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Il Disinformatico: #Bastabufale

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2017/11/22

Un’altra piovra delle panzane smascherata in Italia: Direttanews.it, iNews24.it e una rete di pagine Facebook

Ultimo aggiornamento: 2017/11/29 18:50.

Buzzfeed ha pubblicato un’indagine che rivela una vasta rete di siti e pagine Facebook di disinformazione in italiano, controllata da una singola azienda, Web365, a sua volta gestita dall’imprenditore romano Giancarlo Colono usando soltanto sei dipendenti e alcuni giornalisti professionisti.

Questa rete, che include siti molto popolari come Direttanews.it e iNews24.it e varie pagine Facebook (chiuse ieri per intervento del social network dopo la pubblicazione dell’indagine), diffonde “retorica nazionalista, contenuti contro gli immigrati e disinformazione”, secondo Alberto Nardelli e Craig Silverman di Buzzfeed, che ne mostrano numerosi esempi nel proprio articolo.

Il fenomeno delle piovre di panzane, le reti di siti apparentemente slegati ma in realtà gestiti da uno stesso centro di coordinamento, non è nuovo: ne avevo scritto circa un anno fa insieme a David Puente a proposito della galassia di siti gestiti da Edinet con vari nomi che richiamavano quelli di testate giornalistiche molto conosciute. Ma la rete di fake news di Web365 è ben più potente: prima della sua chiusura, la pagina Facebook di DirettaNews.it (dotata, paradossalmente, di bollino di autenticazione del social network) aveva quasi tre milioni di like, ossia più di quelli delle principali testate giornalistiche italiane: più del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport.

Non solo: la rete di Web365 ha conquistato questa visibilità pur avendo un personale ridottissimo, a dimostrazione del potere straordinario dei social network di amplificare contenuti spazzatura e notizie false generate facendo leva su sensazionalismi, morbosità, luoghi comuni e paure.

Per carità, il giornalismo sensazionalista o di pettegolezzo e la propaganda politica esistono da sempre: ma la differenza enorme, rispetto al passato, è che oggi questa spazzatura è monetizzabile sfruttando gli utenti in modo automatico. È come se Novella 2000 incassasse soldi per il solo fatto che avete dato uno sguardo alla sua copertina in edicola.

Credit: BuzzFeed.
La linea editoriale di questa fabbrica di fake news era molto chiara e ben lontana da qualunque pretesa di obiettività giornalistica: per esempio, iNews24.it (quasi 1,5 milioni di follower su Facebook) presentava l’hashtag #noiussoli direttamente nella propria icona su Facebook e pubblicava una pioggia di contenuti razzisti e ideologicamente schierati, come mostrano le schermate raccolte da Buzzfeed.

L’inchiesta ha portato alla luce anche gli strani compagni di letto di questa rete: “legami stretti tra i membri della famiglia Colono e un’associazione cattolica denominata La Luce di Maria” (1,5 milioni di fan su Facebook), che accanto a considerazioni religiose propone presunte prove che Pokémon Go è stato inventato da Satana (copia su Archive.is) e articoli condivisi con DirettaNews.it. C’è anche la promozione, da parte di Direttanews.it e de La Luce di Maria, dei nazionalismi di Matteo Salvini. Giancarlo Colono e il fratello Davide hanno dichiarato di aver semplicemente contribuito a far partire le attività online de La Luce di Maria e di essere semplicemente seguaci affezionati.

Come già avvenuto in passato, ci sono conferme tecniche dei legami fra queste entità apparentemente slegate: per esempio, “Direttanews.it condivide un ID di Google Analytics con La Luce di Maria... il che significa che gli introiti pubblicitari vanno sullo stesso account”. I fratelli Colono hanno detto che la condivisione è dovuta a “circostanze precedenti”.

La vicenda ha avuto ampia risonanza sui giornali italiani, per esempio su La Stampa, Il Post e Repubblica, che citano vari esempi di fake news arruffapopolo pubblicate da Direttanews.it e dagli altri siti della rete per promuovere specifici partiti e movimenti politici.

Chi è rimasto alla romantica illusione che Internet sia un luogo libero da influenze e condizionamenti economici e politici farebbe bene a darsi finalmente una bella svegliata. Cito, per esempio, queste parole della senatrice Monica Casaletto: “uso la rete che è controllata da me e non da altri organi” (Facebook, 30 aprile 2017). Parole, fra l’altro, pubblicate subito dopo aver condiviso una notizia falsa.



2017/11/29 18:50. La stesura iniziale di questo articolo parlava erroneamente di circa 170 siti gestiti da Web365; in realtà, come dice correttamente l’articolo di Buzzfeed, non si tratta di siti ma di nomi di dominio. Ho corretto l’articolo per tenerne conto.


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2017/11/10

Facebook prova a combattere le fake news promuovendo qualunque commento contenente la parola “fake”

Facebook sta facendo vari esperimenti per contrastare il fenomeno delle fake news. Recentemente ne ha svolto uno che probabilmente si poteva evitare semplicemente accendendo un neurone prima di mettersi a picchiettare codice sulla tastiera: ha iniziato a promuovere e mettere in evidenza qualunque commento che contenesse la parola fake.

Avete già indovinato cos’è successo: anche notizie perfettamente attendibili di testate come la BBC, l’Economist, il New York Times, l’Independent e il Guardian si sono trovate inondate di commenti in primo piano che le definivano fake.

Le proteste degli utenti non si sono fatte attendere: invece di aiutare a distinguere le notizie vere da quelle chiaramente false, l’esperimento stava producendo l’effetto contrario, creando solo confusione.

Facebook si è giustificata dichiarando alla BBC che si è trattato di “un piccolo test che ora si è concluso. Volevamo vedere se dare la priorità ai commenti che indicano scetticismo poteva essere utile.” Arrivarci ragionandoci un attimo, invece di fare esperimenti sulla pelle degli utenti, a quanto pare non si usa più.

2017/11/07

Il Delirio del Giorno: #BastaBufale e l’assalto dei Kitipaka

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2017/11/08 8:55.

