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Il Disinformatico: automobili

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2022/08/18

Auto Hyundai “hackerata”: la chiave privata degli aggiornamenti si trova con Google

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Le chiavi di cifratura e di protezione del software della Hyundai Ioniq SEL sono pubblicamente disponibili con una semplice ricerca in Google. Lo ha scoperto Daniel Feldman, un ingegnere informatico di Minneapolis, negli Stati Uniti, che con questa chiave è riuscito a hackerare il sistema di informazione e intrattenimento o infotainment della propria vettura.

Feldman racconta nel proprio blog che la sua auto, un’ibrida del 2021, è dotata di un sistema di infotainment, appunto, che funziona adeguatamente, ma lui voleva vedere se era possibile personalizzarlo, e così ha scoperto che esistono già vari modi non ufficiali, ovviamente ad alto rischio, per entrare nella modalità manutenzione e installare applicazioni. Il sistema, infatti, è basato su Android e quindi accetta quasi qualunque applicazione realizzata per questo sistema operativo. A quanto pare, la password di accesso a questa modalità manutenzione è definita usando una tecnica piuttosto originale: è semplicemente composta dalle quattro cifre dell’ora e del minuto indicati dall’orologio di bordo.

Ma Feldman voleva fare di più: voleva scoprire se era possibile creare degli aggiornamenti personalizzati del firmware, ossia del software di base del sistema di infotainment. Gli aggiornamenti ufficiali, diffusi da Hyundai Mobis, sono distribuiti all’interno di un file ZIP protetto da una password e sono cifrati e anche firmati digitalmente. Sembrerebbe una tripla protezione più che ragionevole, ma purtroppo qualcuno in Hyundai ha commesso una serie di errori davvero imbarazzante.

Per prima cosa, Feldman è riuscito a scavalcare la password del file ZIP e a estrarne i contenuti; i dettagli della tecnica che ha usato sono nel suo blog. Per la cifratura degli aggiornamenti, ha trovato la chiave di decrittazione direttamente nel file ZIP. Due ostacoli su tre erano quindi rimossi.

Ma c’era ancora la firma digitale, ossia la protezione che consente di installare soltanto software che sia stato firmato e garantito usando una chiave segreta in due parti, una pubblica e una privata, nota soltanto ai tecnici di Hyundai Mobis. Senza quella chiave, Feldman era a un punto morto. È qui che ha avuto un’ispirazione molto felice.

Per verificare che nessun altro avesse già ottenuto i suoi stessi risultati, ha provato a cercare in Google la chiave di cifratura che aveva scoperto. E Google gli ha fatto scoprire che la chiave usata da Hyundai era quella usata come esempio nei manuali pubblici di crittografia (come il documento NIST SP800-38A). Era insomma come scoprire che i tecnici di Hyundai Mobis avevano “protetto” (si fa per dire) il proprio software usando la password pippo che si usa sempre nei tutorial e che conoscono tutti.

Ma non è finita qui. Frugando all’interno del software originale, l’ingegnere informatico ha scoperto che quel software conteneva la parte pubblica della chiave di firma digitale. Ispirato dall’errore precedente dei tecnici Hyundai, ha provato a cercare su Google una porzione di questa chiave, e ha scoperto che anche stavolta i tecnici avevano usato una chiave di firma digitale che è presente negli esempi dei tutorial, quelli che spiegano come firmare digitalmente qualunque file. E quei tutorial, ovviamente, includono anche la chiave privata corrispondente.

In altre parole: Hyundai ha usato una chiave privata di firma digitale presa da un tutorial e ha messo la chiave pubblica corrispondente nel proprio software. E così è emerso che tutto il suo castello di protezioni risulta essere fondato sull’argilla, e Feldman è riuscito a installare del software (più precisamente del firmware) scritto da lui sulla propria auto, come descrive in due altri articoli (primo, secondo). Missione compiuta, insomma.

Morale della storia: la sicurezza nel software non è cosa che si improvvisa. I protocolli e gli standard possono essere anche robustissimi e matematicamente inespugnabili, ma l’errore umano, o in questo caso la pigrizia di chi ha usato una chiave di firma digitale presa di peso da un tutorial, è sempre in agguato. Conviene ricordarlo quando qualche azienda, anche al di fuori del settore automobilistico, si vanta di usare i software di crittografia più sofisticati. Se li usa un pasticcione, sforneranno pasticci.

Fonte aggiuntiva: The Register.

2022/07/21

Paghereste un canone di abbonamento per poter scaldare i sedili della vostra auto? Con BMW si può

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Chi lavora con l’informatica è abituato da tempo all’idea di comperare un programma e poi pagare degli abbonamenti o dei supplementi per attivarne alcune funzioni extra. Ma da qualche tempo questo modello commerciale si è esteso anche alle automobili.

È di questi giorni la notizia che nel Regno Unito BMW ha iniziato a offrire il riscaldamento dei sedili e del volante in abbonamento. I componenti fisici del sistema di riscaldamento sono installati di serie, ma per attivarli è necessario pagare un canone mensile di 15 sterline (circa 18 euro o franchi svizzeri), più altre 10 sterline (circa 12 euro o franchi) per attivare anche il riscaldamento del volante. In alternativa si può pagare un supplemento, al momento dell’acquisto, di 200 sterline (grosso modo 230 euro o franchi). Anche il cruise control attivo, gli abbaglianti automatici e le sospensioni adattive sono installati ma attivati solo a pagamento.

Può sembrare assurdo che una casa automobilistica installi di serie dei componenti che il cliente non paga se non li attiva: in fin dei conti, questi componenti hanno un costo di fabbricazione e di installazione, per cui metterli su tutti i veicoli e poi sperare che il cliente paghi per attivarli parrebbe a prima vista un autogol commerciale. Ma nella produzione di massa capita spesso che installare i componenti su tutti gli esemplari costi meno che gestire due o più filiere di produzione separate, con tutti i relativi problemi di logistica, burocrazia e controllo qualità.

BMW non è l’unica marca a preinstallare hardware da sbloccare pagando un canone tramite un’app, in una sorta di App Store per automobili che chiama Connected Drive Store. Tesla, per esempio, offre da tempo vari servizi supplementari di aumento delle prestazioni che sono basati su un canone e propone anche un sistema di assistenza di guida i cui computer e sensori sono presenti in ogni esemplare venduto ma si attivano soltanto pagando un supplemento che parte da 3700 franchi (o euro equivalenti) e può superare i 7000; in passato ha offerto anche batterie la cui autonomia era limitata via software e poteva essere sbloccata pagando un supplemento di circa 8000 dollari. E Stellantis ha annunciato a gennaio 2021 che si aspetta di ricavare circa 22 miliardi di dollari l’anno dalla vendita di software e abbonamenti sulle proprie automobili entro il 2030. Anche Volkswagen, General Motors e Ford fanno previsioni analoghe. E già ora GM offre il proprio sistema di assistenza di guida su abbonamento: i primi tre anni sono gratuiti, poi si devono pagare 25 dollari al mese.

L’introduzione di questi servizi in abbonamento non è stata accolta dal pubblico con unanime entusiasmo, per dirla con garbo. L’annuncio dei sedili riscaldati a pagamento sulle BMW ha suscitato parecchie discussioni online da parte di utenti che ritengono che funzioni così basilari dovrebbero essere offerte di serie, e un sondaggio della società di marketing Cox Automotive indica che i tre quarti dei partecipanti dichiara di non essere disposta a pagare canoni mensili per le funzioni della propria auto. Kurt Opsahl, consulente legale della Electronic Frontier Foundation, ha tweetato che “Un riscaldatore di sedili bloccato tramite software è guasto, e il proprietario dell’auto dovrebbe avere il diritto di riparare i propri sedili”.

Le case automobilistiche ribattono facendo notare che questa formula consente al cliente di cambiare idea dopo l’acquisto, di provare funzioni delle quali è incerto, ed è utile per chi compra auto di seconda mano e può quindi attivare funzioni che il proprietario originale non aveva pagato.

Nel frattempo gli informatici non sono rimasti con le mani in mano ed è nata una fiorente comunità di hacking che sblocca le funzioni delle auto bloccate tramite software, esattamente come si fa con i programmi per computer limitati artificialmente. In alcuni casi questi sblocchi automobilistici alternativi sono a pagamento, ma la loro legalità è molto controversa: da un lato si invoca il diritto di riparare ciò che si possiede, ma dall’altro si fa notare che certe modifiche che toccano componenti essenziali del veicolo possono invalidarne l’omologazione o, peggio ancora, renderlo pericoloso per il conducente e per gli altri utenti della strada.

