ci
aspettavano il kit standard di sopravvivenza delle Soyuz e degli indumenti
contro il freddo, impacchettati nel poco spazio disponibile. Fuori ci
aspettavano la calotta e le corde del paracadute, tre fodere dei sedili che
normalmente avremmo tolto dai sedili stessi e degli stivali impermeabili alti
fino alla coscia che di norma avremmo ricavato tagliandoli dalla tuta di
sopravvivenza in acqua Forel.
Thomas è entrato per primo. Lo trovo bizzarramente appollaiato sopra il pannello
di controllo, e così mi accuccio in un angolo, cercando di lasciare spazio
affinché anche il nostro comandante, Sergey, possa entrare e chiudere dietro di
sé il portello. Una veloce chiamata via radio e l'addestramento ha inizio.
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Thomas entra nel modulo di discesa.
Credit: GCTC.
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Ci hanno sottolineato che il consiglio numero uno per prevenire l'ipotermia è
restare asciutti e muoversi senza fretta per non sudare, e ho ben chiaro in
testa questo proposito. Ma nonostante tutto dopo pochi minuti siamo tutti
sudati. Nello spazio ristretto cerchiamo e spacchettiamo i componenti dei
nostri indumenti di sopravvivenza invernale, ciascuno contrassegnato con il
nostro nome: la tuta leggera
[jumper suit]
, il maglione, la giacca leggera, la tuta intera, la giacca pesante. E poi
guanti, cappello, scarpe. Mentre aiuto Sergey a uscire dalla
[tuta]
Sokol e cerco di passargli gli indumenti adatti, non riesco a fare a meno di
essere grata del fatto che nessuno di noi è particolarmente grande!
Quando riusciamo a incamminarci nel bosco, dopo aver raccolto dentro le
fodere dei sedili l'attrezzatura di sopravvivenza e il paracadute, ci restano
circa quattro ore di luce del giorno.
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Il tepee.
Credit: GCTC.
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Non dobbiamo preoccuparci del cibo, dato che abbiamo scorte per almeno tre
giorni, ma dobbiamo lavorare in fretta per prepararci un riparo, un fuoco di
segnalazione e la legna per il fuoco prima che cali la notte. Sergey individua
un buon punto per il nostro accampamento: due alberi diritti a circa due metri
dal nostro riparo a falda singola, e davanti spazio in abbondanza per
costruire il nostro tepee
l'indomani, sulla zona che verrà scaldata dal fuoco di stanotte, e una radura
a circa 100 metri di distanza per il nostro fuoco di segnalazione.
Con lo stile di comando deciso ma irresistibilmente garbato che Thomas e io
apprezzeremo ben presto, Sergey distribuisce i compiti e avvia il lavoro. È un
ex pilota di Blackjack [Tupolev TU-160, bombardiere strategico supersonico]
dell'Aviazione Militare Russa e ha un gran talento per la vita all'aria
aperta e un istinto naturale di prendersi cura dei bisogni di tutti. È
un'altra grande fortuna; una di quelle che saranno fondamentali nel creare fra
noi l'atmosfera calorosa ed efficiente che ci resterà come ricordo da serbare
con affetto.
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Costruzione del riparo a falda singola. Credit: GCTC.
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Condividendo un coltello e un machete dell'equipaggiamento di sopravvivenza,
usiamo rami di media grandezza e le corde del paracadute per costruire
l'intelaiatura del nostro riparo a falda singola. Poi copriamo il fondo e il
tetto con una notevole quantità di rami e foglie e avvolgiamo il tutto nella
stoffa del paracedute e nella coperta di sopravvivenza riflettente. Non è una
reggia, ma ce lo faremo bastare, e riuscirò addirittura a dormire qualche ora,
a tappe di venti-trenta minuti.
Naturalmente non c'è paragone con il nostro riparo per la seconda notte.
Avendo a disposizione l'intera giornata, le istruzioni sono di costruire un tepee
. Dopo aver fabbricato l'intelaiatura conica usando sei tronchi lunghi, vi
avvolgiamo intorno il paracadute: uno strato inferiore interno, alto
all'incirca fino al petto, e uno strato superiore esterno, che lascia
un'apertura in alto. Inserendo dei rametti lunghi una trentina di centimetri
fra i due strati creiamo una fessura dal quale può entrare aria fresca mentre
il fumo esce dall'apertura in cima.
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Simulazione di una gamba rotta.
Credit: GCTC.
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Ed eccomi qui che passo la radio a Thomas e cerco di addormentarmi. Tra poche
ore verremo contattati dall'elicottero di soccorso e ci verrà dato un azimut da
seguire fino alla zona di recupero. Sappiamo dal
briefing che uno di noi
dovrà simulare un arto rotto, per cui avremo approntato dei paletti per creare
una barella improvvisata a partire da una fodera dei sedili.
Quando tutto sarà finito, mi viene l'idea che accenderemo un bengala per
festeggiare. E ho un ultimo pensiero prima di scivolare in un sonno leggero: che
quella sauna post-addestramento, domani, sia bella calda!
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Si festeggia la fine dell'addestramento con un bengala.
Credit: GCTC.
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