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Il Disinformatico: musica

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2023/11/05

“Now and Then” dei Beatles: la voce di John Lennon è da considerare autentica o sintetica?

Pubblicazione iniziale: 2023/11/05 11:13. L’articolo è stato aggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale per tenere conto di nuove informazioni. Ultimo aggiornamento: 2023/11/09 18:45.

I Beatles hanno rilasciato pochi giorni fa una nuova canzone, Now and Then. È surreale che i Beatles escano con un brano nel 2023, ma grazie al machine learning è possibile. Lasciando da parte la bellezza del brano in sé e il suo valore emotivo, rimane la questione tecnica e quasi filosofica di decidere se lo si possa considerare “autentico”, e più in generale cosa voglia dire oggi questa parola.

Questo è il video ufficiale della canzone:

John Lennon aveva registrato una demo della propria voce, mentre cantava questo brano, su una semplice audiocassetta, nel 1977, accompagnandosi al pianoforte (questo dovrebbe essere un suo riversamento grezzo; fonte alternativa [2023/11/09: i link sono stati rimossi]). La voce di Lennon era in buona parte coperta dal pianoforte e prima d’ora era impossibile filtrare o separare il pianoforte per recuperare solo la voce e poi completare la canzone registrando oggi gli strumenti e le voci di accompagnamento, come si fa di solito e come fu fatto nel 1995 per Free as a Bird, altra canzone dei Beatles che usa la voce di Lennon tratta da una demo registrata su audiocassetta.

Così i Beatles ancora in vita, Paul McCartney e Ringo Starr (Lennon fu ucciso nel 1980 e George Harrison è morto di malattia nel 2001), hanno deciso di usare la tecnica di ricostruzione e demixing (isolamento e separazione dei singoli strumenti e delle voci, portandole su tracce separate) usata da Peter Jackson con grande successo per l’audio del documentario Get Back (esempio).

Il procedimento è descritto nel video qui sotto, che spiega la genesi di Now and Then: l’audio originale di Lennon è ascoltabile brevemente a 3:04, 4:10 e 4:46; a 7:08 si sente la voce ricostruita, prima dell’aggiunta dell’accompagnamento musicale usato per il brano finale.


Come descritto in dettaglio in questo video, la demo originale di Lennon è stata inoltre accelerata leggermente, una porzione è stata rimossa ed è stata aggiunta una parte nuova che sfrutta dei cori tratti da altre canzoni dei Beatles, come Eleanor Rigby e Because.

I dettagli pubblicamente disponibili di questo procedimento di demixing sono scarsi, e per ora non ho trovato documentazione tecnica specifica su come è stato applicato a Now and Then. Però ho trovato questa intervista, che usa con molta circospezione i termini inglesi “generative” e “regenerative” (a partire a 8:53), questo video e questo articolo di New Scientist (paywall; copia su Archive.is), che accennano a tecniche sottrattive. Tutte queste fonti sono dedicate a Get Back, ma sembra che la tecnica usata per il nuovo brano dei Beatles sia sostanzialmente la stessa, e nei video ufficiali dedicati a Now and Then si parla esplicitamente di machine learning e si nomina il software MAL usato per Get Back e gestito, per Now and Then, da Emile de la Ray, Hunter Jackson e Tyrone Frost, come indicato nei titoli di coda del secondo video incorporato qui sopra.

Da quel che ho capito, ci sono due scenari possibili:

  • Sottrazione: i suoni del pianoforte nella cassetta di Lennon sarebbero stati rimossi dando al software moltissimi campioni di suoni di pianoforti e addestrandolo a riconoscere e sottrarre solo quei suoni, lasciando quindi pulita la voce originale di Lennon, che sarebbe stata poi elaborata digitalmente con tecniche convenzionali.
  • Generazione: il software sarebbe stato addestrato su un gran numero di campioni di alta qualità della voce di Lennon e poi avrebbe usato l’audio registrato da Lennon sulla cassetta come riferimento per aggiungere le frequenze mancanti o generare i suoni vocali corrispondenti in alta qualità, attingendo ai campioni forniti, come nel modello di bandwidth expansion che potete ascoltare verso il fondo di questa pagina.

Qualche indizio sulla tecnica effettivamente usata può emergere da questo brano dell’articolo di New Scientist riferito a Get Back, che indica che i dati usati per addestrare la rete neurale includevano campioni di persone generiche che parlano e di strumenti suonati separatamente (non dai Beatles) e spezzoni dell’audio originale di Get Back nei quali i Beatles parlavano senza altri suoni estranei oppure suonavano i propri strumenti uno alla volta:

The team consulted with Paris Smaragdis at the University of Chicago and started to create a neural network called MAL (machine assisted learning), named after the Beatles’ longstanding road manager Mal Evans. The team also started to build a set of training data that was higher quality than datasets used in academic experiments.

This training data began as generic clips of people talking and instruments played separately that team members recorded themselves, roping in friends and colleagues. In time, the team added to this data with real sections of the 1969 audio in which the Beatles could be heard speaking alone or playing their instruments solo, to add specificity.

Se si tratta di pura sottrazione, allora mi sembra ragionevole dire che la voce che si sente è effettivamente quella di Lennon. Ma se i suoni originali sono stati ricostruiti o sostituiti con suoni analoghi di migliore qualità, sia pure provenienti da campioni della voce di Lennon, si può ancora parlare di voce autentica?

Comunque sia, il risultato all’ascolto è indiscutibilmente notevolissimo: emotivamente, la voce è quella di Lennon. Però mi sembra che questa tecnica generativa, se è stata usata, rischi di sconfinare nel deepfake se non addirittura nel falso. In questo caso era disponibile come riferimento una registrazione di Lennon che cantava effettivamente quella canzone; ma quanto sono accurati i campioni che sostituiscono gli originali (nell’ipotesi di una generazione)? E cosa impedisce di usare questa tecnica per far cantare a Lennon qualunque altro brano? 

Mi sembra insomma che ci sia una differenza tecnica e di principio fondamentale fra ripulire ed elaborare una voce esistente, effettivamente registrata, e sostituirne ogni singolo suono con un altro preso da un campionario, anche se si tratta di campioni della voce del cantante originale. 

Per fare un paragone, è come se si decidesse di restaurare il Colosseo usando materiali dello stesso tipo degli originali, con tecniche di costruzione identiche a quelle originali, per ridare all’edificio l’aspetto che aveva prima di cadere in rovina. Sarebbe ancora un edificio autentico? È il paradosso della nave di Teseo in versione musicale.

L’intelligenza artificiale, di cui il machine learning è una branca, sta cambiando il modo in cui pensiamo a concetti fondamentali come vero e falso, autentico e sintetico. Credo sia importante fermarci a riflettere se è questo il tipo di cambiamento che vogliamo, e come vogliamo dirigerlo. 

2023/05/10

Spotify, musica sintetica per ascoltatori sintetici

Più di quarant’anni fa, lo scrittore di fantascienza e futurologo Arthur C. Clarke scrisse, nel suo libro Profiles of the Future, parole sottilmente sprezzanti e profetiche a proposito della musica generata tramite computer: “[...] ora che ai calcolatori elettronici è stato insegnato come comporla, possiamo aspettarci fiduciosamente che ben presto alcuni di questi calcolatori impareranno ad apprezzarla, evitandoci così lo sforzo”.*

* “The prospect for modern music is a little more favourable; now that electronic computers have been taught to compose it, we may confidently expect that before long some of them will learn to enjoy it, thus saving us the trouble”.