C’è anche un altro problema: i servizi di questo tipo, che dipendono da un server di gestione remota, sono revocabili o possono semplicemente smettere di funzionare dopo che sono stati pagati. Non è teoria: è quello che mi è capitato personalmente già nel 2020, quando stavo per acquistare un’auto elettrica della Opel ma ho scoperto che la sua app di gestione, OnStar, avrebbe smesso di funzionare a fine anno, disattivando permanentemente funzioni essenziali come il monitoraggio dello stato di avanzamento della ricarica e la chiamata automatica ai servizi di soccorso in caso di incidente.

In altre parole, le cose che compriamo, comprese le auto, non sono più realmente nostre. Ed è per questo che nascono organizzazioni e iniziative per la difesa di quei diritti digitali che sembrano così astratti e invece si rivelano profondamente concreti.

Fonti: BBC, Mashable, The Register.

2020/06/12

Attacco ransomware blocca alcune fabbriche Honda; nuove tendenze negli attacchi

Honda ha annunciato che alcune sue fabbriche negli Stati Uniti, in Turchia, in India e in Sud America sono ferme a causa di un attacco informatico, secondo Ars Technica e Bloomberg.

Le prime avvisaglie sono arrivate su Twitter e poi un ricercatore di sicurezza informatica, milkr3am, si è accorto che qualcuno aveva inviato al sito VirusTotal un campione del virus informatico Snake/Ekans fatto su misura per attaccare Honda (conteneva un’istruzione riguardante il sottodominio mds.honda.com, che non è su Internet ma presumibilmente fa parte della intranet dell’azienda).

Successivamente lo stesso ricercatore è riuscito a ottenere una copia della richiesta di denaro inviata dagli aggressori a Honda:



Si tratta insomma di un classico attacco di ransomware, nel quale i dati della vittima vengono cifrati con una password nota soltanto all’aggressore, che poi chiede soldi per dare alla vittima questa password e permetterle di recuperare i propri dati.

Honda non è l’unica grande azienda colpita da questo genere di attacchi: Bloomberg cita Fincantieri SpA e nota che nel 2019 sono state colpite almeno 966 agenzie governative, scuole ed enti sanitari soltanto negli Stati Uniti. Blackfog ha stilato una cronologia degli attacchi ransomware avvenuti nei primi cinque mesi del 2020: ce n’è per tutti in tutto il mondo, compreso lo studio legale statunitense usato da Elton John, Robert De Niro e Madonna.

Le tecniche del ransomware, inoltre, si stanno evolvendo. La moda del momento è aumentare la pressione sulle vittime, per indurle a pagare, minacciando di vendere via Internet i dati rubati. Visto che il metodo di attacco prevalente è il classico allegato infettante inviato via mail, siate prudenti nell’aprire qualunque messaggio.


Fonte aggiuntiva: BBC.

2020/03/13

Molte Toyota, Hyundai e Kia hanno chiavi clonabili: le avevano anche le Tesla, ma sono state aggiornate via Internet

Si parla spesso con preoccupazione dell’aggiornabilità delle automobili via Internet: c’è chi teme che un aggiornamento possa portare virus, revocare funzioni o addirittura paralizzare l’auto mentre è in movimento, come succede con i computer.

In realtà le auto aggiornabili sono praticamente impossibili da infettare, perché scaricano gli aggiornamenti su una connessione diretta al sito del produttore e gli aggiornamenti scaricati sono firmati digitalmente, e soprattutto vengono installati esclusivamente quando l’auto è ferma e parcheggiata. La possibile revoca delle funzioni è l’unica critica sensata, ma avviene anche nelle auto tradizionali.

Non si parla molto, invece, del problema opposto: che cosa succede alle auto che non si possono aggiornare e nelle quali si scopre un difetto di sicurezza?

Un esempio arriva dai ricercatori delle università di Leuven, in Belgio, e di Birmingham, nel Regno Unito, che hanno pubblicato una ricerca sulle vulnerabilità delle chiavi di avviamento elettroniche di varie marche di auto. I sistemi di crittografia (DST80) usati per proteggere le auto contro gli avviamenti senza chiave sono infatti stati implementati maldestramente da Toyota, Hyundai, Kia e Tesla, per cui un ladro che riesca ad avvicinarsi alle chiavi di queste auto può copiarle usando un lettore e trasmettitore RFID della Proxmark e, con un po’ di destrezza, usare questa copia per avviare l’auto.

La lista delle auto vulnerabili a questo attacco è pubblicata nella ricerca e anche da Wired.com: si tratta di veicoli usciti fra il 2009 e il 2017. Secondo i costruttori, i modelli nuovi non hanno più questa falla, ma nel caso di Toyota, Kia e Hyundai chi ha un modello vecchio è costretto a tenersela.

Fa eccezione Tesla, che alcuni mesi fa ha risolto il problema distribuendo via Internet a tutte le sue Model S un aggiornamento software gratuito. Non tutti gli aggiornamenti, insomma, vengono per nuocere.


Fonte aggiuntiva: Cory Doctorow.

2019/12/20

Aggiornamenti software a pagamento anche per le auto, senza andare in officina

Siamo abituati agli aggiornamenti software, spesso a pagamento, per i nostri dispositivi digitali tradizionali, come i computer e gli smartphone. Ora questo concetto di aggiornamento a pagamento fa capolino anche sulle automobili e nasce un nuovo mercato.

Tesla ha diffuso pochi giorni fa un aggiornamento dell’app di gestione delle sue auto che include una nuova sezione Upgrades, dedicata appunto agli aggiornamenti opzionali del veicolo che migliorano le prestazioni senza dover andare in officina a cambiare componenti o regolazioni.

Il primo aggiornamento migliorativo messo a disposizione aumenta l’accelerazione alla partenza, riducendo il tempo da 0 a 100 km/h da 4,4 secondi a 3,9 secondi. L’opzione è per ora disponibile solo per le versioni Dual Motor della Tesla Model 3; non è il primo in assoluto, visto che anche l’opzione Autopilot FSD (futura guida interamente autonoma) è acquistabile e attivabile da remoto dopo l’acquisto, ma non in modo così rapido e diretto.

Guadagnare mezzo secondo in accelerazione è da patiti delle prestazioni, e l’aggiornamento opzionale ha un prezzo altrettanto da patiti: duemila dollari. Una cifra facilmente spendibile, peraltro, per un aggiornamento meccanico tradizionale di un’auto.

Lasciando da parte la discutibile utilità pratica di questa funzione, l’introduzione degli aggiornamenti opzionali sulle auto crea, per le case automobilistiche, la possibilità di offrire servizi a pagamento e quindi avere una nuova fonte di guadagno.

Cosa più importante per noi consumatori, ci consente di avere auto che non invecchiano già mentre sono nel catalogo. Troppo spesso, infatti, i costruttori non introducono funzioni ormai standard pur avendo tutto l’hardware necessario per poterlo fare e rifiutano di aggiornare modelli anche molto recenti, come notano coloritamente alcuni commentatori su Twitter:






Le ragioni principali per non aggiornare un’automobile, dal punto di vista dei costruttori, sono i costi di un aggiornamento tradizionale (effettuato con un intervento tecnico in officina) e la convenienza di far invecchiare in fretta i modelli in modo da spingere i consumatori ad acquistare quelli nuovi. Ma se l’aggiornamento è fattibile con un semplice clic su un’app ed è oltretutto pagato, i costi precipitano e la convenienza di offrire upgrade aumenta.

2019/09/25

Tesla, fatti da parte. Anche la mia auto a pistoni (Opel), si aggiornerà. In peggio

Per valori molto piccoli di “sempre”.
La gente mi chiede spesso con preoccupazione se ci si può fidare delle automobili Tesla, visto che sono aggiornabili da remoto.

E se gli hacker ne prendessero il controllo? E se Tesla stessa, essendo (dicono loro), “giovane e piccola”, fallisse e le auto non ricevessero più aggiornamenti per adeguarle alle norme? O se Tesla decidesse di fare dei downgrade?

Considerazioni di per sé ragionevoli, ma basate su un presupposto sbagliato, ossia che le auto “tradizionali” non siano aggiornabili o downgradabili e quindi siano immuni a queste avversità: certo, te le tieni come le hai comprate e non migliorano, ma perlomeno non possono essere menomate a distanza dopo l’acquisto. Non è così.

Vi racconto un caso specifico, di una marca che ha una grande storia alle spalle e che conosco bene: Opel. La conosco bene perché la mia attuale auto a pistoni, una Mokka, è appunto una Opel.

La mia Mokka, come tante altre auto, ha il Wi-Fi a bordo, grazie a una sua SIM. In Svizzera non ha mai funzionato, a causa del mancato accordo con gli operatori telefonici, ma ho comunque pagato l’hardware che avrebbe dovuto fornirmi il servizio. Lo sapevo al momento dell’acquisto e ho sopportato: non era una funzione vitale.