La mia recente partecipazione all’iniziativa #BastaBufale della Presidenza della Camera, e in particolare la presentazione del decalogo e della miniguida tecnica per non farsi fregare dalle fake news di ogni provenienza, ha scatenato da un paio di giorni su Twitter un’orda di commentatori inferociti, verbalmente offensivi e violenti, che hanno rigurgitato una pioggia di domande dal tono leggermente inquisitorio.

Non sono mancate le accuse di elusione fiscale, di partecipazione a un piano di censura politica, e neanche gli scivoloni sessisti (questi ultimi nei confronti dell’attuale Presidente della Camera, Laura Boldrini). Insomma, uno spettacolo davvero deprimente ma molto educativo: molti utenti, infatti, non hanno idea della cloaca mentale che si incontra sui social network.




Provo a riassumere qui la vicenda, che per il suo svolgimento e soprattutto per il suo (attuale) epilogo merita di essere raccontata nella mia consueta rubrica Il Delirio del Giorno.

Quest’orda sorprendentemente coordinata, invece di dedicarsi al commento e alla critica del decalogo e della guida, ha preferito ignorare completamente il messaggio e concentrarsi sul lanciare accuse al messaggero: io. In particolare, tutti vogliono sapere quanto sono pagato, e anche chi di preciso mi paga, per partecipare a questo torbido progetto di oscurantismo governativo:





C’è anche chi mi accusa di spionaggio:



Ebbene sì: la pubblica amministrazione italiana spende circa 1 milione e 600 mila euro al minuto, ma c’è parecchia gente che si ossessiona sui dettagli del mio eventuale compenso, come qui:



Oppure qui, quando ho risposto che come giornalista informatico libero professionista lavoro per chi mi dà un incarico:



Non ho saputo resistere, e ho risposto con l’aiuto grafico di @AndTheBad:



C’è anche questa perla:



Gente che mi critica ma non sa neanche la differenza fra debugger e debunker.

Ma l’applauso per il lapsus freudiano dell’anno va a questo:



A questa torma insistente di Kitipaka, che ripeteva ossessivamente -- anzi, “ricacava” -- la stessa domanda (questi sono solo alcuni esempi fra i tanti), ho semplicemente risposto più volte così (in aggiunta a qualche risposta personale ironica ai più aggressivi):



Spiegazione: sono un giornalista libero professionista. Nel mio mestiere, come in tanti altri, qualunque rapporto con il committente è da considerare automaticamente confidenziale salvo che il committente dia il permesso di parlarne. Non è necessariamente il committente a imporre quest’obbligo: lo impone prima di tutto la deontologia professionale.

In parole piccole: non ho niente da nascondere; semplicemente, se non ho il permesso esplicito della Presidenza della Camera di parlare di un qualunque dettaglio del nostro rapporto, non ne parlo. Si chiama riservatezza professionale: la stessa che impone al vostro medico di non andare a raccontare a tutti i vostri problemi di salute e che vi permette di parlargli sinceramente e in confidenza. Tutto qui.

I Kitipaka non l’hanno capita e hanno insistito che volevano sapere tutto, compreso probabilmente il colore delle mie mutande*, appellandosi alla trasparenza degli atti pubblici. Al che ho risposto semplicemente e ripetutamente così:



*sono leopardate.

Questo ha infuriato ancora di più i Kitipaka, che si sono scatenati in due giorni di caccia ossessiva alle informazioni che descrivevano i miei rapporti con la Presidenza della Camera.

Questi sublimi segugi, però, non sono riusciti a trovare neppure questo mio vecchio articolo pubblico che offriva già tutti i dettagli e le risposte alle loro domande assillanti.

Alcuni si sono attaccati anche al suddetto decalogo, che invita a chiedere le prove e le fonti delle affermazioni:



Lasciando da parte quel garbatissimo “quanto vuoi” che pare una domanda rivolta a una puttana, ovviamente è vero che chiedere le fonti è un diritto. A volte, però, ci sono vincoli di riservatezza professionale che non consentono la risposta. Come nel mio caso. A un medico non si può chiedere di pubblicare la cartella clinica del paziente, se non c’è il consenso del paziente. Ma questo, a quanto pare, è un concetto molto difficile.

A questo punto i Kitipaka hanno addirittura scomodato lo spettro di un’interrogazione parlamentare per indurmi a rivelare i miei oscuri e milionari guadagni:



Il parlamentare in questione è Massimiliano Fedriga e il suo tweet è questo. Sarà interessante sapere quanto verrà a costare ai contribuenti questa (eventuale) interrogazione.

Galvanizzati dall’intervento di un politico, i Kitipaka hanno raddoppiato gli sforzi investigativi, arrivando finalmente, dopo due giorni di estenuante investigazione, a una scoperta clamorosa, che però ha avuto l’effetto di una doccia gelata:



Tutto questo can can, insomma, con tanto di interrogazione parlamentare annunciata, per arrivare alla “scoperta” di una prestazione da 350 euro (su questa scoperta vorrei fare un arguto commento, ma mi trattengo, almeno per ora).

I Kitipaka si sono messi da soli nella stessa tragicomica situazione del cane che abbaia rincorrendo le auto e non si è mai chiesto cosa farà il giorno che riuscirà a raggiungerne una.

Credit: @DZAladan.


---

Chiudo (per ora) questo Delirio del Giorno con le risposte ad alcune delle altre domande ricorrenti di questi leoni da tastiera, che cito testualmente.

Domanda: lei lavora attualmente in modo indipendente o anche per l'attuale governo "in carica"? Non lavoro per il governo italiano. Sono stato chiamato come consulente dalla Presidenza della Camera.

Domanda: Quindi hanno deciso che la consulenza fosse assegnata a lei senza una procedura di selezione? Qualcuno le avrà detto perché proprio lei? Caro Paolo, ultima domanda (siamo contribuenti italiani) su quale base è stata scelta la sua figura? Criterio di selezione? Non so quale sia stato il processo di decisione. Mi hanno chiamato, ho fatto il lavoro. Tutto qui. Chiedetelo a chi mi ha selezionato.

