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Il Disinformatico: software

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2022/07/21

Paghereste un canone di abbonamento per poter scaldare i sedili della vostra auto? Con BMW si può

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Chi lavora con l’informatica è abituato da tempo all’idea di comperare un programma e poi pagare degli abbonamenti o dei supplementi per attivarne alcune funzioni extra. Ma da qualche tempo questo modello commerciale si è esteso anche alle automobili.

È di questi giorni la notizia che nel Regno Unito BMW ha iniziato a offrire il riscaldamento dei sedili e del volante in abbonamento. I componenti fisici del sistema di riscaldamento sono installati di serie, ma per attivarli è necessario pagare un canone mensile di 15 sterline (circa 18 euro o franchi svizzeri), più altre 10 sterline (circa 12 euro o franchi) per attivare anche il riscaldamento del volante. In alternativa si può pagare un supplemento, al momento dell’acquisto, di 200 sterline (grosso modo 230 euro o franchi). Anche il cruise control attivo, gli abbaglianti automatici e le sospensioni adattive sono installati ma attivati solo a pagamento.

Può sembrare assurdo che una casa automobilistica installi di serie dei componenti che il cliente non paga se non li attiva: in fin dei conti, questi componenti hanno un costo di fabbricazione e di installazione, per cui metterli su tutti i veicoli e poi sperare che il cliente paghi per attivarli parrebbe a prima vista un autogol commerciale. Ma nella produzione di massa capita spesso che installare i componenti su tutti gli esemplari costi meno che gestire due o più filiere di produzione separate, con tutti i relativi problemi di logistica, burocrazia e controllo qualità.

BMW non è l’unica marca a preinstallare hardware da sbloccare pagando un canone tramite un’app, in una sorta di App Store per automobili che chiama Connected Drive Store. Tesla, per esempio, offre da tempo vari servizi supplementari di aumento delle prestazioni che sono basati su un canone e propone anche un sistema di assistenza di guida i cui computer e sensori sono presenti in ogni esemplare venduto ma si attivano soltanto pagando un supplemento che parte da 3700 franchi (o euro equivalenti) e può superare i 7000; in passato ha offerto anche batterie la cui autonomia era limitata via software e poteva essere sbloccata pagando un supplemento di circa 8000 dollari. E Stellantis ha annunciato a gennaio 2021 che si aspetta di ricavare circa 22 miliardi di dollari l’anno dalla vendita di software e abbonamenti sulle proprie automobili entro il 2030. Anche Volkswagen, General Motors e Ford fanno previsioni analoghe. E già ora GM offre il proprio sistema di assistenza di guida su abbonamento: i primi tre anni sono gratuiti, poi si devono pagare 25 dollari al mese.

L’introduzione di questi servizi in abbonamento non è stata accolta dal pubblico con unanime entusiasmo, per dirla con garbo. L’annuncio dei sedili riscaldati a pagamento sulle BMW ha suscitato parecchie discussioni online da parte di utenti che ritengono che funzioni così basilari dovrebbero essere offerte di serie, e un sondaggio della società di marketing Cox Automotive indica che i tre quarti dei partecipanti dichiara di non essere disposta a pagare canoni mensili per le funzioni della propria auto. Kurt Opsahl, consulente legale della Electronic Frontier Foundation, ha tweetato che “Un riscaldatore di sedili bloccato tramite software è guasto, e il proprietario dell’auto dovrebbe avere il diritto di riparare i propri sedili”.

Le case automobilistiche ribattono facendo notare che questa formula consente al cliente di cambiare idea dopo l’acquisto, di provare funzioni delle quali è incerto, ed è utile per chi compra auto di seconda mano e può quindi attivare funzioni che il proprietario originale non aveva pagato.

Nel frattempo gli informatici non sono rimasti con le mani in mano ed è nata una fiorente comunità di hacking che sblocca le funzioni delle auto bloccate tramite software, esattamente come si fa con i programmi per computer limitati artificialmente. In alcuni casi questi sblocchi automobilistici alternativi sono a pagamento, ma la loro legalità è molto controversa: da un lato si invoca il diritto di riparare ciò che si possiede, ma dall’altro si fa notare che certe modifiche che toccano componenti essenziali del veicolo possono invalidarne l’omologazione o, peggio ancora, renderlo pericoloso per il conducente e per gli altri utenti della strada.

C’è anche un altro problema: i servizi di questo tipo, che dipendono da un server di gestione remota, sono revocabili o possono semplicemente smettere di funzionare dopo che sono stati pagati. Non è teoria: è quello che mi è capitato personalmente già nel 2020, quando stavo per acquistare un’auto elettrica della Opel ma ho scoperto che la sua app di gestione, OnStar, avrebbe smesso di funzionare a fine anno, disattivando permanentemente funzioni essenziali come il monitoraggio dello stato di avanzamento della ricarica e la chiamata automatica ai servizi di soccorso in caso di incidente.

In altre parole, le cose che compriamo, comprese le auto, non sono più realmente nostre. Ed è per questo che nascono organizzazioni e iniziative per la difesa di quei diritti digitali che sembrano così astratti e invece si rivelano profondamente concreti.

Fonti: BBC, Mashable, The Register.

2022/02/11

Cerco software di webcam virtuale per fare “sottopancia” su Zoom. Idee?

Sto cercando una soluzione software semplice (più semplice di quella attuale, che è OBS) che mi permetta di configurare una webcam virtuale e di sovrapporre un logo o sottopancia (lower thirds o overlay), come nell’illustre esempio qui accanto, a un'immagine della webcam vera, da mandare in streaming durante sessioni Zoom.

Mi va bene sia per Windows, sia per macOS (se c’è per entrambi, tanto meglio). Anche a pagamento: l’importante è che sia molto facile da installare e configurare, perché dovrei fare un deployment di massa a utenti non esperti che hanno pochissimo tempo a disposizione, guidandoli nell’installazione. Idee?