C’è invece un’altra funzione decisamente più importante: quella stessa SIM e l’hardware cellulare e GPS associato consentono all’auto di chiamare i soccorsi automaticamente in caso di incidente. Se i sensori di bordo rilevano un impatto o un cappottamento o l’attivazione degli airbag, o se qualcuno a bordo preme il tasto di soccorso, l’hardware di soccorso trasmette le coordinate geografiche tramite la rete cellulare e consente di parlare con un soccorritore. Ottimo servizio, che può fare la differenza fra la vita e la morte e che per fortuna non ho mai dovuto usare, ma che ho pagato nel prezzo dell’auto. Il servizio è gestito da OnStar.

Oggi mi è arrivata questa comunicazione, che sa un po’ di presa per i fondelli: “OnStar è sempre al tuo fianco”, dice garrula la mail promettendo fedeltà eterna. Ma poi precisa cosa intende OnStar per “sempre”.

Tutti i servizi OnStar e Wi-Fi non saranno più disponibili a partire dal 31 dicembre 2020. Dopo tale data non saranno più disponibili periodi di prova, servizi o abbonamenti a pagamento, incluso l'assistenza in caso di emergenza.



Il servizio cesserà il 31 dicembre dell’anno prossimo. Alla faccia del sempre. Cesserà non solo per me, ma per tutti gli utenti OnStar in tutta Europa, come spiegato nella pagina apposita di OnStar (copia su Archive.org). Non ci sono appelli, ricorsi o alternative. Non è previsto un fornitore di servizio che subentri a OnStar. L’hardware di soccorso diventerà ferraglia inutile, e non ci posso fare nulla. Non mi verranno ridati i soldi che ho pagato per questo optional.

La mia auto “normale”, di una marca “normale”, verrà semplicemente downgradata automaticamente. E senza neanche essere connessa a Internet.

Sul sito di OnStar viene spiegato che è colpa dell’acquisizione di Opel da parte di PSA:

Ad agosto 2017, Groupe PSA ha acquisito i marchi automobilistici Opel e Vauxhall da General Motors. OnStar Europe Limited non faceva parte dell’acquisizione e continua ad essere una sussidiaria di General Motors.
Pertanto, a seguito di questo cambio di proprietà, i servizi OnStar e i servizi Wi-Fi abilitati dalla connessione OnStar (se disponibili nel tuo Paese) cesseranno di essere disponibili per le automobili Opel/ Vauxhall/Cadillac/Chevrolet il 31 dicembre 2020.

PSA a quanto pare non è interessata a mantenere il servizio di soccorso (che peraltro è pagato dal singolo automobilista tramite un canone mensile) o attivarne uno alternativo per i propri clienti esistenti. Per quelli nuovi c’è OpelConnect, ma non si parla di fornire questo nuovo servizio a chi, come me, ha già una Opel.

Grazie, PSA. Me lo ricorderò.

La gente si angoscia per gli hackeraggi e i downgrade ipotetici, e intanto succedono concretamente cose come questa. Tenetelo presente.


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2019/04/28

Una Hyundai che usa Windows CE ed esegue qualunque software?

Sapete riconoscere che modello di Hyundai è questo?



Secondo l’autore di questi tweet, queste foto mostrano un pannello di comando di una Hyundai che usa Windows Embedded CE 6.0 ed è dotata di un server telnet. Come se non bastasse, esegue qualunque software al quale venga dato il nome HyundaiUpdate.exe messo su una chiavetta USB. Non c’è alcun controllo di firma crittografica o di autenticazione.

Spero sinceramente che sia uno scherzo e che nessuna casa automobilistica sia così incosciente da aver davvero fatto qualcosa del genere. Ma temo di essere troppo ottimista.


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2019/04/26

Come spegnere i motori di migliaia di auto connesse a Internet

Credit: Motherboard.
Se la password predefinita di un’app è 123456 è male. Se l’app in questione gestisce delle automobili e permette non solo di tracciarne la posizione ma anche di spegnerne il motore, è un tantinello peggio.

Secondo quanto riferisce Lorenzo Franceschi-Bicchierai su Motherboard, un esperto informatico è riuscito a entrare negli account degli utenti di varie app di tracciamento GPS per auto, potendo così monitorare le posizioni di decine di migliaia di automobili in tempo reale.

Le app in questione sono Protrack e iTrack, usate dalle aziende per monitorare le flotte dei propri veicoli. L’informatico lo ha scoperto consultando il codice sorgente delle app e tentando milioni di possibili nomi utente insieme alla password predefinita: una forma di attacco classica.

A furia di tentare, contando sul fatto che molti utenti non avrebbero cambiato la password, è riuscito a collezionare identificativi IMEI, nomi, numeri di telefono, indirizzi di mail e indirizzi domestici o aziendali degli utenti, e poi ha avvisato i gestori delle app.

Come se non bastasse, l’informatico ha detto di essere in grado di spegnere a distanza i motori di centinaia di migliaia di veicoli sparsi per il mondo che usano queste app. Motherboard ha confermato le dichiarazioni dell’informatico consultando il produttore degli apparati di tracciamento usati da queste app: lo spegnimento sarebbe stato possibile durante la marcia a bassa velocità dei veicoli nei quali l’opzione di controllo del motore era attiva.

La casa produttrice di Protrack ha negato che siano avvenute violazioni ma sta ora avvisando gli utenti di cambiare password.

Ancora una volta, con sentimento: le password predefinite sono il male. Non usatele. Mai.

2017/11/27

Come fanno i ladri a rubare le auto “intelligenti” e come batterli

Ultimo aggiornamento: 2018/08/10 12:20.

Questo video mostra come i ladri d’auto possono rubare un veicolo senza averne le chiavi, se si tratta di una cosiddetta auto “smart” che ha una funzione keyless, ossia un telecomando (o una tessera) che fa da chiave, apre le portiere e avvia il motore per semplice prossimità.

I ladri usano due ripetitori di segnale radio: uno lo piazzano all’esterno della casa della vittima, in prossimità della chiave elettronica, che sta in casa ma si trova tipicamente vicino alla porta d’ingresso, e l‘altro lo mettono sulla maniglia della portiera dell’auto.

Questo fa in modo che il segnale radio dell’auto raggiunga la “chiave”, che quindi crede di essere vicina all’automobile e risponde trasmettendo il proprio segnale codificato, che viene ritrasmesso tal quale all’auto. In questo modo l’auto si apre e, mettendo il ripetitore nell’abitacolo, si avvia e viene portata via dai ladri.

I sistemi keyless sono solitamente progettati in modo da non spegnere il motore se l’auto perde il collegamento con la chiave, per motivi di sicurezza stradale (sarebbe spiacevole trovarsi con l’auto spenta di colpo mentre si scende lungo dei tornanti, per esempio), per cui i ladri possono portare via l’auto guidandola, a patto di non spegnere intenzionalmente il motore.



In realtà non è la prima volta che questa tecnica di furto viene registrata da una telecamera di sorveglianza: casi analoghi erano stati già documentati in Olanda nel 2016 ai danni di modelli Tesla.

Il rimedio, per fortuna, è relativamente semplice: custodire le chiavi elettroniche lontano dal perimetro dell’abitazione e/o in un contenitore metallico, in modo che il ripetitore non possa captarne il segnale. Nel caso di Tesla, ad agosto 2017 le Model S hanno ricevuto automaticamente, tramite la rete cellulare, un aggiornamento software che ha aggiunto un’opzione Passive Entry per disabilitare l’apertura delle portiere per semplice prossimità della chiave. Le altre marche di automobili restano vulnerabili oppure devono essere portate in officina per un aggiornamento del software, se predisposto dal fabbricante.

Del problema si è occupata venerdì scorso la trasmissione Patti Chiari della Radiotelevisione Svizzera in questo servizio, spiegando fra l’altro che una volta rubata l’auto è banale creare un duplicato della “chiave” inserendo un apposito dispositivo nella presa OBD situata nell’abitacolo.



2018/08/10 12:20: Un’altra registrazione video di un tentativo di furto con questa tecnica è disponibile presso Ring.com.

2016/10/14

Se un’auto autonoma deve scegliere chi uccidere e chi salvare, per Mercedes salverà il conducente

L’articolo è stato agggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale del 2016/10/16. Ultimo aggiornamento: 2016/10/18 16:15.

Il dilemma del tram (trolley problem) è un esperimento mentale molto semplice: immaginate un tram che corre sul proprio binario. Sul binario ci sono cinque operai, che il conducente del tram vedrà soltanto quando non ci sarà più tempo per frenare. E quando loro si accorgeranno del tram che incombe sarà troppo tardi per scansarsi.