Domanda: Un incarico di consulenza avrà sicuramente un atto pubblicato che lo certifica. O no? Non lo so e non è compito mio spiegare la burocrazia italiana. Vivo in Svizzera.

Domanda: Com'è che non risulta iscritto né all'ordine dei giornalisti né a quello dei pubblicisti? Millantato credito? Prova a pensare intensamente: sarà mica che non sono iscritto agli ordini italiani perché vivo e lavoro in Svizzera e non in Italia?

Domanda: Quasi la meta' dei tuoi followers sono fake, il dubbio sorge spontaneo. Ah, può darsi. Ma mica me li scelgo io. Informarsi prima di parlare non si usa più? C’è lo spiegone apposito.

Domanda: La sua residenza è in Svizzera? Se sì, x motivi fiscali? 1. Sì. In Svizzera ci vivo, ci lavoro, ci dormo e ci pago le tasse; le figlie ci vanno a scuola. 2. Beh, "motivi fiscali" nel senso che qui le tasse che pago (non poche) mi danno servizi efficaci ed efficienti, cosa che non accadeva quando vivevo in Italia; ma non ci vivo solo per motivi fiscali. Ci vivo perché è un posto sicuro, sereno, con gente cortese e civile e un'amministrazione efficiente. Non è il Paradiso, ma si sta bene.


L'inquisizione è finita? Posso andare?

2017/11/04

Ho follower fasulli su Twitter? Parliamone

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2017/11/05 10:30.

La pubblicazione del decalogo e della miniguida tecnica di #Bastabufale ha scatenato un diluvio di attacchi più o meno stupidi contro di me e i miei colleghi (ne parla, per esempio, Michelangelo Coltelli di Bufale un tanto al chilo). Stupidi perché nella maggior parte dei casi non hanno neanche letto quello che criticano così violentemente. O se l’hanno letto, non l’hanno capito.

Prendiamo per esempio un’accusa ricorrente: io non sarei attendibile perché su Twitter ho tanti follower considerati fake.

È vero che Twitteraudit indica che ho in questo momento circa 164.000 follower ritenuti fake su 400.000 complessivi, ma a chi lancia questa critica sfugge un dettaglio fondamentale: i follower mica me li scelgo io.

Infatti chiunque è libero di diventare mio follower (Twitter è fatto così) e il fatto di avere un buon numero di follower attira inevitabilmente spammer e bot. Se qualcuno pensa che io perda tempo a comperare follower fasulli per sembrare più “importante”, vuol dire che non mi conosce affatto. Non mi guadagno da vivere in base alla fama e la notorietà non è mai stata una mia ambizione (un conto in banca ben pasciuto sì, ma mi è andata male).

Secondo dettaglio che sfugge ai criticoni: ho già provato a purgare i fake, ma si riformano. E purgarli costa.

Ho fatto una prima purga di test fra dicembre 2016 e gennaio 2017, pagando Statuspeople per filtrare i fake. Ma dopo aver bloccato circa 5000 account ritenuti fake su un totale di 300.000 follower, Statuspeople mi diceva che i fake erano già diventati solo il 4%: i conti non tornano, perché Statuspeople diceva che i miei fake erano circa 120.000 su 300.000. Ho disdetto il servizio a pagamento (circa 120 euro l’anno).



Twitteraudit ha un servizio a pagamento che costa 360 dollari l’anno (dovrei usare la versione Gold, perché ho oltre 100.000 follower) e dice di bloccare i fake.


Se qualcuno pensa che io intenda spendere 360 dollari (euro) l’anno per evitare la critica infondata degli idioti, si metta il cuore in pace.


I miei criteri


Personalmente considero fake un account se ha tutte o buona parte di queste caratteristiche:

  • icona non personalizzata
  • nessuno sfondo
  • nome utente seguito da molti numeri o composto da lettere a caso
  • nessuna info personale
  • pochissimi tweet postati (o nessuno)

2017/10/30

Decalogo e guida tecnica anti-fake news nelle scuole italiane: presentazione a Roma il 31/10

Ultimo aggiornamento: 2017/11/07 8:40.

Martedì 31 ottobre (domani) verrà presentato formalmente il decalogo antibufale e anti-fake news per gli studenti delle scuole medie e superiori di tutta Italia, realizzato in seguito all’accordo fra Camera dei Deputati e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Al liceo Visconti di Roma centro, a partire dalle 10, ci saranno la presidente della Camera, Laura Boldrini, e la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, e ci sarò anch’io, visto che ho dato una mano alla stesura del decalogo (in realtà composto da otto punti, perché due verranno decisi dagli studenti) e soprattutto del manuale pratico che descrive gli strumenti di base per diventare un po’ tutti detective antibufala, con il contributo dei suggerimenti di Miur, Confindustria, Fieg, Rai, Facebook e Google.

Naturalmente non c’è nessuna pretesa di risolvere magicamente il problema delle fake news e della disinformazione, ma perlomeno si comincia a fare qualcosa di concreto per dare a tutti la possibilità di capire i trucchi della manipolazione online professionale e di conoscere gli strumenti che permettono di contrastarla.

Non sono comandamenti assoluti o strumenti infallibili, ma danno sicuramente una mano a scremare tante delle fandonie più diffuse e a sviluppare senso critico su qualunque argomento. Vista la situazione, già diffondere al grande pubblico il concetto che esistono veri e propri manipolatori professionisti, come la rete di siti gestiti in Albania ma destinati al pubblico italiano scoperta dal collega David Puente, è un bel passo avanti.

Il progetto #BastaBufale è visto con notevole interesse anche all’estero: ne ha parlato in prima pagina anche il New York Times, che ne ha anticipato in parte i contenuti. Trovate altri dettagli su Agi.it, StopFake.eu e Repubblica (anche qui).