Queste sono le proposte che mi sono arrivate fin qui:

  • Manycam (sembra promettente, Mac e Windows, 71 dollari per la licenza Standard)
  • Bandicam (ma non sembra avere una funzione picture in picture o simil per i sottopancia)
  • Ecamm (solo macOS, 16 dollari al mese)
  • SplitCam (macOS e Windows, gratuito)
  • Virtual-webcam (scartato per troppa complessità di installazione)
  • ChromaCam (macOS e Windows)
  • CamTwist (solo macOS)
  • AlterCam (solo Windows, 40 dollari licenza Home, 200 dollari licenza Business)

Aggiungo che ho già considerato i filtri video integrati in Zoom, ma non vanno bene perché si possono personalizzare soltanto per chi ha un account Zoom a pagamento e le persone alle quali vorrei fornire un sottopancia non hanno account di questo tipo. Inoltre non posso acquisire i video da Zoom, aggiungere i sottopancia e poi far uscire altrove il video risultante: tutto deve svolgersi in Zoom e all’interno della stessa sessione Zoom.

2016/11/04

Le parole di Internet: software

Credit: Pexels, licenza CC0.
Sappiamo tutti cosa vuol dire software: ma vi siete mai chiesti da dove viene questa parola inglese, così centrale nella tecnologia e nell’economia di oggi, e a quando risale?

Lo spiega il suo inventore, il pioniere informatico Paul Niquette, che afferma di averla coniata per scherzo a ottobre del 1953, quando in tutti gli Stati Uniti esistevano soltanto sedici elaboratori elettronici digitali e la parola computer indicava ancora una persona addetta ai calcoli, da effettuare a mano, al massimo con l’aiuto di un regolo calcolatore.

All’epoca l’idea di considerare le istruzioni di un programma come un’entità separata rispetto ai componenti fisici del calcolatore e addirittura di poterle trasferire da un calcolatore a un altro era ancora una novità coraggiosa: i programmi, infatti, venivano impostati cambiando fisicamente dei circuiti o dei componenti della macchina.

Negli anni Cinquanta non esisteva ancora una parola tecnica di uso comune per indicare questo concetto astratto (si parlava genericamente di programma), e così Paul Niquette, che a quei tempi era un giovane studente diciannovenne che scriveva programmi per computer alla University of California, Los Angeles (UCLA), coniò il termine software; ma lo fece in un momento d’irriverenza di cui oggi abbiamo perso la cognizione.

Il vocabolo inglese software nacque infatti come gioco di parole: Niquette pensò che siccome i componenti materiali di un calcolatore si chiamano hardware (cioè “ferramenta” o “macchinari”, più letteralmente “cose dure”), allora la parte immateriale di un computer, il suo programma, poteva chiamarsi “soft-ware”, che significa più o meno “cose molli”.

Il ragazzo era noto per la sua tendenza a coniare neologismi frivoli: non era l’unico, e anzi creare parole nuove era una moda abbastanza diffusa fra gli informatici di quei tempi. Per questo abbiamo termini come bit (letteralmente “pezzetto”) o byte (grafia alterata della parola bite, ossia “morso” o “boccone”).

Ma torniamo a software. Niquette ammette che quando gli venne in mente per la prima volta questa parola scosse la testa e si mise a ridere. Anche in seguito gli sembrò una frivolezza. Dice nelle sue memorie: “Le prime volte che dicevo ‘software’ ad alta voce, la gente intorno mi diceva ‘Eh?’[...] Sin dall’inizio pensavo che la parola fosse troppo informale da scrivere e spesso troppo imbarazzante da pronunciare. Ciononostante, con trepidazione e con un sorrisetto, ogni tanto includevo ‘software’ nei miei discorsi, nelle lezioni e nelle interviste.”

Oggi questo termine ci sembra assolutamente normale e le cose molli sono al centro di uno dei più grandi settori dell’industria mondiale, ma allora software era solo una “parola sciocca” sulle labbra di un diciannovenne molto sveglio. Viene da chiedersi quali parole che adesso consideriamo sciocche saranno altrettanto cruciali nel sapere umano fra cinquant’anni.


Fonti aggiuntive: History of Information.

2016/10/29

Cos’è successo realmente a Schiaparelli?

Disegno della sonda TGO che rilascia
Schiaparelli verso Marte. Credit: ESA.
Questo articolo vi arriva gratuitamente grazie alla donazione di “Hyperion-Atlas”. Se vi piace, potete farne una per incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Pubblicazione iniziale: 2016/10/29 12:39. Ultimo aggiornamento: 2017/05/26 9:20.

Il 19 ottobre scorso la missione europea ExoMars ha raggiunto con pieno successo l’obiettivo primario di collocare in orbita intorno a Marte la sonda Trace Gas Orbiter (TGO) ma non ha conseguito l’obiettivo secondario di far atterrare sul pianeta il dimostratore tecnologico Schiaparelli, concepito per collaudare le tecnologie di rientro, discesa e atterraggio per la futura missione ExoMars 2020.

Come avrete probabilmente letto un po’ dappertutto, Schiaparelli si è infatti schiantato sulla superficie marziana invece di atterrare. La NASA ha pubblicato una fotografia eloquentissima, scattata dalla sonda MRO, di quello che con tutta probabilità è il nuovo cratere marziano creato dai circa 500 chili di massa di Schiaparelli: qui sotto la potete vedere a confronto con un’immagine della stessa zona scattata sempre da MRO qualche mese prima. Un’altra versione è qui su Flickr.

La macchia scura è probabilmente il risultato dell’impatto di Schiaparelli;
la chiazza bianca è probabilmente il paracadute. Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS.