Per fortuna ci siete voi, accanto alla leva che aziona uno scambio lungo il percorso del tram. Potreste quindi deviare la corsa del veicolo e salvare i cinque operai; ma sul binario alternativo c’è un altro operaio, che non si aspetta che gli piombi addosso un tram e non avrà tempo di accorgersene.

Cosa fate?

Se non fate niente, moriranno cinque persone. Se azionate lo scambio, ne morirà una sola, ma sarà stato il vostro intervento diretto a scegliere di farla morire.

Questo dilemma, concepito negli anni sessanta del secolo scorso, è tornato di moda di recente con l’inizio della sperimentazione delle automobili a guida autonoma, dove il conducente si lascia trasportare dal computer di bordo e non è più responsabile delle azioni dell’auto, come un passeggero su un treno.

Cosa deve fare il computer di bordo se si trova nella situazione di dover decidere, per esempio, se restare in strada e investire un gruppo di bambini che stanno attraversando su una curva cieca oppure uscire volontariamente di strada e uccidere i propri passeggeri? A differenza di un essere umano, un computer è talmente veloce che può calcolare in un batter d’occhio tutti gli scenari possibili e valutarne le rispettive conseguenze. Un computer, insomma, ha tempo di scegliere.

Il guaio di questo dilemma (incubo di tanti automobilisti) è che non esiste una risposta accettabile. Chi vende automobili, per esempio, deve decidere se dire al cliente che la sua auto sceglierà di ucciderlo oppure travolgerà freddamente chiunque incontri sul proprio percorso. Nessuno comprerà un’auto programmata per ammazzarlo, e un’auto ammazzapedoni sarebbe decisamente impopolare, per cui venditori e fabbricanti finora hanno cercato in tutti i modi di glissare sulla questione.

Ma Christoph von Hugo, direttore della Mercedes-Benz per i sistemi di assistenza al conducente e di sicurezza attiva, ha dichiarato in una recente intervista alla rivista Car and Driver che “Se sai che puoi salvare almeno una persona, almeno salva quella. Salva quella nell’auto. Se tutto quello che sai con certezza è che puoi evitare una morte, allora quella è la tua priorità.” In altre parole, secondo von Hugo le future auto autonome della casa automobilistica tedesca saranno programmate per dare sempre la priorità alla sicurezza dei passeggeri.

Ragionamento da brivido, giustificato però da alcune considerazioni: “Potresti sacrificare l’auto, ma non sai cosa succederà poi alle persone che hai salvato inizialmente in situazioni spesso molto complesse”, ha aggiunto von Hugo.

Per esempio, se l’auto sterza per evitare dei bambini, potrebbe perdere il controllo e centrare un altro gruppo di pedoni o uno scuolabus che arriva nell’altro senso di marcia: le conseguenze sono troppo imprevedibili.

Ma von Hugo ha anche chiarito che in realtà la ricerca sulle auto autonome ha l'obiettivo di evitare che si trovino in situazioni indecidibili come quella del dilemma del tram: “il 99% del nostro lavoro tecnico consiste nel prevenire in partenza queste situazioni.”

Le dichiarazioni di von Hugo hanno comunque scatenato un putiferio: l’immagine del ricco proprietario di un’auto di lusso che si salva sacrificando la vita degli altri è decisamente poco appetibile per il marketing di Mercedes.

Nei giorni successivi, dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, la casa automobilistica ha dichiarato, tramite un portavoce, che le parole di von Hugo sono state fraintese e non rispecchiano la posizione ufficiale, secondo la quale “[...] né i programmatori né i sistemi automatizzati hanno il diritto di valutare il valore delle vite umane. Il nostro lavoro di sviluppo si concentra sull’evitare completamente le situazioni di dilemma, per esempio implementando nei nostri veicoli una strategia operativa che evita il rischio. Non ci sono casi nei quali abbiamo preso una decisione in favore degli occupanti del veicolo. Continuiamo ad aderire al principio di fornire il massimo livello possibile di sicurezza a tutti gli utenti della strada. Prendere una decisione in favore di una persona e quindi contro un’altra non è legalmente ammissibile in Germania. Vi sono leggi analoghe anche in altri paesi. Chiarire queste questioni legale ed etiche a lungo termine richiederà un ampio dibattito internazionale. Questo è l’unico modo di creare un consenso inclusivo e promuovere l’accettazione dei risultati. Come fabbricanti, implementeremo sia le basi legali sia ciò che è ritenuto socialmente accettabile.”

Ma nel frattempo la questione è stata posta con forza: grazie all’informatica possiamo ridurre drasticamente le stragi della strada, imponendo per esempio limiti di velocità e distanze di sicurezza invalicabili e un controllo centralizzato del traffico. Il vero dilemma è se farlo adesso, con la tecnologia che abbiamo, e cominciare a salvare vite umane, o se aspettare il perfezionamento di un dibattito filosofico che forse non si concluderà mai.

2016/06/10

La Mitsubishi Outlander si ruba via Wi-Fi

Le automobili moderne sono sempre più spesso dotate di servizi online, ma la loro sicurezza a volte è davvero patetica. Ho già segnalato il caso della Nissan Leaf; ora emerge che la Mitsubishi Outlander PHEV si può rubare usando la sua connessione di controllo remoto. Come se non bastasse, è possibile localizzare tutti gli esemplari di quest’auto.

La scoperta è stata fatta e documentata dagli esperti della società di sicurezza PenTestPartners. Normalmente l’app di gestione delle auto informatizzate usa la connessione cellulare. La Outlander, invece, usa una connessione Wi-Fi, che costa meno (non ci sono spese di trasmissione dati) ma ha una portata limitata. In pratica l’auto è una postazione Wi-Fi mobile: l’app di gestione funziona solo nel raggio di questa connessione.

Primo problema: la password che protegge la connessione è troppo semplice e corta, per cui gli esperti l’hanno trovata in meno di quattro giorni di tentativi. Quattro giorni possono sembrare tanti, ma non sono un ostacolo per un ladro di professione, specialmente se l’auto è parcheggiata a lungo nello stesso posto come capita di solito, e con computer più potenti il tempo necessario per scoprire la password si può ridurre.

Secondo problema: una volta scoperta la password, decifrare i comandi usati è piuttosto facile. Gli esperti di PenTestPartners sono riusciti ad accendere e spegnere le luci, l’aria condizionata e il riscaldamento, ma soprattutto sono riusciti a disabilitare l’antifurto. Sì, questa automobile ha un antifurto disabilitabile mandando un comando via Wi-Fi.

Terzo problema: il nome della postazione Wi-Fi di tutte le Outlander segue lo schema [REMOTEnnaaaa], dove nn è in cifre e aaaa è in lettere minuscole, per cui si possono usare servizi come Wigle.net per localizzare tutte le auto di questo tipo. Il ladro, insomma, può scegliersi con comodo da casa dove andare a rubare l’auto.

Il quarto problema è forse il peggiore: la società di sicurezza dice di aver contattato privatamente Mitsubishi per avvisare della grave vulnerabilità, ma di essere stata completamente ignorata. A quel punto si è rivolta alla BBC, rendendo pubblica la falla (senza darne tutti i dettagli) e ottenendo finalmente l’attenzione della Mitsubishi.

In attesa che la casa produttrice dell’auto sistemi la vulnerabilità, gli utenti possono disaccoppiare tutti i dispositivi mobili che si sono connessi all’auto. Questo mette in standby il modulo Wi-Fi di bordo, che si riattiva soltanto premendo dieci volte di seguito il telecomando della chiave d’avviamento.

2015/11/15

Ho provato il “Pilota automatico” di Tesla: bello, promettente, ma da ridimensionare

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle gentili donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2015/11/18 18:30.

Nota: non ricevo alcun incentivo da Tesla Motors o altri sponsor per parlare di questo prodotto.



Le mani di Tiziano sono sul volante, ma non è lui che sta guidando: è la sua Tesla che cambia corsia, mantiene la velocità, sorveglia l’auto che ci precede e legge i cartelli stradali.

Sembra fantascienza, ma è quello che ho visto stamattina durante una prova privata di una Tesla dotata del nuovo software Autopilot. Ma non è assolutamente un sistema di guida autonoma, come purtroppo alcuni incoscienti stanno pensando, pubblicando video nei quali tolgono le mani dal volante o addirittura si spostano dal posto di guida, tanto che Tesla imporrà delle restrizioni nella prossima versione di software per evitare che qualcuno si faccia male per stupidità. E ci sono alcuni limiti importanti da conoscere.

Ci siamo dati appuntamento stamattina alla stazione di ricarica Supercharger di Monte Ceneri, molto frequentata (mentre siamo in zona arrivano altre due Tesla), per questa prova delle tre funzioni principali del nuovo software: mantenimento di corsia, cambio di corsia assistito e parcheggio automatico.

