Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
Informativa privacy e cookie: Questo blog include cookie di terze parti. Non miei (dettagli)
Prossimi eventi pubblici – Sostegno a questo blog – Sci-Fi Universe
Cerca nel blog
2013/11/08
Facebook cambia l’icona più...iconica
Questo articolo era stato pubblicato inizialmente il 08/11/2013 sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.
C'è un'immagine che viene vista ogni giorno più di 22 miliardi di volte e si trova su oltre sette milioni di siti Internet, e tra poco cambierà per sempre. Si tratta dell'onnipresente icona “Mi piace” di Facebook, che insieme all'icona di condivisione di questo social network sta affrontando per la prima volta un restyling, annunciato pochi giorni fa da Facebook.
Scomparirà dal “Mi piace” il pollice alzato che è diventato un simbolo universale di questo social network: resterà nel riquadro presente sopra il pulsante, che indica quanti “Mi piace” ha ricevuto un post. Al posto del pollice ci sarà la F blu del logo di Facebook. Il pulsante Invia (o Condividi) assume un aspetto analogo: blu con le lettere in bianco, ben più vistoso della sua versione attuale.
La novità verrà introdotta progressivamente nel corso delle prossime settimane, rendendo improvvisamente incomprensibili alle generazioni future infiniti fotomontaggi che parodiavano il pollice alzato e il pulsante “Mi piace”.
Antibufala: scoperta nuova parte del corpo umano!
Questo articolo era stato pubblicato inizialmente il 08/11/2013 sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.
Moltissime
testate giornalistiche in tutto il mondo stanno riportando la notizia
che sarebbe stata scoperta una nuova parte anatomica umana,
specificamente nel ginocchio. “Gli scienziati
scoprono una nuova parte del corpo”,
titola per esempio Giornalettismo;
ne parlano in questi termini anche USA
Today, il Daily
Mail, la BBC
e tanti altri.
Il chirurgo
Steven Claes e il suo collega Johan Bellemans vengono indicati come
gli scopritori di un legamento prima sconosciuto, battezzato
“legamento anterolaterale”, situato appunto nel ginocchio umano.
La storia sembra rivelare che le nostre conoscenze anatomiche sono in
realtà ancora sorprendentemente lacunose e permette anche una
frecciatina verso i medici, insinuando una loro presunta incompetenza
di fondo.
Ma andando a
leggere anche soltanto l'abstract
(riassunto) dell'articolo
originale, pubblicato sul Journal of Anatomy (fra
l'altro ad agosto scorso, quindi neanche tanto recente) risulta che
in realtà la parte anatomica “nuova” fu descritta
da un chirurgo francese, Paul Segond, nel 1879 e non è stata affatto
dimenticata e riscoperta, tanto che ci sono altri articoli
scientifici più recenti sul tema.
L'articolo
che oggi viene presentato come annuncio di scoperta in realtà non
avanza questa pretesa ma propone semplicemente uno studio dettagliato
del rapporto fra questo legamento e le altre strutture anatomiche
adiacenti. Tutto qui. Ma la storia sensazionale ha avuto la meglio
sui fatti, per cui non correte a lamentarvi o prendere in giro il
vostro ortopedico di fiducia.
Apple pubblica il dossier delle richieste governative di dati
Questo articolo era stato pubblicato inizialmente il 08/11/2013 sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.
Si parla
molto di Datagate e del fatto che molte grandi aziende statunitensi
del settore informatico, come Facebook, Google, Apple, Microsoft e
altre, hanno ammesso di aver consegnato i dati degli utenti al
governo americano. Queste aziende ora hanno un problema d'immagine:
chi si fiderà più di loro per qualunque dato personale?
Così è
partita una sorta di campagna di trasparenza per fare chiarezza su
chi ha condiviso cosa e con chi. Salta fuori che non è soltanto il
governo statunitense a chiedere i dati degli utenti: lo fanno anche
altri stati, anche se in misura molto minore. Questa nuova voglia di
trasparenza è un'occasione per mettere in luce questo aspetto del
funzionamento dei servizi della Rete che solitamente resta segreto.
Pochi giorni
fa Apple, per esempio, ha pubblicato un dossier (Report
on Government Information Requests)
che elenca le richieste di dati di cui è legalmente in grado di
parlare. Il dossier era scaricabile
qui come PDF, ma ora non c'è più. C'è però in Google la copia
cache: cercate in Google il titolo del documento e cliccate sul
triangolino accanto al link al sito Apple che viene elencato tra i
risultati. La tabella più significativa è ripubblicata per esempio
qui.