Ma cosa ha causato quest’insuccesso? Nei media circolano varie ipotesi, che spesso sono così banali e ridicole da essere offensive verso chi ha lavorato ad ExoMars e in particolare a Schiaparelli. In effetti un errore c’è stato, ma è stato molto più sottile e difficile da anticipare di quel che si dice in giro. Per chiarire come stanno realmente le cose riassumo qui le informazioni tecniche che ho ottenuto in via confidenziale e che si basano sui dati di telemetria ricevuti e analizzati finora. 

La sonda TGO ha correttamente sganciato Schiaparelli il 16 ottobre, tre giorni prima del tentativo di atterraggio di Schiaparelli e prima di raggiungere Marte e frenare per immettersi in orbita. La traiettoria sulla quale TGO ha inserito Schiaparelli era perfetta. Dopo il distacco, Schiaparelli è entrato in modalità di ibernazione per tre giorni, allo scopo di risparmiare le proprie batterie, e poi si è correttamente svegliato nel momento previsto, appena prima di entrare nella tenue atmosfera marziana a circa 21.000 chilometri l’ora.

Quando si è svegliato, Schiaparelli ha utilizzato un sensore solare, situato sulla parte posteriore (rispetto alla direzione di volo) dell’involucro protettivo (backshell), per capire dove si trovava e come era orientato rispetto alla superficie di Marte. Poi ha attivato la Inertial Measurement Unit (IMU), una piattaforma inerziale che misura le accelerazioni istante per istante e consente al computer di bordo di calcolare velocità e orientamento nello spazio senza effettuare misurazioni assolute, che non sarebbero possibili durante la discesa. Anche questo è avvenuto in modo corretto.

Lo scudo termico situato anteriormente ha funzionato perfettamente, e quando Schiaparelli ha rilevato la decelerazione prevista dai suoi progettisti ha “capito” di aver raggiunto gli strati più densi dell'atmosfera marziana e quindi ha dato l’ordine di aprire il paracadute. Cinquanta secondi dopo l’apertura del paracadute, Schiaparelli ha sganciato lo scudo termico, esponendo il radar Doppler di bordo, che ha iniziato a misurare la distanza dalla superficie. Anche tutte queste fasi si sono svolte correttamente. Ma da qui sono iniziati i problemi e i misteri.

Schiaparelli sapeva a che quota si trovava rispetto alla superficie marziana grazie al radar, che indicava la distanza, ma aveva bisogno di sapere la propria inclinazione, per capire se il radar stava puntando verticalmente verso il basso (e quindi stava indicando l’effettiva distanza dal suolo) o se stava puntando lateralmente (e quindi stava dando un valore di distanza che andava corretto tenendo conto dell’angolo d’inclinazione).

L’inclinazione gli veniva fornita dai sensori dell’IMU, che però stavano fornendo dati sbagliati, perché erano andati in saturazione a causa delle oscillazioni impreviste subite da Schiaparelli mentre era appeso al paracadute. Queste misure sbagliate sono state interpretate dal computer come un assetto rovesciato del veicolo: in pratica, Schiaparelli ha creduto di trovarsi sottosopra, con il radar che guardava in su e vedeva la superficie di Marte al di sopra del veicolo. Il computer di bordo ha concluso, con logica ottusamente robotica, che se la quota aveva un valore negativo voleva dire che Schiaparelli era già atterrato. Ma in realtà era ancora ad alcuni chilometri di quota, in caduta libera verso la superficie marziana.

La sequenza di atterraggio prevista. Credit: ESA/ATG medialab.


Tutta la parte rimanente del programma di discesa si svolgeva secondo una sequenza che dipendeva dalla quota, per cui il computer ha sganciato il paracadute (in anticipo), ha acceso i retrorazzi soltanto per il tempo minimo previsto dal programma (tre secondi), ha spento tutto e infine ha trasmesso il messaggio “sono atterrato”. Ma non era vero: stava ancora precipitando.

Schiaparelli, a circa 2 o 3 chilometri dalla superficie di Marte, era talmente convinto di essere atterrato che ha addirittura acceso la propria piccola dotazione di strumenti scientifici e ha iniziato a trasmettere i dati che rilevavano. Diciannove secondi dopo è atterrato davvero sul pianeta rosso, ma a circa trecento chilometri l’ora, disintegrandosi.

–––

Cosa ha causato le oscillazioni eccessive di Schiaparelli, molto superiori a quelle previste dalle simulazioni? Forse il paracadute si è aperto piú violentemente del previsto o in modo disassato rispetto al veicolo; forse i venti marziani erano molto più intensi del previsto; forse il simulatore non era abbastanza fedele nel ricreare l’ambiente di Marte. Ancora non si sa.

Non era stato effettuato un collaudo fisico, un drop test, nel quale il veicolo viene sganciato in quota da un aereo, sulla Terra, per vedere come si comporta: il test era stato considerato troppo costoso, c’era il rischio che comunque non rivelasse il problema per via delle differenze fra l’atmosfera marziana e quella terrestre e fra le gravità dei due pianeti, e c'era anche il problema del conflitto in Ucraina, visto che un eventuale test si sarebbe svolto in Romania, vicino al confine con la zona di guerra.

Essendo un veicolo dimostratore (cosa che a molti giornalisti non è ben chiara), Schiaparelli non era dotato di sistemi ridondati*, per cui il computer di bordo non poteva rendersi conto che stava ricevendo misure sbagliate. Ma ha comunque trasmesso i dati necessari a capire cos’è andato storto e quindi questo insuccesso consente di sapere che il software di gestione va corretto in tempo per la missione vera e propria del 2020. Fra l’altro, una conferma di un errore nel software sarebbe una buona notizia, perché è enormemente più facile correggere il software che trovare e correggere un guasto in un componente fisico.


Fonti aggiuntive: ESA, Russian Space Web, Spaceflight101.

* ridondati non è un refuso; è il participio passato di ridondare.


2017/05/26 9:20. L'ESA ha pubblicato i risultati della sua indagine.