Se non resistete alla curiosità, gli otto punti del decalogo sono questi, anticipati da Yahoo (troverete la versione integrale qui sotto negli aggiornamenti):

1. Condividi solo le notizie che hai verificato

2. Usa gli strumenti di internet per verificare le notizie

3. Chiedi le fonti e le prove

4. Chiedi aiuto a una persona esperta

5. Ricorda che anche internet e i social network sono manipolabili

6. Riconosci i vari tipi e gli stili delle notizie false

7. Hai un potere enorme, usalo bene

8. Dai il buon esempio: non lamentarti del buio, ma accendi una luce

Spiegherò brevemente ciascuno di questi punti nell’incontro con gli studenti al Liceo Visconti domani.


2017/10/31 20:05


Il sito di Generazioni Connesse ha pubblicato il testo completo del decalogo (anche in formato JPG), il modulo per proporre le altre due regole del decalogo e il materiale didattico per gli studenti e i docenti, che include la mia miniguida per diventare detective antibufala. Se avete suggerimenti e correzioni, segnalatemele: nel sito trovate anche molto altro materiale informativo.

Intanto qui sotto trovate il video della presentazione di stamattina: io presento il decalogo a circa 1:17.



2017/11/07 8:40


Questo è il testo completo del decalogo:

1. Condividi solo notizie che hai verificato.


Chi mette in giro notizie false, e magari trae anche guadagno dalla loro circolazione, conta sul nostro istinto a condividerle, senza rifletterci troppo. O sul fatto che siamo portati a credere che una notizia sia vera solo perché ci arriva da qualcuno che conosciamo.

Se non ci assicuriamo che una notizia sia vera prima di condividerla, però, contribuiamo alla circolazione incontrollata di informazioni false, che possono anche creare rischi per la società e diventare pericolose per le persone. Perciò non condividere se prima non hai verificato, resisti alle catene e non farti imbrogliare.


2. Usa gli strumenti di Internet per verificare le notizie.


Cerca informazioni su chi è che pubblica e diffonde ogni notizia, verifica se si tratta di una fonte autorevole o meno. Guarda bene il nome del sito che pubblica la notizia che stai leggendo: magari è una storpiatura o la parodia di un sito più famoso, pensata per ingannarti.

Controlla l’autenticità e la data delle foto usando i motori di ricerca: magari la foto è vera, ma riferita a un altro evento passato. Ricorda che sui social puoi sempre controllare il giorno e l’ora in cui un video è stato caricato.

Cerca la fonte originale di una notizia scrivendo su un motore di ricerca, fra virgolette, un nome di persona o di luogo citato dalla notizia. Cerca quel nome anche sui siti antibufala e su siti autorevoli (per esempio quelli di giornali e TV di qualità). Guarda se il profilo social di chi pubblica la notizia ha il bollino di autenticità.

Bastano pochi clic per fermare una bufala.


3. Chiedi le fonti e le prove.


Controlla sempre la provenienza di ogni notizia: chi la pubblica e come la presenta. Guarda se la notizia indica bene le fonti dei dati, le date e luoghi precisi in cui avvengono i fatti. Se non lo fa, forse la notizia è falsa o sbagliata. Chiedere le fonti a chiunque è un tuo diritto: fallo valere. Chi non ti risponde ha probabilmente qualcosa da nascondere e non merita la tua fiducia.


4. Chiedi aiuto a una persona esperta o a un ente davvero competente.


Internet è piena di utenti che credono o fingono di sapere tutto. E anche i giornalisti a volte possono sbagliare. Controlla se chi pubblica una notizia è realmente competente in materia, cerca degli esperti fra chi conosci, su Internet o fuori da Internet, a cui chiedere conferme indipendenti.


5. Ricorda che anche Internet e i social network sono manipolabili.


La Rete è una grande opportunità, un importante strumento di conoscenza, ma vi operano tante organizzazioni e tanti truffatori che usano strumenti informatici potenti per creare eserciti di follower e Like finti e per seminare notizie false che generano soldi o manipolano le opinioni. Non fidarti di chi non conosci soltanto perché ti piace quello che dice, non è detto che dica la verità.


6. Riconosci i vari tipi e gli stili delle notizie false.


Sono in tanti a pubblicare notizie false o manipolate, intenzionalmente o per errore: complottisti, ‘bufalari’ per denaro, burloni, gente in cerca di fama, pubblicitari scorretti, propagandisti, provocatori e semplici utenti incompetenti. Spesso li puoi riconoscere perché usano titoli drammatici e allarmisti, scrivono con tanti punti esclamativi, dicono cose esagerate o incredibili o hanno pagine confuse e piene di pubblicità.


7. Hai un potere enorme: usalo bene.


Il tuo clic, il tuo Like, la tua condivisione possono diventare denaro per i fabbricanti di notizie false: ricordalo ogni volta. Ma soprattutto ricordati che diffondere o condividere una notizia falsa può avere conseguenze pesanti: potresti spaventare, diffamare, umiliare, istigare odio e violenza o creare angoscia inutile. E, una volta messa in giro, una menzogna non si ferma più.


8. Dai il buon esempio: non lamentarti del buio, ma accendi una luce.


Crea anche tu, magari con gli amici, una pagina social, un blog, un sito per segnalare le notizie false che hai scoperto e mostrare come le hai smascherate.

Ispirati allo stile di chi fa buon giornalismo. Aiuterà te e chi ti legge a capire come e perché nasce una notizia, come la si racconta bene e come la si critica, senza strillare o insultare. Sarà la tua palestra di giornalismo e sarà visibile nei motori di ricerca per aiutare gli altri a non farsi ingannare dalle bufale.

2017/07/27

Debunking “fa più danni che altro”, scrive Repubblica. Da che pulpito

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Sì, ho letto l’articolo di Repubblica intitolato “Bufale, il debunking fa più danni che altro. E le fake news resistono“ di Simone Cosimi (copia su Archive.is); grazie a tutti quelli che me l’hanno segnalato. La mia opinione resta quella che avevo scritto qui nel 2015, prima di conoscere Walter Quattrociocchi (coautore della ricerca citata da Repubblica) durante la consulenza #Bastabufale per la Camera dei Deputati.

