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Il Disinformatico: diritti digitali

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2023/01/26

Cory Doctorow e la enshittification: perché i servizi online e i social network commerciali diventano tutti tossici. Metaverso compreso

Riporto qui la mia traduzione di un saggio di Cory Doctorow che spiega molto bene la dinamica che porta sistematicamente i servizi online e i social network di natura commerciale a deteriorarsi progressivamente dal punto di vista degli utenti. Lui definisce questa dinamica senza mezzi termini come enshittification, ossia grosso modo “immerdificazione”, e noterete che si applica perfettamente non solo a Tiktok ma anche all’evoluzione di Twitter di questi ultimi mesi.

2023/03/12: Sono smodatamente fiero di constatare che Licia Corbolante (@terminologia) ha definito “immerdificazione” una ”parola ben formata attraverso un processo detto formazione parasintetica”. Trovate i dettagli in coda al saggio di Doctorow.


L’immerdificazione di Tiktok

di Cory Doctorow - Link all’originale - traduzione sotto licenza Creative Commons Attribution 4.0.

Ecco come muoiono le piattaforme: dapprima trattano bene i propri utenti; poi abusano di loro per migliorare le cose per i loro clienti commerciali; e infine abusano di quei clienti per riprendersi tutto il valore e tenerselo. E poi muoiono.

Io chiamo questo processo immerdificazione (enshittification), ed è una conseguenza a quanto pare inevitabile che nasce della combinazione della facilità nel cambiare il modo in cui una piattaforma alloca valore, combinata con la natura di un “mercato a due parti”, laddove una piattaforma si piazza fra venditori e acquirenti e tiene ciascuno in ostaggio per l’altro, portandosi via una quota sempre più grande del valore che passa tra loro.

Quando una piattaforma prende il via, ha bisogno di utenti e quindi si rende preziosa per loro. Pensate ad Amazon: per molti anni ha operato in perdita, usando il suo accesso al mercato dei capitali per sovvenzionare tutto quello che compravate. Vendeva beni sottocosto e li spediva sottocosto. Gestiva un sistema di ricerca pulito e utile. Se cercavi un prodotto, Amazon faceva l’impossibile per piazzarlo in cima ai risultati di ricerca.

Questo era un ottimo affare per i clienti di Amazon. Sono arrivati a frotte, e molti rivenditori che avevano negozi fisici sono sfioriti e sono morti, rendendo difficile andare altrove. Amazon ci ha venduto e-book e audiolibri che erano vincolati permanentemente alla sua piattaforma tramite DRM, in modo che ogni dollaro che spendevamo comprando dei media era un dollaro al quale avremmo dovuto rinunciare se avessimo cancellato Amazon e le sue app. E Amazon ci ha venduto Prime, convincendoci a pagare in anticipo per un anno di spedizioni. I clienti di Prime iniziano le loro ricerche per acquisti su Amazon, e il 90% delle volte non cercano altrove.

Questo ha indotto molti clienti commerciali a entrare: venditori nel Marketplace, che hanno trasformato Amazon nel “negozio per tutto” che aveva promesso sin dall’inizio. Man mano che questi clienti entravano in massa, Amazon ha cominciato a dare sussidi ai fornitori. I creatori di Kindle e Audible ricevevano compensi generosi. I rivenditori nel Marketplace raggiungevano un pubblico enorme e Amazon prendeva da loro delle commissioni basse.

Questa strategia comportava il fatto che diventava progressivamente più difficile, per chi cercava di fare acquisti, trovare cose in qualunque altro posto diverso da Amazon, e questo voleva dire che cercava solo su Amazon, e quindi i venditori dovevano vendere su Amazon.

È stato a questo punto che Amazon ha cominciato a raccogliere le eccedenze dai propri clienti commerciali e le ha passate ai propri azionisti. Oggi i venditori del Marketplace passano ad Amazon il 45% e oltre del prezzo di vendita sotto forma di costi fittizi. Il programma “pubblicitario” da 31 miliardi di dollari dell’azienda è in realtà un sistema a payola [nel mondo del business musicale, pagamento dato da una casa discografica o simile a un DJ o direttore radiofonico per far trasmettere un suo brano, N.d.T.] che mette i venditori uno contro l’altro, costringendoli a fare offerte per la possibilità di essere in cima alla vostra ricerca.

Fare una ricerca in Amazon non produce un elenco dei prodotti che corrispondono maggiormente alla vostra ricerca: fa comparire un elenco dei prodotti i cui venditori hanno pagato di più per essere in cima a quella ricerca. Questi costi sono incorporati nel prezzo che pagate per il prodotto, e il requisito di “nazione più favorita” di Amazon significa che i venditori non possono vendere altrove a un prezzo inferiore, per cui Amazon ha dettato i prezzi di ogni venditore.

Cercate “lettini per gatti” su Amazon: tutta la prima schermata è costituita da pubblicità, compresi prodotti che Amazon ha clonato dai propri rivenditori, facendoli fallire (i venditori terzi devono pagare il 45% in costi fittizi ad Amazon, ma Amazon non applica questi costi fittizi a se stessa). In tutto, le prime cinque schermate di risultati per “lettini per gatti” sono pubblicità per il 50%.

https://pluralistic.net/2022/11/28/enshittification/#relentless-payola

Questa è l’immerdificazione: le eccedenze vengono dapprima rivolte agli utenti; poi, una volta che gli utenti sono intrappolati, le eccedenze vanno ai fornitori; poi, una volta che sono intrappolati anche loro, le eccedenze vengono passate agli azionisti, e la piattaforma diventa un’inutile montagna di letame. Dagli store di app per telefonini a Steam a Facebook a Twitter, questo è il ciclo di vita della enshittification.

Ecco perché, come ha scritto Cat Valente nel suo saggio magistrale prenatalizio, piattaforme come Prodigy si sono trasformate, da un giorno all’altro, da un posto dove andavi per i collegamenti sociali a un posto dove eri tenuto a “smettere di parlare con gli altri e cominciare a comprare cose”:

https://catvalente.substack.com/p/stop-talking-to-each-other-and-start

Questo gioco delle tre carte, giocato con le eccedenze, è quello che è successo a Facebook. All’inizio Facebook ti trattava bene: ti mostrava le cose che avevano da dire le persone che amavi e alle quali volevi bene. Questo ha creato una sorta di presa di ostaggi reciproca: una volta che su Facebook c’era una massa critica di persone alle quali tenevi, diventava in pratica impossibile andarsene, perché avresti dovuto convincere tutte queste persone ad andarsene anche loro e metterle d’accordo su dove andare. Vuoi bene ai tuoi amici, ma capita spesso di non riuscire ad accordarsi su quale film andare a vedere e dove andare a cena. Lascia perdere.

Poi Facebook ha cominciato a riempire il feed con post di account che non seguivi. All’inizio si trattava di aziende del settore dei media, che Facebook ficcava in gola ai propri utenti in modo preferenziale affinché cliccassero sugli articoli e mandassero del traffico ai giornali, alle riviste e ai blog.

Poi, una volta che quelle pubblicazioni erano diventate dipendenti da Facebook per il loro traffico, Facebook ha smorzato quel traffico. Dapprima ha messo una strozzatura nel traffico verso le pubblicazioni che usavano Facebook per pubblicare degli estratti contenenti dei link ai loro siti; lo ha fatto allo scopo di spingere le pubblicazioni a fornire dei feed di testi integrali all’interno del giardino cintato di Facebook.

Questo ha reso le pubblicazioni profondamente dipendenti da Facebook. I loro lettori non visitavano più i siti delle pubblicazioni ma ne fruivano su Facebook. Le pubblicazioni erano ostaggi di quei lettori, che erano ostaggi gli uni degli altri. Facebook ha smesso di mostrare ai lettori gli articoli pubblicati dalle pubblicazioni, ricalibrando l’algoritmo in modo da sopprimere i post provenienti dalle pubblicazioni a meno che avessero pagato per "amplificare" i loro articoli ai lettori che si erano esplicitamente abbonati ad essi e avevano chiesto a Facebook di includerli nei loro feed.

A questo punto Facebook ha cominciato a ficcare più pubblicità nel feed, mescolando la payola della gente che volevate ascoltare con la payola degli sconosciuti che volevano sequestrare la vostra attenzione. Ha offerto a quegli inserzionisti un ottimo affare, chiedendo una miseria per personalizzare le loro pubblicità sulla base dei dossier di dati personali raccattati senza consenso che avevano rubato a voi.

Anche i rivenditori erano diventati dipendenti da Facebook. Erano diventati incapaci di continuare a lavorare senza quelle inserzioni mirate. Questo è stato, per Facebook, il segnale per alzare i prezzi delle inserzioni, smettere di preoccuparsi così tanto delle frodi pubblicitarie e mettersi in combutta con Google per manipolare il mercato pubblicitario tramite un programma illegale chiamato Jedi Blue:

https://en.wikipedia.org/wiki/Jedi_Blue

Oggi Facebook è in uno stato di immerdificazione terminale; è un posto terribile dove stare, sia per gli utenti, sia per le aziende nel settore dei media, sia per gli inserzionisti pubblicitari. È un’azienda che ha intenzionalmente demolito una grossa fetta degli editori sui quali contava, frodandoli e attirandoli in una “transizione al video” che si basava su asserzioni false riguardanti la popolarità dei video fra gli utenti di Facebook. Le aziende hanno speso miliardi per questa transizione, ma gli spettatori non si sono mai presentati, e le aziende di media hanno chiuso in massa:

https://slate.com/technology/2018/10/facebook-online-video-pivot-metrics-false.html

Ma Facebook ora ha una nuova proposta. Si fa chiamare Meta, e pretende che viviamo il resto dei nostri giorni come creature da cartone animato con pochi poligoni, senza gambe, senza sesso e pesantemente sorvegliate.

Ha promesso alle aziende che fanno app per questo metaverso che non le fregherà come ha fatto con gli editori sul vecchio Facebook. Resta da vedere se troverà aziende interessate. Come ammise candidamente una volta Mark Zuckerberg a un suo coetaneo, meravigliandosi di tutti i compagni di studi a Harvard che mandavano le loro informazioni personali al suo nuovo sito Web "TheFacebook":

    Non so perché.