2016/07/10

Pubblicato il codice sorgente di Apollo 11, ma non è una novità

Lo schermo e la tastiera di un Apollo 
Guidance Computer (AGC).
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/07/11 2:00.

Mi sono arrivate moltissime segnalazioni della pubblicazione su Github del codice sorgente del software usato a bordo di Apollo 11, la prima missione che portò due esseri umani sulla Luna.

In realtà non si tratta di una novità o di una rivelazione: il software usato dagli AGC (Apollo Guidance Computer) è disponibile da decenni su carta e nel luglio del 2009 è stato trascritto e pubblicato da Google in forma digitale, ed esiste un emulatore dei computer di bordo sul quale farlo girare, come racconta Stefano Petroni su Siamogeek.

Come nota Luigi Rosa sempre su Siamogeek, si tratta di software eccezionale per l’epoca, di cui Quartz offre una magnifica analisi dettagliata insieme alle spiegazioni delle battute di umorismo per informatici appassionati di spazio (segnalazioni di bachi da risolvere, del tipo “un cliente si è lamentato che questa istruzione ha causato lo scoppio di un serbatoio”, riferita ad Apollo 13) che stanno emergendo (anche su Reddit) grazie alla ripubblicazione. Non mancano le chicche nei commenti del listato, come “NUMERO MYSTERIOSO” (riga 666) oppure il classico “TEMPORARY I HOPE HOPE HOPE” (righe 179 e 180).

Per chi volesse conoscere la storia di questo software e dell’hardware altrettanto straordinario sul quale girava (8K di RAM, clock a 2,048 Mhz – sì, quella è una virgola), consiglio questo articolo di Linux.com e questo documento della NASA.

Per gli zucconi che ancora credono che fu tutta una messinscena, l’esistenza di questo software (funzionante) aggiunge un ennesimo livello di difficoltà alla loro tesi: per falsificare le missioni sarebbe stato necessario anche scrivere tutto questo codice avanzatissimo, farlo validare dai migliori esperti, e poi generare le risposte che gli esperti si aspettavano di ricevere dal software durante ogni momento delle sei missioni che scesero sulla Luna. Quindi erano coinvolte nella finzione anche orde di programmatori? Erano implicati anche i tecnici che ricevevano a Terra i segnali dai computer di bordo? Quanta gente sarebbe stato necessario includere nella cospirazione? Appunto.


Fonti aggiuntive: The Verge, APCMag.

2015/10/16

Margaret Hamilton, l’informatica che portò l’uomo sulla Luna

Margaret Hamilton con la stampa del software
del computer AGC dell'Apollo.
Credit: NASA.
Capita a tutti di avere un problema al computer: di solito lo si riavvia e la cosa finisce lì. Ma quando il problema al computer capita mentre stai tentando di atterrare sulla Luna per la prima volta nella storia e il computer in crisi è quello che gestisce l'atterraggio, la cosa diventa un pochino più seria, perché il crash che ne può conseguire non è solo di tipo informatico.

Durante la discesa verso la Luna, infatti, il 20 luglio 1969, il computer di bordo del LM, il veicolo che doveva portare sulla Luna gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin, andò in sovraccarico: stava ricevendo troppi dati a causa di un errore di procedura esterno che lo costringeva a svolgere troppi compiti contemporaneamente.

Gli astronauti chiamarono la Terra via radio, segnalando l'allarme con voce tesa: mancavano solo tre minuti all'atterraggio. Serviva una decisione immediata. Da Terra risposero di continuare la discesa ignorando la crisi del computer. Fu la scelta giusta, perché il software del computer scartò i compiti non strettamente necessari e si concentrò sull'unico davvero importante: atterrare.

L'episodio è leggendario e ben noto, ma pochi sanno che se non abbiamo tanti pezzettini d'astronauta sparsi sulla Luna è grazie in gran parte a una donna, Margaret Hamilton. In un'epoca in cui i posti chiave erano tutti in mano agli uomini e il sessismo era ovunque, la Hamilton era direttore e supervisore della programmazione del software del progetto Apollo, a soli 33 anni.

Fu lei, insieme alla propria squadra, a definire i criteri di progettazione e di collaudo del software che faceva funzionare il computer di bordo del LM e in particolare i concetti di elaborazione asincrona e schedulazione delle priorità che permisero al computer di non bloccarsi e consentirono agli astronauti di salvarsi da quel sovraccarico di dati e di atterrare sani e salvi. Erano tempi così pionieristici che fu lei a coniare il termine ingegneria del software. Per il suo lavoro, nel 2003 la NASA le conferì l'Exceptional Space Act Award, che comprendeva il premio in denaro più alto mai dato a una singola persona dall'ente spaziale.

I metodi sviluppati sotto la supervisione di Margaret Hamilton per andare sulla Luna sono quelli che stanno ancora oggi alla base di un'industria che vale circa 400 miliardi di dollari. Oggi la Hamilton ha 79 anni e dirige la Hamilton Technologies: guarda caso, una società specializzata in software ad altissima affidabilità.


Fonti aggiuntive: Time, Wired.

2012/07/30

OS X Mountain Lion, prova d’installazione

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2012/08/02.

Sto installando OS X 10.8 (Mountain Lion) sul mio Macbook Air 13" (che ha su Lion). Pubblico questi rapidi appunti di viaggio per ricordarmi cosa fare e non fare e per segnalarvi trucchi e magagne della migrazione; se volete una recensione più ampia, consiglio quella di Ars Technica. È sottinteso che prima di un aggiornamento di questa importanza è indispensabile effettuare un backup.

L'acquisto di Mountain Lion è semplice: si avvia l'App Store e si compra OS Mountain Lion a 20 franchi svizzeri (15,99 euro nell'App Store italiano). Lo si può comperare anche senza carta di credito, usando una iTunes Card, da quello che vedo.