Primo, siamo sicuri che il campione di riferimento sia rappresentativo? È composto da americani, e per di più su Facebook. E con tutto il rispetto per Zuckerberg e le sue ambizioni, Facebook non è ancora la realtà. Vorrei anche far notare che gli americani non rappresentano il mondo, anche se molti di loro, specialmente in politica, ne sono convinti. Per cui non ho nulla da dire sul metodo, per carità, ma ho qualche dubbio sul campione al quale è stato applicato. Resto dell’idea che usare Facebook per vedere chi si converte dal complottismo sia come andare allo stadio durante un derby per vedere chi cambia squadra del cuore. Anche perché nel mondo normale ogni tanto la gente cambia idea e lo fanno persino i complottisti: leggete questa confessione di un complottista pentito. E non è un caso isolato, perché come lui ne ho incontrati molti altri. Se fare debunking salva qualcuno, è meglio di niente. E oltretutto a me piace farlo.

Secondo, il debunking non si fa per convertire i complottisti, ma per informare gli indecisi. Che non fanno parte delle due “tribù” citate da Quattrociocchi e colleghi. Lo studio citato da Repubblica guarda solo i due gruppi estremi e ignora del tutto la massa degli incerti che sta in mezzo. Affermare o insinuare che lo studio si applica alla totalità della popolazione è fare fake news. Invece il debunker non si rivolge alla nicchia degli arrabbiati e convinti, ma alla massa delle persone che cercano di farsi un’opinione ragionando. Matteo Flora lo riassume bene in questo suo intervento video.

Terzo, da che pulpito vien la predica: il successo delle bufale e delle notizie false è dovuto anche al fatto che i giornali, come Repubblica, pubblicano qualunque fesseria senza controllarla, purché generi clic o sia conforme all’ideologia che vuole promuovere, e al fatto che i programmi televisivi diffondono ogni sorta di panzana, purché faccia ascolti (Voyager e Le Iene, per citarne qualcuno), fregandosene delle conseguenze sociali (vaccini, BlueWhale, riscaldamento globale, eccetera).

Quando ho moderato il tavolo di lavoro dei media alla Camera dei Deputati, che radunava molti responsabili di testate e di agenzie, ho sentito tante belle promesse, ma non è cambiato nulla: il valzer delle vaccate continua indisturbato, di rettifiche manco l’ombra e il fact-checking tanto vantato è tuttora latitante.

E adesso Repubblica si autogiustifica dicendo che tanto il debunking non serve a nulla. Anzi, “fa più danni che altro”. Perché le vostre balle invece hanno fatto bene, vero Repubblica? Vogliamo parlare di quando pubblicavate notizie sull’ISIS prendendole da Lercio? O di quando illustravate la marcia anti-Trump usando una foto del 1995? O di quando mostravate foto false delle gelate? O di quando la vostra Silvia Bizio spacciava suo nipote per un passante qualsiasi per fare una finta intervista? O di quando avete scritto che gli aerei presto avrebbero volato “al quadruplo della velocità della luce”? Potrei andare avanti a lungo: questi sono solo alcuni campioni recenti della mia piccola compilation delle vostre notizie false. Prima di parlare di chi fa danni, fatemi la cortesia di guardarvi in casa: se “le fake news resistono”, la colpa è anche vostra che le pubblicate.

Quarto, metto da parte un momento il rapporto di amicizia con Quattrociocchi perché a distanza di due anni dalla pubblicazione iniziale siamo ancora senza una risposta alla domanda fondamentale sollevata dalla ricerca: se il debunking non serve, allora che facciamo? Ci arrendiamo al rincoglionimento generale? Lasciamo che i bufalari guadagnino indisturbati?

Finora l’unica risposta che ho visto è data da queste parole di Fabiana Zollo, prima autrice della ricerca: “Il debunking e l’attacco frontale ai complottisti non sono antidoti al propagarsi di fake news. Piuttosto, l’uso di un approccio più aperto e morbido, che promuova una cultura dell’umiltà con l’obiettivo di abbattere i muri e le barriere tra le tribù della rete, rappresenterebbe un primo passo per contrastare la diffusione della disinformazione e la sua persistenza online”.

Io vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse in cosa consiste concretamente questa “cultura dell’umiltà” e quale sarebbe questo “approccio più aperto e morbido”. Provateci voi, a frequentare un forum di complottisti e restare umili, aperti e morbidi. Fateci vedere come si fa, perché francamente più di quel che facciamo non saprei cosa fare. Noi debunker lavoriamo quasi sempre gratis, spesso senza protezione giuridica, riceviamo insulti e minacce pur non insultando mai nessuno, e ancora non basta?

Debunker sì, leccapiedi no. Quelli, se li volete, li trovate nelle redazioni. Quelle dove chi scrive cazzate prende uno stipendio. Pagato da voi che comprate i giornali o li sfogliate online facendovi monitorare o monetizzare dai pubblicitari.

2017/07/11

Google toglie i fondi all'odio online di Voxnews

Credit: David Puente.
Pubblicazione iniziale: 2017/07/11 11:43. Ultimo aggiornamento: 2017/07/11 17:15. 

Voxnews è un sito italiano ricolmo di post razzisti che istigano all’odio e alla violenza. Si finanzia ospitando le pubblicità di Google Adsense e di Amazon. Spara bufale a raffica, come ha segnalato tante volte Bufale un tanto al chilo, e finge di essere obiettivo offrendo persino un servizio di “fact-checking” che in realtà mente spudoratamente. Insomma, una classica fabbrichetta acchiappaclic per fare soldi sulle incazzature dei teppistelli frustrati. Una di quelle i cui post vengono condivisi allegramente da alcuni politici italiani.

Il collega debunker David Puente, che aveva già denunciato alle autorità italiane Voxnews e la galassia di siti collegati nel 2015, ha raccolto ulteriori dati e poi ha segnalato Voxnews a Google, facendo notare che il sito violava le regole di Google sui contenuti delle pagine ospitanti pubblicità Adsense. Risultato: Google ha tolto i banner dei propri clienti da Voxnews.

L’odio online prospera anche perché è un business; vediamo che succede quando il business non funziona più e resta solo il letame ideologico, il cui megafono digitale qualcuno deve pagare di tasca propria. Fanno tutti gli idealisti, ma quando c’è da mettere mano al portafogli stranamente spariscono come gli scarafaggi quando accendi la luce.