Dico subito che non è andato tutto in maniera così rosea come sembra dalla pubblicità. Ma in questo momento il sistema di Tesla è l’unico che è su strada, installato su auto di serie, disponibile al pubblico (avendo i soldi per un’auto sportiva), e impara dalle esperienze degli automobilisti: ogni Tesla, infatti, fa rapporto via rete cellulare alla casa produttrice, informandola delle varie situazioni incontrate durante la guida e geolocalizzandole. Questo genera un archivio crescente e sempre aggiornato di esperienze di guida assistita, utile per migliorare il software.


Premesse


Abbiamo rispettato sempre le regole del codice della strada e agito soltanto in assenza di traffico. Il guidatore e proprietario, Tiziano, ha sempre tenuto le mani sul volante o vicinissime ad esso (salvo durante il parcheggio, quando è necessario toglierle), sempre pronto a intervenire, proprio perché questo non è un sistema autonomo: la responsabilità di vigilare sulla sicurezza di guida è sempre e comunque del conducente. Tesla è molto chiara in proposito: “Il guidatore è sempre responsabile di ciò che accade”. Quindi nei video che ho girato non vedrete gesti plateali del tipo “guarda mamma vado senza mani” come altri utenti Tesla hanno scelto di fare.

È poco spettacolare, lo so, ma la sicurezza deve prevalere sul sensazionalismo e quindi vi devo chiedere di fidarvi: di fatto ho visto chiaramente che le mani di Tiziano si limitavano ad assecondare i movimenti del volante gestiti dal software. Fra l’altro, va ricordato che questo software è formalmente una beta: motivo in più per non fidarsene troppo.

Inoltre abbiamo usato l’Autopilot esclusivamente in autostrada, ossia nell’ambiente per il quale è concepito. Altri hanno scelto di usarlo anche in città (Ars Technica; Wired), ma non ci è sembrato un rischio che valesse la pena di correre. Va detto che con o senza Autopilot inserito, gli altri sistemi di sicurezza della Tesla sono comunque attivi, quindi l’auto in ogni caso frena da sola se c’è un ostacolo improvviso (come qualcuno che taglia la strada) o se l’auto che precede rallenta.

Abbiamo fatto le riprese contemporaneamente da due angolazioni, con una GoPro fissa e con una telecamerina tenuta in mano, per cui nei video c’è un po’ di sovrapposizione degli eventi.

Un altro dettaglio importante: l’Autopilot non è un aggiornamento gratuito in senso stretto. In un modo o nell’altro si paga. Infatti lo si può ordinare al momento dell'acquisto dell’auto, pagando un supplemento come si fa per gli altri accessori opzionali, oppure acquistare in un secondo momento, perché tanto tutte le Tesla da ottobre 2014 in poi hanno già a bordo tutto l’hardware necessario. In entrambi i casi il prezzo dell’Autopilot si aggira intorno ai 2500 dollari.





Mantenimento di corsia


La Tesla legge la segnaletica orizzontale (le strisce di demarcazione delle corsie) grazie alle telecamere di bordo e sterza nelle curve per mantenersi al centro della corsia. Qui nessun problema: tutto funziona regolarmente e il sistema consente una guida meno tesa e più fluida, senza gli ondeggiamenti che vedo fare a tanti guidatori umani e che capitano anche a me.

È interessante notare che Tiziano segnala che a volte il sistema perde il riferimento delle strisce, per esempio all’uscita di una galleria a causa del brusco cambiamento di luce, e che invece funziona magnificamente di notte grazie al contrasto elevato prodotto dall’illuminazione fornita dai fanali.



Cambio di corsia assistito


L’Autopilot permette di cambiare corsia in modo assistito manovrando la leva della freccia: il sistema rileva se ci sono ostacoli intorno all’auto e se non ne trova inizia e completa la manovra di cambio corsia, sterzando e accelerando fino alla velocità massima preimpostata dal guidatore (o imposta dai segnali stradali) se trova libero davanti a sé.

La funzione è intuitiva e si comporta abbastanza bene su strada libera, ma quando proviamo a usarla mettendo un’auto (la mia) nella corsia di sorpasso, indietro di pochi metri oppure nell'angolo cieco della Tesla, succedono cose interessanti e un po’ discutibili. Infatti l’Autopilot cambia corsia anche se l’auto che la segue è molto vicina, con l’effetto di quasi tagliarle la strada. Se me lo facesse un automobilista umano lo considererei un modo di guidare pericoloso.

Nessun problema, invece, se l’altra auto è affiancata, anche solo parzialmente: i sensori laterali la rilevano e la Tesla rifiuta il comando di cambiare corsia del conducente, se viene immesso tramite la leva della freccia (il volante resta libero, anche se ovviamente in questa situazione la manovra non va fatta).





Parcheggio automatico


Il parcheggio automatico è una delle funzioni più intriganti dell’Autopilot, ma anche qui abbiamo trovato dei limiti notevoli. Tiziano, molto gentilmente, ha messo in gioco la propria auto e ha sudato freddo quando ne ha affidato le fiancate al sistema di manovra automatica (siamo tutti geek, ma l’idea di danneggiare una Tesla è comunque altamente indesiderabile, specialmente per il proprietario). I risultati sono contrastanti.

Il principio di funzionamento è questo: il conducente passa in fianco alla zona di parcheggio, l’Autopilot ne rileva le dimensioni, calcola se la manovra di parcheggio è fattibile, e poi il conducente dà il comando di parcheggio e toglie le mani dal volante, tenendo il piede pronto a premere il freno per interrompere la manovra automatica in caso di dubbi.

Il primo tentativo è un flop totale: la Tesla non riconosce la presenza dello spazio di parcheggio e quindi non offre del tutto la funzione di manovra. Eppure lo spazio c'è eccome, come si vede nell’immagine qui sotto: due posti auto consecutivi. Saranno state le righe azzurre a confondere l’Autopilot?
Il secondo tentativo, in un altro parcheggio adiacente, va decisamente meglio: la Tesla si parcheggia perfettamente da sola senza intervento del guidatore, la cui unica sfida è fidarsi che i sensori rilevino la sottile ringhiera che c’è sul lato sinistro dell’auto e non portino la Tesla a rigarsi lo spigolo posteriore o la fiancata. Tutto va bene, ma affidarsi ad automatismi come questi è una sensazione nuova e un po’ ansiogena. Unico neo: l’auto, per parcheggiare dentro le strisce, non lascia spazio sufficiente al conducente per aprire la portiera e uscire.




Abbiamo provato a ridurre leggermente lo spazio disponibile per il parcheggio e la Tesla non si è offerta di parcheggiare: probabilmente un buon guidatore, con un po’ di manovre, sarebbe riuscito a sfruttare quello spazio, per cui il parcheggio automatico va considerato come un ausilio, utile per esempio per chi è disabile o ha difficoltà alla schiena e non riesce a girarsi per fare manovra, ma non come un sostituto migliorativo.

La ripresa di un secondo test di parcheggio mostra bene come il volante si muova completamente da solo.




Conclusioni


Lasciando da parte un attimo il fatto che la Tesla è un’auto a propulsione interamente elettrica, prodotta in serie, con un’autonomia sufficiente per la stragrande maggioranza delle percorrenze quotidiane, disponibile subito (almeno per chi può permettersela), cosa che sembrava impossibile soltanto una decina d’anni fa, questo aggiornamento del suo software è un’altra tappa importante nell’evoluzione dell’automobile a prescindere dal sistema di propulsione: è il primo che ha attirato così tanta attenzione mediatica ed è così sofisticato. Certamente ha bisogno di essere perfezionato: a volte, secondo i resoconti pubblicati, tende a prendere le curve senza rallentare e alcune sue manovre sono un po’ brusche. Ma è un indicatore concreto del progresso tecnologico rapido che sta avvenendo intorno all’automobile.

Al tempo stesso, Elon Musk, proprietario di Tesla, sta facendo una scommessa molto impegnativa. Ha messo in mano ai propri clienti un software sperimentale che alcuni stanno usando in modo improprio, mettendo a repentaglio la propria vita e quella degli altri. In questo momento l’opinione pubblica è interessata ma scettica nei confronti dell’idea di affidare la propria incolumità a un’auto guidata da un computer: basta un incidente causato da un cretino che abusa dell’Autopilot per creare un disastro d’immagine, e un giro di vite contro l’automazione, dal quale l’intera industria dell’auto del futuro farebbe fatica a riprendersi. Speriamo che i Teslisti capiscano che in gioco c'è molto più che il destino di un’auto sportiva.