Il download è lungo (4,3 gigabyte) e scarsamente segnalato: all'avvio si viene portati automaticamente al LaunchPad, dove compare l'icona di Mountain Lion con la dicitura Trasferimento. Nient'altro. Decisamente poco informativo (immagine qui accanto). Solo dopo un po' mi sono accorto che il puntino bianco sovrapposto all'icona si stava allargando perché era l'inizio di una barra che indicava l'avanzamento del download.

Attenzione a non cliccare sull'icona di Mountain Lion in Launchpad nella speranza di avere maggiori informazioni: se lo fate, l'unico risultato è che la dicitura sotto l'icona cambia da Trasferimento a In pausa e il download si ferma; è quindi facile interrompere inconsapevolmente lo scaricamento. Per avere più informazioni sul download e avere una stima dei tempi previsti bisogna avviare l'App Store e cliccare sull'icona Acquistate.

Le cose vanno meglio se si migra da Snow Leopard: nel Dock compare un'icona di download molto chiara (immagine qui accanto).

Circa due ore dopo. Download completato. Se avete altre macchine da aggiornare, risparmierete molto tempo e molta banda usando la tecnica descritta da 9to5mac per creare una penna USB o scheda SD d'installazione (che comunque può sempre servire in emergenza). Non ho ancora testato questa tecnica; lo farò quando aggiornerò gli altri Mac recenti del Maniero Digitale.

Cliccando su Continua nella finestra che compare a fine download, bisogna accettare la licenza del software, che specifica che c'è una clausola di rimborso come quella di Windows (hmmmm....) e che se avete più di un Mac non è obbligatorio acquistare una copia di Mountain Lion per ciascun computer (punto 2B). Sembrebbe esclusa la possibilità di far girare Mountain Lion virtualizzato su hardware non Apple.

Dando il consenso alla licenza e all'avvio dell'installazione, Mountain Lion macina un paio di minuti e poi riavvia il computer. Macina per altri venti minuti circa, poi riavvia di nuovo. Chiede l'ID Apple (ignorabile se non l'avete o non lo volete usare): dice che la richiesta della data di nascita che compare a questo punto servirebbe anche "per recuperare la tua password nel caso in cui la dimenticassi", ma non mi sembra un buon sistema di protezione, dato che scoprire la data di nascita di qualcuno è assolutamente banale. Potrebbe essere saggio immettere una data fasulla (da ricordare).

Compare una serie interminabile di termini e condizioni da accettare (una copia è sul computer e un'altra è presso Apple qui). Poi è il turno di iCloud, che ho rifiutato di configurare: prima voglio valutarne le implicazioni, e finora ho vissuto benissimo senza iCloud, per cui non ho fretta.

Fatto questo, il Mac è pronto per l'uso di base con Mountain Lion, ma ci possono essere altri aggiornamenti: per esempio, se usate Mail il suo primo avvio chiede di aggiornare l'archivio di posta. Nel caso del mio Air, c'è anche un aggiornamento firmware che richiede un altro riavvio. Poi ci sono le configurazioni di tutte le funzioni nuove di condivisione, come l'area delle notifiche (icona in alto a destra sulla barra menu), fonte di distrazione continua se non la s'imposta in modo meno garrulo del suo default, e l'eventuale pulizia del Dock (nel quale ricompaiono l'App Store e Launchpad – due cose che non uso quasi mai e quindi trovo inutile avere nel Dock – e fanno la propria comparsa Promemoria e Note). Fra l'altro, se dovete rimuovere un'icona dal Dock, ricordate che in Mountain Lion dovete trascinarla più lontano del solito dal Dock per far comparire la nuvoletta di rimozione.

In conclusione. Tutto sommato, l'aggiornamento è stato indolore (almeno per ora) e ha richiesto circa tre ore. Vale la pena di farlo? Per quanto riguarda le novità del sistema operativo, a mio avviso no (magari salterà fuori qualche miglioria poco visibile che scoprirò con l'uso, ma per ora l'impatto è particolarmente blando); per restare aggiornati sul fronte della sicurezza, sì, visto che anche il Mac oggi è preso di mira dal malware e visto anche il prezzo più che ragionevole. Ma non è certo un aggiornamento epocale che invoca di essere installato il più presto possibile.

Per esempio, la novità apparentemente promettente del riconoscimento vocale (attivabile premendo due volte il tasto fn in qualunque applicazione dopo aver attivato l'opzione di dettatura) si smorza per gli italofoni, perché l'italiano non è supportato (attualmente ci sono solo francese, giapponese, inglese in tre varianti e tedesco), e comunque c'è il problema della privacy, perché tutto quello che dite durante la dettatura viene inviato ad Apple per l'analisi. Come se non bastasse, ad Apple "vengono inviate anche altre informazioni, come ad esempio i tuoi contatti". Tutto questo viene indicato molto chiaramente, come mostrato nell'immagine qui accanto, ma è un approccio "alla Siri" che chi ha esigenze di riservatezza professionale difficilmente troverà accettabile. Perché non fare il riconoscimento vocale direttamente sul computer, che non ha le limitazioni di potenza di uno smartphone?

Per quel che mi riguarda, paradossalmente la novità più immediatamente utile di Mountain Lion è un ritorno al passato e al buon senso: la ricomparsa della voce di menu Salva con nome o Salva come, che era stata sostituita dal sistema delle versioni dei documenti in Lion. Era sparita la possibilità di un gesto classico come quello di aprire un documento e poi salvarlo con un altro nome (o meglio, era nascostissima e farraginosa). Ora in Mountain Lion la voce di menu, ribattezzata Salva col nome, è richiamabile tenendo premuto il tasto Opzione quando si sceglie il menu File e circolano già trucchetti (grazie a @l_rsa) per renderla direttamente accessibile.