Emerge che
gli Stati Uniti hanno richiesto i dati di circa 2000-3000 utenti (i
dati americani sono volutamente approssimativi). Un numero molto
superiore a quello di tutti gli altri paesi. Al secondo posto c'è il
Regno Unito, con 141 account, e al terzo c'è la Spagna, con 104. La
Svizzera si colloca verso il fondo della classifica con sei account.
L'Italia, a titolo di confronto, ha chiesto ad Apple dati su 76
account.
C'è però
anche un altro dato interessante: di queste richieste, quante vengono
esaudite? Il dato per gli USA è riservato, ma per il resto la
classifica cambia completamente aspetto: Portogallo, Russia e Bahamas
hanno fornito dati nel 100% dei casi (che erano, va detto, al massimo
due per ciascun paese), mentre i paesi dove Apple è stata meno
collaborativa sono San Marino, Polonia, Bielorussia e Brasile, tutti
allo 0%. La Svizzera si attesta al 17%, ben al di sotto della media
europea.
L’icona d’aereo in Google Maps che non è un’icona
Questo articolo era stato pubblicato inizialmente il 08/11/2013 sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.
In Google Maps, andate a queste coordinate. Troverete un cerchio scuro con una sagoma d'aereo che sembra una normalissima icona di quelle usate per segnare un punto d'interesse sulle mappe digitali. Ma questa non è un'icona qualunque: anzi, non è neanche un'icona. E ha una storia molto speciale.
Siamo nel deserto del Ténéré, in Niger. Un posto quasi inaccessibile. Ma se ingrandiamo l'immagine che compare a quelle coordinate, scopriamo che non si tratta di qualcosa che viene aggiunto da Google Maps: è un disegno reale, tracciato nella sabbia, che ha un diametro di circa sessanta metri. Qualcuno lo ha creato intenzionalmente affinché si vedesse soltanto dall'alto e nelle mappe digitali.
Per capire chi è stato bisogna fare un salto indietro nel tempo al 1989, precisamente al 19 settembre. Quel giorno il volo UTA 772 decolla da Brazzaville, in Congo, diretto a Parigi. Tre quarti d'ora dopo il decollo, una bomba piazzata a bordo da terroristi lo fa esplodere in volo. Muoiono tutti: 155 passeggeri e 15 membri d'equipaggio.
Diciotto anni dopo, nel 2007, i familiari delle vittime decidono di creare un monumento che ricordi i loro cari. Lo fanno in una maniera straordinaria: costruiscono un cerchio riempito di pietre nere e con 170 specchi rotti, uno per ciascuna vittima, lungo la circonferenza. C'è anche un'ala dell'aereo, recuperata non lontano e conficcata verticalmente nel terreno come una lapide metallica: il posto è talmente remoto che in giro si trovano ancora grandi, spettrali frammenti del velivolo, semisepolti dalla sabbia.
Pochissimi riusciranno mai a visitare materialmente questo monumento, ma molti lo fanno tramite Internet. Il passaparola suscitato dalla straordinarietà di questa forma di commemorazione continua a mantenere vivo il ricordo delle vittime di quell'attentato forse meglio di qualunque soluzione convenzionale. Se siamo qui a parlarne oggi, vuol dire che l'obiettivo di non dimenticare è stato raggiunto.
2013/11/05
Antibufala: la petizione contro le concerie svizzere che vendono pelli di gatto
Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “maurizio.bucc*” e “ddrienzo”.
C'è un appello, su Avaaz.org, “contro le concerie scoperte in Svizzera che vendono pelli di gatto” e vuole essere “un grido di stop a livello mondiale affinchè il governo si impegni a fermare questo orrore. Si prega di intervenire immediatamente per rendere ancora più efficaci le pene contro i trasgressori delle norme a tutela degli animali e chi ancora commercia o raccoglie pelli di gatti domestici”.
Il modo in cui viene formulata la petizione fa sembrare che in Svizzera ci siano concerie che vendono tranquillamente pelli di gatto e che il governo non faccia niente. I fatti sono ben diversi, anche se non sono granché rassicuranti per chi, come me, ama i gatti.
In realtà esiste già in Svizzera una legge che vieta esplicitamente il commercio di pelli di gatto. È entrata in vigore soltanto il primo gennaio 2013, ma c'è (a titolo di confronto, la legge italiana analoga è entrata in vigore nel 2002). Prima di questa data, e dal 2008, era proibita soltanto l'importazione delle pelli di gatto. La sanzione per chi trasgredisce il divieto può arrivare a 20.000 franchi (circa 16.000 euro).