    Si "fidano di me"

    Cretini.

https://doctorow.medium.com/metaverse-means-pivot-to-video-adbe09319038

Una volta capito lo schema della enshittification, molti dei misteri delle piattaforme si chiariscono da soli. Pensate al mercato del SEO, o a tutto il mondo dinamico dei creatori online che trascorrono ore infinite a fare inutile cremlinologia delle piattaforme, nella speranza di identificare le trappole algoritmiche che, se ci si incappa, condannano all’oblio le opere creative nelle quali riversano i loro soldi, il loro tempo e la loro energia:

https://pluralistic.net/2022/04/11/coercion-v-cooperation/#the-machine-is-listening

Lavorare per la piattaforma può essere come lavorare per un capo che preleva soldi da ogni busta paga per tutte le regole che hai violato, ma non ti dice quali sono queste regole, perché se te le dicesse capiresti come violarle senza farti scoprire da lui e senza farti togliere soldi dalla busta paga. La moderazione dei contenuti è l’unico settore nel quale la security through obscurity [sicurezza tramite segretezza] è considerata una prassi ottimale:

https://doctorow.medium.com/como-is-infosec-307f87004563

Questa situazione è talmente grave che organizzazioni come Tracking Exposed hanno arruolato un esercito umano di volontari e un esercito robotico di browser headless per cercare di decifrare la logica che sta dietro i giudizi arbitrari, da macchina, dell’Algoritmo, sia per dare agli utenti l’opzione di affinare i suggerimenti che ricevono, sia per aiutare i creatori a evitare il furto di salario che deriva dall’essere “shadowbanned” [banditi o resi invisibili senza esserne avvisati, N.d.T.]:

https://www.eff.org/deeplinks/2022/05/tracking-exposed-demanding-gods-explain-themselves

Ma che succede se non c’è dietro nessuna logica? O più direttamente, che succede se la logica cambia a seconda delle priorità della piattaforma? Se passeggiate lungo la via principale di un luna park, vedrete qualche povero pollo che va in giro tutto il giorno portando un enorme orsacchiotto di peluche che ha vinto tirando tre palle in una cesta.

Il gioco della cesta è truccato. Il gestore può usare un interruttore nascosto per obbligare le palle a rimbalzare fuori dal cesto. Nessuno vince un orsacchiotto gigante, a meno che il gestore voglia che lo vinca. Perché il gestore ha lasciato che il pollo vincesse l’orsacchiotto? Perché così lo porterà in giro tutto il giorno e convincerà gli altri polli a pagare per avere la possibilità di vincerne uno:

https://boingboing.net/2006/08/27/rigged-carny-game.html

Il gestore ha assegnato un orsacchiotto gigante a quel povero pollo nella stessa maniera in cui le piattaforme assegnano le eccedenze a chi ha le migliori prestazioni: per farne un persuasore in una Truffa del Grande Magazzino. È un modo per irretire altri polli che creeranno contenuti per la piattaforma, ancorando ad essa se stessi e il loro pubblico.

Il che mi porta a Tiktok. Tiktok è tante cose, ed è anche un “Adobe Premiere per teenager che vivono al telefono."

https://www.garbageday.email/p/the-fragments-of-media-you-consume

Ma quello che lo ha reso inizialmente un grande successo è stato il potere del suo sistema di suggerimenti. Sin dall’inizio, Tiktok era veramente bravo a suggerire cose ai propri utenti. Inquietantemente bravo:

https://www.npr.org/transcripts/1093882880

Dando suggerimenti in buona fede su cose che pensava che sarebbero piaciute ai suoi utenti, Tiktok ha costruito un pubblico di massa, più grande di quanto molti pensassero possibile vista la pressione mortale dei suoi concorrenti, come YouTube e Instagram. Ora che Tiktok si è procurato il pubblico, sta consolidando i propri guadagni e cercando di attirare le aziende del settore dei media e i creatori che sono ancora cocciutamente legati a YouTube e Instagram.

Ieri [il 20 gennaio scorso, N.d.T.] Emily Baker-White di Forbes ha pubblicato un resoconto fantastico di come funziona questo processo all’interno di Bytedance, la società che gestisce Tiktok, citando varie fonti interne e rivelando l’esistenza di un “amplificatore“ che i dipendenti di TikTok usano per inserire i video di alcuni account selezionati nei feed di milioni di spettatori:

https://www.forbes.com/sites/emilybaker-white/2023/01/20/tiktoks-secret-heating-button-can-make-anyone-go-viral/

Questi video finiscono nei feed Per te degli utenti di Tiktok, che Tiktok descrive in modo ingannevole come popolato da video “classificati da un algoritmo che prevede i tuoi interessi in base al tuo comportamento nell’app”. In realtà, il Per te è composto solo qualche volta da video che secondo Tiktok possono aggiungere valore alla tua esperienza: per il resto è pieno di video che Tiktok ha inserito per far credere ai creatori che Tiktok sia un posto magnifico per raggiungere un pubblico.

“Le fonti hanno detto a Forbes che TikTok ha usato spesso l’amplificazione per corteggiare influencer e brand, stuzzicandoli ad avviare collaborazioni gonfiando il conteggio delle visualizzazioni dei loro video. Questo suggerisce che l’amplificazione è stata potenzialmente benefica per alcuni influencer e brand – quelli con i quali Tiktok cercava rapporti commerciali – a discapito di altri con i quali non li cercava.”

In altre parole, Tiktok sta distribuendo orsacchiotti giganti.

Ma il mestiere di Tiktok non è regalare orsacchiotti giganti. Nonostante le sue origini siano nell’economia cinese quasi-capitalista, Tiktok è semplicemente un altro organismo-colonia artificiale massimizzatore di fermagli [concetto che ho spiegato qui, N.d.T.] che tratta gli esseri umani come se fossero scomoda flora intestinale. Tiktok porterà attenzione gratuita alle persone che vuole accalappiare solo finché non le accalappia, e poi ritirerà quell’attenzione e inizierà a monetizzarla.

“Monetizzare” è una pessima parola che ammette tacitamente che non esiste nessuna “economia dell’attenzione”. Non si può usare l’attenzione come mezzo di scambio. Non la si può usare per immagazzinare valore. Non la si può usare come unità di conto. L’attenzione è come una criptovaluta: un gettone senza valore, che è prezioso solo finché riesci a convincere o obbligare qualcuno a dare in cambio della valuta “reale” (“fiat currency”). La devi “monetizzare”, ossia devi scambiare i soldi finti con soldi veri.

Nel caso delle criptovalute, la strategia principale di monetizzazione era basata sull’inganno. Gli exchange e i “progetti” distribuivano un sacco di orsacchiotti giganti, creando un esercito di capre di Giuda, credenti incrollabili, che convincevano i loro pari a dare al gestore del luna park i loro soldi e a cercare di mettere anche loro qualche palla nel cesto.

Ma l’inganno produce solo una certa quantità di garanzia di liquidità [liquidity provision]. Prima o poi i polli finiscono. Per fare in modo che tanta gente tenti il tiro delle palle serve la coercizione, non la persuasione. Pensate a come le aziende statunitensi hanno messo fine alle pensioni con benefici definiti che garantivano un pensionamento dignitoso e le hanno sostituite con pensioni tipo 401(k) che si basano sul mercato e obbligano a scommettere i propri risparmi in un casinò truccato, trasformandovi nel pollo seduto al tavolo, pronto per essere cucinato:

https://pluralistic.net/2020/07/25/derechos-humanos/#are-there-no-poorhouses

La liquidità iniziale delle criptovalute è arrivata dal ransomware. L’esistenza di un serbatoio di aziende e di persone prese dal panico e dalla disperazione, i cui dati erano stati rubati da criminali, ha creato una base di liquidità in criptovalute perché potevano riavere i loro dati soltanto scambiando soldi veri con criptovalute fittizie.

La fase successiva della coercizione sulle criptovalute è stata il Web3: convertire il Web in una serie di caselli a pagamento che si potevano valicare solo scambiando soldi veri con criptodenaro falso. Internet è una necessità, non uno sfizio; è un prerequisito per partecipare pienamente al mondo del lavoro, all’educazione, alla vita familiare, alla salute, alla politica, alle attività civiche, persino alle situazioni romantiche. Tenendo in ostaggio tutte queste cose dietro dei caselli di criptovalute, gli hodler speravano di convertire i loro gettoni in soldi reali:

https://locusmag.com/2022/09/cory-doctorow-moneylike/

Per Tiktok, distribuire orsacchiotti gratuiti “amplificando” i video postati da creatori e aziende di media scettiche è un modo per convertirli in credenti incrollabili, convincerli a mettere tutte le loro fiche sul tavolo, abbandonare i loro tentativi di crearsi un pubblico su altre piattaforme (ed è comodo che il format di Tiktok sia caratteristico, rendendo difficile riusare i video fatti per Tiktok e utilizzarli su piattaforme rivali).

Una volta che quei creatori e quelle aziende di media saranno stati presi all’amo, inizierà la seconda fase: Tiktok ritirerà l’“amplificazione” che piazza i loro video in faccia a gente che non ne ha mai sentito parlare e che non ha chiesto di vedere i loro video. Tiktok sta eseguendo un balletto delicato: c’è un limite alla enshittification che possono infliggere ai feed dei loro utenti, e Tiktok ha tanti altri creatori ai quali vuole dare orsacchiotti giganti.

Tiktok non si limiterà ad affamare i creatori privandoli dell’attenzione “gratuita” attraverso la rimozione del trattamento preferenziale nell’algoritmo, ma li punirà attivamente smettendo di inviare i video agli utenti che si sono abbonati a loro. Dopotutto, ogni volta che Tiktok ti mostra un video che avevi chiesto di vedere perde un’occasione di mostrarti invece un video che vuole che tu veda, perché la tua attenzione è un orsacchiotto gigante che può regalare a un creatore che sta corteggiando.

Questo è esattamente quello che ha fatto Twitter nell’ambito della sua marcia verso l’immerdificazione: grazie ai suoi cambiamenti di “monetizzazione”, la maggior parte della gente che ti segue non vedrà mai le cose che posti. Io ho circa 500mila follower su Twitter, e i miei thread prima avevano abitualmente centinaia di migliaia o anche milioni di letture. Oggi ne hanno centinaia, forse migliaia.

Ho appena pagato a Twitter 8 dollari per avere Twitter Blue, perché l’azienda ha indicato fortemente che mostrerà le cose che posto alle persone che hanno chiesto di vederle solo se pago un riscatto. Questa è la battaglia più recente in una delle guerre più lunghe e a fuoco lento di Internet: la lotta sull’end-to-end:

https://pluralistic.net/2022/12/10/e2e/#the-censors-pen

In principio vi erano i Bellhead, i fan della compagnia telefonica [la statunitense Bell, N.d.T.], e i Nethead, i fan della rete. I Bellhead lavoravano per le grandi compagnie telefoniche e credevano che tutto il valore della rete appartenesse doverosamente all’operatore. Se qualcuno inventava una nuova funzione, come per esempio l’identificazione del chiamante, quella funzione doveva essere realizzata solo in un modo che consentisse all’operatore di far pagare ogni mese per usarla. Era il Software-As-a-Service, versione telefonica.