2012/07/31


Se avete applicazioni che richiedono Java (come per esempio OpenOffice, NeoOffice o LibreOffice), ricordatevi di scaricare e installare il runtime Java più recente anche se l'avevate installato in precedenza. Io l'avevo installato in Lion proprio per LibreOffice, ma l'installazione di Mountain Lion l'ha eliminato.

La procedura è indolore: lanciate l'applicazione che richiede Java e aspettate che Mountain Lion segnali il bisogno del runtime Java (notate il refuso nella finestra di dialogo: runtine al posto di runtime), poi cliccate su Installa mentre siete connessi a Internet.


2012/08/01


Un tocco di piacevole semplicità: se avete più di un Mac collegato allo stesso Apple ID, quando visitate l'App Store per scaricare Mountain Lion di nuovo e installarlo sui Mac successivi al primo non pagate nulla. Cliccando su Acquista compare l'avviso che avete già scaricato una volta Mountain Lion e che gli scaricamenti successivi sono gratuiti. Parte subito il download, senza addebiti. Una bella differenza rispetto alla politica commerciale di Microsoft.

Prima magagnina: l'indicatore di stato delle applicazioni nel Dock mi appare in modo casuale e non indica correttamente se l'applicazione è aperta o no. Nello screenshot qui sotto, per esempio, sono vistosamente aperti e attivi Mail, LibreOffice, Twitter, Namely e Firefox, ma il trattino azzurro sotto le rispettive nel Dock c'è solo per Twitter e Namely. Inoltre facendo Alt-Tab mi risultano disponibili solo Finder, Twitter e Namely. I cinque rettangoli bianchi nel Dock qui sotto erano icone di Firefox, stranamente prive del logo dell'applicazione. Bizzarro. Dopo un reboot tutto ha ripreso a funzionare normalmente.


Migrando da Snow Leopard viene attivato automaticamente quello che Apple chiama “scorrimento naturale”, che potrà anche avere vagamente senso su un touchpad ma che sulla rotellina di un mouse è, almeno per i vecchietti come me, assolutamente contro natura. Per fortuna un giretto nelle Preferenze di Sistema risolve tutto.

Attenzione anche ai driver e alle applicazioni, che potrebbero risultare incompatibili. Per esempio, il driver per monitor supplementare tramite porta USB della Diamond (BVU195, che ho descritto qui) per Snow Leopard smette di funzionare sotto Mountain Lion, e stando alle reazioni iraconde nei forum di supporto i driver versione 1.8 Displaylink per Mountain Lion sono inutilizzabili. L'antivirus di Sophos va aggiornato scaricando l'apposita versione e rimuovendo quella preesistente prima di installare quella nuova.

Altra cosa: perché diavolo in Mountain Lion le applicazioni mi chiedono di poter accedere ai miei contatti? Me l'ha chiesto Camino, e pazienza, perché è un browser e la cosa potrebbe avere un barlume di senso. Ma me l'ha chiesto anche Final Cut, che come programma di montaggio video dovrebbe farsi i fatti propri e non avere nessun bisogno di ficcare il proprio naso digitale nei miei contatti.


2012/08/02


Se avete un archivio di mail piuttosto corposo, possono passare diverse ore prima che Mountain Lion vi consenta di farvi ricerche approfondite, per cui scegliete bene il momento in cui effettuare la migrazione. Sembra infatti che Mail.app di ML reindicizzi tutto l'archivio. Infatti nelle prime ore dopo l'installazione Mail.app mi offriva solo ricerche nei mittenti e negli argomenti delle mail ma non nel corpo del loro testo. Dopo qualche ora è comparsa anche l'opzione di ricerca “il messaggio contiene...”.

Se volete regolare la dimensione del font nella barra laterale di Mail.app, quest'impostazione è stata spostata (già dai tempi di Lion) alle Preferenze di Sistema, sezione Generali, e nascosta con il nome poco intuitivo di Dimensioni icona barra laterale.

Per eliminare l'irritazione e la distrazione della comparsa del riquadrino-banner di notifica ogni volta che arriva una mail si va nelle Preferenze di Sistema e si sceglie Notifiche, Mail, Nessuno.

Mountain Lion ha una nuova funzione di sicurezza, Gatekeeper, che blocca il lancio di qualunque applicazione che a suo parere “proviene da uno sviluppatore non identificato”. Ë una protezione antimalware basata sulla firma digitale delle singole applicazioni, che però tende a bloccare anche applicazioni legittime di sviluppatori molto ben identificati: quelli che non hanno ancora firmato le proprie applicazioni con un certificato digitale fornito da Apple, come nel caso illustrato qui accanto, che mostra il blocco di Dragon Dictate. Per aggirare temporaneamente il problema si può andare nella cartella Applicazioni e Ctrl-cliccare sull'icona dell'applicazione: questo fa comparire l'avviso di blocco come prima, ma con l'aggiunta dell'opzione Apri. Maggiori dettagli sulla sicurezza molto relativa di Gatekeeper sono in questo articolo di Macworld.

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2012/03/15

Crash di LibreOffice forse risolto

LibreOffice crasha su cambio maiuscolo/minuscolo? Forse è questione di Java


Un mesetto fa ho tweetato indignandomi perché LibreOffice per Mac crashava su una cosa banale come la conversione da maiuscolo a minuscolo. Avevo anche offerto cinquanta euro a chi avesse risolto il baco, perché LibreOffice mi piace molto (è più evoluto di NeoOffice e più leggero di OpenOffice.org) e lo uso come word processor principale per lavoro.

Per ragioni che sarebbe lungo spiegare qui, mi capita spessissimo di usare proprio la funzione di conversione da maiuscolo a minuscolo e viceversa, e quindi vedermi crashare LibreOffice senza neanche salvare il testo come fa di solito quando va in panico mi ha procurato più di un travaso di bile.