Nonostante le sanzioni e l'impegno in prima linea delle associazioni animaliste e di celebrità come Michael Schumacher, il commercio continua però tuttora in forma clandestina, secondo varie segnalazioni, soprattutto per via di una credenza scientificamente infondata che la pelle di gatto sia utile nella cura dei reumatismi. Il problema, insomma, non sta nella mancanza di leggi, ma nell'idiozia della gente che continua a credere a rimedi da fattucchiera. Un altro esempio da citare quando qualcuno chiede che male fanno l'antiscienza e la superstizione.
Fonti: Ufficio Federale di Veterinaria; Parlament.ch; Affaritaliani; BusinessInsider; NYTimes; Swissinfo.ch.
C'è un appello, su Avaaz.org, “contro le concerie scoperte in Svizzera che vendono pelli di gatto” e vuole essere “un grido di stop a livello mondiale affinchè il governo si impegni a fermare questo orrore. Si prega di intervenire immediatamente per rendere ancora più efficaci le pene contro i trasgressori delle norme a tutela degli animali e chi ancora commercia o raccoglie pelli di gatti domestici”.
Il modo in cui viene formulata la petizione fa sembrare che in Svizzera ci siano concerie che vendono tranquillamente pelli di gatto e che il governo non faccia niente. I fatti sono ben diversi, anche se non sono granché rassicuranti per chi, come me, ama i gatti.
In realtà esiste già in Svizzera una legge che vieta esplicitamente il commercio di pelli di gatto. È entrata in vigore soltanto il primo gennaio 2013, ma c'è (a titolo di confronto, la legge italiana analoga è entrata in vigore nel 2002). Prima di questa data, e dal 2008, era proibita soltanto l'importazione delle pelli di gatto. La sanzione per chi trasgredisce il divieto può arrivare a 20.000 franchi (circa 16.000 euro).
Nonostante le sanzioni e l'impegno in prima linea delle associazioni animaliste e di celebrità come Michael Schumacher, il commercio continua però tuttora in forma clandestina, secondo varie segnalazioni, soprattutto per via di una credenza scientificamente infondata che la pelle di gatto sia utile nella cura dei reumatismi. Il problema, insomma, non sta nella mancanza di leggi, ma nell'idiozia della gente che continua a credere a rimedi da fattucchiera. Un altro esempio da citare quando qualcuno chiede che male fanno l'antiscienza e la superstizione.
Fonti: Ufficio Federale di Veterinaria; Parlament.ch; Affaritaliani; BusinessInsider; NYTimes; Swissinfo.ch.
Labels:
antibufala,
antiscienza,
catlg,
medicine alternative,
pseudoscienza
2013/11/04
Il link all’occhiometro de Le Scienze
L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Nel numero corrente de Le Scienze c'è un mio articolo nel quale parlo del mio “occhiometro”, ossia della tesserina plastificata che ho sempre con me nel portafogli e che uso quando qualcuno inizia a dire che un certo fenomeno è “ovvio” perché “basta guardare, non servono gli strumenti”. La tesserina (immagine a bassa risoluzione qui accanto) contiene dei test che dimostrano invece quanto è facilmente ingannabile la percezione umana.
Purtroppo il link abbreviato citato nell'articolo (http://bit.ly/1atgvGY) è sbagliato: quello giusto, dal quale scaricare il PDF per stampare la vostra copia dell'occhiometro, è questo.
Per chi volesse saperne in breve il funzionamento:
– il cerchio centrale di entrambe le figure ha le stesse dimensioni, anche se l'occhio ci dice il contrario;
– bisogna dire ad alta voce il colore nel quale sono scritte le parole e ci metterete molto più tempo a leggere le due righe di destra;
– Angelina Jolie: raddrizzate la foto e capirete.
Nel numero corrente de Le Scienze c'è un mio articolo nel quale parlo del mio “occhiometro”, ossia della tesserina plastificata che ho sempre con me nel portafogli e che uso quando qualcuno inizia a dire che un certo fenomeno è “ovvio” perché “basta guardare, non servono gli strumenti”. La tesserina (immagine a bassa risoluzione qui accanto) contiene dei test che dimostrano invece quanto è facilmente ingannabile la percezione umana.
Purtroppo il link abbreviato citato nell'articolo (http://bit.ly/1atgvGY) è sbagliato: quello giusto, dal quale scaricare il PDF per stampare la vostra copia dell'occhiometro, è questo.