[CLIP: HAL si offre di cantare una filastrocca in 2001 Odissea nello spazio

Sembra che Clarke ci abbia azzeccato ancora una volta: dopo la musica sintetica generata dall’intelligenza artificiale, è ora il turno degli ascoltatori sintetici. 

Pochi giorni fa è emersa la notizia che la piattaforma di streaming audio Spotify ha rimosso dal proprio catalogo decine di migliaia di brani musicali che erano stati generati usando Boomy, un servizio di generazione di musica basato sull’intelligenza artificiale. Spotify ha inoltre bloccato temporaneamente la pubblicazione di nuovi brani provenienti da Boomy.

Questi brani sono stati rimossi perché sospettati di essere ingredienti di una frode di “streaming artificiale”. In pratica, gli account Spotify che consumavano questi brani non erano persone reali che ascoltavano musica: erano programmi che fingevano di essere ascoltatori, allo scopo di far salire artificialmente il numero di ascolti di brani spazzatura e generare incassi fraudolenti.

Va chiarito, fra l’altro, che Boomy è estranea alla frode ed è soltanto uno strumento usato dai truffatori, tanto che Spotify ha riattivato la pubblicazione supervisionata di nuovi brani provenienti da questo servizio di generazione musicale.

La notizia di questo blocco di massa ha fatto scalpore, ma in realtà non è il primo caso del suo genere: il meccanismo della truffa è già noto da tempo, ma secondo le ricerche del sito specializzato Music Business Worldwide è in rapida crescita a causa di tre fattori concomitanti.

Il primo fattore è la recente possibilità di generare a costo bassissimo o nullo un numero enorme di brani musicali, grazie appunto a servizi come Boomy, che dichiara di aver generato per i suoi utenti oltre 14 milioni di tracce musicali. Questo riduce enormemente i costi operativi della frode, perché prima era necessario prendere una persona e farle comporre qualcosa che somigliasse a un brano musicale. E quella persona, ovviamente, doveva essere pagata: poco, ma pagata.

Il secondo fattore è il successo delle cosiddette stream farm, che sono delle organizzazioni illecite che usano dei software basati sull’intelligenza artificiale per simulare il comportamento di un ascoltatore di musica in carne e ossa e coordinano le attività di un numero elevatissimo di questi ascoltatori sintetici per gonfiare il numero di ascolti dei brani spazzatura.

Il terzo fattore, quello decisivo secondo Music Business Worldwide, è l’attuale criterio di distribuzione dei compensi dei servizi di streaming audio, denominato “pro-rata”. In pratica, i soldi che ciascun abbonato paga mensilmente a Spotify, Apple Music o altri servizi analoghi confluiscono in un unico conto generale. Questo totale viene poi distribuito agli artisti e alle etichette musicali in base alla loro rispettiva quota di mercato. Più un brano è alto in classifica, più soldi incassa. E qui sta il problema: questo metodo di distribuzione incentiva gli utenti commerciali del servizio di streaming, cioè quelli che producono la musica, a cercare di ottenere il numero più alto possibile di ascolti (reali o simulati) invece del maggior numero possibile di ascoltatori.

La differenza può sembrare sottile, ma ha un effetto cruciale: con questo criterio pro-rata, parte dei soldi che ciascun abbonato paga per il servizio viene versata a brani che quell’abbonato non ha ascoltato e che spesso non sono stati ascoltati da nessuno, perché il loro piazzamento nella graduatoria dei compensi è stato ottenuto illecitamente usando le stream farm. Varie fonti stimano che questa frode porti via ai servizi di streaming circa un miliardo e duecento milioni di dollari l’anno, sui 17 miliardi e mezzo incassati dallo streaming musicale in tutto il mondo nel 2022, secondo i dati IFPI. E i vari filtri utilizzati dai servizi di streaming per identificare i brani generati dall’intelligenza artificiale e bloccarli sono imperfetti e insufficienti.

Esiste però un rimedio a questo problema, che toglierebbe di colpo l’ossigeno alle frodi di questo tipo: passare a un criterio in cui i soldi dell’abbonamento di un utente vengono dati esclusivamente agli artisti ascoltati da quell’utente. È il modello che SoundCloud, per esempio, chiama fan-powered, e che altri servizi di streaming stanno iniziando ad adottare. In questo modello non c’è un gruzzolo comune di soldi altrui accessibili ai truffatori, e quindi le stream farm e i loro brani musicali fittizi non hanno più motivo di esistere.

Il problema, insomma, è serio, e non potrà che peggiorare con il maturare dei software di generazione di musica sintetica tramite intelligenza artificiale, perché i brani falsi saranno sempre più difficili da distinguere da quelli autentici. Ma una soluzione, volendo, c’è.

2022/08/18

Una canzone di Janet Jackson crashava i laptop

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Non capita a molte cantanti pop di essere la causa tecnica di un collasso di sistemi informatici, ma Janet Jackson può vantarsi di questo aspetto molto particolare della propria carriera musicale. La sua canzone Rhythm Nation, del 1989, è infatti citata ufficialmente come causa di un malfunzionamento informatico nel database Mitre delle vulnerabilità (CVE-2022-3892).

La curiosa citazione deriva da un articolo di Raymond Chen, di Microsoft, e anche se è targata 2022 risale in realtà ai tempi di Windows XP, intorno al 2005. Un’azienda leader nella fabbricazione di computer, di cui Chen non fa il nome, scoprì che quando veniva suonata specificamente questa canzone di Janet Jackson alcuni suoi modelli di laptop andavano in crash. Già questo era insolito, ma la cosa ancora più strana era che lo stesso succedeva anche ad alcuni laptop di marche concorrenti.

I ricercatori che investigarono il problema scoprirono inoltre che riprodurre il video della canzone su un laptop mandava in crash anche un altro laptop collocato nelle vicinanze, anche se quell’altro laptop non stava suonando il brano.

Alla fine, e probabilmente dopo un numero di esecuzioni di Rhythm Nation che deve averli spinti a odiare per sempre la canzone, i ricercatori scoprirono la causa del bizzarro problema: il brano conteneva una delle frequenze di risonanza dello specifico modello di disco rigido da 5400 giri al minuto installato su quei laptop. In altre parole, i suoni della canzone innescavano delle vibrazioni sempre più intense nel disco rigido che gli impedivano di funzionare.

Non vi preoccupate: si trattava di dischi rigidi tradizionali, del tipo con piatti e testine, non dei dischi rigidi a stato solido che si usano oggi e che sono infinitamente meno sensibili alle vibrazioni in generale.

La soluzione adottata dal fabbricante fu semplice: fu aggiunto al sistema audio un filtro che escludeva le frequenze colpevoli. Chissà se sapremo mai quali erano i dischi rigidi vulnerabili a Janet Jackson.

Fonti aggiuntive: The Register, Tenable.