I Nethead, invece, credevano che il valore dovesse spostarsi verso la periferia della rete e si dovesse spandere, in forma pluralizzata. In teoria, Compuserve avrebbe potuto “monetizzare” la propria versione dell’identificazione del chiamante facendo pagare 2,99 dollari extra per vedere la riga “Da:” nella mail prima di aprire il messaggio – facendoti pagare per sapere chi stava parlando prima che tu iniziassi ad ascoltare – ma non lo fece.

I Nethead volevano costruire reti diversificate con tante offerte, tanta concorrenza, e un passaggio facile e a basso costo fra concorrenti (grazie all’interoperabilità). Alcuni lo volevano fare perché ritenevano che la rete prima o poi sarebbe stata integrata nel mondo e non volevano vivere in un mondo di locatori affamati di riscuotere affitti. Altri credevano sinceramente nella concorrenza di mercato come fonte di innovazione. Alcuni credevano in entrambe le cose. In ogni caso, vedevano il rischio di cattura della rete, la spinta verso la monetizzazione attraverso l’inganno e la coercizione, e volevano tenerli lontani.

Concepirono il principio dell’end-to-end: l’idea che le reti dovessero essere progettate in modo che i messaggi di chi voleva farsi sentire venissero consegnati ai punti di arrivo di coloro che volevano ascoltarli, nella maniera più rapida e affidabile possibile. In altre parole, anche se un operatore di rete avesse potuto fare soldi mandandoti i dati che lui voleva che tu ricevessi, il suo dovere sarebbe stato quello di fornirti i dati che volevi vedere tu.

Oggi il principio dell’end-to-end è morto a livello di servizi. Gli utili idioti di destra sono stati ingannati, facendo loro credere che il rischio di una cattiva gestione di Twitter sarebbe stato un “woke shadowbanning” [un blocco non annunciato dei post, in base a dettami di “correttezza politica” estrema, N.d.T.], in base al quale le cose che dicevi non sarebbero arrivate alle persone che avevano chiesto di ascoltarle perché al “deep state” [“governo sommerso”, N.d.T.] di Twitter non piacevano le tue opinioni. Il rischio reale, ovviamente, era che le cose che dicevi non sarebbero arrivate alle persone che avevano chiesto di ascoltarle perché Twitter può fare più soldi immerdificando i loro feed e facendoti pagare un riscatto per il privilegio di essere incluso in quei feed.

Come dicevo all’inizio di questo saggio, l’enshittification esercita una gravità quasi irresistibile sul capitalismo delle piattaforme. È semplicemente troppo facile girare la manopola dell’immerdificazione fino al massimo. Twitter ha potuto licenziare la maggior parte del suo personale di elevata competenza e girare lo stesso la manopola fino al livello massimo, anche con una squadra ridotta all’osso di lavoratori H1B [non statunitensi che hanno il permesso di residenza in USA solo finché lavorano in settori ad alta professionalità, N.d.T.] disperati e demoralizzati, che la minaccia dell’espulsione dal paese incatena alla nave di Twitter che sta affondando.

La tentazione di immerdificare viene amplificata dai blocchi sull’interoperabilità: quando Twitter bandisce i clienti interoperabili, decide di menomare le proprie API e terrorizza periodicamente i propri utenti sospendendoli per aver incluso nelle loro bio i loro nomi su Mastodon, rende più difficile abbandonare Twitter e quindi aumenta la quantità di immerdificazione che gli utenti possono essere forzati a ingoiare senza rischiare che se ne vadano.

Twitter non diventerà un “protocollo”. Scommetto un testicolo (non uno dei miei) che progetti come Bluesky non avranno alcuna presa significativa sulla piattaforma, perché se Bluesky venisse implementato e gli utenti di Twitter potessero riordinare i propri feed per minimizzare l’enshittification e abbandonare il servizio senza sacrificare i propri social network, questo stroncherebbe la maggior parte delle strategie di “monetizzazione” di Twitter. 

Una strategia di enshittification ha successo solo se viene applicata in dosi centellinate. Anche l’utente vittima del peggior lock-in alla fine raggiunge un punto di rottura e se ne va. Gli abitanti del villaggio di Anatevka nel Violinista sul tetto tollerarono per anni le incursioni violente e i pogrom dei cosacchi, fino al momento in cui non ne poterono più e scapparono a Cracovia, New York e Chicago:

https://doctorow.medium.com/how-to-leave-dying-social-media-platforms-9fc550fe5abf

Per le aziende confuse dall’immerdificazione, quell’equilibrio è difficile da raggiungere e mantenere. I singoli product manager, direttori e azionisti attivisti preferiscono tutti i guadagni rapidi al prezzo della sostenibilità, e fanno a gara a chi riesce per primo a mangiarsi il capitale iniziale. La enshittification è durata così a lungo solo perché Internet si è devoluta in “cinque siti web giganti, ciascuno pieno di screenshot degli altri quattro”:

https://twitter.com/tveastman/status/1069674780826071040

Con un mercato controllato da un gruppo di monopolisti amiconi fra loro, non compaiono alternative migliori che ci attirino e ci portino via; se compaiono, i monopolisti non fanno altro che comprarsele e integrarle nelle strategie di immerdificazione, esattamente come quando Mark Zuckerberg ha notato un esodo di massa di utenti di Facebook che stavano passando a Instagram e così ha comprato Instagram. Come dice Zuck, “È meglio comperare che competere”.

Questa è la dinamica che si nasconde dietro l’ascesa e il declino di Amazon Smile, il programma nel quale Amazon dava una piccola cifra a enti benefici di tua scelta quando facevi acquisti su Amazon, ma solo se usavi lo strumento di ricerca di Amazon per trovare i prodotti che compravi. Questo dava ai clienti di Amazon un incentivo a usare il suo sistema di ricerca sempre più immerdificato, che poteva rimpinzare di prodotti di venditori che pagavano la payola e dei suoi prodotti-fotocopia. L’alternativa era usare Google, il cui strumento di ricerca ti mandava direttamente al prodotto che stavi cercando, e poi faceva pagare ad Amazon una commissione per averti mandato da Amazon:

https://www.reddit.com/r/technology/comments/10ft5iv/comment/j4znb8y/

La fine di Amazon Smile coincide con l’aumentata enshittification della ricerca in Google, l’unico prodotto di successo che l’azienda è riuscita a creare internamente. Tutti gli altri suoi successi sono stati comprati prendendoli da altre società: video, documenti, cloud, servizi per telefonia mobile. I suoi prodotti interni, invece, sono flop come Google Video, cloni (Gmail è un clone di Hotmail), o adattamenti di prodotti altrui, come Chrome.

La ricerca in Google Search era basata sui princìpi definiti nel paper fondamentale del 1998 dei fondatori Larry Page e Sergey Brin, “Anatomy of a Large-Scale Hypertextual Web Search Engine”, nel quale scrissero che “i motori di ricerca finanziati dalla pubblicità saranno intrinsecamente favorevoli ai pubblicitari e contrari ai bisogni dei consumatori”.

http://ilpubs.stanford.edu:8090/361/

Anche con questa comprensione fondante dell’enshittification, Google non è riuscita a resistere al proprio canto delle sirene. Oggi i risultati di Google sono un pantano sempre più inutile di link auto-preferenziali ai propri prodotti, di pubblicità di prodotti che non meritano di salire spontaneamente in cima all’elenco, e di spazzatura SEO parassitaria che cavalca tutto il resto.

L’enshittification uccide. Google ha appena licenziato 12.000 dipendenti, è in panico totale per l’ascesa dei chatbot di “intelligenza artificiale”, e sta facendo pressing a tutto campo per avere uno strumento di ricerca guidato dall’intelligenza artificiale, ossia uno strumento che non ti mostrerà quello che gli chiedi ma ti mostrerà invece quello che pensa che dovresti vedere:

https://www.theverge.com/2023/1/20/23563851/google-search-ai-chatbot-demo-chatgpt

È possibile immaginare che uno strumento del genere possa produrre suggerimenti validi, come faceva l’algoritmo di Tiktok pre-immerdificazione. Ma è difficile immaginare come Google possa riuscire a progettare un front-end di ricerca sotto forma di chatbot che non sia immerdificato, visti i potenti incentivi di product manager, direttori e azionisti a immerdificare i risultati fino all’esatta soglia alla quale gli utenti sono quasi seccati abbastanza da andarsene, ma non del tutto.

Anche se dovesse riuscirci, questo equilibrio di inusabilità quasi (ma non del tutto) totale è fragile. Qualunque shock di natura esterna, per esempio un nuovo concorrente come Tiktok che penetri i fossati e le muraglie della Big Tech, uno scandalo di privacy, una rivolta di lavoratori, può indurre oscillazioni violente:

https://pluralistic.net/2023/01/08/watch-the-surpluses/#exogenous-shocks

L’enshittification è veramente il modo in cui muoiono le piattaforme. E questo, in realtà, va benissimo. Non abbiamo bisogno di monarchi eterni di Internet. Va benissimo che emergano nuove idee e nuovi modi di lavorare. I legislatori e i responsabili delle politiche non dovrebbero concentrarsi sul preservare la senescenza crepuscolare delle piattaforme morenti. Semmai l’attenzione delle nostre politiche dovrebbe concentrarsi sul minimizzare il costo agli utenti quando queste aziende raggiungono la propria data di scadenza: stabilire per legge diritti come l’end-to-end significherebbe che per quanto autocannibale possa diventare una piattaforma-zombi, chi vuole parlare e chi vuole ascoltare possano sempre incontrarsi:

https://doctorow.medium.com/end-to-end-d6046dca366f

E chi decide le politiche dovrebbe focalizzarsi sulla libertà di uscita: il diritto di abbandonare una piattaforma che sta affondando ma continuare a restare collegati alle comunità che ci si lascia alle spalle, fruendo dei media e delle app acquistate, e preservando i dati creati:

https://www.eff.org/interoperablefacebook

I Nethead avevano ragione: l’autodeterminazione tecnologica è contraria agli imperativi naturali delle aziende tecnologiche. Guadagnano più soldi quando ci portano via la libertà: la nostra libertà di parlare, di andarcene, di collegarci.