Per chi volesse saperne in breve il funzionamento:
– il cerchio centrale di entrambe le figure ha le stesse dimensioni, anche se l'occhio ci dice il contrario;
– bisogna dire ad alta voce il colore nel quale sono scritte le parole e ci metterete molto più tempo a leggere le due righe di destra;
– Angelina Jolie: raddrizzate la foto e capirete.
Allarme per cartoline d’invito a chiamare lo 02.818888640
Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “p.tiziano” e “maurizio.bucc*” ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Mi sono arrivate parecchie segnalazioni di un allarme, circolante per esempio su Facebook, che riguarda la ricezione di cartoline di avviso come quella mostrata qui accanto.
Il mittente è un “Front-Office Gestione Rientro Corrispondenza” che indica come indirizzo la casella postale 13340 di Milano.
Il testo recita: “AVVISO IMPORTANTE - E' in giacenza presso i nostri uffici corrispondenza a Lei riservata che non siamo riusciti a recapitarle - Per informazioni sul ritiro, voglia contattarci nei giorni lavorativi dalle ore 9.00 alle ore 16.00 al numero di telefono 02.818888640 citando il codice [numero variabile] - Cordiali saluti”.
Alcune versioni dell'allarme (per esempio questa e quella pubblicata da Liguria Notizie) affermano che non bisogna chiamare il numero perché “è camuffato con una numerazione di Milano” ma “è in realtà un numero internazionale a valore aggiunto, in pratica una vera salassata telefonica”.
Ma i numeri internazionali iniziano con il doppio zero, mentre il numero indicato ne ha uno solo. Inoltre l'ho chiamato (fuori orario d'ufficio) e non mi sono per ora arrivati addebiti diversi da quelli di una normale chiamata a un numero di Milano. Per ora non ho molte informazioni in proposito, a parte queste (segnalate da un lettore, Reddy, dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo), quelle pubblicate in un newsgroup di difesa dei consumatori, quelle su Chi-chiama.it e quelle dell'ADUC: tutte sembrano indicare una cartolina proceduralmente scorretta di un'organizzazione di recupero crediti. Ma di addebiti anomali in caso di telefonata non sembra esserci alcuna prova.
Mi sono arrivate parecchie segnalazioni di un allarme, circolante per esempio su Facebook, che riguarda la ricezione di cartoline di avviso come quella mostrata qui accanto.
Il mittente è un “Front-Office Gestione Rientro Corrispondenza” che indica come indirizzo la casella postale 13340 di Milano.
Il testo recita: “AVVISO IMPORTANTE - E' in giacenza presso i nostri uffici corrispondenza a Lei riservata che non siamo riusciti a recapitarle - Per informazioni sul ritiro, voglia contattarci nei giorni lavorativi dalle ore 9.00 alle ore 16.00 al numero di telefono 02.818888640 citando il codice [numero variabile] - Cordiali saluti”.
Alcune versioni dell'allarme (per esempio questa e quella pubblicata da Liguria Notizie) affermano che non bisogna chiamare il numero perché “è camuffato con una numerazione di Milano” ma “è in realtà un numero internazionale a valore aggiunto, in pratica una vera salassata telefonica”.
Ma i numeri internazionali iniziano con il doppio zero, mentre il numero indicato ne ha uno solo. Inoltre l'ho chiamato (fuori orario d'ufficio) e non mi sono per ora arrivati addebiti diversi da quelli di una normale chiamata a un numero di Milano. Per ora non ho molte informazioni in proposito, a parte queste (segnalate da un lettore, Reddy, dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo), quelle pubblicate in un newsgroup di difesa dei consumatori, quelle su Chi-chiama.it e quelle dell'ADUC: tutte sembrano indicare una cartolina proceduralmente scorretta di un'organizzazione di recupero crediti. Ma di addebiti anomali in caso di telefonata non sembra esserci alcuna prova.
2013/11/03
Mavericks, come avere indicatori visibili nel Dock
Lo so che il dogma di Apple è che all'utente non deve più importare se un'applicazione è già in esecuzione o meno e quindi l'indicazione di stato nel Dock è diventata progressivamente impercettibile, ma io sono all'antica, e se siete come me probabilmente volete avere anche in OS X Mavericks degli indicatori chiari dello stato di un'applicazione, per esempio per sapere se per caso s'è piantata o non si è chiusa correttamente. Qualcosa di un po' meno minimalista di quel fantasmino che c'è di default:
Ma a quanto mi risulta le utility di personalizzazione che funzionavano in Mountain Lion e versioni precedenti non vanno sotto Mavericks, per cui ecco come procedere (a vostro rischio e pericolo, s'intende):
Ma a quanto mi risulta le utility di personalizzazione che funzionavano in Mountain Lion e versioni precedenti non vanno sotto Mavericks, per cui ecco come procedere (a vostro rischio e pericolo, s'intende):
– Nel Finder, andate alla cartella Sistema - Libreria - CoreServices.
