Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2016/07/12
Stamattina si parla di Star Trek alla Radio Svizzera
Questa mattina dalle 11:10 sarò in diretta sulla Rete Uno (radio) della Radiotelevisione Svizzera insieme al giornalista e fisico Marco Cagnotti per parlare di Star Trek e fantascienza in generale nella puntata di Millevoci condotta da Nicola Colotti. La diretta sarà ascoltabile in streaming presso www.rsi.ch/live-radio/rete-uno.
14:30. La diretta è ora riascoltabile qui.
14:30. La diretta è ora riascoltabile qui.
2016/07/10
Pubblicato il codice sorgente di Apollo 11, ma non è una novità
Lo schermo e la tastiera di un Apollo
Guidance Computer (AGC).
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Mi sono arrivate moltissime segnalazioni della pubblicazione su Github del codice sorgente del software usato a bordo di Apollo 11, la prima missione che portò due esseri umani sulla Luna.
In realtà non si tratta di una novità o di una rivelazione: il software usato dagli AGC (Apollo Guidance Computer) è disponibile da decenni su carta e nel luglio del 2009 è stato trascritto e pubblicato da Google in forma digitale, ed esiste un emulatore dei computer di bordo sul quale farlo girare, come racconta Stefano Petroni su Siamogeek.
Come nota Luigi Rosa sempre su Siamogeek, si tratta di software eccezionale per l’epoca, di cui Quartz offre una magnifica analisi dettagliata insieme alle spiegazioni delle battute di umorismo per informatici appassionati di spazio (segnalazioni di bachi da risolvere, del tipo “un cliente si è lamentato che questa istruzione ha causato lo scoppio di un serbatoio”, riferita ad Apollo 13) che stanno emergendo (anche su Reddit) grazie alla ripubblicazione. Non mancano le chicche nei commenti del listato, come “NUMERO MYSTERIOSO” (riga 666) oppure il classico “TEMPORARY I HOPE HOPE HOPE” (righe 179 e 180).
Per chi volesse conoscere la storia di questo software e dell’hardware altrettanto straordinario sul quale girava (8K di RAM, clock a 2,048 Mhz – sì, quella è una virgola), consiglio questo articolo di Linux.com e questo documento della NASA.
Per gli zucconi che ancora credono che fu tutta una messinscena, l’esistenza di questo software (funzionante) aggiunge un ennesimo livello di difficoltà alla loro tesi: per falsificare le missioni sarebbe stato necessario anche scrivere tutto questo codice avanzatissimo, farlo validare dai migliori esperti, e poi generare le risposte che gli esperti si aspettavano di ricevere dal software durante ogni momento delle sei missioni che scesero sulla Luna. Quindi erano coinvolte nella finzione anche orde di programmatori? Erano implicati anche i tecnici che ricevevano a Terra i segnali dai computer di bordo? Quanta gente sarebbe stato necessario includere nella cospirazione? Appunto.
Fonti aggiuntive: The Verge, APCMag.
2016/07/08
Podcast del Disinformatico del 2016/07/08
È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!
Antibufala: dopo il referendum Brexit, britannici cercano in massa su Google “Cos’è l’UE?”
Dopo il risultato a sorpresa del referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea ha fatto scalpore e suscitato notevole divertimento una notizia curiosa: nelle ore successive all’annuncio del risultato referendario è esploso nel Regno Unito il numero di ricerche su Google di domande come “Cosa significa lasciare l’UE?” e “Cos’è l’Unione Europea?”.
Lo hanno scritto tante testate (qualche esempio), attingendo a una fonte autorevole, ossia Google, in particolare questo tweet di Google Trends, che descrive un aumento del 250% delle ricerche della domanda “Cosa succede se lasciamo l’UE?”.
Il dato percentuale in sé è vero: quello che manca nella notizia è il numero delle ricerche che hanno generato la percentuale. Come ha notato per esempio Steve Patterson, Google Trends fornisce solo una percentuale, ma Google Adwords fornisce i numeri corrispondenti, che rivelano che la ricerca è stata fatta da meno di mille persone.
Patterson spiega che in un giorno qualunque, per esempio a maggio 2016, la frase “What is the EU?” è stata cercata in media 270 volte al giorno nel Regno Unito. La notizia clamorosa si basa sul fatto che il giorno dopo l’annuncio della vittoria dei pro-Brexit la stessa ricerca è stata fatta da 675 persone in più: un numero assolutamente insignificante, equivalente a qualche scolaresca che si prepara per un compito basato sull’attualità.
Quando vedete una percentuale, insomma, chiedetevi sempre quali sono i numeri sui quali si basa, perché per molti giornalisti la tentazione di un titolo sensazionale è irresistibile.
Fonti aggiuntive: The Telegraph.
Lo hanno scritto tante testate (qualche esempio), attingendo a una fonte autorevole, ossia Google, in particolare questo tweet di Google Trends, che descrive un aumento del 250% delle ricerche della domanda “Cosa succede se lasciamo l’UE?”.
Il dato percentuale in sé è vero: quello che manca nella notizia è il numero delle ricerche che hanno generato la percentuale. Come ha notato per esempio Steve Patterson, Google Trends fornisce solo una percentuale, ma Google Adwords fornisce i numeri corrispondenti, che rivelano che la ricerca è stata fatta da meno di mille persone.