2022/01/27

I messaggi dei sottomarini militari sono in Tubular Bells di Mike Oldfield

Ultimo aggiornamento: 2022/01/31 22:20.

C’è un collegamento decisamente strano fra il film L’Esorcista (1973), l’informatica e i sottomarini militari.

Nell’album Tubular Bells di Mike Oldfield, usato nella colonna sonora de L’Esorcista in modo memorabile e inquietante, c’è realmente un messaggio nascosto, coperto dalla musica. 

Non sto parlando dei presunti messaggi satanici che si anniderebbero in certi brani musicali se vengono riprodotti al contrario, ma di un vero e proprio messaggio tangibile e concreto, che però non è stato inserito intenzionalmente da Mike Oldfield. Ma allora come ha fatto a rimanere impresso nell’album?

Per capirlo bisogna riscoprire la storia di quell’incredibile disco. Tubular Bells fu registrato nel 1973, quando Oldfield aveva solo 19 anni, presso i celeberrimi Manor Studios di Richard Branson, a Shipton-on-Cherwell, in Inghilterra, a nord di Oxford.

A un’oretta di distanza da questi studi di registrazione c’era Rugby Radio, una stazione radio militare a frequenza molto bassa o VLF, che veniva usata per inviare messaggi ai sottomarini della Marina britannica attraverso le sue antenne alte fino a 250 metri.

Questa stazione radio era talmente potente che i suoi segnali entravano negli impianti di registrazione dei Manor Studios, lasciando una traccia molto fioca a 16 kHz di cui i tecnici non si accorsero durante la registrazione dell’album di Mike Oldfield.

Insomma, in Tubular Bells sono stati registrati per errore i messaggi militari dei sottomarini, che sono lì da scoprire ancora oggi grazie all’informatica.

Infatti, come spiegato da David Schneider su IEEE Spectrum, se si prende un CD di Tubular Bells, lo si converte in un file WAV e lo si elabora con un’applicazione di software-defined radio (SDR) sintonizzata su 16 kHz in modo da demodulare i segnali a onda continua, emerge molto chiaramente del codice Morse. Nei suoi esperimenti, Schneider ha trovato molte ripetizioni delle lettere VVV (che significa “prova”) e GBR (che era la sigla identificativa o callsign della stazione radio militare).

Riccardo Rossi ha verificato questa chicca prendendo un file audio di Tubular Bells in formato FLAC e filtrandolo con il software SDR, con questo risultato:

L’idea che in un album musicale siano annidati per errore dei messaggi militari di quasi cinquant’anni fa è già abbastanza bizzarra, ma c’è di più: lo stesso software usato per estrarre questi codici dal disco di Mike Oldfield può essere usato per il monitoraggio delle eruzioni solari, che emettono potenti segnali radio VLF. Grazie al software, è possibile oggi costruire una stazione di monitoraggio di questi eventi astronomici con circa 70 dollari (o euro o franchi). Prima un equipaggiamento del genere sarebbe stato enormemente più costoso.

A questo punto sovviene un pensiero: quanti altri album furono registrati in quegli studi britannici e quindi forse contengono altri segnali militari? E più in generale: man mano che la tecnologia di analisi dei segnali diventa più sofisticata e i costi delle apparecchiature scendono, quante altre tracce fantasma del nostro passato troveremo nascoste nelle vecchie registrazioni?

Ma soprattutto resta un mistero: come faceva David Schneider a sapere di poter cercare i segnali dei sottomarini dentro Tubular Bells?

---

Addenda /1

Riccardo Rossi mi ha inviato queste istruzioni per consentire di replicare il suo esperimento:

DECODIFICA TRASMISSIONE MORSE DELLA RUGBY RADIO STATION IN TUBULAR BELLS (1973)

1) Procurarsi una registrazione ad alta qualità della versione originale di Tubular Bells di Mike Oldfield registrata nel 1973 in uno dei seguenti modi:

a. DIFFICILE – Procurarsi il vinile della versione originale ed avere l’attrezzatura per farne una copia digitale in formato .wav

b. MEDIO – Procurarsi il CD con la traccia originale (e non le versioni rimasterizzate pubblicate dallo stesso Oldfield negli anni 2000) e farne una copia in formato .wav

c. FACILE – Cercare e scaricare da internet il “rip ISO” del CD o la versione .flac ad alta qualità, dopo di che convertirla in formato .wav con uno dei tanti software audio disponibili gratuitamente.

* Per scopi puramente scientifici ho caricato la traccia .flac a questo link temporaneo https://t.co/riVYXCyfyZ

** Non è un caso che non abbia preso in considerazione le versioni in .mp3, in quanto questo tipo di compressione cancella completamente (o inibisce moltissimo) la gamma di frequenze dove è rimasta registrata la trasmissione radio.

2) Procurarsi un software SDR; ce ne sono diversi gratuiti ed io ho scelto SDR# (Windows) disponibile a questo link: https://airspy.com/download/.

Questi software normalmente funzionano accoppiati ad un dongle SDR o ad una radio, ma possono anche analizzare delle registrazioni “offline” andando a leggere semplicemente un file, ed è proprio quello che andremo a fare.

3) Scompattare SDR# in una cartella e lanciare SDRSharp.exe (non è necessaria una installazione).

4) Nel pannello SOURCE in basso a sinistra, dal menu a tendina selezionare Baseband File (*.wav) e caricare il file .wav di Tubular Bells.

5) Selezionare RAW nel pannello RADIO in alto a sinistra e nel campo Bandwidth inserire il valore 44000.

6) Premere il tasto PLAY in alto a sinistra, e dovreste iniziare a sentire Tubular Bells.

7) Se notate attentamente sullo spettrogramma in corrispondenza dei 16 kHz c’è un segnale sottile, che è una cosa abbastanza inusuale per una traccia audio. Per isolare ed ascoltare solo quella fettina di spettro, selezionare CW nel pannello RADIO. La modalità CW (continuous wave) serve per la ricezione di segnali in codici morse che intrinsecamente hanno una banda molto stretta (una volta cliccato CW noterete che il software porta automaticamente la Bandwidth da 44000 a 300).

8) A questo punto sintonizzatevi sui 16 kHz cliccando la zona di interesse col mouse sullo spettrogramma (o scrivendo 16.000 nei campi numerici in alto a destra dello slider del volume). La sequenza di punti e linee ora dovrebbe essere chiaramente udibile.

Riky IU4APB

Addenda /2

Alcuni esperti di storia delle radiocomunicazioni mi hanno espresso perplessità sulla descrizione della natura militare delle trasmissioni di Rugby Radio. Riporto testualmente quello che scrive David Schneider nell’articolo che ho linkato: “[...] the British government operated a very-low-frequency (VLF) radio station to send messages to submarines”. Inoltre un articolo tematico su OurWarwickshire.org.uk dice che “During the Falklands War in 1982 a special South Atlantic short wave circuit was urgently set up for the MoD. This, together with the GBR VLF transmitter used by the MoD(N), helped in the war effort.” E questo documento dedicato a Rugby Radio dice che “During and following the 2nd World War the traffic moved from commercial telegrams to ships and diplomatic news broadcasts, to Air Ministry weather forecasts and finally played an important part in the Cold War, providing submarine communications for the Royal Navy.” Un uso militare di Rugby Radio sembra insomma ragionevolmente ben documentato. 