– Fate click destro su Dock.app e scegliete Mostra contenuto pacchetto.
– Nella finestra o scheda del Finder che mostra il pacchetto, scegliete Contents - Resources.
– Da qui copiate da un'altra parte, come copia di scorta, i file originali indicator_medium.png e indicator_medium@2x.png.
– Sostituite questi file, nella cartella Resources, con i file omonimi scaricati prima. Vi verrà chiesto di confermare dando la password di amministratore.
– Riavviate il Mac, oppure aprite una finestra di Terminale e date il comando killall dock. Fatto!
Dock con triangolo |
Dock con barra |
BadBIOS, il virus informatico che si propaga nell’aria? Troppo presto per liquidarlo come bufala
L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Repubblica ha pubblicato la notizia di un virus informatico che sarebbe in grado di propagarsi da un computer all'altro attraverso l'aria, usando le onde sonore come canale di trasmissione. Viene spontaneo liquidare la storia come una bufala, visto il suo tenore fantascientifico, ma c'è una serie di elementi che mi impediscono di farlo.
Prima di tutto, la fonte originale non è Repubblica, ma Dragos Ruiu, un esperto di sicurezza informatica molto noto nel settore. Questo non garantisce nulla, ma è certamente sufficiente a non liquidare subito come delirio le sue tesi.
In secondo luogo, bisogna notare che Ruiu fa tre asserzioni principali:
– la prima è che ha trovato un malware multipiattaforma (indipendente dal sistema operativo) che agisce a livello di firmware (BIOS/UEFI) e sopravvive a un reflashing del firmware stesso, e questo è un fenomeno già noto sul quale non ci sono particolari dubbi;
– la seconda è che il malware si diffonde tramite chiavette USB, e anche questa non è una novità (Stuxnet ne è un esempio);
– la terza è quella controversa: il malware sarebbe in grado di mantenere l'infezione usando segnali ad alta frequenza trasmessi dagli altoparlanti del computer e ricevuti dai microfoni di altri computer (destinatario e ricevente devono essere già infettati), e questo è l'aspetto sul quale ci sono molti dubbi: finora non è stato confermato da altri ricercatori e Ruiu non ha fornito prove, ma non è considerato impossibile.
Va sottolineato, a scanso di equivoci, che Ruiu non afferma che è possibile infettare un computer pulito semplicemente inviandogli dei segnali sonori: afferma che un computer già infettato da questo malware può comunicare con altri computer altrettanto infettati nelle vicinanze usando segnali acustici e usare questa comunicazione per resistere ai tentativi di disinfezione.
La fattibilità di trasmissioni acustiche in alta frequenza è stata confermata da un test di Errata Security: toni a 20 kHz emessi dall'altoparlante di un netbook sono stati ricevuti dal microfono di un Macbook Air. Mattia Butta ha fatto un test che ribadisce questa possibilità (tweet) usando il microfono delle cuffie dell'iPhone collegato a un Mac Mini e un suono non udibile (sopra i 19 kHz) generato da comuni altoparlanti e Agilent 33220A (tweet).
Oltre al canale audio, è possibile che ne esistano altri: per esempio una software-defined radio che usi le piste dei circuiti stampati come antenne (demo segnalata da Ruiu) e crei una comunicazione fra processori di computer non connessi fra loro via cavo o WiFi o Bluetooth ma fisicamente vicini. Ruiu ha proposto la teoria del canale acustico quando ha notato che scollegando microfoni e altoparlanti dei computer infettati si è interrotto lo scambio di dati. Magari (è solo una mia congettura) la comunicazione usava i circuiti degli altoparlanti come antenne radio e non c'è un canale acustico.
Il problema di fondo è che per ora abbiamo soltanto la parola di Ruiu: anche se ci sta lavorando da circa tre anni, non ha pubblicato dati oggettivi (per esempio un dump dei BIOS alterati o i font modificati che cita qui o una descrizione dettagliata dei suoi esperimenti). Può capitare anche ai migliori di innamorarsi della propria idea. Staremo a vedere: in ogni caso è uno scenario molto interessante.