Patterson spiega che in un giorno qualunque, per esempio a maggio 2016, la frase “What is the EU?” è stata cercata in media 270 volte al giorno nel Regno Unito. La notizia clamorosa si basa sul fatto che il giorno dopo l’annuncio della vittoria dei pro-Brexit la stessa ricerca è stata fatta da 675 persone in più: un numero assolutamente insignificante, equivalente a qualche scolaresca che si prepara per un compito basato sull’attualità.
Quando vedete una percentuale, insomma, chiedetevi sempre quali sono i numeri sui quali si basa, perché per molti giornalisti la tentazione di un titolo sensazionale è irresistibile.
Fonti aggiuntive: The Telegraph.
Badoo, allerta per possibile violazione in massa degli account
Ci sono furti di password che bruciano più di altri: trovarsi con un account Instagram violato per molti non è un problema, perché basta farne uno nuovo e avvisare gli amici. Ma se l’account rubato è su Badoo, frequentatissimo sito d’incontri, la cosa scoccia parecchio, perché spesso questi account vengono usati per conversazioni molto intime (e non solo conversazioni) e per infedeltà reali o virtuali. Scoprire che il proprio account su Badoo è stato violato e che qualcun altro ne ha la password potrebbe causare imbarazzi più che notevoli.
L’informatico Troy Hunt, collaboratore esterno di Microsoft, segnala che sono in circolazione nei bassifondi di Internet i dati di circa 112 milioni di account Badoo, e offre un servizio gratuito, HaveIBeenPwned.com (traducibile con “mi hanno fregato” – la P non è un refuso), nel quale si può immettere un indirizzo di mail (proprio o altrui) per sapere se compare negli elenchi di account violati, di cui Hunt fa collezione.
Hunt sottolinea che questo recente elenco di account Badoo non è verificato, nel senso che i responsabili di Badoo non hanno segnalato alcuna violazione del sito e quindi è possibile che si tratti semplicemente di un elenco di utenti che hanno usato su Badoo la stessa password usata anche su un altro sito che è stato violato oppure di utenti che si sono fatti infettare da malware che colleziona password. Casi come questo sono frequenti: è successo di recente per 272 milioni di account Hotmail, Yahoo, Gmail e Mail.ru e per 32 milioni di account Twitter.
Anche se il furto di account Badoo non è verificato, se avete un account presso questo fornitore di servizi è buona cosa cambiarne la password e magari iscriversi gratuitamente al servizio di allerta di HaveIBeenPwned, affidandogli i propri indirizzi di mail in modo da ricevere un avviso se compaiono in qualche archivio di account rubati. E magari abbandonare, una volta per tutte, la pessima abitudine di usare ovunque la stessa password.
L’informatico Troy Hunt, collaboratore esterno di Microsoft, segnala che sono in circolazione nei bassifondi di Internet i dati di circa 112 milioni di account Badoo, e offre un servizio gratuito, HaveIBeenPwned.com (traducibile con “mi hanno fregato” – la P non è un refuso), nel quale si può immettere un indirizzo di mail (proprio o altrui) per sapere se compare negli elenchi di account violati, di cui Hunt fa collezione.
Hunt sottolinea che questo recente elenco di account Badoo non è verificato, nel senso che i responsabili di Badoo non hanno segnalato alcuna violazione del sito e quindi è possibile che si tratti semplicemente di un elenco di utenti che hanno usato su Badoo la stessa password usata anche su un altro sito che è stato violato oppure di utenti che si sono fatti infettare da malware che colleziona password. Casi come questo sono frequenti: è successo di recente per 272 milioni di account Hotmail, Yahoo, Gmail e Mail.ru e per 32 milioni di account Twitter.
Anche se il furto di account Badoo non è verificato, se avete un account presso questo fornitore di servizi è buona cosa cambiarne la password e magari iscriversi gratuitamente al servizio di allerta di HaveIBeenPwned, affidandogli i propri indirizzi di mail in modo da ricevere un avviso se compaiono in qualche archivio di account rubati. E magari abbandonare, una volta per tutte, la pessima abitudine di usare ovunque la stessa password.
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Controlli parentali, quarta parte: Android
Prosegue la panoramica di soluzioni per il controllo parentale dei dispositivi digitali: dopo iPhone, iPad e iPod touch, stavolta è il turno dei dispositivi mobili basati su Android (praticamente quasi tutti tranne quelli di Apple e di Microsoft).
Le soluzioni incorporate nel dispositivo sono abbastanza limitate: le versioni recenti consentono di creare un secondo profilo da supervisore, da usare per impostare delle restrizioni, per esempio bloccando l’accesso al Play Store o a specifiche app a rischio (quelle dei social network, di solito) oppure impostando limiti di età sui giochi e sui video di Youtube. Tutto parte da Impostazioni - Utenti - Aggiungi utente: i dettagli sono in questo articolo.
Se volete un controllo più esteso, però, è necessario installare delle applicazioni apposite: segnalo per esempio Kaspersky Safe Kids, F-Secure SAFE, Kids Place/Bambini Place, Norton Family Parental Control o Funamo Parental Control, che aggiungono alle restrizioni elencate sopra anche il controllo su telefonate uscenti e ricevute, sull’invio di SMS, sui siti visitati e soprattutto impostano limiti di tempo inesorabili e la possibilità di localizzare il telefonino (e quindi, entro certi limiti, il minore).