Chicca: il secondo documento che ho linkato cita una cosa che sembra tratta di peso da un libro steampunk di passati alternativi: nel 1926 (un secolo fa, insomma) Rugby Radio aveva una portata planetaria. Il suo segnale Morse, diffuso con 350 kW di potenza al trasmettitore, si riceveva in tutto il mondo e faceva parte dell’Imperial Wireless Network, la rete senza filo dell‘Impero britannico. E l’anno successivo (1927) fu inaugurato il servizio telefonico intercontinentale fra il Regno Unito e gli Stati Uniti. Il servizio era piuttosto esclusivo: portava un massimo di due telefonate e una telefonata di tre minuti costava circa 600 sterline di oggi, ossia settecento euro.

In 1927, just a year after the Radio Station opened, the first radio telephone service from the UK to the USA began. Later this service could carry a maximum of two telephone calls using a frequency of 60-68 kHz in the Long Wave band. The cost of a call, during the first year of service was £15 for three minutes, about £600 at today’s prices. The service was transmitted from Rugby and the receiving station for the return leg of the circuit was at Wroughton in Wiltshire. Later a receiver at Cupar in Scotland was also used. In the USA the receiver was at Houlton in Maine and the return leg transmitter at Rockypoint, New York.

Addenda /3

Nei commenti, pgc segnala che Schneider spiega in parte come faceva a sapere dei segnali dei sottomarini dentro Tubular Bells quando dice “[...] It seems the powerful emanations from this nearby station, broadcast at a radio frequency of just 16 kilohertz (within the audio range), were picked up by the electronic equipment at Branson’s studio and recorded at a level too low for anyone to notice. After learning of this, I purchased an old CD of Tubular Bells. Insomma, sembra che Schneider sia venuto a conoscenza dei radiodisturbi che affliggevano i Manor Studios in quel periodo (forse da qualcuno che ci lavorava) e che abbia semplicemente scelto Tubular Bells come uno dei vari album registrati nel periodo giusto in quello studio di registrazione.

2021/06/25

La tesi di complotto più demenziale? Beyoncé è in realtà italiana e si chiama Ann Marie Lastrassi

Ultimo aggiornamento: 2021/06/25 15:25.

Quando pensi di averle sentite tutte, arriva una tesi di complotto che supera in demenzialità tutte le precedenti. A luglio 2020 un politico della Florida, K.W. Miller, ha dichiarato su Twitter che secondo lui Beyoncé non è afroamericana ma italiana ed è collegata a George Soros. E la storia gira tuttora sui social network.

La cantante, ha scritto Miller, fingerebbe di essere afroamericana per avere maggiore visibilità, ma in realtà si chiamerebbe Ann Marie Lastrassi e tutto questo sarebbe collegato ai piani di Soros per il cosiddetto Deep State. Come se non bastasse, ha aggiunto Miller, la sua canzone Formation conterrebbe informazioni che dimostrerebbero che l’artista frequenta chiese sataniste.

Il sito antibufala Snopes.com fa notare che Beyoncé è figlia di genitori neri, Tina e Mathew Knowles, e che la sua genealogia porta alla Louisiana. Non c‘è nessun legame con l’Italia. Non c’è nessuna prova di quello che viene asserito dalla tesi di complotto.

Ma a parte questo, la tesi non sta in piedi per semplice logica: ci viene chiesto di credere che ”George Soros abbia trovato una cantante italiana, le abbia dato un nome nuovo, l’abbia portata negli Stati Uniti, abbia trovato due persone di colore disposte a fingere di essere suoi genitori, le abbia trovato un ruolo nelle Destiny’s Child, abbia aspettato che diventasse una solista di successo e poi, dopo oltre vent‘anni di pazienza ingannevole, le abbia fatto inserire nelle canzoni dei messaggi subliminali che parlano di Nuovo Ordine Mondiale”.

Questo è il genere di delirio che circola su Internet e in particolare nei seguaci delle teorie di QAnon, citate da K.W. Miller negli hashtag dei suoi tweet. 

Ma da dove nasce una tesi del genere, così stranamente specifica, con tanto di citazione di un nome italiano? Secondo Snopes, la diceria è nata su Twitter a giugno 2020 per puro scherzo e poi si è trasformata. Un utente ha pubblicato due foto dell’artista e un altro utente le ha commentate dicendo scherzosamente che in realtà Beyoncé era un’italiana dalla carnagione scura di nome, appunto, Ann Marie Lastrassi, e che era stata contattata dagli Illuminati e “convinta, tramite telepatia aliena, a cambiare la propria origine”. I genitori si chiamerebbero Gian-Giuseppe e Maria Marsilia Lastrassi, e Ariana Grande sarebbe la figlia perduta di Beyoncé. Eccetera, eccetera, in un crescendo di affermazioni strampalate. 

Un’invenzione fatta insomma per prendere in giro il complottismo, ma che poi è mutata diventando una tesi di complotto creduta vera. Ed è per questo che è pericolosissimo diffondere tesi di complotto per divertirsi alle spalle dei creduloni o fare “esperimenti sociali”: se ne perde sempre il controllo.

2020/10/16

Addio a Google Hangouts e al Music Store di Google; chiude anche Yahoo Gruppi

Di solito Internet è piena di annunci di nuovi mirabolanti servizi, presentati con grande clamore; si usa la sordina, invece, quando un servizio esistente viene rimosso, e questo è un problema per chi si è abituato a usare quel servizio e magari ci ha anche depositato dei dati che non vorrebbe perdere.

Google ha annunciato che chiuderà Hangouts, la sua piattaforma di messaggistica e videochiamate, nel primo semestre del 2021. La cronologia e i contatti verranno migrati automaticamente alla nuova piattaforma di Google, denominata Google Chat.

Google Play Music, il negozio online di musica di Google, ha già chiuso: la sua pagina invita gli utenti a trasferire la propria musica a YouTube Music entro fine anno o scaricare i propri dati se non vogliono perdere tutto.

Sta per lasciarci anche un altro servizio storico di Internet: Yahoo Gruppi, il servizio di gruppi di discussione e di mailing list nato quasi 20 anni fa (a gennaio 2001). Dal 15 dicembre cesserà di essere accessibile, come spiegato in dettaglio in questa pagina di Yahoo, che include anche le istruzioni per scaricare i propri dati.


Fonti aggiuntive: Gizmodo, Yahoo/Archive.org, Ndtv.

2020/10/09

Riconoscere le canzoni con Google, senza installare app

Se vi capita di sentire una canzone alla radio o in giro e non sapete di che brano si tratti, ci sono da tempo applicazioni come Shazam, ma l’amico Paolo Amoroso segnala una chicca che evita di dover installare app dedicate: su Android si può usare l’app di Google.
 
È sufficiente avvicinare lo smartphone alla fonte della musica e poi toccare l’icona del microfono nella casella di ricerca di Google sullo smartphone. Questo attiva non solo il riconoscimento vocale convenzionale di Google ma fa comparire in basso un’opzione aggiuntiva: Che cos’è questo brano?
 