E prima di farsi venire angosce da macho che si sente toccato nella virilità all’idea di cedere il comando dell’auto a un automatismo, non dimentichiamo che gli attuali sistemi di guida tradizionali, ossia i conducenti umani, sono costati 25.700 morti soltanto nel 2014 in Europa. E questo è un dato in calo: negli anni precedenti è andata anche peggio.

2015/09/29

Sto facendo un Tesla Challenge: da Lugano a Roma e ritorno in auto elettrica

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale del 29/9/2015. Ultimo aggiornamento: 2017/08/04 16:45. Tutte le foto sono mie o di @divatiz salvo diversa indicazione.

Per chi ha fretta: Abbiamo fatto Lugano-Roma (660 km) fermandoci a caricare 3 volte (30 + 52 + 60 minuti) e all’arrivo, in 11 ore; al ritorno abbiamo fatto 3 cariche (30 + 50 + 20 minuti)


6:45 am, Lugano. Vi ricordate le tesi di complotto sul boicottaggio delle auto elettriche, con quei loro PowerPoint così popolari soltanto cinque anni fa? Quelle tesi erano talmente ben fondate che in questo preciso istante sto viaggiando su un'auto elettrica, una Tesla Model S 85 D, in direzione di Roma. I complottisti hanno sbagliato anche questa volta.

Alla guida della Tesla c'è il proprietario, Tiziano (@divatiz su Twitter), che ha accettato la mia bizzarra sfida: riuscire ad andare dal Maniero Digitale, a Lugano, fino a Roma in auto in giornata usando esclusivamente energia elettrica e raccontando in tempo reale il viaggio per conoscere le vere prestazioni e limitazioni di un’auto elettrica di alto livello oggi.

Nei giorni scorsi Tiziano ha preparato il piano di viaggio (lo vedete mostrato qui accanto), che prevede varie soste per la ricarica delle batterie. Abbiamo una destinazione molto particolare, che però per ora non vi svelo. Seguiteci e lo scoprirete.




(postata qualche minuto dopo lo scatto)

8:45, Melegnano. Viaggio morbidissimo, accelerazione inebriante (usata con prudenza e parsimonia), posti posteriori un pochino stretti (la seduta è bassa). Il bagagliaio è grande e c'è anche il frunk, un piccolo bagagliaio aggiuntivo anteriore... perché il motore non è sotto il cofano. 500 chilometri di autonomia a cento chilometri l’ora di media tolgono gran parte dell'ansia da autonomia (range anxiety), ma non bisogna mai esagerare e quindi ci si ferma a rabboccare spesso.

Ci attacchiamo al Supercharger (stazione di ricarica Tesla) di Melegnano per caricare l'auto e prendere un caffè, proseguire le nostre chiacchiere (ci siamo conosciuti faccia a faccia solo oggi) e il mio interrogatorio su ogni possibile aspetto della Tesla e delle auto elettriche in generale, e postare un po' di foto. Il tempo vola e la pausa per la ricarica non pesa.

È molto bella l’idea di fare le stazioni di ricarica dentro i parcheggi degli alberghi (in questo caso l’Hotel Ibis), così sono tenute bene e c'è sempre la possibilità di fare uno spuntino e di sgranchirsi le gambe al coperto (e magari si crea un indotto per l'albergo). I Supercharger, fra l'altro, sono molto più eleganti e meno odorosi di una stazione di benzina. Ripartiamo alle 9.15.



Ora ve lo possiamo dire: come si vede nel video, stasera a Roma, presso la sede dell'Agenzia Spaziale Italiana, ci sarà l'anteprima di The Martian. E ci sarà Samantha Cristoforetti. E noi siamo stati invitati.

Tesla, The Martian, Astrosamantha. Un bel modo di festeggiare il mio compleanno (che era ieri), direi :-)


10.57, Modena. Altra pausa caffè e intanto l'auto si ricarica al Supercharger di Modena, presso la Baia del Re. Le ricariche consigliate dall'auto sono molto prudenziali: siamo ancora col 49% di carica e 280 km di autonomia. 52 minuti e siamo di nuovo al 90%. Si riparte!

È divertente vedere le facce da Tesla: quelle di chi si accorge che ha accanto una berlina sportiva che non fa rumore ed è interamente elettrica. Vediamo gente che fa addirittura il tifo per noi e saluta dalla propria auto.


13:45, Arezzo. Arrivati con il 42% di carica, più del previsto, al Supercharger del Park Hotel. Ci fermiamo per un buon pranzo e in un'oretta abbondante facciamo una ricarica al 100%: normalmente non si fa il “pieno”, ma forse dobbiamo arrivare a Roma e tornare ad Arezzo senza più ricaricare: sarà la parte più impegnativa del viaggio.






15:30, Arezzo. Ripartiamo con molta calma: la Tesla è già carica da tempo, ma il pranzo è stato troppo buono e comunque abbiamo ampio margine per il nostro appuntamento.

Due ragazzi in gita :-)


16:00. Sulla A1, Chiusi-Chianciano, 173 km all'arrivo. Appunti veloci di viaggio: la modalità “elastico” della Tesla è una goduria: se c'è una coda che parte e si ferma continuamente, l'auto parte e si ferma da sola tallonando la vettura che sta davanti, in modo estremamente morbido (uno dei vantaggi della trazione elettrica). Il Cruise Control fa lo stesso, accelerando e rallentando in base all'andatura dell'auto che ci precede. E se c'è una frenata improvvisa dell'auto davanti a noi, come è successo, il radar della Tesla se ne accorge e frena automaticamente. Tempi di reazione da computer, nettamente migliori di quelli di un essere umano. Il risultato è una guida sorprendentemente rilassata. Io, passeggero, inganno il tempo bloggando e chiacchierando con Tiziano e chiedendogli mille cose sull'auto per rispondere a chi ci sta seguendo in tempo reale via Twitter e su questo blog. Le ore volano.

La cosa che mi sta colpendo di più non è la parata di funzioni di guida assistita: è il fatto che non mi accorgo neanche che stiamo viaggiando su un'auto elettrica. Sembra una normale berlina, a parte il silenzio irreale a bordo (c'è solo il rumore del rotolamento delle gomme, accompagnato dal leggero fruscio del vento, che si fa notare soltanto dai 130 km/h in su).

Abbiamo davanti 350 km di viaggio prima di poter ricaricare: cosa che farebbe schiattare le altre auto elettriche, ma la Tesla dice che ce la può fare serenamente. Dobbiamo però tenere una media abbastanza bassa, circa 100 km/h, per garantirci una carica sufficiente a tornare al Supercharger di Arezzo. Questo, e l'avviso sul cruscotto che ricorda che ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno, risveglia un pochino l'ansia da autonomia. Ma abbiamo un Piano B.

In queste condizioni il disagio di avere un'auto elettrica praticamente non esiste. L'unico problema, per ora, è il costo molto elevato dell'auto. Del resto è una berlina di lusso, concepita per avviare un mercato e creare un'infrastruttura che poi sarà usabile da modelli più economici, e non va dimenticato che per la maggior parte delle Tesla le ricariche presso le stazioni Tesla sono gratuite, per cui tutto questo viaggio non ci sta costando nulla a parte i pedaggi (che secondo ViaMichelin ammonterebbero a circa 90 euro fra andata e ritorno, mentre la benzina ci sarebbe costata circa 150 euro).





18:15, Roma. Dopo un po' di tempo perso nel traffico romano, raggiungiamo una colonnina Enel, in via Orazio Raimondo, che è il nostro Piano B (con un'elettrica bisogna sempre avere un Piano B; l'attuale penuria di stazioni di ricarica lo impone), e ricarichiamo usando la tessera apposita prestataci da un amico della “comunità elettrica”, come la chiama Tiziano: è bello vedere che fra gli utenti delle auto elettriche c'è ancora lo spirito solidale di un'avventura condivisa, per cui ci si aiuta a vicenda.

Alla colonnina troviamo una brutta sorpresa: un maleducato ha parcheggiato la propria auto non elettrica nello spazio per la ricarica.



Niente paura: una persona del posto, che ha una Renault Fluence (elettrica), ci aiuta a manovrare in modo da poter comunque ricaricare stando nella piazzuola di ricarica e intanto fa chiamare la rimozione forzata. Tiziano mi dice che in Italia, purtroppo, è un classico trovare il cafone che parcheggia nell'area riservata alla ricarica delle auto elettriche.



Lasciamo quindi l’auto sotto carica per le prossime quattro ore (togliendoci quindi definitivamente l'ansia di non riuscire a tornare fino ad Arezzo) e ci incamminiamo verso l'Agenzia Spaziale Italiana, che però dista mezz'ora a piedi: un disagio molto significativo in condizioni normali, ma in questo caso sopportabile, anche perché dopo 750 km in effetti abbiamo voglia di muoverci un po'. Del resto, è un'avventura, non una routine quotidiana. E volendo avremmo potuto anche chiamare un taxi.