Come sempre, va ricordato che un’app non sarà mai una soluzione perfetta e non sostituisce il lavoro del genitore ma è solo un ausilio per semplificare questo lavoro. Soprattutto con i più piccoli, la navigazione in Rete dovrà essere sempre accompagnata, e accanto alle app di protezione ci dovranno essere raccomandazioni preventive:
– non dare a sconosciuti nome, cognome, indirizzo, numero di telefonino, scuola frequentata, indirizzi di mail o password;
– ci sono persone che si fingono amiche o parenti ma non lo sono;
– se una pagina mostra qualcosa che mette a disagio, va chiusa subito;
– se qualcosa mette a disagio o spaventa, bisogna parlarne con i genitori.
Le soluzioni incorporate nel dispositivo sono abbastanza limitate: le versioni recenti consentono di creare un secondo profilo da supervisore, da usare per impostare delle restrizioni, per esempio bloccando l’accesso al Play Store o a specifiche app a rischio (quelle dei social network, di solito) oppure impostando limiti di età sui giochi e sui video di Youtube. Tutto parte da Impostazioni - Utenti - Aggiungi utente: i dettagli sono in questo articolo.
Se volete un controllo più esteso, però, è necessario installare delle applicazioni apposite: segnalo per esempio Kaspersky Safe Kids, F-Secure SAFE, Kids Place/Bambini Place, Norton Family Parental Control o Funamo Parental Control, che aggiungono alle restrizioni elencate sopra anche il controllo su telefonate uscenti e ricevute, sull’invio di SMS, sui siti visitati e soprattutto impostano limiti di tempo inesorabili e la possibilità di localizzare il telefonino (e quindi, entro certi limiti, il minore).
Come sempre, va ricordato che un’app non sarà mai una soluzione perfetta e non sostituisce il lavoro del genitore ma è solo un ausilio per semplificare questo lavoro. Soprattutto con i più piccoli, la navigazione in Rete dovrà essere sempre accompagnata, e accanto alle app di protezione ci dovranno essere raccomandazioni preventive:
– non dare a sconosciuti nome, cognome, indirizzo, numero di telefonino, scuola frequentata, indirizzi di mail o password;
– ci sono persone che si fingono amiche o parenti ma non lo sono;
– se una pagina mostra qualcosa che mette a disagio, va chiusa subito;
– se qualcosa mette a disagio o spaventa, bisogna parlarne con i genitori.
Link sospetti da verificare? Sbirciateli con UrlQuery.net
Se vi capita spesso, come capita quasi a tutti, di ricevere mail sospette che contengono inviti a cliccare su link che promettono di darvi un premio o di risolvere un problema con un vostro account sarete probabilmente abituati a riconoscerli e cestinarli subito senza pensarci più. Ma magari vi piacerebbe sapere esattamente cosa si cela dietro questi link.
Cliccarvi sopra è ovviamente fuori discussione: è quello che vogliono i truffatori che vi hanno mandato la mail. Ma c'è un modo per visitare questi link senza mettersi in pericolo: farli visitare a qualcun altro. In questo caso, il qualcun altro non è un vostro amico da sacrificare, ma è UrlQuery.net: vi immettete il link e lui lo interpreta, mostrandovi la sua vera natura e anche un’immagine del suo aspetto.
Per esempio, provo a prendere una delle tante mail di phishing che ricevo, copio un suo link con un clic destro e lo incollo in UrlQuery.net. Il risultato, dopo una breve attesa, è questo:
La cosa più importante, almeno in termini di curiosità, è in alto: il link esaminato e convertito in modo da mostrare la destinazione finale della mail truffaldina, decodificando tutti gli abbreviatori di link e i redirect che servono ai truffatori per nascondere le proprie tracce.
Accanto al link c’è quello che volevamo: una schermata di quello che troveremmo sul sito dei truffatori se seguissimo il link. In questo caso incontreremmo una pessima imitazione di una pagina di login di TIM, ma non sempre la truffa è così evidente. Dettaglio interessante: quella pagina esiste indisturbata dal 2014.
Magari vi chiedete che senso abbia, per i truffatori, creare un’imitazione così malfatta: per cascarci bisognerebbe essere davvero sprovveduti. E i truffatori vogliono vittime facili e sprovvedute. In altre parole, la pessima qualità del sito fa da filtro per selezionare i candidati più appetibili.
Cliccarvi sopra è ovviamente fuori discussione: è quello che vogliono i truffatori che vi hanno mandato la mail. Ma c'è un modo per visitare questi link senza mettersi in pericolo: farli visitare a qualcun altro. In questo caso, il qualcun altro non è un vostro amico da sacrificare, ma è UrlQuery.net: vi immettete il link e lui lo interpreta, mostrandovi la sua vera natura e anche un’immagine del suo aspetto.