A questo punto si tocca l’icona della nota e Google si mette in ascolto del brano, per poi tentare di identificarlo. Non funziona sempre, ma è un trucchetto potenzialmente utile in caso di emergenza musicale.

2020/07/10

“Wind of Change” degli Scorpions fu scritta dalla CIA? Spoiler: no

Questa è sicuramente una delle tesi di complotto più bizzarre che mi sia capitato di indagare: Wind of Change, il successo mondiale della band tedesca degli Scorpions (14 milioni di copie vendute), sarebbe stata scritta dalla CIA come strumento di propaganda per contribuire al crollo dell’Unione Sovietica.


Perlomeno questo è quello che viene fuori se scrivete il titolo della canzone in Google. Di certo Wind of Change è uscita nel momento giusto, ossia nel 1991, poco dopo la caduta del Muro di Berlino (novembre 1989) e poco prima del fallito colpo di stato che portò poi allo scioglimento dell’Unione Sovietica; parla della fine della Guerra Fredda e, appunto, dei “venti di cambiamento” che soffiavano in quel periodo. Il suo testo, inoltre, cita espressamente Mosca (“I follow the Moskva / Down to Gorky Park”).

La tesi del coinvolgimento della CIA è nata di recente e arriva da un giornalista statunitense, Patrick Radden Keefe, che ha pubblicato a maggio 2020 una serie di podcast intitolata appunto Wind of Change nella quale viene citata una dichiarazione di un ex dipendente della CIA che racconta di aver sentito da un collega che la canzone era nata da una collaborazione tra la band e l’agenzia di intelligence: in altre parole, solo una diceria, senza nessun documento a supporto.

La band ha smentito in maniera molto divertita questa tesi di complotto per bocca del suo cantante Klaus Meine: “È un’idea intrigante, divertente, ma non è vera per niente”. Inoltre il giornalista stesso ha dichiarato di non ritenere “che la CIA abbia confezionato i sentimenti di Wind of Change”.

Però sappiamo di episodi reali in cui la CIA si è infiltrata nel mondo dello spettacolo o lo ha usato come copertura, come nel caso della finta troupe cinematografica usata nel 1979 per far uscire dall’Iran alcuni ostaggi statunitensi (una storia riassunta dal film Argo nel 2012). Negli anni Cinquanta artisti come Louis Armstrong, Dave Brubeck e Dizzy Gillespie viaggiarono per il mondo, e in particolare nei paesi dei blocco sovietico, a spese del Dipartimento di Stato statunitense come “ambasciatori culturali” a scopo di propaganda.

La storia della banda tedesca è insomma l’aggancio perfetto per vendere un podcast: accattivante e plausibile anche se non basata sui fatti. 


Fonti aggiuntive: Blabbermouth, Rolling Stone, The Nation, DW, New York Times.

2019/07/05

Mission Moon 3D, le foto lunari in tre dimensioni grazie a Brian May

Brian May (sì, quel Brian May) e David Eicher di Astronomy Magazine hanno creato Mission Moon 3D, un libro che elabora le foto scattate nello spazio e sulla Luna per crearne versioni 3D grazie al talento digitale di Claudia Manzoni. Lo avevo segnalato in anteprima a novembre scorso, ma torno a parlarne perché ho incontrato gli autori a Starmus, dove è stata effettuata anche una proiezione pubblica di alcune delle immagini alla presenza di alcuni degli astronauti che le scattarono quasi cinquant’anni fa.

May è da sempre appassionato di fotografia tridimensionale e ha già pubblicato Queen in 3-D, un libro che contiene una selezione delle tantissime foto 3D che Brian May ha scattato durante la propria carriera musicale.

Mission Moon 3D contiene 150 foto 3D lunari e spaziali e un piccolo visore 3D, necessario per vedere l‘effetto tridimensionale delle foto. Qui sotto ne vedete alcuni campioni.





In alcuni casi si tratta di un effetto 3D aggiunto artificialmente a una singola fotografia; in altri, invece, esistono coppie di fotografie originali, prese da posizioni leggermente diverse, che consentono di ottenere un effetto 3D reale.

Gli astronauti Apollo scattarono infatti numerose coppie di foto usando la tecnica che chiamavano cha-cha: fare una prima foto, spostare la fotocamera lateralmente di circa sette centimetri (la distanza media fra gli occhi di una persona) e scattarne una seconda. In questo caso la profondità non è aggiunta artificialmente, ma rispecchia fedelmente quella effettiva della scena.

Brian May e David Eicher sono stati così gentili da autografare la mia copia:


Questo è un estratto dall’intervista che ho fatto a May e Eicher per la Radiotelevisione Svizzera e che spero di poter pubblicare presto:

PAOLO: Cosa vi affascina della Luna così tanto da avervi spinto a creare un libro di immagini 3D dedicato ad essa, "Mission Moon 3D"?

BRIAN MAY: È una celebrazione della prima avventura dell'uomo nel raggiungere un altro corpo celeste. La Luna è quello più vicino a noi, è la sorellina della Terra, in un certo senso, nessuno aveva mai lasciato questo pianeta per mettere piede altrove. Quindi è la celebrazione di 50 anni di questa incredibile avventura che fu il progetto Apollo e che culmina con Apollo 11, l'allunaggio vero e proprio. Ed è per questo che ci piace, giusto?

DAVID EICHER: Sì, è per questo che ci piace! Non solo è vicina, ma le sue rocce sono molto simili a quelle della Terra. Questo è un indizio, emerso dalle missioni Apollo, che le sue origini sono legate alla Terra.

BRIAN MAY: La Luna ha una grande influenza in così tanti modi. Controlla le maree, ha sicuramente un influsso sul comportamento umano, ed è in cielo a darci luce argentea quando cala il sole. Ha ispirato un milione di canzoni d'amore e ha un ruolo importantissimo nella vita di ogni persona. E questi uomini hanno camminato sulla Luna e questo è tuttora incredibile per me; non avrei mai pensato di vederlo accadere nel corso della mia vita.

2019/06/14

Antibufala: Radiohead “hackerati”, che rispondono con stile

Ha fatto molto rumore il tentativo di ricatto digitale ai danni dei Radiohead: sono state trafugate circa 18 ore di registrazioni tratte dalle sessioni che portarono allo storico album OK Computer della band, uscito nel 1997, e sarebbero stati chiesti circa 150.000 dollari per non disseminare questo materiale.

Jonny Greenwood, uno dei membri della band, ha tweetato che si è trattato di un “hackeraggio”, usando proprio la frase “We got hacked last week”, ma in realtà l’hacking non c’entra:  Greenwood stesso ha chiarito subito dopo, nello stesso messaggio, che si è trattato di un furto tradizionale. “Qualcuno ha rubato l’archivio di minidisk [sic] di Thom [Yorke] risalente ai tempi di OK Computer e pare che abbia chiesto 150.000 dollari, minacciando di disseminarlo” (“someone stole Thom’s minidisk archive from around the time of Ok Computer and reportedly demanded $150,000 on threat of releasing it”).