Forse ho trovato la spiegazione al baco e la segnalo qui perché magari qualche sviluppatore di LibreOffice riesce a includerla nella documentazione dei bachi. Poco fa ho installato la versione 3.5.1.2 di LibroOffice, fresca di rilascio, sul mio Air sotto Lion. Speravo che il baco fosse stato risolto. Ho scritto un paragrafo, l'ho selezionato e ho scelto Format > Change Case > Lowercase. Crash. Grrr.

Colto da improvvisa ispirazione, guidata dalle mie reminiscenze di NeoOffice, che dipendeva fortemente da Java, ho provato a guardare le impostazioni Java di LibreOffice (sotto Preferences > Java). Non c'era nessun Java Runtime Environment selezionato. Ho selezionato quello di Apple e LibreOffice ha smesso di crashare.

Spero che questa info sia utile a LibreOffice; adoro il software libero e nel mio piccolo vorrei aiutarlo a crescere. Però, per favore, leviamo questa dipendenza assurda da Java.

2010/06/24

Come postare su Blogger dalla riga di comando

Questo post compare nel Disinformatico grazie a GoogleCL, che permette di gestire i servizi di Google dalla riga di comando. Notevole.

2010/06/11

Aggiornate il vostro Flash Player (Win, Mac, Linux, Solaris)

Adobe Flash Player nuovo: meno falle e (per Windows) più velocità


Adobe ha pubblicato un bollettino di vulnerabilità presenti in Flash Player per Windows, Mac, Solaris e Linux. La versione aggiornata di Flash Player risolve 32 falle, alcune delle quali, stando a Sophos e Intego, vengono già sfruttate dagli aggressori online. Adobe consiglia di aggiornarsi alla versione 10.1. L'operazione va ripetuta per ogni browser. L'aggiornamento fornisce agli utenti Windows l'accelerazione hardware; gli altri dovranno aspettare. Per sapere che versione di Flash avete già, andate qui. Per scaricare la nuova versione, il link è questo.

2009/08/22

Presentazioni, 25 anni d'incubo: come evitare la Powerpointosi

Ultimo aggiornamento: 2017/11/06 6:00.

PowerPoint, il popolarissimo e al tempo stesso odiatissimo software per presentazioni, compie 25 anni. Nacque infatti il 14 agosto 1984 Presenter (questo il suo nome iniziale), realizzato non da Microsoft, ma dalla californiana Forethought Inc. Come cambiano i tempi: originariamente questo software esisteva solo per Mac.

Nell'agosto del 1987, Microsoft comprò la Forethought per 14 milioni di dollari. Presenter fu ribattezzato PowerPoint e fu sviluppato ulteriormente da Microsoft per Windows e per Mac.

Oggi ha 500 milioni di utenti che mostrano al pubblico o ai dipendenti o ai clienti circa 30 milioni di presentazioni ogni giorno e vende ogni anno per un controvalore di oltre 100 milioni di dollari, detenendo il 95% del mercato del software per presentazioni.

Powerpoint, come tutti i software per presentazioni, viene spesso criticato perché spinge alla powerpointosi: la tendenza a diventare fragile gruccia degli oratori incapaci e a tediare il pubblico che subisce le presentazioni malfatte. E' vero che la struttura stessa di una presentazione tende a schematizzare e incasellare spesso eccessivamente i concetti, ma è anche vero che gran parte della colpa delle tante presentazioni noiose ed inefficaci è di chi le realizza.

Ecco qualche consiglio in proposito, raccolto qua e là dalle mie esperienze, da questo articolo della BBC e soprattutto dall'ottima presentazione-parodia Death By Powerpoint di Alexei Kapterev (PDF). Naturalmente, trattandosi di consigli sulle presentazioni, ve li offro in forma di elenco puntato. Volevo scriverli in lettere gialle su sfondo blu, ma mi sono trattenuto.