Per esempio, provo a prendere una delle tante mail di phishing che ricevo, copio un suo link con un clic destro e lo incollo in UrlQuery.net. Il risultato, dopo una breve attesa, è questo:
La cosa più importante, almeno in termini di curiosità, è in alto: il link esaminato e convertito in modo da mostrare la destinazione finale della mail truffaldina, decodificando tutti gli abbreviatori di link e i redirect che servono ai truffatori per nascondere le proprie tracce.
Accanto al link c’è quello che volevamo: una schermata di quello che troveremmo sul sito dei truffatori se seguissimo il link. In questo caso incontreremmo una pessima imitazione di una pagina di login di TIM, ma non sempre la truffa è così evidente. Dettaglio interessante: quella pagina esiste indisturbata dal 2014.
Magari vi chiedete che senso abbia, per i truffatori, creare un’imitazione così malfatta: per cascarci bisognerebbe essere davvero sprovveduti. E i truffatori vogliono vittime facili e sprovvedute. In altre parole, la pessima qualità del sito fa da filtro per selezionare i candidati più appetibili.
Comandi vocali nascosti nei video attivano i telefonini? Calma un attimo
Sta circolando la notizia che dei ricercatori della Georgetown University e della University of California hanno dimostrato di poter eseguire comandi a distanza sugli smartphone Android e iOS ricorrendo a istruzioni vocali fortemente distorte, diffuse da un altoparlante. Il video è notevole, anche perché i comandi sono incomprensibili all’orecchio umano (perlomeno al mio) ma vengono capiti egregiamente dal telefonino, e hanno una sonorità inquietante.
Il risultato, nel video, è che un comando vocale riesce a far visitare un sito (che potrebbe essere un sito ostile o imbarazzante) e addirittura riesce a mettere il telefonino in modalità aereo: in pratica lo spegne a distanza, rendendo irreperibile il suo proprietario.
Ma la realtà dei fatti non è così semplice ed elegante come mostrato nel video, perlomeno secondo le mie prove. Infatti non sono riuscito a replicare gli effetti descritti facendo ascoltare il video all mio Nexus 5X, sul quale ho Android 6.0.1, che ho impostato andando in Impostazioni - Lingua e immissione - Lingua - English (US) e poi attivando OK Google (Settings - Language and input - Google Voice Typing - "Ok Google" detection - Always on), probabilmente perché questa versione di Android confronta l’audio con i campioni della mia voce che mi ha chiesto e accetta solo la mia voce o una voce molto simile.
L’articolo scientifico originale cita la versione 4.4.2 di Android (oltre alla versione 9.1 di iOS), per cui ho riesumato un vecchio Switel con Android 4.4.2 e l’ho configurato come sopra. Stavolta Google non mi ha chiesto campioni della mia voce e il riconoscimento dei comandi distorti è andato un pochino meglio: il comando “Ok Google” è stato riconosciuto, ma soltanto quando ho riprodotto l’audio mettendo l’altoparlante a ridosso del microfono dello smartphone.
Morale della storia: la dimostrazione dei ricercatori è concettualmente intrigante, perché mostra una vulnerabilità che molti non immaginano, ma in termini realistici le possibilità di eseguire un attacco in questo modo sono piuttosto modeste: serve un Android vecchio, sul quale sia attiva l’opzione OK Google e sia anche stata scelta la lingua corrispondente a quella delle registrazioni audio usate per l’attacco. Inoltre le condizioni audio necessarie sono particolarmente delicate.
In realtà se avete un Android vulnerabile a questo attacco dovreste preoccuparvi del fatto che state usando una versione di Android troppo antica, che vi espone a ben altri attacchi più semplici e probabili. Ma questa è un’altra storia.
Il risultato, nel video, è che un comando vocale riesce a far visitare un sito (che potrebbe essere un sito ostile o imbarazzante) e addirittura riesce a mettere il telefonino in modalità aereo: in pratica lo spegne a distanza, rendendo irreperibile il suo proprietario.
Ma la realtà dei fatti non è così semplice ed elegante come mostrato nel video, perlomeno secondo le mie prove. Infatti non sono riuscito a replicare gli effetti descritti facendo ascoltare il video all mio Nexus 5X, sul quale ho Android 6.0.1, che ho impostato andando in Impostazioni - Lingua e immissione - Lingua - English (US) e poi attivando OK Google (Settings - Language and input - Google Voice Typing - "Ok Google" detection - Always on), probabilmente perché questa versione di Android confronta l’audio con i campioni della mia voce che mi ha chiesto e accetta solo la mia voce o una voce molto simile.
L’articolo scientifico originale cita la versione 4.4.2 di Android (oltre alla versione 9.1 di iOS), per cui ho riesumato un vecchio Switel con Android 4.4.2 e l’ho configurato come sopra. Stavolta Google non mi ha chiesto campioni della mia voce e il riconoscimento dei comandi distorti è andato un pochino meglio: il comando “Ok Google” è stato riconosciuto, ma soltanto quando ho riprodotto l’audio mettendo l’altoparlante a ridosso del microfono dello smartphone.
Morale della storia: la dimostrazione dei ricercatori è concettualmente intrigante, perché mostra una vulnerabilità che molti non immaginano, ma in termini realistici le possibilità di eseguire un attacco in questo modo sono piuttosto modeste: serve un Android vecchio, sul quale sia attiva l’opzione OK Google e sia anche stata scelta la lingua corrispondente a quella delle registrazioni audio usate per l’attacco. Inoltre le condizioni audio necessarie sono particolarmente delicate.