Anche Thom Yorke ha parlato di “hackeraggio” (“we’ve been hacked”) nel suo annuncio della geniale risposta della band alla situazione: invece di cedere al ricatto, i Radiohead hanno stroncato sul nascere le possibilità di guadagno del ladro. Hanno infatti messo in vendita online su Bandcamp a prezzo simbolico (18 sterline, circa 23 franchi o 21 euro) una copia dei file audio presenti sui diciotto Minidisc rubati, devolvendo i ricavi al movimento ambientalista internazionale Extinction Rebellion. L’offerta è valida solo per un periodo limitato (18 giorni).

Un gruppo di fan, inoltre, ha pubblicato su Google Docs una ricostruzione degli eventi secondo la quale non ci sarebbe stata alcuna richiesta di riscatto. In realtà il ladro, o un suo complice, avrebbero messo in vendita i file rubati, chiedendo 500 dollari per ogni traccia e 50 dollari per ogni versione live, per cui il costo stimato per acquistare il contenuto di tutti e 18 i Minidisc si sarebbe aggirato sui 150.000 dollari.

In altre parole, l’hacking vero e proprio non c’entra, contrariamente a quanto riportano molti testate e persino la stessa band; ma l’informatica c’entra eccome, perché la reazione rapidissima dei Radiohead al furto delle registrazioni è stata possibile soltanto grazie a Internet.


Fonti aggiuntive: Graham Cluley, The Verge, Naked Security, NME.

2017/07/14

Dopo la fake news, la fake music? Gli inganni su Spotify


Spotify, il servizio di musica e video in streaming, ha oltre 140 milioni di utenti attivi e circa 50 milioni di abbonati paganti. Ma è anche un servizio che consente a molti truffatori o personaggi senza scrupoli di fare soldi alle spalle degl onesti.

Un recente articolo di Vulture.com ha fatto il punto di un giro di denaro basato sull’inganno citando per esempio il caso di Humble, la canzone di Kendrick Lamar che ha raggiunto il primo posto nella classifica di streaming di Billboard ed è stata ascoltata quasi 300 milioni di volte su Spotify. Accanto alla versione originale, però, su Spotify c’è anche Sit Down, Be Humble di un certo King Stitch, che si è aggiudicata oltre 300.000 visualizzazioni (con relativi incassi) solo per il fatto di imitare (anche nel titolo) l’originale di Lamar. Basta che un utente ascolti il brano per trenta secondi e Spotify paga.

Non è l’unico genere di trucco per fare soldi: su Spotify ci sono “artisti” come Happy Birthday Library, che offrono versioni personalizzate di Tanti auguri a te e così hanno incassato più di un milione di ascolti. C’è Chris Brown, che ha partorito un album, Heartbreak on Full Moon, che contiene ben quaranta canzoni. Non perché ha una vena musicale inesauribile, ma perché ha capito che più canzoni mette in un album più aumentano le possibilità che qualcuno le ascolti e quindi porti il suo album in cima alla classifica.

Prendete per esempio i Toilet Bowl Cleaners, la cui The Poop Song è stata ascoltata 400.000 volte. Dietro questa “band” c'è un uomo di nome Matt Farley, che ha al proprio attivo oltre 18.500 canzoni pubblicate su Spotify con questo e molti altri pseudonimi, come Guy Who Sings Songs About Cities and Towns, Wedding Proposal Music Song Band, Guy Who Sings Your Name Over and Over, Papa Razzi and the Photogs. È sempre lui, e tutte queste  “band” cantano solo canzoni a tema: Papa Razzi, per esempio, canta solo di celebrità. Indovinate che cosa canta Guy Who Sings Your Name Over and Over. Diciottomilacinquecento canzoni non sono musica: sono spam.

E c’è di peggio: Sir Juan Mutant ha pubblicato 64 album, ciascuno con una cinquantina di brani. Ma molte canzoni sono ripetute usando però titoli differenti e sono poco più che strimpellamenti. Non mancano impostori come Bob Segar, che fa cover di Bob Seger e ha 1,2 milioni di ascolti di Turn the Page; come Brooks Stars Garth, che ha vari milioni di ascolti delle sue cover delle canzoni di Garth Brooks; come la band Imagine Demons, che ha 1,7 milioni di ascolti di Demons (come il brano degli Imagine Dragons).

L’articolo di Vulture.com porta molti altri esempi di come il sistema della musica a pagamento in streaming venga manipolato e fa un’osservazione deprimente: in tutto questo giro di soldi, alla fine, l’unico che ci perde è l’utente.

“Gangnam Style” non è più il video più visto di tutti i tempi su Youtube

Ultimo aggiornamento: 2017/07/20 9:30. 

Ricordate Gangnam Style di Psy? Il video della canzone divenne così popolare, con oltre due miliardi di visualizzazioni, da mandare in tilt il contatore di Youtube.

Per cinque anni è rimasto il video più visto di sempre su Youtube, ma ora questo primato è stato conquistato da See You Again di Wiz Khalifa e Charlie Puth, con quasi tre miliardi di visualizzazioni (l’equivalente di circa 21.800 anni). Anche Despacito di Luis Fonsi è arrivato a due miliardi e mezzo di visualizzazioni in soli sei mesi.

La classifica aggiornata, secondo i dati citati dalla BBC, è la seguente:

1) Wiz Khalifa - See You Again (ft Charlie Puth) 2,895,373,709
2) Psy - Gangnam Style 2,894,426,475
3) Justin Bieber - Sorry 2,635,572,161
4) Mark Ronson - Uptown Funk (ft Bruno Mars) 2,550,545,717
5) Luis Fonsi - Despacito (ft Daddy Yankee) 2,482,502,747
6) Taylor Swift - Shake It Off 2,248,761,095
7) Enrique Iglesias - Bailando 2,232,756,228
8) Maroon 5 - Sugar 2,150,365,635
9) Katy Perry Roar - 2,129,400,973
10) Taylor Swift - Blank Space 2,101,607,657

Quanto guadagnano gli artisti, o meglio le loro case discografiche, da tutte queste visualizzazioni? 0,001 dollari ciascuna, secondo i dati di Midia Research. Per cui See You Again ha raccolto circa 2,9 milioni di dollari soltanto tramite Youtube. Mica male. Una cifra, tanto per fare un paragone, che è l’equivalente di 665 milioni di ascolti su Spotify.


2017/07/20 9:30. La BBC segnala che il video di Despacito è stato visto 4,6 miliardi di volte, conquistando il primato assoluto. 

2017/05/26

Antibufala: Avril Lavigne morta e sostituita da una sosia!

Il mondo della musica è ricco di leggende e di storie strane. Poche, però, sono bizzarre come quelle che raccontano che un artista è morto ed è stato segretamente rimpiazzato.

Era già successo decenni fa per Paul McCartney dei Beatles, che secondo i teorici di questa cospirazione sarebbe morto negli anni Sessanta in un incidente d’auto e sarebbe poi stato sostituito di nascosto da un musicista che aveva sembianze molto simili, perfezionate con un intervento di chirurgia plastica. Come facesse questo sosia ad essere anche bravo a suonare e ad avere la stessa voce di McCartney non è mai stato spiegato.

