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Le foto da Marte trasmesse da Curiosity continuano a migliorare. Questa è una panoramica a 1773x1026 pixel, composta unendo due immagini dalle fotocamere montate sulla “testa” del robot.
Credit: NASA / JPL / Michael Howard
C'è anche una versione 3D con un'inquadratura più stretta, se avete gli appositi occhialini con i filtri blu e rossi: i rilievi e le pendenze, praticamente impercettibili nella versione 2D, qui spiccano fortemente e rendono chiare le asperità del terreno e la profondità della scena. Un'altra versione è stata preparata da @rikyUnreal ed è su Astronautinews.it.
Credit: NASA / JPL / Michael Howard
Giusto per ricordare quant'è straordinaria quest'immagine, non solo è stata scattata poche ore fa su Marte (e scusate se è poco), ma quelle montagne, situate a 20 chilometri di distanza, sono in realtà il bordo di un cratere gigantesco. Quello in cui si trova Curiosity: il cratere Gale, che ha un diametro di 154 chilometri. Immaginate quale impatto colossale può aver prodotto un cratere così grande. E al centro di questo cratere c'è una montagna alta oltre cinque chilometri, l'Aeolis Mons. Questa:
Credit: NASA/JPL-Caltech
È proprio lì che andremo con Curiosity. Questa zona di Marte è drasticamente diversa dalle pianure nelle quali sono atterrate le missioni precedenti e che erano state scelte perché non richiedevano una precisione d'atterraggio estrema come quella ottenuta da questa missione.
A proposito di atterraggio, questo è il primo fotogramma ad alta risoluzione scattato durante la discesa dalla fotocamera MARDI installata su Curiosity: si vede lo scudo termico che precipita dopo essere stato sganciato.
C'è gente che non si emoziona di fronte a queste dimostrazioni dell'ingegno umano e fa sempre le solite critiche: andare nello spazio non serve a niente, costa un sacco di soldi, e bla bla bla (per inciso, Curiosity costa ai cittadini americanimeno di otto dollari a testa). Le stesse critiche alle quali rispondeva elegantemente oltre quarant'anni fa Ernst Stuhlinger, all'epoca fra i direttori scientifici della NASA. L'originale è su Letters of Note; Il Post l'ha tradotta in italiano. Leggetela: nonostante siano passati quattro decenni, sembra scritta ieri.
È stata pubblicata una nuova immagine della zona d'atterraggio di Curiosity, scattata dall'orbita marziana dalla sonda MRO. Mostra il robot mobile Curiosity, la gru volante che l'ha depositato su Marte e poi è andata intenzionalmente a schiantarsi a 650 metri dal robot, lo scudo aerodinamico superiore (backshell) e il paracadute (a 615 metri da Curiosity) e lo scudo termico, caduto a 1200 metri dal robot. Le distanze sono tratte dalla conferenza stampa NASA di oggi. Ho aggiunto delle didascalie italiane: cliccate sull'immagine se volete ingrandirla.
L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Ieri notte (ora italiana) c'è stata una nuova conferenza stampa per il rilascio di ulteriori immagini da Marte che mostrano le fasi della discesa di Curiosity. Per ora si tratta di versioni a bassa risoluzione perché i sistemi di trasmissione dati da Curiosity non sono ancora stati attivati a pieno regime e quindi la quantità di dati trasmissibile è ridotta. Versioni a risoluzione maggiore arriveranno nei prossimi giorni. Intanto, però, guardate questa foto:
Mostra lo scudo termico di Curiosity, sganciato durante la discesa con paracadute nella tenue atmosfera marziana, visto dalla fotocamera di atterraggio MARDI. Questa fotocamera non è decorativa e la foto non è stata scattata solo perché è cool: lo è, certo, ma ha anche la funzione molto concreta di risolvere il problema della localizzazione precisa di Curiosity sul suolo marziano, indispensabile per decidere da che parte dirigerla quando inizierà a spostarsi e per puntare correttamente le antenne di trasmissione dati verso la Terra.
MARDI infatti ha scattato una serie di immagini ad alta risoluzione durante la discesa, al ritmo di quattro al secondo. Guardandole in sequenza si ottiene una zoomata che viene correlata con le foto preesistenti della zona del cratere Gale dove è atterrata Curiosity, ottenendo una localizzazione precisa a meno di un metro. Senza GPS. Su Marte.