La prima parte della missione è compiuta: siamo riusciti ad arrivare a Roma senza consumare una goccia di carburante e in tempo per la serata nonostante le soste di ricarica. Ci abbiamo messo molto tempo: undici ore e mezza, includendo le pause per ricariche e pranzo. Ma è stato un viaggio molto rilassato. Tiziano si dice sorpreso di quanto gli sia pesato poco guidare: è il suo primo viaggio così lungo da quando ha la Tesla.


19:00, Roma. Arrivati alla sede dell'ASI partecipiamo al buffet, intravediamo Samantha presissima dalle interviste, troviamo un po' di amici del settore aerospaziale e ne conosciamo di nuovi, riesco a scambiare due parole con Sam e darle come promesso il Topolino con una storia dedicata a Samantha Paperinetti, pubblicato mentre lei era nello spazio, e poi assistiamo alla presentazione pre-film (ne parla l'ASI qui; e c'è anche il video). Una bella serata, ben organizzata, seguita appunto dalla proiezione di The Martian (del quale prometto una recensione dettagliata a parte: dico solo che è carino e molto godibile, a tratti poetico, ma non è un grande film).

Consegno a Sam il Topolino con l'avventura di
Samantha Paperinetti. Credit: ASI.


Chiacchierata allegra, Sam si diverte.

Il tempo di un ultimo saluto a Sam e poi si riparte, con l'aiuto dell'amico Paolo D'Angelo che ci offre un passaggio fino alla Tesla, risparmiandoci mezz'ora di cammino. Auto stracarica di energia (le colonnine Enel erogano una gran bella dose) e pronta per ripartire per Lugano, dove devo essere l'indomani. E qui cominciano i guai: non della Tesla, ma miei.


23:46, Roma. La partenza va liscia come l'olio: avendo la carica piena, non abbiamo bisogno di essere parsimoniosi e quindi possiamo scatenare i cavalli della Tesla, non tanto per correre ma per districarci nel traffico e mantenere una buona media. Ma ho mangiato qualcosa che non m'è andato giù, per cui sto malissimo e non riesco a fare il livetweet del ritorno che avevo promesso. Me ne scuso e riassumo qui le tappe del ritorno.


1:45 del 30/9, Arezzo. Dopo 195 km a velocità sostenuta (ma legale) su autostrade splendidamente libere, arriviamo al Supercharger del Park Hotel. Mezz'ora di ricarica e di sonno per rigenerarsi, poi si riparte alle 2.25.


5:08, Modena. Da Arezzo abbiamo coperto 190 km. 50 minuti di ricarica e pisolo.


7:19, Melegnano. Ricarica e ripartenza alle 7:35.


9:41, Lugano. Arrivo al Maniero Digitale. Nonostante la guida più veloce consentita dai margini di batteria maggiori rispetto all'andata, ci abbiamo messo quasi tanto tempo quanto all'andata, ma è in gran parte colpa delle mie frequenti richieste di pausa perché stavo male.

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Conclusioni di quest’improvvisato Tesla Challenge: fare un viaggio lungo con un’auto elettrica di alto livello è possibile oggi e subito, e soprattutto è possibile senza farne un'esperienza punitiva. Certamente bisogna cambiare le proprie abitudini e pianificare le pause per la ricarica, integrandole nel piano di viaggio, magari per il pranzo o per una visita a una località mentre si ricarica, ma è fattibile. Ogni tecnologia nuova importante comporta un cambiamento nello stile di vita.

Ad eccezione di pochi scenari piuttosto rari, una Tesla può sostituire completamente un'auto a benzina/diesel; non c'è bisogno di avere due auto, una elettrica per i viaggi brevi e una a carburante fossile per i grandi spostamenti. L'autonomia della Tesla è tale per cui le percorrenze abituali (andare al lavoro, fare commissioni, una gita) si coprono senza ansia con una singola carica, magari fatta a casa di notte, per cui si ha sempre il “pieno”; e quando c'è da fare un viaggio più lungo si ha un buon margine di autonomia e c'è una rete di ricarica embrionale ma già ragionevole, che non farà che migliorare.

Il costo di quest'auto (circa 100.000 CHF/92.000 EUR nella versione che abbiamo usato qui) è per ora al di sopra della portata di moltissimi automobilisti, anche se chi macina tanti chilometri potrebbe trovare una cerca convenienza inattesa (già solo questo viaggio ci ha fatto “risparmiare” circa 150 euro che si possono usare per pagare l'auto invece che per pagare benzina).

Ma quest'esperienza mi ha fatto venire in mente un paragone informatico: Apple Lisa (o meglio ancora il suo genitore, il progetto Alto dello Xerox PARC), anno 1983. Un computer carissimo (10.000 dollari dell'epoca), inavvicinabile per quasi tutti gli utenti, ma ricco di idee e tecnologie che oggi consideriamo normali, come mouse, icone, finestre. Dall'esperienza di Lisa nacque un derivato semplificato, l'abbordabilissimo Macintosh, e il resto è storia. Ecco, la Tesla oggi è nelle stesse condizioni. Una versione di quest'auto elettrica a costi meno stratosferici (circa 35.000 dollari), la Model 3, è già in fase di sviluppo e verrà presentata nel 2016 per entrare in produzione nel 2017.

Insomma, per alcuni il futuro è arrivato, e ci ho viaggiato dentro per 1500 chilometri. Non vedo l'ora che tutte le auto siano così silenziose, automatiche e pulite.

Ringrazio ancora Tiziano per la magnifica esperienza, anche se adesso tutte le altre auto, compresa la mia, mi sembrano dannatamente primitive.


La parola a Tiziano


Ricevo da Tiziano e pubblico con piacere questo suo mini-racconto.

Il Viaggio da Lugano a Roma con Paolo

Paolo Attivissimo. Da anni lo seguo e lo stimo e per il suo stile di divulgazione, le sue competenze,... Ho potuto conoscerlo (in real) grazie ad una conoscenza comune e per una serie di vicissitudini ci siamo ritrovati seduti accanto per un totale di quasi 27 ore (è tanto ehhhh). Paolo è veramente una persona gradevole, il viaggio di andata è letteralmente volato, oltre ad essere molto alla mano e simpatico è un pozzo di conoscenze ed è impossibile annoiarsi. Se me lo chiedesse partirei con lui anche domani per... capo Nord? Che dici Paolo? Andiamo? :-) [Paolo: parliamone :-) ]

Il ritorno purtroppo un po’ più sofferto ma comunque la “missione” è andata a buon fine. È stato bello e sinceramente spero che un giorno ci si possa ancora incontrare anche solo per un caffé :-).


La Tesla. Un centinaio di anni fa il signor Ford concretizzò il sogno di molti rendendo accessibile a tanti (non ancora a tutti purtroppo) un invenzione rivoluzionaria che si chiamava automobile. Rumorosa, fumante, necessitava strade e benzina, altrimenti ne era praticamente impossibile l’utilizzo e sì … era una gran stupidata di invenzione perché inutile, comunque costosa e dipendente da una struttura ancora inesistente.

Il paragone con il cavallo, cammello, asino, elefante non reggeva in alcun senso e la gente commentava ridendo e schernendo in quanto con gli animali era impossibile “restare a piedi”. Ed effettivamente con il senno di poi ora ci si potrebbe porre la domanda se Ford abbia veramente fatto la cosa giusta e se quest’invenzione che ora invece è indispensabile ed appassiona molti visceralmente, sia veramente stato un qualcosa di buono. L’aria d’ora non è più quella d’allora e le necessità di spostamento nemmeno... ma questo è un altro discorso.

Incuriosito dalle sfide tecnologiche ho posseduto due ibride Toyota (una Prius normale ed in seguito una plugin) prima di fare il grande salto e sinceramente dubito che mai tornerò indietro. Vero, non nitrisce, non fuma, non fa la cacchina, non puzza, non fa rumore, non mangia biada/erba/avena, se si scarica la batteria sei fermo, non ci sono possibilità di ricarica ovunque.

Le batterie hanno una durata garantita di 8 anni (chilometraggio illimitato) e con il tempo degradano, ma pochi sanno che una volta scese sotto la capacità del 70% (dato da verificare) Tesla ha previsto una facile ricollocazione delle stesse nei suoi Powerwall, quindi prima di smaltirle ne passa parecchio comunque di tempo.

Vero che smaltire un cavallo è ecologicamente molto più valido ed il confronto non regge... interessante comunque sapere che essendo la macchina quasi tutta in alluminio il riciclo dei materiali è un po’ meno dispendioso.