Per molti anni, persino i critici di Tiktok hanno ammesso a malincuore che per quanto fosse sorvegliante e inquietante, era veramente abile a indovinare cosa volevi vedere. Ma Tiktok non ha potuto resistere alla tentazione di mostrarti le cose che vuole che tu veda invece delle cose che vuoi vedere tu. L’immerdificazione è cominciata, ed è improbabile che ora si fermi.

È troppo tardi per salvare Tiktok. Ora che è stato infettato dall’enshittification, non ci resta che ucciderlo dandogli fuoco [riferimento al meme “kill it with fire”, N.d.T.].

---

2023/03/12. Chi mi conosce sa che non sono un amante della volgarità e del turpiloquio, per cui ho tradotto enshittification con una certa dose di apprensione e disagio. Ma in mio soccorso è giunta Licia Corbolante (@terminologia), che approva il termine:

2022/08/25

Genitori mandano ai medici foto dei figli malati, finiscono indagati per molestie su minori. Li ha denunciati Google

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Immaginate che vostro figlio piccolo abbia un problema alla pelle, come può capitare per mille ragioni, e che il vostro medico vi chieda di mandargli una foto della zona affetta per fare un consulto rapido e partire subito con la terapia in attesa della visita di persona. È una richiesta comune, soprattutto in questo periodo di contatti sociali necessariamente ridotti e con lo sviluppo dei servizi di telemedicina.

Ora immaginate che questo semplice, banale gesto possa farvi bloccare tutti i servizi di Google, dalla mail all’agenda all’archivio delle foto e dei video di famiglia, e addirittura farvi mettere sotto indagine da parte della polizia.

È esattamente quello che è successo realmente a due genitori a febbraio 2021 negli Stati Uniti. La loro unica colpa è stata aver scattato le foto in questione con uno smartphone associato a un account Google. 

Come racconta il New York Times, che ha scoperto questi incidenti, le fotografie inviate ai rispettivi medici ritraevano la zona genitale dei figli, ed erano state copiate automaticamente ai server di Google, dove erano state etichettate dai sistemi automatici con una sigla terribile ma poco conosciuta: CSAM. Sono le iniziali di child sexual abuse material, ossia “materiale relativo ad abusi sessuali su bambini”. I due genitori (uomini di due famiglie distinte), erano stati classificati automaticamente come pedopornografi, e segnalati da Google alla polizia locale, che aveva avviato le indagini del caso.

Il loro incubo è durato alcuni mesi: in entrambi i casi la polizia ha confermato che non era stato commesso alcun reato, ma Google è stato irremovibile e non ha ripristinato gli account delle due vittime del suo eccesso di zelo.

Queste due vicende, nota un articolo della Electronic Frontier Foundation, un’importante associazione per la difesa dei diritti digitali dei cittadini, dimostrano nella maniera peggiore il fatto che i messaggi privati, i file e le fotografie di comuni cittadini vengono esaminati sempre più spesso dalle grandi aziende informatiche a titolo preventivo, senza ci sia alcun sospetto o mandato di inquirenti. 

Sistemi automatici come PhotoDNA di Microsoft e Content Safety API e CSAI Match di Google, usati da tutti i principali fornitori di servizi digitali, da Facebook a Reddit, identificano ogni anno milioni di immagini di questo genere e producono centinaia di migliaia di segnalazioni in tutto il mondo. Ma lo fanno compiendo l’equivalente digitale di una perquisizione a tappeto. E ogni tanto sbagliano.

Il traffico di immagini di abusi su minori è un problema gravissimo, che per molte persone e in molti ordinamenti giuridici giustifica questo tipo di perquisizione digitale di massa; lo giustifica per esempio, appunto, negli Stati Uniti, con il cosiddetto EARN IT Act, e probabilmente lo giustificherà prossimamente anche nell’Unione Europea, stando a una proposta in corso di valutazione.

Ma anche i casi di falsi positivi, come quelli descritti dal New York Times, sono problematici, perché mostrano che i grandi nomi di Internet svolgono questo importantissimo pattugliamento affidandosi troppo a questi filtri automatici e a esaminatori umani inadeguati, senza offrire a chi viene infamato per errore la possibilità di contattare un essere umano che valuti la situazione, e senza accettare neppure un rapporto di polizia che scagioni chi è stato accusato ingiustamente. I grandi nomi di Internet sono insomma investigatori, giudici ed esecutori delle proprie sentenze inappellabili. Il New York Times ha contattato Google in merito a questi due genitori accusati e condannati ingiustamente, ma non è servito a nulla. E non si sa quante volte accadano questi falsi positivi o quante persone danneggino.

Il problema, nota ancora la Electronic Frontier Foundation, non è tecnico: i sistemi di riconoscimento delle immagini hanno un tasso di errore molto basso, come confermano gli addetti ai lavori che hanno il compito non invidiabile di controllare tutto quello che viene segnalato da questi software. Il problema è organizzativo: qui ha fallito il processo umano di riesame dei singoli casi e hanno fallito le procedure decise da Google che prevedono il blocco permanente dei dati, senza appello.

E va detto che anche il tasso di errore migliore del mondo, se viene applicato a miliardi di foto, produrrà milioni di falsi positivi. La EFF segnala uno studio di Facebook su 150 account segnalati alle autorità per presunto contenuto relativo ad abusi su minori, che ha scoperto che il 75% di questi account era innocente. La stessa Foundation nota che LinkedIn ha segnalato alle autorità dell’Unione Europea 75 account nell’ultimo semestre del 2021, ma solo 31 di questi sono stati confermati come colpevoli da un riesame manuale.

Un celebre caso di errore di riconoscimento dei filtri di Facebook nel 2012.

La vigilanza contro questi reati terribili è chiaramente indispensabile, ma va fatta con gli strumenti giusti e con procedure che garantiscano che non ci vadano di mezzo degli innocenti.

Per il momento, la vicenda dei due genitori additati senza colpa sottolinea una cosa che dimentichiamo molto spesso: tutto quello che salviamo nel cloud può essere letto, e quasi sicuramente verrà letto, dai grandi fornitori di questi servizi, e potrebbe essere capito male. Teniamolo presente quando scriviamo online delle confidenze o dei documenti sensibili. Facciamo una copia di scorta locale, perché potremmo perdere tutto quello che abbiamo online senza preavviso. E se abbiamo bisogno di scattare foto che potrebbero essere fraintese da un filtro automatico troppo zelante, lasciamo stare cloud e smartphone e procuriamoci una normale macchina fotografica. Digitale, per carità, ma che non vada su Internet.

2022/07/21

Paghereste un canone di abbonamento per poter scaldare i sedili della vostra auto? Con BMW si può

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Chi lavora con l’informatica è abituato da tempo all’idea di comperare un programma e poi pagare degli abbonamenti o dei supplementi per attivarne alcune funzioni extra. Ma da qualche tempo questo modello commerciale si è esteso anche alle automobili.

È di questi giorni la notizia che nel Regno Unito BMW ha iniziato a offrire il riscaldamento dei sedili e del volante in abbonamento. I componenti fisici del sistema di riscaldamento sono installati di serie, ma per attivarli è necessario pagare un canone mensile di 15 sterline (circa 18 euro o franchi svizzeri), più altre 10 sterline (circa 12 euro o franchi) per attivare anche il riscaldamento del volante. In alternativa si può pagare un supplemento, al momento dell’acquisto, di 200 sterline (grosso modo 230 euro o franchi). Anche il cruise control attivo, gli abbaglianti automatici e le sospensioni adattive sono installati ma attivati solo a pagamento.

Può sembrare assurdo che una casa automobilistica installi di serie dei componenti che il cliente non paga se non li attiva: in fin dei conti, questi componenti hanno un costo di fabbricazione e di installazione, per cui metterli su tutti i veicoli e poi sperare che il cliente paghi per attivarli parrebbe a prima vista un autogol commerciale. Ma nella produzione di massa capita spesso che installare i componenti su tutti gli esemplari costi meno che gestire due o più filiere di produzione separate, con tutti i relativi problemi di logistica, burocrazia e controllo qualità.

BMW non è l’unica marca a preinstallare hardware da sbloccare pagando un canone tramite un’app, in una sorta di App Store per automobili che chiama Connected Drive Store. Tesla, per esempio, offre da tempo vari servizi supplementari di aumento delle prestazioni che sono basati su un canone e propone anche un sistema di assistenza di guida i cui computer e sensori sono presenti in ogni esemplare venduto ma si attivano soltanto pagando un supplemento che parte da 3700 franchi (o euro equivalenti) e può superare i 7000; in passato ha offerto anche batterie la cui autonomia era limitata via software e poteva essere sbloccata pagando un supplemento di circa 8000 dollari. E Stellantis ha annunciato a gennaio 2021 che si aspetta di ricavare circa 22 miliardi di dollari l’anno dalla vendita di software e abbonamenti sulle proprie automobili entro il 2030. Anche Volkswagen, General Motors e Ford fanno previsioni analoghe. E già ora GM offre il proprio sistema di assistenza di guida su abbonamento: i primi tre anni sono gratuiti, poi si devono pagare 25 dollari al mese.

L’introduzione di questi servizi in abbonamento non è stata accolta dal pubblico con unanime entusiasmo, per dirla con garbo. L’annuncio dei sedili riscaldati a pagamento sulle BMW ha suscitato parecchie discussioni online da parte di utenti che ritengono che funzioni così basilari dovrebbero essere offerte di serie, e un sondaggio della società di marketing Cox Automotive indica che i tre quarti dei partecipanti dichiara di non essere disposta a pagare canoni mensili per le funzioni della propria auto. Kurt Opsahl, consulente legale della Electronic Frontier Foundation, ha tweetato che “Un riscaldatore di sedili bloccato tramite software è guasto, e il proprietario dell’auto dovrebbe avere il diritto di riparare i propri sedili”.

Le case automobilistiche ribattono facendo notare che questa formula consente al cliente di cambiare idea dopo l’acquisto, di provare funzioni delle quali è incerto, ed è utile per chi compra auto di seconda mano e può quindi attivare funzioni che il proprietario originale non aveva pagato.

Nel frattempo gli informatici non sono rimasti con le mani in mano ed è nata una fiorente comunità di hacking che sblocca le funzioni delle auto bloccate tramite software, esattamente come si fa con i programmi per computer limitati artificialmente. In alcuni casi questi sblocchi automobilistici alternativi sono a pagamento, ma la loro legalità è molto controversa: da un lato si invoca il diritto di riparare ciò che si possiede, ma dall’altro si fa notare che certe modifiche che toccano componenti essenziali del veicolo possono invalidarne l’omologazione o, peggio ancora, renderlo pericoloso per il conducente e per gli altri utenti della strada.