Da questa serie d'immagini traggo anche questa, che mostra la polvere marziana che inizia a essere sollevata dai razzi della gru volante dalla quale è stata poi calata Curiosity:
C'è anche un video preliminare che mostra tutte le immagini in sequenza:
Come se non fosse già così un risultato spettacolare, la sonda MRO, da 340 chilometri di distanza, ha catturato l'immagine non solo di Curiosity che scende sotto il proprio paracadute, ma anche dello scudo termico che sta cadendo:
Bad Astronomy ha un'immagine che mostra entrambi i componenti:
Poche ore dopo che avevo scritto la prima stesura di questo articolo è stata segnalata da Emily Lakdawalla di Planetary.org la prima immagine ad alta risoluzione della fotocamera di discesa MARDI, che mostra lo scudo termico mentre precipita. Cliccatevi sopra per vederla alla sua risoluzione originale.
Fantastico. E il meglio deve ancora arrivare: immagini ad alta risoluzione, analisi delle rocce alluvionali della zona, e chissà cos'altro. Perché l'esperienza spaziale insegna che c'è sempre qualcosa di inatteso da scoprire.
E ci sono già le prime immagini. Altre verranno aggiunte qui. La missione impossibile è riuscita.
Queste sono le immagini a bassa risoluzione dalle telecamere anteriori e posteriori di Curiosity. Ci dicono che in questo momento c'è su Marte un robot terrestre da 900 chili, dotato di laser capace di vaporizzare la roccia, con un generatore nucleare, atterrato grazie a un paracadute supersonico e una gru volante a razzo che l'ha calato al suolo, dopo un viaggio di 567 milioni di chilometri.
E ce l'ha messo la scienza, non le chiacchiere dei fanfaroni. Go Curiosity!
Aggiornamento (14:45)
Curiosity ha tolto i tappi trasparenti protettivi alle proprie telecamere di navigazione e ha inviato un'altra immagine notevole.
Aggiornamento (17:50)
Discover Magazine ha tweetato un'immagine che a suo dire è stata trafugata in anticipo e mostra Curiosity appeso sotto il paracadute supersonico, fotografato dalla sonda orbitante Mars Reconnaissance Orbiter. L'immagine è stata confermata pochi minuti dopo da Emily Lakdawalla di Planetary.org. Qui è spiegato (in inglese) come è stata scattata.
Credit: NASA / JPL / UA
C'è anche l'inquadratura completa, scattata da 340 chilometri di distanza:
Credit: NASA / JPL / UA
Per chi si è perso la scena dell'atterraggio in diretta o vuole rivederla, eccola:
In questi giorni sono stati pubblicati molti articoli, anche da parte di testate generaliste, sulla notizia che la bandiera piantata sulla Luna durante il primo sbarco, quello della missione Apollo 11 nel 1969, è caduta e le altre sono ancora in piedi (ANSA; Corriere della Sera). Il passaparola ha però generato alcuni equivoci che è opportuno chiarire. Se vi interessa l'argomento, ho scritto un articolo dettagliato per Complotti Lunari.
Quando avete finito di ridere (se siete veri fan di Star Trek ci vorrà un po'), riuscite a scoprire se quest'immagine è reale e in tal caso da quale puntata è tratta? L'ha postata su Twitter Jeri “Sette di Nove” Ryan.
Se non state ridendo, non chiedete spiegazioni. Se avete bisogno di spiegazioni non fa ridere.
Aggiornamento: velocissimi come sempre, avete trovato la risposta. Complimenti a @holomacs e @PaoloBertotti, che hanno scovato per primi l'origine esatta del fotogramma.
L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Minimalismo dei miei stivali. Apple, per Lion e Mountain Lion, ha adottato un'estetica che invece di facilitare l'uso del computer lo ostacola. Mi riferisco ai pulsanti e alle icone nel Finder, che prima erano colorate e quindi distinguibili a colpo d'occhio. La cartella Download era un bel verde, la Home era una casettina bianca, la cartella Applicazioni aveva una matita gialla e un pennello rosso, le cartelle Smart erano di colore diverso da quelle normali, i dispositivi avevano un'icona ocra, i computer condivisi avevano tridimensionalità e colore. Ora invece c'è il grigiore sovietico che vedete qui accanto.
Lo scopo delle icone è quello di comunicare intuitivamente la funzione che rappresentano. Renderle tutte grigie toglie l'efficacissimo stimolo visivo del colore. Dov'è la cartella Download? Ah, eccola: l'icona grigia in un mare di altre icone grigie su sfondo grigio. Che differenza, rispetto ai tempi in cui Steve Jobs proclamava orgoglioso che OS X aveva un'interfaccia così bella (Aqua) che “vorrete leccarla” (video, a 6:50). Era il 2000. Adesso viene voglia di mandarla in rianimazione.