Se volete saperne di più, consiglio la lettura degli articoli pubblicati da Ars Technica (dal quale sembra essere partita la notizia), SecurityArtWork, RootWyrm (totalmente scettico sull'argomento), Stefano Zanero e dal già citato Errata Security (tutti e cinque in inglese) e segnalo anche la sintesi in italiano su Siamogeek.
Repubblica ha pubblicato la notizia di un virus informatico che sarebbe in grado di propagarsi da un computer all'altro attraverso l'aria, usando le onde sonore come canale di trasmissione. Viene spontaneo liquidare la storia come una bufala, visto il suo tenore fantascientifico, ma c'è una serie di elementi che mi impediscono di farlo.
Prima di tutto, la fonte originale non è Repubblica, ma Dragos Ruiu, un esperto di sicurezza informatica molto noto nel settore. Questo non garantisce nulla, ma è certamente sufficiente a non liquidare subito come delirio le sue tesi.
In secondo luogo, bisogna notare che Ruiu fa tre asserzioni principali:
– la prima è che ha trovato un malware multipiattaforma (indipendente dal sistema operativo) che agisce a livello di firmware (BIOS/UEFI) e sopravvive a un reflashing del firmware stesso, e questo è un fenomeno già noto sul quale non ci sono particolari dubbi;
– la seconda è che il malware si diffonde tramite chiavette USB, e anche questa non è una novità (Stuxnet ne è un esempio);
– la terza è quella controversa: il malware sarebbe in grado di mantenere l'infezione usando segnali ad alta frequenza trasmessi dagli altoparlanti del computer e ricevuti dai microfoni di altri computer (destinatario e ricevente devono essere già infettati), e questo è l'aspetto sul quale ci sono molti dubbi: finora non è stato confermato da altri ricercatori e Ruiu non ha fornito prove, ma non è considerato impossibile.
Va sottolineato, a scanso di equivoci, che Ruiu non afferma che è possibile infettare un computer pulito semplicemente inviandogli dei segnali sonori: afferma che un computer già infettato da questo malware può comunicare con altri computer altrettanto infettati nelle vicinanze usando segnali acustici e usare questa comunicazione per resistere ai tentativi di disinfezione.
La fattibilità di trasmissioni acustiche in alta frequenza è stata confermata da un test di Errata Security: toni a 20 kHz emessi dall'altoparlante di un netbook sono stati ricevuti dal microfono di un Macbook Air. Mattia Butta ha fatto un test che ribadisce questa possibilità (tweet) usando il microfono delle cuffie dell'iPhone collegato a un Mac Mini e un suono non udibile (sopra i 19 kHz) generato da comuni altoparlanti e Agilent 33220A (tweet).
Oltre al canale audio, è possibile che ne esistano altri: per esempio una software-defined radio che usi le piste dei circuiti stampati come antenne (demo segnalata da Ruiu) e crei una comunicazione fra processori di computer non connessi fra loro via cavo o WiFi o Bluetooth ma fisicamente vicini. Ruiu ha proposto la teoria del canale acustico quando ha notato che scollegando microfoni e altoparlanti dei computer infettati si è interrotto lo scambio di dati. Magari (è solo una mia congettura) la comunicazione usava i circuiti degli altoparlanti come antenne radio e non c'è un canale acustico.
Il problema di fondo è che per ora abbiamo soltanto la parola di Ruiu: anche se ci sta lavorando da circa tre anni, non ha pubblicato dati oggettivi (per esempio un dump dei BIOS alterati o i font modificati che cita qui o una descrizione dettagliata dei suoi esperimenti). Può capitare anche ai migliori di innamorarsi della propria idea. Staremo a vedere: in ogni caso è uno scenario molto interessante.
Se volete saperne di più, consiglio la lettura degli articoli pubblicati da Ars Technica (dal quale sembra essere partita la notizia), SecurityArtWork, RootWyrm (totalmente scettico sull'argomento), Stefano Zanero e dal già citato Errata Security (tutti e cinque in inglese) e segnalo anche la sintesi in italiano su Siamogeek.
2013/11/02
Come cancellarsi da Facebook, Twitter, Linkedin, Google+ e altri siti
Gizmodo ha una guida dettagliata su come procedere. Purtroppo non ho tempo di tradurla dall'inglese, ma spero vi possa essere utile lo stesso.
Iscriviti a:
Post (Atom)