In realtà se avete un Android vulnerabile a questo attacco dovreste preoccuparvi del fatto che state usando una versione di Android troppo antica, che vi espone a ben altri attacchi più semplici e probabili. Ma questa è un’altra storia.
2016/07/07
Incidente Tesla: il nome Autopilot è ingannevole? Due parole con Elon Musk
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/07/10 10:00.
Ieri (6 luglio) Tesla Motors ha pubblicato una risposta tecnica a un articolo di Fortune che la accusa di aver proceduto all’offerta pubblica di oltre due miliardi di dollari di azioni senza aver informato il pubblico dell’incidente automobilistico avvenuto in Florida nel quale è stata coinvolta una Tesla Model S che procedeva con il sistema di guida assistita inserito. Secondo Fortune questo incidente andava comunicato al pubblico prima dell’offerta di azioni perché rivela un difetto importante nel sistema di guida assistita (che Tesla Motors chiama Pilota automatico o Autopilot e ha introdotto a ottobre 2015) che avrà effetto sul valore delle azioni dell’azienda.
Tesla Motors ha risposto dicendo che l’incidente è stato causato innanzi tutto dal fatto che un TIR ha tagliato la strada al conducente dell’auto e che non ci sono indicazioni che l’Autopilot non abbia funzionato “come progettato e descritto agli utenti: specificamente, come sistema di ausilio alla guida che mantiene la posizione del veicolo in corsia e adatta la velocità del veicolo al traffico circostante”. In originale:
Elon Musk ha risposto via Twitter con toni decisamente aggressivi, rimproverando Alan Murray, il giornalista di Fortune, di aver scritto un “articolo di fandonie” che ha “aumentato i vostri ricavi pubblicitari – perché non scrivete articoli sul milione e passa di morti/anno causati dalle altre case automobilistiche?”
Ne è nata una discussione, alla quale mi sono aggiunto anch’io notando che il fatto di chiamare Autopilot un sistema di guida assistita crea, a mio parere, delle attese irrealistiche nell’opinione pubblica. Le altre case automobilistiche che offrono sistemi di guida assistita non usano nomi così accattivanti come Pilota automatico.
Nell’utente medio, quello che non approfondisce i dettagli tecnici ma semplicemente compra l’auto come compra una lavatrice (mi ci metto anch’io), e nell’opinione pubblica (per gran parte della quale la Tesla è solo “quell’auto elettrica carissima che va da sola”), il termine Autopilot evoca secondo me eccessivamente l’idea di una guida autonoma, durante la quale il conducente può fare altro. Mi chiedo, e ho chiesto ai partecipanti alla discussione, se questo nome abbia creato una falsa impressione d’infallibilità e di potenza prestazionale dell’Autopilot che ha indotto molti a sopravvalutarne le reali capacità.
Il risultato di questa sopravvalutazione è il numero esagerato di video popolarissimi nei quali gli utenti Tesla dimostrano che l’auto tiene la strada da sola mentre il guidatore chiude o si copre gli occhi o legge il giornale: cose proibitissime dal manuale dell’auto e dal materiale informativo di Tesla Motors. Persino la moglie di Elon Musk è stata colta a fare cose di questo genere. Il risultato è, forse, un morto in Florida, accompagnato da un’enorme reazione mediatica a questo incidente, primo nel suo genere. L’intervista della ABC ai testimoni dell’incidente raccoglie la loro paura per un’auto che ha – dicono – proseguito la propria corsa autonomamente dopo la collisione (non è andata così, ma la loro impressione è stata quella). C’è addirittura chi, come Vanity Fair, dice che il nome Autopilot andrebbe cambiato in favore di qualcosa che “faccia meno paura”.
Tesla Motors sottolinea a ogni occasione che l’Autopilot è un sistema di guida assistita nel quale il conducente è comunque responsabile e durante il cui uso è necessaria la massima vigilanza. Ma di fatto l’incidente mortale in Florida è accaduto prima di tutto perché un TIR ha tagliato la strada a una Tesla (prima causa fondamentale, che non va dimenticata) e secondariamente perché il conducente non ha nemmeno tentato la frenata o la sterzata, come se non avesse visto avvicinarsi e poi mettersi di traverso davanti a sé un ostacolo enorme. Perché non l’ha visto? Era distratto perché si fidava troppo di un sistema che Tesla Motors propone come guida assistita ma chiama in modo ingannevole Pilota automatico?
Questa è una foto, tratta da Google Street View, del luogo dell’incidente, presa dal punto di vista del conducente della Tesla. Il TIR proveniva dalla carreggiata a sinistra e ha attraversato l’incrocio a raso. Era pomeriggio, in ottime condizioni di visibilità.
Come ha fatto il guidatore della Tesla, il quarantenne Joshua Brown, a non vedere l’autoarticolato che svoltava, si inseriva nell’incrocio e gli si presentava davanti? Come ha fatto a non accorgersene al punto di non toccare nemmeno il pedale del freno o tentare di schivarlo? Forse ci sono dettagli che ancora non sono stati resi noti e che cambiano tutto, ma quello che si sa fin qui sembra suggerire che il conducente non fosse affatto attento e vigile come invece Tesla ribadisce che dev’essere chi guida con l’Autopilot. L’analisi pubblicata da The Drive indica che se Brown fosse stato attento, anche procedendo alla velocità più alta stimata dai testimoni, avrebbe avuto tempo almeno di toccare il pedale del freno.