C’è anche un altro problema: i servizi di questo tipo, che dipendono da un server di gestione remota, sono revocabili o possono semplicemente smettere di funzionare dopo che sono stati pagati. Non è teoria: è quello che mi è capitato personalmente già nel 2020, quando stavo per acquistare un’auto elettrica della Opel ma ho scoperto che la sua app di gestione, OnStar, avrebbe smesso di funzionare a fine anno, disattivando permanentemente funzioni essenziali come il monitoraggio dello stato di avanzamento della ricarica e la chiamata automatica ai servizi di soccorso in caso di incidente.

In altre parole, le cose che compriamo, comprese le auto, non sono più realmente nostre. Ed è per questo che nascono organizzazioni e iniziative per la difesa di quei diritti digitali che sembrano così astratti e invece si rivelano profondamente concreti.

Fonti: BBC, Mashable, The Register.

2021/09/26

“Facebook è un’azienda marcia”: Cory Doctorow spiega perché. Documentando i danni

I danni sociali causati da Facebook sono ampiamente sottostimati e spesso ignorati. Traduco qui un magistrale, implacabile thread Twitter di Cory Doctorow su questo tema, che si può leggere integralmente in originale anche qui su Pluralistic.net. Mi sono permesso di aggiungere alcuni link e alcune note di chiarimento. Eventuali errori e refusi sono solo colpa mia.

Se non sapete chi è Cory Doctorow (blogger, autore di fantascienza, saggista pluripremiato), leggete la sua biografia su Wikipedia e gli altri suoi scritti che ho tradotto: il caso Sony XCP (2006), perché i computer generici spariranno (2012), perché bandire la crittografia è una misura antiterrorismo inutile (2017) Zuckerberg e l’incoscienza morale (2018), l’articolo 13 spiegato da un racconto (2018). 

Se i suoi toni vi sembrano esagerati o complottisti, tenete presente che sono quelli di chi cerca di mettere in guardia da anni contro un pericolo all’orizzonte, è stato allegramente ignorato e l’ha visto arrivare e diventare realtà. Lasciateli da parte e concentratevi sulla sostanza.

Facebook è un’azienda marcia; marcia a partire dalla testa. Il suo fondatore, il suo consiglio d’amministrazione e i suoi massimi dirigenti sono delle persone sociopatiche e dei mostri che commettono crimini contro l’umanità (detto senza iperboli e senza prenderci in giro). Mentono, barano, rubano. Sono fra i più grandi criminali della storia.

Dato che Facebook è un’azienda orribile gestita da persone orribili, periodicamente esplode generando uno scandalo atroce. A volte i whistleblowers (lanciatori d’allerta) o i giornalisti rivelano crimini storici, compreso l’aiuto intenzionale a fomentare il genocidio (senza però limitarsi a questo).

A volte questi scandali sono attuali: Facebook annuncia allegramente che farà qualcosa di orribile, oppure veniamo a sapere di qualcosa di orribile in corso, grazie alle fughe di notizie o alle indagini.

Grazie a un passato di fusioni anticoncorrenziali (WhatsApp, Instagram, Onavo e altre) basato su promesse fraudolente agli enti di sorveglianza antitrust, Facebook è cresciuta fino ad avere quasi tre miliardi di utenti. Solo che Facebook in realtà non ha utenti: ha ostaggi.

https://www.eff.org/deeplinks/2020/07/dont-believe-proven-liars-absolute-minimum-standard-prudence-merger-scrutiny

Come dimostrato dai documenti interni di Facebook stessa, l’azienda non solo compera i concorrenti in modo che gli utenti non abbiano un altro luogo dove fuggire, ma introduce intenzionalmente dei “costi di migrazione” (switching costs) elevati in modo che lasciare il sistema sia più doloroso.

https://www.eff.org/deeplinks/2021/08/facebooks-secret-war-switching-costs

Per esempio, i documenti interni di Facebook mostrano che il suo responsabile per i prodotti fotografici decise di sedurre gli utenti in modo che affidassero a Facebook le proprie foto di famiglia, perché in questo modo lasciare Facebook avrebbe comportato perdere i ricordi dei figli, dei nonni scomparsi, eccetera.

Tutti odiano Facebook, specialmente i suoi utenti. Lo scopo dei costi di migrazione elevati, dopotutto, è aumentare la sofferenza per chi migra, in modo che Facebook possa infliggere ulteriori abusi ai propri utenti senza temere che se ne vadano e lascino perdere tutto.

La missione di Facebook è aumentare le dimensioni del panino farcito di merda (shit sandwich) che ti può forzare a mangiare prima che tu decida di andartene. Ma l’azienda non è una semplice sadica: i panini farciti di merda hanno un modello commerciale. Più ostaggi riesce a prendere, più può spillare agli inserzionisti. Che sono i veri clienti di Facebook.

Il termine educato per quello che ha Facebook è “mercato a due facce” (two-sided market): vendere gli inserzionisti agli utenti e gli utenti agli inserzionisti. Il termine tecnico è “monopolio e monopsonio” (un monopsonio è un mercato che ha un singolo acquirente).

Il termine colloquiale è “racket”. Truffa. Piaga. Bezzle.

[bezzle è un termine coniato dall’economista John Kenneth Galbraith negli anni Cinquanta del secolo scorso per indicare un’appropriazione indebita (embezzlement) non ancora scoperta; è in sostanza l’intervallo di tempo fra quando il truffatore ottiene il proprio guadagno illecito e il momento in cui il truffato percepisce di essere stato truffato]

Facebook spenna gli inserzionisti sulle rate card [tariffari delle inserzioni], poi mente a proposito del reach [portata] delle proprie pubblicità (come quando mentì sulla popolarità dei video, mostrando una “svolta ai video” [pivot to video] in tutti i mezzi di comunicazione che portò alla bancarotta decine di siti di notizie e di intrattenimento).

Facebook non partì con l’intento di distruggere il giornalismo manipolando i prezzi delle inserzioni, mentendo agli inserzionisti e ai produttori di media. Partì con l’intento di acquisire un monopolio e di estrarre pigioni da monopolio dagli inserzionisti e dagli editori, con un’indifferenza patologica ai danni che queste frodi avrebbero causato agli altri.

Avendo dimostrato di essere disposta a distruggere i giornalisti e i produttori di media pur di estrarre qualche miliardo in più per i propri azionisti, Facebook si è fatta parecchi nemici nei media.

Se sei un whistleblower che ha una storia da raccontare, c’è un giornalista il cui direttore allocherà le risorse necessarie a scrivere in dettaglio la tua storia. La combinazione di un’azienda marcia e di un gran numero di giornalisti incazzati produce molta stampa negativa per l’azienda.

Ma resta il fatto che Facebook ha un vasto bacino di ostaggi, a miliardi, e decide cosa vedono e quando e come lo vedono. Un tempo dicevo, scherzando con i miei amici attivisti per i diritti umani, che l’uso migliore di Facebook è mostrare alla gente come e perché abbandonare Facebook.

La risposta di Facebook è stata prevedibile. Come scrivono Ryan Mac e Sheera Frenkel sul New York Times, il Project Amplify di Facebook è un’iniziativa, diretta da Zuckerberg, per promuovere sistematicamente la copertura positiva di Facebook e del suo fondatore, compresi articoli generati da Facebook stessa.

https://www.nytimes.com/2021/09/21/technology/zuckerberg-facebook-project-amplify.html

In altre parole, alcuni dipendenti di Facebook hanno l’incarico di scrivere soffietti, ossia articoli che esaltano quanto è grande l’azienda, e l’algoritmo di Facebook pompa questi articoli rispetto a quelli dei veri giornalisti che presentano resoconti dettagliati, documentati e con fonti multiple della condotta fraudolenta e depravata dell’azienda.

Il Project Amplify è una svolta rispetto alla politica di Facebook, durata a lungo, di pubblicare scuse non sincere per i propri scandali. Fonti dell’azienda hanno detto ai giornalisti che tutti hanno capito che queste scuse non convincono più nessuno, per cui l’azienda è passata a spingere rosee ciarlatanerie.

Uno dei dirigenti di questo progetto è Alex Schultz, "un veterano in azienda da 14 anni che è stato nominato chief marketing officer l’anno scorso," ma l’impulso principale proviene da Zuckerberg stesso, uno degli uomini più odiati del pianeta.

Amplify è semplicemente una delle strategie di Facebook per distorcere il dibattito riguardante l’azienda. A luglio ha castrato Crowdtangle, uno strumento di analytics ampiamente utilizzato, che dimostrava che i post più popolari di Facebook erano la disinformazione demenziale di estrema destra e le cospirazioni.

https://pluralistic.net/2021/07/15/three-wise-zucks-in-a-trenchcoat/#inconvenient-truth

Inoltre Facebook ha dichiarato guerra legale senza quartiere (accompagnata da una campagna di disinformazione) per far fuori Adobserver, un progetto della New York University che traccia la disinformazione politica pagata sulla piattaforma.

https://pluralistic.net/2021/08/05/comprehensive-sex-ed/#quis-custodiet-ipsos-zuck

Facendo chiudere Crowdtangle e Adobserver, Facebook spera di controllare le scoperte fatte dal mondo accademico sul ruolo dell’azienda nella disinformazione, nell’odio e nelle molestie. L’azienda gestisce un proprio portale di ricerca, nel quale si pretende che i ricercatori accademici accedano a dati riguardanti la piattaforma.

Ma così come ha fatto con i giornalisti che pubblicano articoli a proposito di Facebook, l’azienda ha sommerso di offese i ricercatori accademici che hanno svolto ricerche su di essa.

I dati del suo portale erano difettosi e quindi esponevano le tesi di dottorato e di master al rischio di dover essere ritirate. A metà tesi, i ricercatori si sono ritrovati al punto di partenza.

https://www.nytimes.com/live/2020/2020-election-misinformation-distortions#facebook-sent-flawed-data-to-misinformation-researchers

Col senno di poi, la decisione di Facebook di sfruttare il proprio algoritmo per promuovere ciarlatanerie favorevoli all’azienda sembra inevitabile. Non solo nessuno crede più alle scuse dell’azienda (ammesso che ci abbia mai creduto), ma Facebook sembra incapace di assoldare degli spin doctor competenti.