  • Non voltate le spalle al pubblico. Il pubblico è lì per ascoltare voi, per sentirvi parlare dal vivo, non per guardare le slide. Trovate la maniera di tenere sotto controllo cosa c'è realmente sullo schermo dietro di voi senza voltarvi e mantenete il più possibile il contatto visivo con il pubblico.
  • Evitate fiumi di testo. Le slide non devono essere come pagine di libro. Se lo sono, la gente farà fatica a leggerle e a seguire contemporaneamente quello che state dicendo. Devono contenere poche parole essenziali: il discorso articolato dovete farlo voi.
  • Non leggete le slide. Chi legge mentalmente va molto più veloce di chi legge ad alta voce, per cui ripetere pari pari il contenuto delle slide è mortalmente noioso.
  • La presentazione non è la scaletta delle cose che dovete dire. Deve essere un complemento arricchente al vostro discorso: non deve essere lo schema del discorso. Quello va messo nelle note su schermo che il pubblico non vede, oppure su un foglio di carta.
  • Evitate scritte microscopiche e grafici troppo intricati. È una presentazione, santo cielo, non un esame della vista. Il pubblico non riuscirà a cogliere tutti i dettagli, se sono minuscoli.
  • Evitate schemi di colore troppo sgargianti, ma anche quelli banali. Il già citato testo giallo su sfondo blu è da evitare il più possibile, come lo sono i colori psichedelici. I modelli predefiniti dei programmi per presentazioni di solito sono un buon compromesso, ma bisogna ricordarsi di usarli e di variarli periodicamente. Tenete presente che le condizioni di luce di una proiezione sono sempre peggiori di quelle nelle quali guardate la presentazione sul vostro monitor.
  • Usate immagini efficaci. Non ricorrete alla clipart insignificante e già vista: ricorrete a foto d'impatto, divertenti o simboliche, che aggiungano contenuto invece di complementare le parole. Se potete esprimere un concetto esclusivamente mediante un'immagine, fatelo.
  • Spezzate le slide prolisse. Troppi concetti in una singola slide non verranno memorizzati. Suddivideteli su più slide.
  • Preparate un'introduzione accattivante e una frase finale memorabile. Non siete lì per fornire a voce quello che potreste distribuire come stampato. Ogni presentazione è, a modo suo, uno spettacolo emozionale. Se non mostrate che quello di cui parlate vi appassiona, non potete pretendere di appassionare il pubblico.
  • Provate, provate, provate. Fate passare e ripassare le slide per assicurarvi che le transizioni avvengano correttamente e che gli elementi di ogni slide appaiano nell'ordine giusto. Esercitatevi a fare la presentazione provandola ad alta voce per controllarne i contenuti e la durata.
  • Controllate l'ortografia. Lasciare strafalcioni è il modo migliore per comunicare al pubblico che siete superficiali e disattenti.
  • Non mostrate al pubblico il contatore del numero delle slide. Questo spinge lo spettatore a fare un conto alla rovescia mentale e a concentrarsi sul "quanto manca ancora" invece che sui contenuti. Non c'è come vedere "1 di 178" per far scappare il pubblico o indurlo a simulare malori.
  • Attenti alla cliccata fantasma. Alcune transizioni richiedono tempo per essere visualizzate. Se cliccate prima che siano finite, credendo che il computer non abbia "preso" la cliccata precedente per andare avanti, finirete nella slide successiva e vi perderete. Tenete d'occhio gli indicatori sul vostro schermo, che segnalano quando ogni transizione è stata completata.
  • Memorizzate i tasti d'emergenza. Se scappa una cliccata fantasma, o volete saltare una slide o tornare indietro, segnate su un Post-it i tasti da usare. Vi servirà nei momenti di panico.
  • Includete solo quello che vi serve per illustrare il concetto. Non rimpinzate la presentazione di dati irrilevanti.
  • Provate le connessioni. Verificate in anticipo che il vostro computer sia compatibile con il videoproiettore e se possibile lasciatelo collegato e impostato. Assicuratevi che l'alimentatore del computer sia inserito e alimenti correttamente il computer, altrimenti la vostra presentazione verrà interrotta tragicamente dallo spegnimento del PC.
  • Spegnete screensaver e risparmio energetico. Se parlate troppo a lungo su una slide, non volete che lo schermo dietro di voi diventi nero o, peggio ancora, faccia scorrere sul megaschermo la vostra collezione di foto porno.
  • Preparate un backup; anzi due. Tenete una copia della presentazione su una penna USB e generatene una versione in formato PDF, da mettere anch'essa sulla penna. Il PDF funzionerà su qualsiasi computer d'emergenza. Stampate una copia della falsariga della vostra presentazione. La carta non crasha.
  • Usate il vostro computer; se necessario, insistete. Specialmente se c'è poca luce in sala, rischiate di non trovare i tasti dove siete abituati a trovarli, e il software e il sistema operativo possono essere differenti e incompatibili. A volte basta una versione leggermente differente di software per rovinare l'impaginazione, ed è facilissimo che il computer altrui non abbia i vostri font prediletti.
  • Non guardate la persona che sta dormendo. C'è sempre, anche se la vostra presentazione tratta di lingerie per pornostar, e se cominciate a fissarla perderete irrimediabilmente entusiasmo e concentrazione.

Fonte logo: Wikipedia.

2009/02/21

Scie chimiche sopra il Maniero Digitale!

Domandina per gli sciachimisti: se io faccio parte del complotto, perché ci sono così tante scie chimiche sopra casa mia?


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Oggi è stata una splendida giornata di sole a Lugano, e così ho colto l'occasione per provare Gawker, un comodo programma per la cattura di fotogrammi temporizzati (time-lapse) tramite webcam per il Mac. Ho fatto anche un piccolo esperimento che non mi risulta sia ancora stato fatto dai sostenitori della teoria delle "scie chimiche", ossia riprendere un'intera giornata di cielo e osservarla accelerata per vedere l'evoluzione delle scie di condensa prodotte dagli aerei di passaggio.

Questo video spiccio e sporco, accelerato di 100 volte rispetto alla realtà, permette di apprezzare la persistenza delle scie di condensa quando le condizioni in quota sono favorevoli e di notare come il vento le trasporti senza alterarne molto la linearità e senza disperderle granché, cosa che renderebbe assurda e impraticabile qualunque presunta irrorazione "mirata".

Si nota anche una scia interrotta, che testimonia la non omogeneità delle condizioni dell'atmosfera, e si vedono scie traverse (rispetto alla maggioranza, che si estende parallela all'orizzonte in direzione nord-sud), che secondo certi sciachimisti non possono esistere.

Quello che colpisce di più, nella parte centrale del video, è il vero e proprio plotone di scie parallele che avanza verso la webcam: un fenomeno difficile da rilevare a velocità normale. Mi chiedo se è questa l'origine delle scie parallele che caratterizzano le foto degli sciachimisti: gli aerei non procederebbero per file parallele a formare una presunta griglia, ma volerebbero grosso modo lungo la stessa rotta in tempi differenti e sarebbe il vento a spostare progressivamente le scie.



Il video (ne ho una versione a risoluzione migliore, 640x480) ha l'indicazione del tempo ed è ripreso da un punto geografico conosciuto (casa mia, a queste coordinate) e in una direzione conosciuta (il monte a destra è il San Salvatore). Questo permetterebbe di sapere quali aerei di linea passavano durante la ripresa e di correlare le scie con i voli corrispondenti: un'altra cosa che gli sciachimisti evitano sistematicamente di fare.

Questa è la direzione di ripresa (immagine cliccabile per ingrandirla):



E questa è una mappa delle rotte della zona, risalente al 2008 (immagine cliccabile per ingrandirla):



Come faccio a sapere che sono scie di condensa e non scie chimiche? Semplice: gli sciachimisti dicono che io faccio parte del complotto (con tanto di "impianti bioplasmatici" che proiettano "l'ologramma umano"), quindi è ovvio che sopra casa mia non ci devono essere irrorazioni chimiche.
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