Cosa non meno importante: in queste condizioni, come mai l’Autopilot non è intervenuto nemmeno per tentare una frenata disperata? Come mai i sensori (telecamera e radar) non hanno visto un autoarticolato che si metteva di traverso? Formalmente questo fatto non è un difetto dell’Autopilot, perché l’Autopilot non è progettato per riconoscere veicoli messi di traverso. Anzi, dice Musk, il suo radar è progettato per ignorare grandi superfici messe di traverso sopra la carreggiata: vale a dire, i cartelli stradali sospesi, ma a quanto pare anche le fiancate di TIR il cui rimorchio non ha barriere laterali sotto il pianale.
Quanti proprietari di Tesla sono al corrente di questa particolarissima limitazione e sanno che la loro auto ipersofisticata è in realtà cieca agli ostacoli proprio all’altezza dell’abitacolo?
Come giornalista informatico, lavorando alla radio, avendo un blog e un profilo Twitter abbastanza seguiti e facendo parecchi incontri pubblici, mi capita spesso di sentire le opinioni di tante persone sugli oggetti tecnologici, comprese le auto “intelligenti”. E vedo regolarmente che è diffusissima l’idea che le Tesla, in particolare, siano automobili autonome, nelle quali ti siedi al volante ma fanno tutto loro. C’è una visione magica della tecnologia Tesla che ricorda molto quella dei prodotti Apple dell’era di Steve Jobs.
A un certo punto della discussione è intervenuto Elon Musk (o chi gestisce per lui il suo account Twitter), giustificando il nome Autopilot con un paragone con il pilota automatico aeronautico:
Io e altri abbiamo fatto notare, insomma, che un pilota d’aereo riceve un addestramento di gran lunga superiore a quello di un automobilista e che specialmente per i sistemi di guida assistita l’addestramento dato al conducente si limita quasi sempre a una spiegazione presso il concessionario, al momento del ritiro dell’auto, e a un invito a leggersi il manuale. Un pilota di linea guida per lavoro, ed è pagato per concentrarsi sul pilotaggio: un automobilista no.
Ci sono inoltre delle differenze enormi fra un pilota automatico moderno (quello di un aereo di linea, per esempio) e l’Autopilot di Tesla.
– Un pilota automatico d’aereo ha un sistema anticollisione automatico che negozia con l'altro veicolo la traiettoria per evitare collisioni (TCAS). L’Autopilot no.
– Un pilota automatico d’aereo è in grado di gestire la rotta per raggiungere la destinazione indicata dal pilota: l’Autopilot non segue la strada indicata dal navigatore, ma semplicemente segue le strisce della corsia della strada sulla quale si trova.
– In cielo non ci sono semafori e la Tesla non riconosce i semafori. Se è in Autopilot, attraverserà un incrocio col rosso.
– Un pilota automatico d'aereo non è cieco a qualunque oggetto si trovi davanti e sopra, ad altezza d'abitacolo.
– A un pilota di aereo di linea non si chiede di accettare come “pilota automatico” un software che è ancora sperimentale.*
*Elon Musk, a ottobre 2015, ha presentato l’Autopilot di Tesla Motors dicendo chiaramente “We still think of it as a public beta, so we want people to be quite careful” e ;ancora oggi l’Autopilot è definito dal costruttore almeno in parte come “software beta”. Inoltre al conducente che sceglie di installarlo viene chiesto di accettare una clausola apposita di responsabilità limitata.
Il paragone aeronautico non regge, insomma. Forse dovremmo usare, per il sistema di guida della Tesla, un nome meno ambiguo, come Driver Assistant, Pilot Assistant, Sidekick o qualcos’altro che chiarisca inequivocabilmente il ruolo di supporto al guidatore e non di suo sostituto (fra l’altro, il manuale dell’Autopilot versione 7.1 parla di “Driver Assistance hardware”).
Certo, ci saranno sempre gli stupidi e gli incoscienti che ignoreranno gli avvisi e i nomi, non importa quanto siano chiari (come succede per le cinture di sicurezza, per esempio): ma se un nome meno ingannevole e una campagna promozionale meno sensazionale possono salvare delle vite, secondo me vale la pena di adottarli. Spero che Elon Musk aggiorni il software e i sensori in modo da rendere più difficili comportamenti pericolosi che abusano dell’Autopilot: per esempio con una telecamerina che riconosca i contorni del volto del conducente e si accorga se sta guardando in avanti o no.
Adoro le auto elettriche e le auto autonome/assistite e in particolare le Tesla, tanto da averne ordinata una (la Model 3): inquinano meno e promettono di ridurre gli incidenti e il tempo perso nella guida. Mi dispiacerebbe molto se un nome ingannevole come Autopilot causasse una reazione ostile alle auto di questo tipo, alimentata dall’ignoranza, dal pregiudizio e dalla disattenzione. Presentare questa tecnologia come se fosse matura, quando in realtà non lo è, è pericoloso, perché spinge a una guida eccessivamente fiduciosa e disattenta. Ed è pericoloso in generale per il futuro, soprattutto adesso che si sta discutendo, negli Stati Uniti, la normativa federale sulle auto autonome.