Considerate la bomba giornalistica del Wall Street Journal, i Facebook Files: una serie di resoconti che documentano dettagliatamente quanto l’azienda sia disposta a danneggiare i bambini, commettere frodi e a consentire a milioni di persone favorite e potenti di violare impunemente le sue regole.

https://www.bloomberg.com/news/newsletters/2021-09-16/facebook-s-promised-to-gain-the-public-s-trust

La risposta di Facebook è stata sinceramente patetica: in un blando post, il suo principale agente pubblicitario, il diffusamente disprezzato politico britannico Nick Clegg, pagato milioni per rappresentare Facebook sulla scena mondiale, ha denigrato il giornalismo del WSJ senza presentare alcuna smentita dei fatti.

https://about.fb.com/news/2021/09/what-the-wall-street-journal-got-wrong/

È il genere di difesa maldestra per la quale Facebook è famosa (o malfamata). Chi può dimenticare il disastro assoluto del suo programma Internet Basics in India, dove ha corrotto le compagnie telefoniche per esentare dai limiti sui dati cellulari se stessa e i servizi che sceglieva?

https://www.theguardian.com/technology/2016/may/12/facebook-free-basics-india-zuckerberg

Questa manovra per assassinare la neutralità della Rete, spacciata per un modo di portare Internet ai poveri (cosa che non fa assolutamente), è stata oggetto di una consultazione da parte degli organi di controllo delle società telefoniche indiane.

Facebook inviò degli allarmi ingannevoli a milioni dei propri utenti indiani, ingannandoli affinché mandassero un fiume di lettere precompilate agli organi di controllo, supplicandoli di lasciare intatto il programma Internet Basics.

Ma chiunque scrisse la lettera precompilata non si prese la briga di controllare se era pertinente alle questioni affrontare dagli organi di controllo, e così questi milioni di lettere furono ignorati.

Facebook perse! È quasi come se la gente capace di combattere le battaglie politiche non se la senta di lavorare per Facebook e le uniche risorse umane che l’azienda riesce ad attirare sono i coglioni opportunisti che nessuno prende seriamente e che tutti detestano.

Strana, questa cosa.

Nota: Per chi giustamente obietta che è contraddittorio che io ospiti un articolo così critico nei confronti di Facebook mentre ospito i pulsanti di condivisione di Facebook, vorrei chiarire che si trovano nell’interfaccia di Disqus, e che l’unico modo per eliminarli è pagare 105 dollari al mese a Disqus per avere l’account Pro.

Testo originale inglese pubblicato sotto licenza CC-BY-4.0. Questa traduzione è pubblicata con la medesima licenza e vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuta, potete incoraggiarmi a pubblicarne ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico) o altri metodi.

2021/01/09

Donald Trump bandito permanentemente da Twitter, Facebook, Twitch e altre piattaforme social. Due parole per chi sta pensando “censura”

Gli account social personali di Donald Trump sono stati bloccati in seguito alle sue azioni e parole prima e dopo il saccheggio del Campidoglio che ha istigato.

Ma parlare di censura è fuori luogo. Ricordo che resta comunque uno degli uomini più potenti del mondo e che se vuole comunicare qualcosa le TV di tutto il mondo gliela diffonderanno. Ha tuttora a disposizione un ufficio stampa e un sito Web dal quale può comunicare direttamente.

Non è censura: Trump non è un dissidente che scompare nell’oblio di un gulag. Non è un Julian Assange in carcere al gelo, isolato da tutto e tutti. Semplicemente il social network dice "Hai violato le regole concordate: resti libero di parlare, ma non tramite me". O per dirla con le parole chiare di Xkcd, che avevo già citato qualche tempo fa:


Annuncio di pubblico servizio: il diritto alla libertà di parola significa che il governo non ti può arrestare per quello che dici. Non significa che chiunque altro debba ascoltare le tue stronzate o ospitarti mentre le condividi.

Il primo emendamento [della Costituzione USA, che sancisce la libertà di parola] non ti protegge dalle critiche o dalle conseguenze.

Se ti urlano contro, se ti boicottano, se cancellano il tuo programma, o se vieni bandito da una comunità su Internet, i tuoi diritti di libertà di parola non stanno subendo una violazione.

Semplicemente, la gente che ti ascolta pensa che tu sia uno stronzo, e ti sta mettendo alla porta.


Lasciando il cursore sopra la vignetta originale compare un commento dell’autore:

"I can't remember where I heard this, but someone once said that defending a position by citing free speech is sort of the ultimate concession; you're saying that the most compelling thing you can say for your position is that it's not literally illegal to express."

che si può tradurre così:

"Non ricordo dove l'ho sentito, ma qualcuno una volta ha detto che difendere un punto di vista citando la libertà di parola è una sorta di sconfitta finale; stai dicendo che la motivazione più convincente che puoi addurre per il tuo punto di vista è che non è letteralmente illegale esprimerla."

Un lettore, Stefano De Santis, citato con il suo permesso, ne ha gentilmente realizzata una versione in italiano:


 

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2020/04/22

Arrivano le app anti-coronavirus: le cautele della Electronic Frontier Foundation

Questo articolo è reso possibile dalle donazioni dei lettori e in particolare dalla donazione straordinaria di Matteo S. Grazie Matteo!

L’Italia ha presentato la propria app anti-coronavirus Immuni e altri paesi si apprestano a fare altrettanto. La Electronic Frontier Foundation, una delle più longeve e stimate associazioni di esperti informatici per la tutela dei diritti digitali e la protezione contro gli abusi delle tecnologie digitali, ha pubblicato un ampio articolo che fa il punto sulle app di tracciamento anti-pandemia ed è un’ottima introduzione ai concetti di base dell’argomento.

Lo traduco dall’inglese qui sotto, aggiungendo alcune evidenziazioni che ritengo particolarmente importanti. Se notate errori o imprecisioni, segnalate tutto nei commenti.


La sfida delle app di prossimità per il tracciamento dei contatti COVID-19


di Andrew Crocker, Kurt Opsahl e Bennett Cyphers - 10 aprile 2020. Translated and freely distributable under the Creative Commons Attribution License (CC-BY).

In tutto il mondo, un coro crescente e variegato sta invocando l’uso della tecnologia di prossimità degli smartphone per combattere la COVID-19. In particolare, gli esperti di salute pubblica e altre persone sostengono che gli smartphone potrebbero offrire una soluzione al bisogno urgente di un tracciamento dei contatti rapido e diffuso, ossia del tracciamento delle persone con le quali gli individui infetti vengono a contatto man mano che si muovono nel mondo. Chi propone questo approccio sottolinea che molte persone hanno già uno smartphone e che questi dispositivi vengono usati spesso per tracciare gli spostamenti e le interazioni degli utenti nel mondo fisico.

Ma non è per nulla scontato che il tracciamento tramite smartphone risolverà questo problema, e i rischi che comporta per la privacy individuale e per i diritti civili sono considerevoli. Il tracciamento della localizzazione (location tracking), che usa per esempio il GPS e le informazioni delle antenne della rete cellulare, è inadatto al tracciamento dei contatti perché non rivela in modo affidabile le interazioni fisiche ravvicinate che secondo gli esperti possono diffondere la malattia. Gli sviluppatori si stanno invece allineando rapidamente sulle applicazioni basate sul tracciamento di prossimità (proximity tracing), che misura la potenza del segnale Bluetooth per determinare se due smartphone sono stati sufficientemente vicini da consentire ai loro utenti di trasmettere il virus. In questo approccio, se uno degli utenti diventa infetto, gli altri utenti la cui prossimità è stata registrata dall’app potrebbero essere informati, mettersi spontaneamente in quarantena e chiedere di essere testati. Apple e Google hanno annunciato delle API (application programming interface) congiunte che usano questi principi e verranno incluse in iOS e Android a maggio. Varie applicazioni progettate in modo analogo sono oggi disponibili o lo saranno presto.

Nell’ambito della risposta quasi senza precedenti della società alla COVID-19, queste app sollevano questioni difficili di privacy, efficacia e realizzazione responsabile della tecnologia per migliorare la salute pubblica. Soprattutto non dovremmo affidarci a nessuna applicazione, non importa quanto bene sia progettata, per risolvere questa crisi o rispondere a tutte queste questioni. Le applicazioni di tracciamento dei contatti non possono compensare carenze di trattamenti efficaci, di dispositivi di protezione individuali e di test rapidi, per citare alcune delle sfide.

La COVID-19 è una crisi mondiale, che minaccia di uccidere milioni di persone e stravolgere la società, ma la storia ha dimostrato che le eccezioni alle protezioni fornite dai diritti civili, decise in momenti di crisi, spesso persistono ben più a lungo della crisi stessa. Con alcune salvaguardie tecnologiche, delle app sofisticate di tracciamento di prossimità possono evitare le comuni trappole di privacy del tracciamento di localizzazione. Gli sviluppatori e i governanti devono inoltre considerare i limiti legali e politici all’uso di queste app. Soprattutto, la scelta di usarle deve essere affidata ai singoli utenti, che dovranno informarsi sui rischi e sulle limitazioni e insistere affinché vi siano le salvaguardie necessarie. Alcune di queste salvaguardie sono descritte qui sotto.


Come funzionano le app di prossimità?


Ci sono numerose proposte differenti di app di tracciamento di prossimità basate sul Bluetooth, ma a un livello alto partono tutte con un approccio simile: l’app trasmette un identificativo unico via Bluetooth e gli altri telefonini vicini lo rilevano. Per proteggere la privacy, molte proposte, comprese le API di Apple e Google, cambiano frequentemente e in modo ciclico gli identificativi di ciascun telefonino, allo scopo di limitare il rischio di tracciamento da parte di terzi.

Quando due utenti dell’app si trovano reciprocamente vicini, entrambe le app stimano la distanza intercorrente usando la potenza del segnale Bluetooth. Se le app stimano che siano a meno di circa due metri di distanza per un periodo di tempo sufficiente, allora le app si scambiano degli identificativi. Ciascuna app registra un incontro con l’identificativo dell’altra app. Non è necessaria la localizzazione dell’utente, dato che l’applicazione ha solo bisogno di sapere se gli utenti sono stati sufficientemente vicini da creare un rischio di infezione.

Quando un utente dell’app viene a sapere che è infettato dalla COVID-19, gli altri utenti possono essere avvisati del proprio rischio d’infezione. È a questo punto che le varie concezioni dell’app divergono in maniera significativa.