Adesso è (di nuovo) il turno di Avril Lavigne. Come racconta il Guardian, circola dal 2005 ma è riaffiorata di recente la teoria, diffusa su Internet, che Avril Lavigne sia stata sostituita da una sosia di nome Melissa nel 2003. Melissa era la controfigura dell’artista all'inizio della sua carriera. Ma Avril Lavigne sarebbe morta (non si sa bene quando) e la casa discografica avrebbe dato a Melissa l’incarico di sostituirla a tempo pieno.

Le presunte prove di questa sostituzione sono, come al solito, solidissime (si fa per dire): sono il fatto che Avril portava i pantaloni ma Melissa predilige le gonne, o differenze nel viso attuale rispetto alle fattezze di una quindicina d’anni fa (perché nel mondo del complottismo la gente non cambia mai fisionomia quando cresce o invecchia), oppure allusioni nascoste nei testi delle canzoni, come in Slipped Away, perché viene detto che “il giorno che sei scivolata via è stato il giorno che ho scoperto che non sarei stata più la stessa” (“The day you slipped away was the day I found it won’t be the same”).

Il Guardian cita anche altre teorie di sostituzione che riguardano Taylor Swift (che sarebbe il clone di una sacerdotessa satanica) e Beyoncé (che sarebbe un clone piazzato dagli Illuminati o dalla massoneria). Posso capire, umanamente, le teorie che sostengono che un artista molto amato non sia morto e sia ancora in vita segretamente: è difficile accettare la morte di una persona che si venera. Ma quelli che sostengono queste sostituzioni sono, per me, incomprensibili nella loro arroganza di aver capito qualcosa che gli altri, chissà perché, non riescono a cogliere.

2017/05/05

L’MP3 compie 20 anni

Il formato di compressione audio MP3, quello che ha permesso il boom della musica digitale attraverso i lettori audio portatili (ma anche tramite i primi circuiti peer-to-peer come Napster), ha vent’anni e il suo sviluppatore e proprietario, la Fraunhofer IIS, ha annunciato la fine del programma di licenza perché è obsoleto e sono scaduti i brevetti di decodifica (quelli di codifica scadono prossimamente).

Niente panico: i dispositivi, i siti e le applicazioni che usano il formato MP3 continueranno a funzionare, ed è anzi possibile che ci sia un boom del settore se la Fraunhofer decide di concedere l’uso libero della sua tecnologia. Molti non ci fanno caso, ma per usare il formato MP3 occorre (o meglio occorreva) pagare una licenza: non si tratta di un formato libero.

Il formato MP3 iniziò presso l'Università di Erlangen-Nuremberg: era particolarmente innovativo perché consentiva di ridurre drasticamente le dimensioni dei file audio senza ridurne eccessivamente la qualità. In un’epoca nella quale la memoria costava cara e quindi dispositivi mobili con giga su giga di memoria erano impensabili, la possibilità di poter mettere una dozzina di canzoni nello spazio normalmente occupato da un brano solo era rivoluzionaria.

In seguito sono arrivati altri formati, ancora più efficienti e con qualità superiori, i prezzi delle memorie a stato solido sono crollati e la disponibilità delle connessioni Internet veloci per dispositivi mobili ha reso possibile lo streaming che rende irrilevante la capienza dei dispositivi, ma l'MP3 resta onnipresente.

2016/09/30

A quando risale la prima musica computerizzata? A 65 anni fa

Alan Turing (The Guardian).
Sembra incredibile, ma i primi suoni musicali generati da computer risalgono ai primi anni Cinquanta del secolo scorso. La registrazione più antica di questi tentativi di fare musica tramite calcolatori è infatti datata 1951 ed è stata recentemente restaurata per ripresentarla al pubblico.

Il calcolatore sul quale fu suonata era un colosso che copriva buona parte del piano terra del Computing Machine Laboratory a Manchester, nel Regno Unito, e ha un padre d’eccezione: Alan Turing. Quello che decifrò, insieme a tanti colleghi e colleghe, i codici segreti tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, gettò le basi dell’intelligenza artificiale ed è considerato uno dei fondatori dell’informatica moderna. La sua storia è stata raccontata bene, sia pure con qualche inesattezza e omissione, nel film The Imitation Game.

La registrazione restaurata, realizzata all’epoca dalla BBC su un disco di acetato da 12 pollici e oggi corretta per eliminare disturbi, distorsioni e variazioni di frequenza, include tre melodie: God Save the King (Queen), Baa Baa Black Sheep e In the Mood di Glenn Miller.

Fu proprio Alan Turing a programmare le prime note musicali in un computer, ma non era molto interessato a combinarle per produrre melodie: di questo si occupò un insegnante, Christopher Strachey, che in seguito divenne un celebre informatico. Strachey ricorda che la reazione di Alan Turing, quando gli fece sentire che il suo gigantesco computer faceva musica, fu un laconico “Good show” (più o meno “Bene”). E il resto, come si dice in questi casi, è storia.



Fonte: The Guardian.

2016/02/12

Antibufala: il video antigravità degli OK Go

Ultimo aggiornamento: 2016/02/18 22:40.

Il nuovo video degli OK Go, intitolato Upside Down, Inside Out, parte subito dichiarando che “Quello che state per vedere è reale. Lo abbiamo girato in gravità zero, in un vero aereo, in cielo. Non ci sono fili o green screen”. Seguono tre minuti abbondanti di evoluzioni spettacolari e impossibili che fanno davvero sembrare che gli OK Go abbiano annullato la gravità. Molti si stanno chiedendo come possa essere vera l’affermazione del gruppo musicale, noto per i suoi video stracolmi di illusioni ottiche e di effetti ottenuti dal vivo, senza trucchi digitali.  È una bufala?

Non proprio. La tecnica descritta dagli OK Go, ossia usare un aereo per creare un effetto identico all’assenza di peso, è reale e documentata da decenni: la adoperano gli astronauti per allenarsi all’assenza di peso che troveranno nello spazio. Basta lanciare l’aereo su una traiettoria che lo faccia arrampicare in cielo e poi ridurre la spinta dei motori: il velivolo traccia un arco parabolico e poi inizia a cadere, e durante questo periodo di caduta libera a bordo si ha l’effetto dell’assenza di peso (non assenza di gravità: la gravità c'è ancora ed è infatti quella che attira l’aereo verso terra, ma siccome i passeggeri cadono alla stessa velocità con la quale cade l'aereo, gli oggetti e le persone a bordo fluttuano come se non ci fosse gravità).


OK Go - Upside Down & Inside Out
Hello, Dear Ones. Please enjoy our new video for "Upside Down & Inside Out". A million thanks to S7 Airlines. #GravitysJustAHabit
Pubblicato da OK Go su Giovedì 11 febbraio 2016


Fin qui, insomma, il video degli OK Go è realistico, ma c’è un piccolo problema: i periodi di caduta libera ottenibili con gli aerei durano al massimo una ventina di secondi (per non schiantarsi al suolo) e sono seguiti da un periodo di alcuni minuti nel quale i piloti fanno rialzare l’aereo dalla sua traiettoria diretta verso il suolo, con un’accelerazione che aumenta il peso degli occupanti. Nel video, invece, ci sono circa tre minuti di assenza di peso ininterrotti. Allora c’è un trucco?