Se volete ridare un minimo di colore a Lion o Mountain Lion, c'è una soluzione molto semplice: SideEffects. È gratuito. Si installa e si attiva senza dover fare reboot. Il risultato è qui accanto.
Fra l'altro, la guida d'installazione di SideEffects segnala un trucchetto che consente di personalizzare l'icona di una cartella: aprite un'immagine con Anteprima, la selezionate e copiate (Comando-A, Comando-C), poi selezionate nel Finder la cartella da personalizzare, visualizzare le sue informazioni (Comando-I) e cliccate sull'icona della cartella in alto a sinistra nella finestra informativa. Comando-V incolla su di essa l'immagine copiata in precedenza. Per rimuovere la personalizzazione basta riaprire la finestra delle informazioni della cartella, cliccare sull'icona della cartella in alto a sinistra e digitare Comando-X).
Oggi dev'essere la Giornata delle Magagne Apple Risolte (il fatto di aver appena installato Mountain Lion stimola a prendere il toro – uhm, il puma – per le corna).
Nelle edizioni passate di Mail.App, la dimensione del font della barra laterale (sidebar, quella che elenca le cartelle) era regolabile nel modo più logico e intuitivo: era una preferenza nel menu File - Preferenze - Font e colori di Mail.app. In Lion e Mountain Lion questa regolazione era scomparsa. Risultato: chi, come me, usa font piccoli nell'elenco messaggi e nei messaggi per sfruttare meglio lo spazio sullo schermo del laptop si trovava con un elenco cartelle visualizzato con un font inutilmente e sgraziatamente troppo grande.
Soluzione: andare in Preferenze di Sistema - Generali e scegliere Piccola in Dimensioni icona barra laterale. Intuitivo, vero? Per regolare una preferenza di Mail.app non devo usare le Preferenze di Mail.app ma devo andare nelle Preferenze di Sistema. Non solo: devo usare un'impostazione che parla delle dimensioni dell'icona, non di quelle del font. Se non avessi cercato e trovato questi utenti afflitti dallo stesso problema, non ci sarei mai arrivato. Alla faccia della facilità d'uso di Mac OS X.
Cosa anche peggiore, la regolazione del font, essendo un'impostazione generale, si applica anche al Finder. Per cui se mi serve un font più grande per il Finder e uno più piccolo per Mail.app, non lo posso avere. Prima si poteva.
A volte l'accoppiata Gmail-Mail.app sa essere fenomenalmente irritante. Per esempio, se provate a creare una cartella (quelle che Mail chiama “mailbox” in modo del tutto ingannevole) al livello più alto, in modo che sia gerarchicamente appena sotto l'icona dello schedario nella barra laterale, Mail vi permette di farlo, ma poi non vi permette di trascinarla al suo posto. Grrr.
Soluzione: andare nelle impostazioni dell'account Gmail e creare un'etichetta il cui nome inizia con INBOX/ e prosegue con il nome che volete dare alla cartella. Per esempio, se la cartella di livello più alto che volete creare si chiama pippo, l'etichetta in Gmail deve chiamarsi INBOX/pippo.
Chiudendo e riavviando Mail.app, la nuova cartella compare magicamente al posto desiderato.
Un sito giapponese, Suidobashijuko.jp, propone un robot-mecha alto quattro metri funzionante. O almeno così dice.
Però se la promessa di “produrre in serie e vendere” questi bestioni complicatissimi arriva da un artista invece che da un'industria specializzata, la cosa puzza parecchio (“We will mass-produce and sell prototype KURATAS by Japanese artist Kogoro Kurata. KURATAS is coming out in 2012, by SUIDOBASHI HEAVY INDUSTRY”).
Se poi viene proposto di accessoriarlo per fargli fare le pulizie di casa (“giving a mop and a cleaner as a home cleaning robot”), l'intento poco serio diventa piuttosto evidente.
Ma serio o meno, funziona? No. I video mostrati dal sito sono un mix di effetti speciali digitali e fisici. Mostrano solo un simulacro parzialmente mobile e non autonomo. Anche i video trovati da Engadget presentano movimenti estremamente limitati. La Suidobashi Heavy Industry, nonostante il nome, è composta da due persone. Che chiedono più di un milione di dollari per ogni esemplare. Caveat emptor.