Alcune app si affidano a una o più autorità centrali che hanno un accesso privilegiato alle informazioni riguardanti i dispositivi degli utenti. Per esempio, TraceTogether, sviluppata per il governo di Singapore, esige che tutti gli utenti condividano le informazioni sui contatti con gli amministratori dell’app. In questo modello, l’autorità detiene un database che correla gli identificativi delle app con le informazioni di contatto. Quando un utente risulta positivo a un test, la sua app invia al database un elenco di tutti gli identificativi con i quali è venuto a contatto nelle ultime due settimane. L’autorità centrale cerca quegli identificativi nel suo database e usa i numeri di telefono o gli indirizzi di mail per contattare gli altri utenti che possono essere stati esposti al contagio. Questo toglie molte informazioni degli utenti dal loro controllo e le mette nelle mani del governo. Questo modello crea rischi inaccettabili di tracciamento pervasivo delle associazioni degli individui e non dovrebbe essere usato da altri enti sanitari pubblici.

Altri modelli si affidano a un database che non immagazzina così tante informazioni sugli utenti dell’app. Per esempio, non è in realtà necessario che un’autorità accumuli informazioni di contatto reali. Gli utenti infetti possono invece inviare i propri registri dei contatti a un database centrale che custodisce identificativi anonimi di tutti coloro che possono essere stati esposti al contagio. A questo punto i dispositivi degli utenti che non sono infetti possono interrogare periodicamente l’autorità usando i propri identificativi. L’autorità risponde a ciascuna interrogazione dicendo se l’utente è stato esposto o no. Usando alcune salvaguardie elementari, questo modello può proteggere meglio la privacy degli utenti. Purtroppo può comunque consentire all’autorità di conoscere le reali identità degli utenti infetti. Con salvaguardie più sofisticate, come il mixing crittografico, questo sistema potrebbe offrire garanzie di privacy leggermente superiori.

Alcune proposte si spingono più in là, rendendo pubblico l’intero database. Per esempio, la proposta di Apple e Google pubblicata il 10 aprile scorso trasmetterebbe alle persone nelle vicinanze dotate dell’app un elenco di chiavi associate a individui infetti. Questo modello si affida meno a un’autorità centrale, ma crea nuovi rischi per gli utenti che condividono il proprio stato d’infezione, e questi rischi vanno mitigati o accettati.

Alcune app richiedono che le autorità, per esempio quelle mediche, certifichino che un individuo è infetto prima di poter allertare altri utenti dell’app. Altri modelli potrebbero consentire agli utenti di autosegnalare il proprio stato d’infezione o i propri sintomi, ma questo può produrre un numero significativo di falsi positivi che potrebbero minare l’efficacia dell’app.

In sintesi: anche se alcune delle idee su come realizzare le app di tracciamento di prossimità sono promettenti, restano molte questioni aperte.


Le app di prossimità sarebbero efficaci?


Il tracciamento dei contatti (contact tracing) tradizionale richiede parecchio lavoro manuale ma può essere molto dettagliato. Degli operatori sanitari pubblici chiedono alla persona malata di dettagliare i suoi spostamenti e le persone con le quali ha avuto contatto ravvicinato. Questo procedimento può includere l’ascolto dei familiari e di altri che possono conoscere ulteriori dettagli. Gli operatori sanitari contattano poi queste persone per offrire aiuto e trattamenti secondo necessità e a volte le interrogano per ricostruire ulteriormente la catena dei contatti. È difficile fare tutto questo su vasta scala durante una pandemia. Inoltre la memoria umana è imperfetta e quindi anche il quadro più dettagliato ottenuto tramite questi colloqui può contenere falle o errori importanti.

Qualunque tracciamento dei contatti effettuato tramite app di prossimità non sostituisce l’intervento diretto degli operatori sanitari pubblici. Inoltre è dubbio che un’app di prossimità possa aiutare in modo sostanziale il tracciamento dei contatti COVID-19 in un momento come quello attuale, in cui la trasmissione della malattia nelle comunità è così alta che gran parte della popolazione si sta confinando in casa e il numero dei test è insufficiente per tracciare il virus. Se ci sono così tante persone contagiose non diagnosticate nella popolazione, e molte di esse sono asintomatiche, un’app di prossimità non sarà in grado di avvisare della maggior parte dei rischi di infezione. Inoltre, senza test rapidi e ampiamente disponibili, anche chi ha sintomi non potrà avere la conferma per iniziare il processo di notifica. E a tutti è già stato chiesto di evitare la prossimità con le persone al di fuori della propria abitazione.

Tuttavia un’app del genere potrebbe essere utile per il tracciamento dei contatti in un periodo che speriamo arrivi presto, quando la trasmissione all’interno delle comunità sarà abbastanza bassa da consentire alla popolazione di non confinarsi più in casa e quando i test saranno disponibili in quantità sufficiente da consentire una diagnosi rapida ed efficiente di COVID-19 su vasta scala.

Il tracciamento dei contatti tradizionale è utile solo per i contatti che il soggetto è in grado di identificare. La COVID-19 è eccezionalmente contagiosa e può propagarsi da persona a persona anche durante incontri brevi. Uno scambio di battute veloce fra un assistente in negozio e un cliente, o fra due passeggeri di un mezzo di trasporto pubblico, può bastare perché una persona infetti l’altra. La maggior parte delle persone non accumula informazioni di contatto su tutta la gente che incontra, mentre le app possono farlo automaticamente. Questo può renderle utili come complemento al tracciamento dei contatti tradizionale.

Ma un’app tratterà il contatto fra due persone che s’incrociano sul marciapiedi allo stesso modo di un contatto fra compagni di stanza o partner sentimentali, anche se questi ultimi hanno un rischio di trasmissione molto più elevato. Senza effettuare dei test dell’app nel mondo reale, cosa che comporta rischi di privacy e di sicurezza, non possiamo essere certi che un’app non registrerà anche connessioni fra persone separate da pareti o in due auto affiancate al semaforo. Inoltre le app non considerano se gli utenti indossano o meno dispositivi di protezione e quindi possono segnalare eccessivamente e ripetutamente un’esposizione a utenti come il personale ospedaliero o gli assistenti dei negozi, nonostante le loro maggiori precauzioni contro le infezioni. Non è chiaro quanto i limiti tecnologici dei calcoli di prossimità tramite Bluetooth influenzeranno le decisioni di salute pubblica di avvisare le persone potenzialmente infette. È meglio che queste applicazioni siano leggermente ipersensibili e si rischi di fare notifiche eccessive a individui che in realtà non sono stati a meno di due metri da un utente infetto per il tempo ritenuto necessario? Oppure l’app deve avere soglie più alte, in modo che un utente che riceve la notifica possa avere più fiducia di essere stato realmente esposto al contagio?

Inoltre queste app possono registrare soltanto i contatti fra due persone entrambe dotate di un telefonino sul quale sia disponibile e abilitato il Bluetooth e sia installata l’app. Questo evidenzia un’altra condizione necessaria affinché un’app di prossimità sia efficace: deve essere adottata da un numero sufficientemente elevato di persone. Le API di Apple e Google tentano di affrontare questo problema offrendo una piattaforma comune alle autorità sanitarie e agli sviluppatori per la creazione di applicazioni che offrano funzioni e protezioni comuni. Queste aziende ambiscono inoltre a costruire le proprie applicazioni, che dialogheranno fra loro più direttamente e renderanno più rapida l’adozione. Ma anche così, una percentuale importante della popolazione mondiale (compresa buona parte della popolazione statunitense) può non avere accesso a uno smartphone sul quale funziona la versione più recente di iOS o Android. Questo evidenzia la necessità di continuare a usare misure sanitarie ben consolidate, come i test e il tracciamento dei contatti tradizionale, in modo da garantire che non vengano trascurate le popolazioni già emarginate.

Non possiamo risolvere una pandemia codificando l’app perfetta. I problemi sociali complessi non si risolvono con una tecnologia magica, anche perché non tutti avranno accesso agli smartphone e alle infrastrutture necessarie per far funzionare tutto questo.

Infine, non dovremmo fare eccessivo affidamento sulla promessa di un’app mai collaudata per prendere decisioni critiche come scegliere chi deve smettere di confinarsi in casa e quando lo deve fare. Di solito le app affidabili di questo tipo devono subire vari cicli di sviluppo e strati di collaudo e di garanzia di qualità: tutte cose che richiedono tempo. E anche così, le app nuove spesso hanno difetti. Un’app di tracciamento di prossimità difettosa potrebbe portare a falsi positivi, falsi negativi, o forse a entrambi.


Le app di prossimità sarebbero troppo nocive per le nostre libertà?


Qualunque app di prossimità crea nuovi rischi per gli utenti delle tecnologie. Un registro della prossimità di un utente ad altri utenti potrebbe essere sfruttato per mostrare chi incontra e dedurre cosa fa. Il timore che vengano rivelate queste informazioni di prossimità potrebbe scoraggiare gli utenti dal partecipare ad attività espressive in luoghi pubblici. Spesso i gruppi vulnerabili finiscono per sopportare in modo differente l’onere delle tecnologie di sorveglianza, e il tracciamento di prossimità potrebbe non essere diverso. E i dati di prossimità, oppure le diagnosi mediche, possono essere oggetto di furto da parte di avversari, come i governi stranieri o i ladri di identità.

Certo, anche alcune tecnologie di uso comune creano rischi analoghi. Molte, da Fitbit a Pokemon Go, tracciano e creano resoconti della vostra localizzazione. Il fatto stesso di portare addosso un telefonino comporta il rischio di tracciamento tramite la triangolazione delle antenne della rete cellulare. I negozi cercano di analizzare il traffico pedonale tramite Bluetooth. Molti utenti vengono “iscritti con opt-in” a servizi come quelli di localizzazione di Google, che tengono un registro dettagliato di tutti i luoghi dove sono stati. Facebook tenta di quantificare le associazioni fra le persone tramite una miriade di segnali, compreso il riconoscimento facciale per estrarre dati dalle foto, il collegamento di account ai dati dei contatti, e il mining delle interazioni digitali. Anche servizi che proteggono la privacy, come Signal, possono rivelare le associazioni tramite i metadati.

Di conseguenza, l’aggiunta proposta del tracciamento di prossimità a queste altre forme esistenti di tracciamento non costituirebbe un vettore di minaccia completamente nuovo. Ma la scala potenzialmente globale delle API e delle app di tracciamento dei contatti, e la loro raccolta di dati sensibili riguardanti la salute e le associazioni, presentano nuovi rischi per un numero maggiore di utenti.