Questo risultato non sarebbe stato possibile senza l’iniziativa #Bastabufale della Presidenza della Camera italiana, che ha creato le occasioni per mettere in contatto Puente con i rappresentanti di Google e mettere in chiaro che non è più ora di scherzare. Voxnews, fra l’altro, è proprio uno dei siti di cui Puente ha parlato durante la recente audizione alla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet della Camera dei Deputati.

Se volete saperne di più, leggete le spiegazioni dettagliate di David Puente. Ci siamo sentiti via Twitter poco fa: è contentissimo del risultato e mi ha detto che è “un precedente italiano che dimostra l‘impegno di Google nel contrastare certe realtà”. Speriamo sia uno di una lunga serie: intanto io vado a stappare una buona birra.

Il defunding (definanziamento) di Voxnews è piaciuto anche ai colleghi di Sleeping Giants, che hanno dato risonanza a questo successo anche all’estero.

2017/06/28

Debunker alla Commissione Internet della Camera dei Deputati italiana

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Ieri ho partecipato, insieme ai colleghi debunker e ad altri esperti del settore, a un’audizione della Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet della Camera dei Deputati italiana, presso l’aula della Commissione Difesa, dedicata a un’attività conoscitiva sul fenomeno della pubblicazione e diffusione di false notizie su Internet, alla presenza della Presidente della Camera, Laura Boldrini.


0:13:12. Il mio intervento.

0:24:45. Giovanni Boccia Artieri, docente di sociologia dei media digitali.

0:39:10. Walter Quattrociocchi, direttore del Computational Social Science Imt di Lucca.

0:47:40. David Puente, debunker.

0:55:25. Michelangelo Coltelli, debunker.

1:04:45. Michele Mezza e Toni Muzi Falconi di Digidig.it.

1:22:00. Antonio Palmieri, deputato.

1:30:00. Paolo Coppola, deputato.

1:34.00. Anna Masera, public editor de La Stampa.

1:38:50. Juan Carlos De Martin, componente della Commissione.

1:43:00. Stefano Quintarelli, componente della Commissione.

1:48:00. Replica di Quattrociocchi, Puente, il sottoscritto, Michelangelo Coltelli, Michele Mezza.

2017/05/06

#Bastabufale: il testo del mio intervento a Montecitorio; video della sessione del 2/5

Quello che segue è il testo che avevo preparato per il mio intervento alla sessione di Bastabufale tenutasi a Montecitorio il 2 maggio scorso, con i link alle fonti che ho utilizzato.

Il video dell’intera sessione è in fondo al testo: dopo l'introduzione della Presidente della Camera, inizio io intorno a 19:10; il Ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli inizia a 34:50; a 51:50 parla il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia; a 1:00:00 inizia Monica Maggioni, presidente della Rai; a 1:14:42 parla Maurizio Costa, presidente FIEG; a 1:35:00 interviene il presidente di Pubblicità Progresso Alberto Contri; a 1:39:00 c'è il video di Makkox, seguito dall'intervento di Richard Allan, vicepresidente per la policy di Facebook in Europa; da 1:57:00 inizia la premiazione del concorso “Bufale in Rete”.

Buongiorno a tutti. L'iniziativa Bastabufale della Presidente della Camera Laura Boldrini è il primo sforzo coordinato delle istituzioni per occuparsi del tema della falsa informazione. Uno sforzo necessario, perché i danni causati da questo fenomeno spesso sottovalutato toccano tutti i cittadini su temi importanti come la salute, la sicurezza e le scelte dei rappresentanti politici. Uno sforzo prezioso, perché senza questo coordinamento istituzionale autorevole non sarebbe stato possibile portare all'attenzione dell'opinione pubblica la reale natura del problema e riunire le risorse che possono contribuire ad arginarlo.

Il contrasto ai danni della disinformazione pilotata parte innanzi tutto dalla conoscenza del problema. Quando ho cominciato a occuparmi di bufale su Internet come informatico e come giornalista, tanti anni fa, si trattava di un tema tutto sommato semplice: le bufale erano quasi sempre disseminate da persone comuni, che si trovavano improvvisamente ad avere a disposizione un nuovo potere di comunicare e non si rendevano conto della responsabilità comportata da questo potere.

Per una vasta fetta delle persone comuni, per i non addetti ai lavori, la bufala o la fake news è ancora fatta così, basata su errori ed equivoci in buona fede, propagata in modo dilettantesco. In altre parole, non viene vista come un problema grave. Il termine stesso, "bufala", suona frivolo e sminuisce il tema.

Ma la "bufala", da allora, è cresciuta e si è trasformata: è diventata una disinformazione studiata, pianificata, politicizzata ma anche e soprattutto commercializzata. È diventata uno strumento chirurgico di manipolazione di massa. È diventata anche un motore economico. Con le bufale si spostano i risultati elettorali e si vanificano le campagne sanitarie, ma si fanno anche grandi guadagni. I cittadini – che non sono un'entità astratta, non sono "loro", ma siamo tutti noi – hanno il diritto di sapere che siti Web, social network e testate giornalistiche convenzionali guadagnano cifre enormi con le bufale e le false notizie. Hanno il diritto di sapere che quella che percepiscono come informazione libera da filtri, e quindi più credibile, è in realtà pilotata da algoritmi e meccanismi tecnici che hanno nomi arcani come clickbaiting, programmatic advertising, dark advertising, echo chamber, shock-for-click, botnet. Hanno il diritto di sapere che ogni volta che condividono una fake news sui social network, generano incassi per i bufalari. E non è una questione che riguarda solo i cittadini: questa percezione illusoria di informazione online libera tocca anche chi governa. Poche ore fa ho sentito una senatrice dichiarare con orgoglio, dopo aver pubblicato su Facebook una notizia falsa: "uso la rete che è controllata da me e non da altri organi" [la senatrice è Monica Casaletto e la dichiarazione è stata fatta qui su Facebook].