Siamo a una svolta decisiva in un campo tecnologico che ha un potere enorme di trasformare la nostra società: vediamo di affrontarla con prudenza e con informazioni corrette.
Ieri (6 luglio) Tesla Motors ha pubblicato una risposta tecnica a un articolo di Fortune che la accusa di aver proceduto all’offerta pubblica di oltre due miliardi di dollari di azioni senza aver informato il pubblico dell’incidente automobilistico avvenuto in Florida nel quale è stata coinvolta una Tesla Model S che procedeva con il sistema di guida assistita inserito. Secondo Fortune questo incidente andava comunicato al pubblico prima dell’offerta di azioni perché rivela un difetto importante nel sistema di guida assistita (che Tesla Motors chiama Pilota automatico o Autopilot e ha introdotto a ottobre 2015) che avrà effetto sul valore delle azioni dell’azienda.
Tesla Motors ha risposto dicendo che l’incidente è stato causato innanzi tutto dal fatto che un TIR ha tagliato la strada al conducente dell’auto e che non ci sono indicazioni che l’Autopilot non abbia funzionato “come progettato e descritto agli utenti: specificamente, come sistema di ausilio alla guida che mantiene la posizione del veicolo in corsia e adatta la velocità del veicolo al traffico circostante”. In originale:
To be clear, this accident was the result of a semi-tractor trailer crossing both lanes of a divided highway in front of an oncoming car. Whether driven under manual or assisted mode, this presented a challenging and unexpected emergency braking scenario for the driver to respond to. In the moments leading up to the collision, there is no evidence to suggest that Autopilot was not operating as designed and as described to users: specifically, as a driver assistance system that maintains a vehicle's position in lane and adjusts the vehicle's speed to match surrounding traffic.
Elon Musk ha risposto via Twitter con toni decisamente aggressivi, rimproverando Alan Murray, il giornalista di Fortune, di aver scritto un “articolo di fandonie” che ha “aumentato i vostri ricavi pubblicitari – perché non scrivete articoli sul milione e passa di morti/anno causati dalle altre case automobilistiche?”
@alansmurray Yes, it was material to you -- BS article increased your advertising revenue. Just wasn't material to TSLA, as shown by market.— Elon Musk (@elonmusk) 5 luglio 2016
@alansmurray If you care about auto deaths as material to stock prices, why no articles about 1M+/year deaths from other auto companies?— Elon Musk (@elonmusk) 5 luglio 2016
Nell’utente medio, quello che non approfondisce i dettagli tecnici ma semplicemente compra l’auto come compra una lavatrice (mi ci metto anch’io), e nell’opinione pubblica (per gran parte della quale la Tesla è solo “quell’auto elettrica carissima che va da sola”), il termine Autopilot evoca secondo me eccessivamente l’idea di una guida autonoma, durante la quale il conducente può fare altro. Mi chiedo, e ho chiesto ai partecipanti alla discussione, se questo nome abbia creato una falsa impressione d’infallibilità e di potenza prestazionale dell’Autopilot che ha indotto molti a sopravvalutarne le reali capacità.
Il risultato di questa sopravvalutazione è il numero esagerato di video popolarissimi nei quali gli utenti Tesla dimostrano che l’auto tiene la strada da sola mentre il guidatore chiude o si copre gli occhi o legge il giornale: cose proibitissime dal manuale dell’auto e dal materiale informativo di Tesla Motors. Persino la moglie di Elon Musk è stata colta a fare cose di questo genere. Il risultato è, forse, un morto in Florida, accompagnato da un’enorme reazione mediatica a questo incidente, primo nel suo genere. L’intervista della ABC ai testimoni dell’incidente raccoglie la loro paura per un’auto che ha – dicono – proseguito la propria corsa autonomamente dopo la collisione (non è andata così, ma la loro impressione è stata quella). C’è addirittura chi, come Vanity Fair, dice che il nome Autopilot andrebbe cambiato in favore di qualcosa che “faccia meno paura”.
Tesla Motors sottolinea a ogni occasione che l’Autopilot è un sistema di guida assistita nel quale il conducente è comunque responsabile e durante il cui uso è necessaria la massima vigilanza. Ma di fatto l’incidente mortale in Florida è accaduto prima di tutto perché un TIR ha tagliato la strada a una Tesla (prima causa fondamentale, che non va dimenticata) e secondariamente perché il conducente non ha nemmeno tentato la frenata o la sterzata, come se non avesse visto avvicinarsi e poi mettersi di traverso davanti a sé un ostacolo enorme. Perché non l’ha visto? Era distratto perché si fidava troppo di un sistema che Tesla Motors propone come guida assistita ma chiama in modo ingannevole Pilota automatico?
Questa è una foto, tratta da Google Street View, del luogo dell’incidente, presa dal punto di vista del conducente della Tesla. Il TIR proveniva dalla carreggiata a sinistra e ha attraversato l’incrocio a raso. Era pomeriggio, in ottime condizioni di visibilità.