Il contesto, ovviamente, ha il suo peso. Siamo di fronte a una pandemia senza precedenti. Sono morte decine di migliaia di persone; centinaia di milioni di persone hanno ricevuto istruzioni di confinarsi in casa. Si prevede che un vaccino arrivi tra 12-18 mesi. Anche se questo rende urgenti i progetti di app di prossimità, dobbiamo anche ricordarci che questa crisi finirà ma le nuove tecnologie di tracciamento tendono a restare in giro. Pertanto, gli sviluppatori di app di prossimità devono essere sicuri di sviluppare una tecnologia che conservi la privacy e la libertà che tutti amiamo, in modo da non dover sacrificare diritti fondamentali in un’emergenza. Fornire salvaguardie sufficienti aiuterà a contenere questo rischio. È necessaria la piena trasparenza su come funzionano le app e le API, compresa l’apertura del codice sorgente, affinché le persone capiscano i rischi e diano a questi rischi il proprio consenso informato.


Un’app di prossimità ha salvaguardie sufficienti?


Chiediamo con forza agli sviluppatori di app di fornire, e chiediamo agli utenti di esigere, le seguenti salvaguardie necessarie:

Consenso


Il consenso informato, volontario e opt-in è il requisito fondamentale di qualunque applicazione che tracci le interazioni di un utente con altri utenti nel mondo fisico. Inoltre le persone che scelgono di usare l’app e poi scoprono di essere malate devono poter scegliere se condividere o meno un registro dei loro contatti. I governi non devono rendere obbligatorio l’uso di app di prossimità. Non deve esserci alcuna pressione informale a usare l’app in cambio dell’accesso a servizi governativi. Analogamente, i privati non devono rendere obbligatorio l’uso dell’app per accedere a spazi fisici o per ottenere altri benefici.

I singoli individui devono inoltre avere la possibilità di disattivare l’app di tracciamento di prossimità. Gli utenti che danno il proprio consenso ad una forma di tracciamento di prossimità potrebbero non darlo ad altre forme, per esempio quando svolgono attività particolarmente sensibili come la visita a un medico o la partecipazione a un incontro politico. Le persone possono tenere per sé queste informazioni durante i colloqui del tracciamento dei contatti tradizionale con gli operatori sanitari e il tracciamento digitale dei contatti non deve essere più invadente. La gente è più disposta ad attivare in partenza le app di prossimità (cosa potenzialmente utile per la salute pubblica) se sa di avere la facilità di spegnerle e riaccenderle quando vuole.

Anche se può esserci la tentazione di rendere obbligatorio l’uso di un’app di tracciamento dei contatti, l’interferenza nell’autonomia personale è inaccettabile. La salute pubblica richiede fiducia tra gli operatori sanitari pubblici e la gente; la paura della sorveglianza può spingere le persone a sfuggire ai test e al tracciamento. Questa è una preoccupazione particolarmente acuta nelle comunità emarginate, che hanno motivi storici per diffidare di qualunque partecipazione forzata fatta in nome della salute pubblica. Anche se alcuni governi possono non curarsi del consenso dei loro cittadini, invitiamo caldamente gli sviluppatori a non lavorare con governi del genere.


Minimizzazione


Qualunque applicazione che faccia tracciamento di prossimità per il tracciamento dei contatti deve raccogliere la minor quantità possibile di informazioni. Probabilmente si tratta solo di una registrazione della vicinanza reciproca di due utenti, misurata tramite la potenza del segnale Bluetooth più i tipi dei dispositivi e un identificativo unico e ciclicamente variabile del telefonino dell’altra persona. Questa applicazione non deve raccogliere informazioni di localizzazione e non deve raccogliere informazioni sugli orari, eccetto forse la data (se i funzionari della sanità pubblica ritengono che sia importante per il tracciamento dei contatti).

Il sistema deve conservare queste informazioni per il minor tempo possibile, ossia probabilmente giorni e settimane, non mesi. I funzionari della sanità pubblica devono definire il lasso di tempo per il quale i dati di prossimità possono essere utili per il tracciamento dei contatti. Tutti i dati non più utili devono essere cancellati automaticamente.

Qualunque autorità centrale che mantenga o pubblichi database di identificativi anonimi non deve raccogliere o conservare metadati (come gli indirizzi IP) che possono collegare gli identificativi anonimi alle persone.

L’applicazione deve raccogliere informazioni esclusivamente allo scopo di tracciare i contatti. Devono inoltre esserci delle barriere robuste fra (a) l’app di tracciamento di prossimità e (b) qualunque altra cosa che un creatore di app stia raccogliendo, come i dati aggregati di localizzazione o i dati di salute degli individui.

Infine, le informazioni raccolte devono risiedere su un dispositivo dell’utente nella massima misura possibile, invece che su server gestiti dallo sviluppatore dell’applicazione o da un ente di salute pubblica. Questo pone delle sfide tecniche. Ma gli elenchi dei dispositivi dei quali l’utente è stato in prossimità devono rimanere sul dispositivo dell’utente, in modo che la verifica se un utente ha incontrato qualcuno che è infetto avvenga localmente.


Sicurezza delle informazioni


Un’applicazione che viene eseguita in background su un telefono e che registra la prossimità di un utente ad altri utenti pone notevoli rischi di sicurezza delle informazioni. Come sempre, limitare la superficie d’attacco e la quantità delle informazioni raccolte riduce questi rischi. Gli sviluppatori devono rendere aperto il proprio codice sorgente (open source) e sottoporlo a esami e test di penetrazione da parte di terzi. Devono inoltre pubblicare i dettagli delle proprie prassi di sicurezza.

Saranno probabilmente necessari altri sforzi tecnici per garantire che gli avversari non possano compromettere l’efficacia di un sistema di tracciamento di prossimità o estrarre informazioni rivelatrici riguardanti gli utenti dell’applicazione. Questo include la prevenzione delle false segnalazioni d’infezione da parte di individui, come forma di trollaggio o di denial of service, e la garanzia che gli avversari ricchi di risorse che fanno monitoraggio dei metadati non possano identificare gli individui che usano l’app o registrare le loro connessioni con altri utenti.

Gli identificativi “anonimi” non devono essere collegabili. Una variazione ciclica regolare degli identificativi usati dal telefono è un buon inizio, ma se un avversario è in grado di capire che un certo insieme di identificativi appartiene allo stesso utente, questo aumenta molto il rischio che possa collegare quell’attività a una persona effettiva. Per come abbiamo capito la proposta di  Apple e Google, gli utenti che risultano positivi a un test riceveranno la richiesta di trasmettere delle chiavi che collegano fra loro tutti i loro identificativi per un periodo di 24 ore (abbiamo chiesto chiarimenti ad Apple e Google). Questo permetterebbe a entità traccianti di raccogliere questi identificativi ciclicamente variabili se avessero accesso a una rete estesa di lettori Bluetooth e così tracciare gli spostamenti degli utenti infetti nel corso del tempo. Questo vanifica le salvaguardie create dall’uso degli identificativi variabili. Per questo motivo gli identificativi variabili devono essere inviati a eventuali autorità o database centrali in un modo che non riveli il fatto che molti identificativi appartengono alla medesima persona. Questo può comportare la necessità di incorporare gli identificativi di un singolo utente in un lotto insieme a quelli di altri utenti oppure di distribuirli nel tempo.

Infine, i governi potrebbero tentare di obbligare gli sviluppatori di tecnologie a sovvertire le limitazioni che hanno posto, per esempio modificando l’applicazione in modo da trasmettere a un’autorità centrale gli elenchi dei contatti. La trasparenza ridurrà questi rischi, che però continueranno a restare intrinseci nella creazione e disseminazione di un’applicazione di questo genere. Questo è uno dei motivi per cui chiediamo agli sviluppatori di tracciare confini chiari all’uso dei loro prodotti e di impegnarsi a resistere agli sforzi governativi di interferire nella progettazione, come abbiamo visto fare ad aziende come Apple nel caso di San Bernardino.


Trasparenza


Le entità che sviluppano queste app devono pubblicare rapporti su cosa fanno, come lo fanno e perché lo fanno. Devono anche pubblicare il codice sorgente aperto insieme alle politiche che riguardano tutte le questioni di privacy e di sicurezza delle informazioni citate sopra. Questi rapporti devono includere impegni ad evitare altri usi delle informazioni raccolte dall’app e una promessa solenne di evitare interferenze governative nella misura ammessa dalle leggi. Tutto questo, espresso sotto forma di policy dell’applicazione, dovrebbe inoltre consentire la sanzione delle violazioni tramite le leggi di tutela dei consumatori.


Gestione delle discriminazioni


Come descritto sopra, le applicazioni di tracciamento dei contatti non includeranno le persone che non hanno accesso alle tecnologie più recenti e favoriranno quelle inclini ad affidarsi alle aziende di tecnologie e al governo per la gestione dei propri bisogni. Dobbiamo garantire che gli sviluppatori e il governo non escludano, direttamente o indirettamente, i gruppi emarginati affidandosi a queste applicazioni fino al punto di escludere altri interventi.

Per contro, queste app possono generare molti più falsi positivi per certi tipi di utenti, come gli operatori sanitari o quelli del settore dei servizi. Questa è un’altra ragione per la quale le app di tracciamento dei contatti non devono essere usate come base per escludere le persone dal lavoro, dai raduni pubblici o dall’assistenza governativa.


Scadenza


Quando finirà la crisi della COVID-19, dovrà terminare anche qualunque applicazione creata per combattere la malattia. Definire la fine della crisi sarà una questione difficile, per cui gli sviluppatori devono assicurarsi che gli utenti possano fare opt-out (uscire dal sistema) in qualunque momento. Devono inoltre valutare l’inserimento di limiti temporali direttamente nelle proprie applicazioni, insieme a richieste periodiche agli utenti per sapere se vogliono continuare la trasmissione di dati. Inoltre, ora che grandi fornitori come Apple e Google entrano in gioco con la propria potenza a supporto di queste applicazioni, devono chiarire le circostanze nelle quali creeranno e non creeranno prodotti analoghi in futuro.

La tecnologia ha il potere di amplificare gli sforzi della società di affrontare i problemi complessi, e questa pandemia ha già ispirato molte delle persone migliori e più brillanti. Ma conosciamo fin troppo bene la capacità dei governi e delle organizzazioni private di disseminare tecnologie di tracciamento dannose. Soprattutto, mentre combattiamo la COVID-19, dobbiamo assicurarci che la parola “crisi” non diventi un talismano magico che può essere invocato per costruire mezzi nuovi e sempre più astuti per limitare le libertà delle persone tramite la sorveglianza.


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