Senza questa consapevolezza diffusa non c'è soluzione calata dall'alto che possa funzionare. In questo senso la risposta dei cittadini all'appello Bastabufale della Presidenza, sottoscritto da migliaia di persone, è un primo segnale importante della graduale diffusione di questa coscienza; è un primo passo verso una soluzione. Una soluzione che – è importante dirlo chiaramente, per evitare equivoci – a mio avviso non può basarsi su censure. Quelle le lasciamo a chi è rimasto nostalgicamente fermo ai tempi in cui esistevano ancora le frontiere per l'informazione e a chi ha così tanta paura dei fatti e si sente così insicuro e fragile da oscurare persino Wikipedia [Jimmy Wales: “Confirmed: All editions of the #Wikipedia online encyclopedia blocked in #Turkey as of 8:00AM local time”]. La soluzione alla disinformazione non è un bavaglio, ma è una maggiore informazione. Non è parlare meno, ma parlarsi meglio.

Grazie all'iniziativa Bastabufale, grazie a questo intervento istituzionale, è stato possibile riunire qui, il 21 aprile scorso, esperti di tutti i settori coinvolti, dai media alle industrie ai rappresentanti del mondo digitale e della scuola e della ricerca, per raccogliere le loro esperienze – e in molti casi le loro forti preoccupazioni – e iniziare a formulare interventi concreti.

Da questi tavoli di lavoro, coordinati dai colleghi esperti David Puente, Michelangelo Coltelli e Walter Quattrociocchi, sono emersi alcuni temi essenziali, fortemente condivisi, che offro come spunti per i relatori di oggi.

– Il primo tema è la consapevolezza che la situazione è grave e non va sottovalutata. La bufala, soprattutto il business della bufala, la fabbrica delle fandonie, è un problema sociale serio che a lungo termine danneggia tutti, creando vantaggi temporanei per pochi. Una cittadinanza confusa da notizie false e contraddittorie su temi delicatissimi come la salute o le scelte politiche non è più facile da governare: è ingovernabile. Questa consapevolezza è emersa con forza in tutti i tavoli di lavoro.

– Il secondo è il bisogno di diffondere un messaggio chiaro, che raggiunga tutti e scavalchi la bolla informativa nella quale ci si trova facilmente racchiusi: una sorta di campagna nello stile della Pubblicità Progresso, che senza atteggiamenti da maestri in cattedra usi il buon senso per sensibilizzare tutti. Un messaggio come, per esempio, "Chi semina bufale avvelena anche te: digli di smettere." Tutti hanno sottolineato gli sforzi di comunicazione già in corso nelle scuole e nei media, per esempio attraverso l'impegno delle istituzioni sanitarie e della Polizia Postale ma anche delle aziende e delle loro associazioni, ma è emerso il bisogno di trovare linguaggi nuovi, di attingere al talento della Rete per rispondere alle false notizie con tempi rapidi e con forme di comunicazione leggere ma precise e fruibili universalmente, di grande impatto, come per esempio i memi.

– Dal tavolo di lavoro dei rappresentanti del mondo digitale, in particolare, è arrivato un altro spunto importante: nessuno vuole istituire ministeri della verità e presentarsi come arbitro del vero e del falso, ma esistono e si possono perfezionare strumenti tecnici per segnalare i casi di falso palese e indiscutibile, di like e di condivisioni generate non da utenti ma da sistemi automatici, che costituiscono una fetta molto significativa delle fake news più dannose. In questo senso è lodevole – anche se un po' tardivo – il cambiamento radicale di atteggiamento di Facebook, che da novembre scorso, quando Mark Zuckerberg dichiarava che l'idea che le fake news su Facebook avessero influenzato le elezioni statunitensi attraverso la creazione di echo chamber, di casse di risonanza che esasperavano le polarizzazioni e le scelte politiche, era un'idea "folle", è arrivato al lancio del Facebook Journalism Project, ha avviato alleanze con le organizzazioni di fact-checking e di debunking per contrassegnare e segnalare le notizie false, e ha pubblicato pochi giorni fa un rapporto, intitolato Information Operations and Facebook, che considera seriamente il rischio concreto che il social network venga silenziosamente manipolato da operatori commerciali e anche da alcuni stati o nazioni a scopo di sovversione politica.

– L'aspetto commerciale della fake news è emerso al tavolo delle aziende, che quasi all'unanimità si sono dichiarate entusiaste dell'iniziativa Bastabufale e pronte a partecipare ad azioni corali per una maggiore informazione e per non contribuire al sostentamento economico involontario dei siti di false notizie attraverso le inserzioni pubblicitarie, di cui le aziende spesso non hanno controllo diretto. Anche qui non mancano le proposte di comunicazione più agile e rapida e le richieste di autoregolamentazione su base volontaria e di collaborazione con i social network e con i motori di ricerca.

– Dal tavolo della scuola e della ricerca sono arrivate le segnalazioni delle tante iniziative già in essere per l'accrescimento della competenza dei cittadini nei confronti dell'informazione, soprattutto in campo scientifico, e sono emerse proposte di studiare il fenomeno della disinformazione attraverso strumenti scientifici già collaudati. C'è ancora molto lavoro da fare per quantificare il problema e capirne tutte le sfaccettature e le dinamiche. Questo un lavoro preliminare essenziale per evitare di scadere in interventi inefficaci e di pura facciata che in realtà non risolvono nulla.