Il veicolo non è economico, essendo comunque una berlina di lusso, e come tale in termine di paragoni va confrontato con una macchina di pari prestazioni e non con una Panda diesel. Essendo comunque ancora un veicolo di non grande serie (con tutti i rischi che uno si prende nel lanciarsi in tale impresa...) è chiaramente il precursore di tecnologie che saranno prossimamente disponibili a prezzi più popolari (basti pensare ai primi computer, ai primi cellulari o alle prime automobili).


Il viaggio. Viaggiare con un veicolo elettrico, a differenza di un veicolo "puzzoso", necessita un minimo di pianificazione (specialmente per un viaggio lungo). Problemi in generale non ce ne sono stati, complice anche il tempo a disposizione. Purtroppo per noi svizzeri il lusso di accedere alle colonnine di ricarica Enel non ci vien concesso e quindi, visto che Arezzo è l'ultimo Supercharger Tesla, il rischio era di non poter tornare. Ecco perché si è optato prima di tutto per una costante ricarica in modo da arrivare a Roma con il massimo disponibile.

Ora ci sono un paio di cose da puntualizzare, in quanto viene raccomandata una costante ricarica al massimo al 90% della capacità e non oltre. Quindi noi a Melegnano e Modena abbiamo fatto "rabbocco" al 90% mentre ad Arezzo invece al 100%. Siamo ogni volta arrivati alla tappa con circa il 50% della carica disponibile e per non rischiare si è preferito fare un rabbocchino comunque.

Fortuna vuole che il mio caro amico SELIDORI di Milano mi ha gentilmente prestato la sua tessera ENELdrive e a Tor Vergata, a circa 1 km dall'ASI, c'era una colonnina disponibile. Chiaramente abbiamo trovato un'auto normale che stava sfacciatamente occupando uno dei due posteggi destinati alla ricarica. Chiaramente (vedi posteggi per invalidi) l'educazione ed il rispetto non fanno proprio parte della cultura di alcuni italiani (ho detto alcuni e NON tutti).

Vorrei ancora una volta ringraziare Paolo per avermi dato questa opportunità!

Saluti
@divatiz

2015/09/23

Volkswagen: milioni di auto con malware iper-inquinante. Messo da Volkswagen. E da quanti altri?

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle gentili donazioni di “patriziadal*” e “letizia.2*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento, come ha fatto “biemmic*”). Ultimo aggiornamento: 2019/09/05 10:05 (per correggere link EPA diventato obsoleto).

Lo scandalo della Volkswagen che ha truccato il software di circa undici milioni delle proprie auto diesel in tutto il mondo per barare durante i test sulle emissioni inquinanti è su tutti i giornali. È un disastro per l'azienda, con miliardi di euro persi in borsa e altri da accantonare per risarcimenti e riparazioni, ma è soprattutto un disastro ambientale per tutti noi.

Secondo le stime del Guardian, l'inganno mondiale perpetrato dalla casa automobilistica rischia di aver prodotto ogni anno quasi un milione di tonnellate di emissioni di ossidi di azoto (NOx), grosso modo quanto ne producono tutte le centrali elettriche, le auto, le industrie e l'agricoltura del Regno Unito.

Il trucco è banalissimo, stando a Consumer Reports: quando l'elettronica di bordo (prodotta dalla Bosch) rileva che le ruote di trazione (anteriori, nelle auto VW) si muovono ma quelle posteriori sono ferme, ossia quando l'auto è presumibilmente su un banco di prova, le prestazioni del motore vengono degradate in modo da produrre emissioni nei limiti di legge.

Fra l'altro, questa scelta inequivocabilmente intenzionale di Volkswagen ridefinisce drasticamente il concetto di malware. Siamo abituati a malware che ruba password, inietta pubblicità o altera il funzionamento dei computer o dei telefonini; non era ancora capitato che del malware inserito intenzionalmente dal costruttore consentisse di nascondere un inquinamento atmosferico su vasta scala.

Il problema è che probabilmente questo trucco è stato adottato anche in Europa, e non solo da Volkswagen ma anche da altre case automobilistiche: lo indicano anche le analisi dell'atmosfera, che continuano a rilevare livelli di NOx più alti di quelli attesi. E di certo cose di questo genere vanno avanti da oltre vent'anni, grazie anche alle leggi idiote sul copyright. Non sto scherzando.

Infatti Volkswagen non ha inventato nulla di nuovo. Ricordo che una persona esperta del settore mi confidava in dettaglio, già a fine anni Novanta, che un trucco sostanzialmente identico (una routine nel software delle centraline di controllo dei motori, che riconosce quando è in corso un test sulle emissioni inquinanti e degrada appositamente le prestazioni e quindi le emissioni) veniva utilizzato da una nota marca europea di auto ad alte prestazioni (di cui conosco il nome) per superare i test americani sulle emissioni nocive.

Questo suggerisce una domanda: oltre a Volkswagen (e quindi Audi, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche, SEAT, Škoda), quante altre case automobilistiche stanno barando e inquinando ben oltre i limiti di legge?

Ce ne sarebbe anche un'altra: come mai nessuna delle case automobilistiche concorrenti, che comprano regolarmente le auto dei rivali per analizzarle e studiarle in ogni minimo dettaglio e che avrebbero molto da guadagnare nel denunciare una violazione gravissima come questa da parte di un concorrente, ha denunciato questo trucco?

La scoperta dell'inganno si deve infatti a dei ricercatori della West Virginia University che stavano cercando tutt'altro: avevano l'incarico, per conto di una società senza scopo di lucro europea, di raccogliere dati per convincere i normatori europei a emulare i severi standard americani sulle emissioni di NOx. La loro sperimentazione sul campo ha rilevato valori di NOx assolutamente fuori misura e incomprensibili, e l'ente per l'ambiente americano lo ha saputo quasi per caso, come spiegano gli stessi ricercatori qui su IEEE Spectrum.

Questo disastro è andato avanti per così tanto tempo anche grazie al fatto che il software di gestione dei motori degli autoveicoli non è liberamente ispezionabile dai ricercatori indipendenti: anzi, è considerato illegale farlo, secondo l'interpretazione dominante delle norme sul copyright previste dal Digital Millennium Copyright Act (DMCA) specificamente per il software automobilistico. Spiega la Electronic Frontier Foundation:

I fabbricanti di automobili dicono che è illegale che i ricercatori indipendenti esaminino il codice che controlla i veicoli senza il permesso dei costruttori. Abbiamo già spiegato che questo consente ai fabbricanti di impedire la concorrenza nei mercati delle tecnologie per accessori e riparazioni. Rende anche più difficile la ricerca di problemi di sicurezza da parte degli enti di tutela [...]. L'incertezza legale creata dal Digital Millennium Copyright Act rende anche più facile per i costruttori nascondere illeciti intenzionali. Abbiamo chiesto [...] un'esenzione al DMCA che renda chiaro che la ricerca indipendente sul software degli autoveicoli non viola le leggi sul copyright. Nell'opporsi a questa richiesta, i costruttori hanno affermato che se le persone avessero avuto acceso al codice, avrebbero violato le norme antinquinamento. Ma ora abbiamo appreso che secondo la Environmental Protection Agency [PDF; link aggiornato ad Archive.org] la Volkswagen aveva già programmato un'intera flotta di veicoli in modo da nascondere quanto inquinamento generavano, producendo un impatto reale e quantificabile sull'ambiente e sulla salute umana.

Se il software fosse stato liberamente ispezionabile, anche se non modificabile (per evitare manipolazioni pericolose), Volkswagen probabilmente non ci avrebbe nemmeno provato. Se c'è una dimostrazione potente dei pregi dell'approccio open source, è questa.

Come al solito, quando non c'è vigilanza si commettono abusi, e quando si invoca la segretezza in nome della sicurezza, spesso la vera ragione è che si vuole carta bianca per commettere questi abusi o per nasconderli. La trasparenza serve proprio per evitarli. Anche nel software, che non è una cosa astratta, ma ha conseguenze dannatamente reali: il malware intenzionale di Volkswagen le ha permesso di inquinare impunemente l'aria che respiriamo. È ora di togliere a questi criminali la loro burocratica foglia di fico.


Forza, giornalisti: invece di fare il copiaincolla dei comunicati stampa e le recensioncine all'acqua di rose, andate a chiedere alle altre case produttrici di dichiarare, nero su bianco, che non usano e non hanno mai usato trucchi software per barare sui test sulle emissioni. Vediamo un po' cosa rispondono.

E se qualcuno nel settore dell'assistenza automobilistica riceve richieste confidenziali di aggiornare con discrezione il software delle centraline per far sparire le tracce del malware, me lo dica. Sapete come contattarmi in modo riservato, se conoscete le basi della crittografia.
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