Ebbene sì: il video è stato realizzato in spezzoni brevi che poi sono stati uniti in fase di montaggio, come sottolinea su Facebook persino la NASA. Secondo la spiegazione pubblicata sul sito ufficiale degli OK Go, si tratta di una ripresa singola di 45 minuti, che include otto periodi consecutivi di assenza di peso di circa 27 secondi intervallati da alcuni minuti di condizioni normali: questi minuti sono stati tolti dal video e gli stacchi non si vedono grazie a un piccolo ritocco digitale di morphing. Se li volete scovare senza troppa fatica, sono a 0:46, 1:06, 1:27, 1:48, 2:09, 2:30 e 2:50.

Avrete forse notato che fra uno stacco e l’altro non passano 27 secondi, ma 21: è esatto, perché le riprese sono state accelerate in post-produzione in modo da far corrispondere i 27 secondi di assenza di peso ai 21 delle varie sezioni della canzone. Gli OK Go, durante il volo, riproducevano la canzone rallentandola di quasi il 30%.

Le riprese si sono svolte su un grande aereo apposito del Centro di Addestramento per Cosmonauti vicino a Mosca, all’interno del quale è stata costruita una finta fusoliera d’aereo di linea, ben più lavabile dei normali interni di un velivolo. Geniale e divertente.


2016/02/18: È stato pubblicato un video che mostra in dettaglio quello che è successo dietro le quinte, comprese le complicazioni di nausea e vomito e il rallentamento della musica per adattarla alla durata dei periodi di assenza di peso, e spiega la teoria del volo parabolico.



Fonti aggiuntive: Nofilmschool, S7 Airlines, Buzzfeed, Redbull.com.

2015/09/25

“Tanti auguri a te”, negato il copyright preteso per decenni dalla Warner

Sapevate che Tanti Auguri a Te non è una canzone tradizionale libera, ma è soggetta al diritto d'autore della Warner/Chappell Music? Lo è, o perlomeno lo è stata per decenni fino a pochi giorni fa, quando una sentenza di un giudice federale statunitense ha stabilito che la Warner non detiene i diritti sulla canzone e che quindi i pagamenti richiesti per il suo uso (circa 2 milioni di dollari l'anno) non sono legittimi.

Specificamente la Warner affermava di avere i diritti sul testo di Tanti Auguri a Te fino al 2030, ma la sentenza stabilisce che il diritto riguarda soltanto specifici arrangiamenti della melodia, composta dalle sorelle Patty e Mildred Hill nel 1893 (o perlomeno attribuita a loro; ci sono dubbi sull'origine del brano). Secondo alcune stime, è il brano che vanta i maggiori incassi nella storia della musica: circa 50 milioni di dollari.

La vicenda è emersa grazie alla documentarista Jennifer Nelson, che ha fatto un film dedicato alla storia di questa canzone popolarissima: ha indagato sulle vere origini del brano e ha fatto causa sulla base di quello che ha scoperto. Dopo due anni di azione legale è arrivata questa sentenza. È probabile che la Warner ricorrerà in appello.


Fonti: Ars Technica, BoingBoing.

2015/03/04

Antibufala micro: no, Ringo Starr non ha ammesso che Paul è morto ed è stato sostituito da un sosia

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “dainolib*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.

Provo a fare un'antibufala preventiva: non è vero che Ringo Starr ha rilasciato un'intervista nella quale dice che il vero Paul McCartney è morto nel 1966 ed è stato sostituito da un sosia di nome Billy Shears.

L'intervista è infatti stata inventata di sana pianta dal sito satirico World News Daily Report.

Persino giornali piuttosto disinvolti con le bufale come il Mirror inglese hanno pubblicato la sbufalata. Chissà come se la caveranno le altre testate e gli utenti dei social network.

2014/11/07

Space Oddity di David Bowie cantata nello spazio torna online

Space Oddity è un brano assolutamente classico di David Bowie. Quando lo registrò, nel lontano 1969, in piena era spaziale, probabilmente non immaginava che un giorno qualcuno l'avrebbe cantata nello spazio. Quel qualcuno è l'astronauta canadese Chris Hadfield: il video, meraviglioso, ripreso in assenza di peso a bordo della Stazione, ha avuto oltre 23 milioni di visualizzazioni. Con buona pace di chi dice che lo spazio non interessa più a nessuno.

Ma a maggio scorso il video è stato rimosso da Youtube, fra l'indignazione generale. Come mai? Semplice: i titolari dei diritti della canzone avevano concesso a Hadfield l'uso gratuito e libero per un anno, e Hadfield ha rispettato i patti.

Visto l'entusiasmo per questa chicca spaziale, però, ora la concessione è stata riattivata per altri due anni e il video è tornato online. Il copyright è una bestia difficile anche nello spazio.


2014/03/06

Corriere, Panorama e Repubblica colti a copiare da Wikipedia: per loro, “Fra Martino” l’ha scritta Manlio Sgalambro

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “ilaria.f” e “orsymp” e alla segnalazione di Silvo C.

La morte del filosofo Manlio Sgalambro ha messo in luce, ancora una volta, come lavorano le redazioni dei principali giornali di oggi. Qualcuno ha modificato la voce di Wikipedia dedicata a Sgalambro, inserendo (anche in altre occasioni) la frase “è anche l'autore del testo di canzoni per bambini, come Madama Dorè, Fra Martino campanaro, Il merlo ha perso il becco, su musica di Giovanni Ferracin” o sue varianti. Una frase che dovrebbe suscitare perlomeno qualche perplessità, per ovvie ragioni storiche. La modifica ora è stata rimossa.

Cosa ha fatto la redazione del Corriere? Ha pubblicato questo, a firma di Redazione online:


Sì, avete letto bene: “È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Battiato - Il paroliere, scrittore e poeta aveva scritto anche i testi di famose canzoni per bambini come «Madama Dorè» e «Fra Martino campanaro»”.

Cosa ha fatto invece Repubblica? Ha pubblicato questo, firmato da Andrea Silenzi, nel quale si legge:


Cos'ha preferito scrivere, per contro, Panorama? Questo, firmato da Redazione:


Panorama ha scritto che “sono suoi anche i testi di canzoni per bambini come il famoso canone "Fra Martino campanaro", "Il merlo ha perso il becco", "Madama Doré".”

Notate qualche somiglianza?

Come Corriere, Repubblica e Panorama, innumerevoli altre redazioni hanno copiaincollato: provate a cercare "manlio sgalambro" "fra martino campanaro" in Google.

La storia che Sgalambro avrebbe scritto Fra Martino campanaro esiste solo in quella fugace apparizione in Wikipedia (e in questa, segnalata dal Giornale della Musica, apparsa sempre su Wikipedia). Nessun altro sito la riporta prima di ieri. Nessuno s'è fermato a chiedersi se era plausibile. Nessuno s'è fermato a verificarla (s'è salvato Avvenire).

Da parte mia, a questi che pretendono di essere giornalisti, che guardano Internet, blogger e Wikipediani dall'alto in basso, difendendosi dal plebeo olezzo sventolandosi sotto il naso la tessera dell'Ordine dei Giornalisti e poi da quella disprezzata Wikipedia attingono a piene mani, senza fare il minimo controllo, posso solo dire una parola: mavaffactchecking.
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