Centinaia di milioni di persone nel mondo usano WhatsApp per comunicare ogni
giorno, e molte di queste persone affidano a questa app confidenze e segreti
contando sulla sua promessa di crittografia end-to-end: tutti i
messaggi sono cifrati e non possono essere letti neppure dai dipendenti di
Meta, la società che possiede WhatsApp.
È una promessa molto forte, dichiarata dall’avviso che compare nell’app ogni
volta che si inizia una conversazione con un nuovo contatto:
“I messaggi e le chiamate sono crittografati end-to-end. Nessuno al di
fuori di questa chat, nemmeno WhatsApp, può leggerne o ascoltarne il
contenuto.”
Ma allora come è possibile che oltre centomila messaggi WhatsApp
privati siano stati resi estremamente pubblici in questi giorni? È quello che
sta succedendo con i cosiddetti Lockdown files, una raccolta di
messaggi WhatsApp risalenti al 2020 e 2021 e scambiati fra l’allora ministro
della sanità britannico Matt Hancock e vari esponenti del governo del paese
durante il lockdown legato alla pandemia.
Il giornale britannico
Telegraph
è entrato in possesso di tutti questi messaggi molto delicati e sta
pubblicando man mano quelli più significativi, che rivelerebbero errori e
manchevolezze della gestione governativa della crisi sanitaria.
Ma quello che conta, dal punto di vista informatico, è capire come il
Telegraph
sia riuscito a scavalcare la crittografia end-to-end di WhatsApp: un
dettaglio che
non sempre viene raccontato
dalle fonti giornalistiche
che stanno pubblicando articoli sulla vicenda britannica.
Hacking supersofisticato? Intervento degli esperti crittografi militari? Una
falla nelle sicurezze di WhatsApp? Niente di tutto questo. La crittografia
end-to-end, che si chiama così appunto perché protegge la comunicazione
da un capo all’altro, è stata sbaragliata semplicemente ottenendo accesso a
uno di questi capi.
Il ministro Hancock aveva infatti affidato alla giornalista Isabel Oakeshott
l’incarico di aiutarlo a scrivere la propria autobiografia del periodo
pandemico, e per questo lavoro le aveva dato pieno accesso a tutti i suoi
messaggi WhatsApp. La giornalista aveva firmato un accordo di riservatezza, ma
ora lo ha violato sostenendo che la pubblicazione di questi messaggi è di interesse
pubblico. E così la crittografia non è servita a nulla.
Questo è un principio spesso dimenticato nella sicurezza delle informazioni:
il segreto non è soltanto questione di tecnologia, ma dipende anche dai fattori
umani. Se uno dei partecipanti a una conversazione digitale cifrata rivela
tutto, non c’è promessa crittografica che tenga. E questo vale in particolar
modo per i gruppi, su WhatsApp o su qualunque altra piattaforma di
messaggistica cifrata: più sono numerosi i partecipanti, più è facile che uno
di loro si lasci sfuggire qualcosa o decida di violare il segreto. E ne basta
uno solo. Anche se non siete ministri, pensateci la prossima volta che
condividete un commento o un selfie discutibile fidandovi della
crittografia.
Fonti:
Washington Post,
Sky News, Channel 4, BBC.