– Il mondo dei media e del giornalismo si è dimostrato fortemente preoccupato per il crollo del mercato pubblicitario che lo alimenta, passato in massa ai social network e ai motori di ricerca, e per il fatto di trovarsi in mano a meccanismi pubblicitari sui quali non ha più controllo (come per esempio il programmatic advertising). Questa crisi ha esacerbato il problema della qualità dell'informazione: meno soldi significa inevitabilmente meno qualità e comporta tempi di produzione sempre più stretti che ostacolano la verifica dei fatti. Su questo punto molti dei partecipanti a questo tavolo di lavoro hanno espresso il bisogno di rendere chiaro, attraverso campagne informative ma anche operazioni di trasparenza interna, il concetto che produrre notizie ha un costo e che l'abitudine a trovare tutto gratis è un danno per tutti. Fare informazione corretta richiede denaro: "la verità conta", ma anche "la verità costa".
Ma ho dovuto constatare con rammarico che queste preoccupazioni non sono accompagnate quasi mai da gesti concreti: si è parlato di decaloghi, di richiami alla deontologia, ma non ho sentito parlare di procedure standardizzate di correzione e gestione degli inevitabili errori giornalistici. Molti hanno vantato l'adozione di gruppi di fact-checking adiacenti o interni alle redazioni, ma la realtà è che troppe notizie continuano a essere pubblicate senza le verifiche di base offerte a costo quasi nullo dalle tecnologie digitali. E le rettifiche latitano: anzi, in molte redazioni avverto un vero e proprio fastidio di fronte alle segnalazioni documentate di errori pubblicati e le notizie errate non vengono corrette neppure quando è evidente che sono false.
I rapporti con il mondo digitale sono tesi: Facebook e Google, in particolare, sono percepiti come antagonisti che godono di vantaggi – soprattutto in campo fiscale – che sbilanciano il mercato e creano una posizione dominante che condiziona il mercato dell'informazione.
Ho apprezzato, comunque, l'ammissione che esiste un problema di cultura della correttezza e della trasparenza, le riflessioni amare sulle mancate scuse per la gestione mediatica del caso di Tiziana Cantone e le assunzioni di responsabilità di questi media tradizionali per il caso Stamina/Vannoni. Ma è chiaro che c'è ancora molto lavoro da fare per recuperare una credibilità che secondo alcuni dei partecipanti è ai minimi storici.


La voglia di fare, insomma, c'è: ma per fare qualcosa di efficace occorre continuare a confrontarsi e iniziare a compiere gesti concreti e uscire dal campo delle promesse.

Vorrei concludere con una riflessione dedicata a chi, comprensibilmente, teme che questi gesti siano una forma velata di controllo delle opinioni e di repressione della libertà d'opinione. È una riflessione non politica, ma tecnica: se i like sono generati da sistemi automatici o da collaboratori a pagamento, se i commenti sono partoriti da algoritmi di ripetizione e amplificazione, la libertà d'opinione non c'entra nulla. Queste non sono opinioni di persone: sono spam generato da macchine. Sono un problema tecnologico, e come tale si risolvono con un intervento tecnologico oltre che con uno sforzo d'informazione che raggiunga tutti. Credo che nessuno voglia che il futuro dei propri figli sia deciso da cinici algoritmi che diluiscono la democrazia. Buon lavoro a tutti. Grazie.


2017/05/02

#Bastabufale, troll tentano di impedire le adesioni

Stamattina, durante il convegno di #Bastabufale a Montecitorio, è stato annunciato che le adesioni dei cittadini alla campagna erano diventate oltre 30.000. Ma i tecnici che gestiscono il sito Bastabufale.it mi segnalano che il conteggio è stato alterato da dei troll che hanno passato la notte a eludere i sistemi di verifica volutamente blandi contro le adesioni fasulle (sai che fatica battere un captcha, senza mail con link di verifica) e hanno generato parecchie adesioni fittizie.

Un’operazione un po’ patetica, da newbie, che ha avuto un solo risultato: quello di seppellire le adesioni reali sotto quelle fake. In pratica i troll hanno impedito ai cittadini in buona fede di aderire.

Le adesioni reali verranno recuperate nei prossimi giorni; quelle finte sono già state rimosse.

Complimenti agli autori dell'attacco per la dimostrazione di democrazia. Candidatevi pure per la gara di strappo delle ali alle libellule, siete in pole position. O forse troll position.

2017/05/01

Domani alle 10:30 nuovo appuntamento di #Bastabufale per impegni concreti

Domattina dalle 10:30 ci sarà una diretta Web da Montecitorio nell'ambito del progetto #Bastabufale della Presidenza della Camera dei Deputati italiana, dove verranno presentati e discussi i risultati degli incontri precedenti per arrivare a impegni concreti nel contrasto alle varie forme di manipolazione dell'informazione. Io sarò presente per un intervento introduttivo.

Questa è la descrizione dell'incontro tratta dal sito della Camera:


“#Bastabufale. Impegni concreti” – Martedì alle 10,30 diretta webtv

"#Bastabufale. Impegni concreti". Le proposte operative della scuola, dell'impresa, dell'informazione e dei social network per contrastare le fake news saranno al centro dell'incontro promosso dalla Presidente della Camera Laura Boldrini che si terrà martedì 2 maggio, alle ore 10,30, nella Sala della Regina di Montecitorio e sarà trasmesso in diretta webtv. Dopo il saluto della Presidente e l'intervento introduttivo del giornalista Paolo Attivissimo, prenderanno la parola: Valeria Fedeli, Ministra dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria; Monica Maggioni, Presidente della Rai; Maurizio Costa, Presidente della Federazione italiana editori giornali; Richard Allan, Vicepresident public policy Facebook.
A condurre i lavori sarà l'attrice Geppi Cucciari. I relatori presenteranno le proposte che, ognuno nel proprio ambito, intendono attuare per fronteggiare il fenomeno della disinformazione. Idee messe nero su bianco a conclusione dei tavoli di lavoro tematici che si sono tenuti, sempre a Montecitorio, il 21 aprile scorso e che hanno permesso a 39 organizzazioni ed esperti di confrontarsi sul tema.
Al termine della mattinata verranno premiate le scuole vincitrici del concorso 'Bufale in rete: come riconoscerle!', bandito dalla Ibsa Foundation for scientific research e dall'Istituto Pasteur Italia. L'iniziativa prevedeva la realizzazione di un fumetto, a colori o in bianco e nero. A premiare i ragazzi, oltre alla Presidente Boldrini e alla Ministra Fedeli, ci sarà il fumettista di Gazebo Makkox.


L'ingresso è libero fino ad esaurimento posti. L'evento dovrebbe essere visibile in diretta streaming presso webtv.camera.it/evento/11059.
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