Come ha fatto il guidatore della Tesla, il quarantenne Joshua Brown, a non vedere l’autoarticolato che svoltava, si inseriva nell’incrocio e gli si presentava davanti? Come ha fatto a non accorgersene al punto di non toccare nemmeno il pedale del freno o tentare di schivarlo? Forse ci sono dettagli che ancora non sono stati resi noti e che cambiano tutto, ma quello che si sa fin qui sembra suggerire che il conducente non fosse affatto attento e vigile come invece Tesla ribadisce che dev’essere chi guida con l’Autopilot. L’analisi pubblicata da The Drive indica che se Brown fosse stato attento, anche procedendo alla velocità più alta stimata dai testimoni, avrebbe avuto tempo almeno di toccare il pedale del freno.
Cosa non meno importante: in queste condizioni, come mai l’Autopilot non è intervenuto nemmeno per tentare una frenata disperata? Come mai i sensori (telecamera e radar) non hanno visto un autoarticolato che si metteva di traverso? Formalmente questo fatto non è un difetto dell’Autopilot, perché l’Autopilot non è progettato per riconoscere veicoli messi di traverso. Anzi, dice Musk, il suo radar è progettato per ignorare grandi superfici messe di traverso sopra la carreggiata: vale a dire, i cartelli stradali sospesi, ma a quanto pare anche le fiancate di TIR il cui rimorchio non ha barriere laterali sotto il pianale.
@artem_zin @theaweary Radar tunes out what looks like an overhead road sign to avoid false braking events— Elon Musk (@elonmusk) 30 giugno 2016
Come giornalista informatico, lavorando alla radio, avendo un blog e un profilo Twitter abbastanza seguiti e facendo parecchi incontri pubblici, mi capita spesso di sentire le opinioni di tante persone sugli oggetti tecnologici, comprese le auto “intelligenti”. E vedo regolarmente che è diffusissima l’idea che le Tesla, in particolare, siano automobili autonome, nelle quali ti siedi al volante ma fanno tutto loro. C’è una visione magica della tecnologia Tesla che ricorda molto quella dei prodotti Apple dell’era di Steve Jobs.
A un certo punto della discussione è intervenuto Elon Musk (o chi gestisce per lui il suo account Twitter), giustificando il nome Autopilot con un paragone con il pilota automatico aeronautico:
@disinformatico @Eddy_Jahn In other words, the intended implication is that a driver must remain alert, just as a pilot must remain alert.— Elon Musk (@elonmusk) 6 luglio 2016
@elonmusk Of course. But an aircraft pilot has to be thoroughly trained and certified for AP use, whereas 1/2 @eddy_jahn— Paolo Attivissimo (@disinformatico) 6 luglio 2016
@elonmusk … a Tesla driver just gets a briefing and clicks on a disclaimer/warning (btw:I love AP and have ordered a Model 3) @eddy_jahn— Paolo Attivissimo (@disinformatico) 6 luglio 2016
@disinformatico @Eddy_Jahn cool, thanks :)— Elon Musk (@elonmusk) 6 luglio 2016
@elonmusk Agreed. But due to difference in pilot vs driver training, perhaps alertness shd be more enforced than hoped for 1/2 @eddy_jahn— Paolo Attivissimo (@disinformatico) 6 luglio 2016
@elonmusk 2/2 E.g., eye-tracking camera checking that driver’s eyes don’t stray from road too long; load cell in seat, etc. @eddy_jahn— Paolo Attivissimo (@disinformatico) 6 luglio 2016
Ci sono inoltre delle differenze enormi fra un pilota automatico moderno (quello di un aereo di linea, per esempio) e l’Autopilot di Tesla.
– Un pilota automatico d’aereo ha un sistema anticollisione automatico che negozia con l'altro veicolo la traiettoria per evitare collisioni (TCAS). L’Autopilot no.
– Un pilota automatico d’aereo è in grado di gestire la rotta per raggiungere la destinazione indicata dal pilota: l’Autopilot non segue la strada indicata dal navigatore, ma semplicemente segue le strisce della corsia della strada sulla quale si trova.
– In cielo non ci sono semafori e la Tesla non riconosce i semafori. Se è in Autopilot, attraverserà un incrocio col rosso.
– Un pilota automatico d'aereo non è cieco a qualunque oggetto si trovi davanti e sopra, ad altezza d'abitacolo.
– A un pilota di aereo di linea non si chiede di accettare come “pilota automatico” un software che è ancora sperimentale.*
*Elon Musk, a ottobre 2015, ha presentato l’Autopilot di Tesla Motors dicendo chiaramente “We still think of it as a public beta, so we want people to be quite careful” e ;ancora oggi l’Autopilot è definito dal costruttore almeno in parte come “software beta”. Inoltre al conducente che sceglie di installarlo viene chiesto di accettare una clausola apposita di responsabilità limitata.
Fonte: Tesla Motors, per Autopilot 7.0 |
Il paragone aeronautico non regge, insomma. Forse dovremmo usare, per il sistema di guida della Tesla, un nome meno ambiguo, come Driver Assistant, Pilot Assistant, Sidekick o qualcos’altro che chiarisca inequivocabilmente il ruolo di supporto al guidatore e non di suo sostituto (fra l’altro, il manuale dell’Autopilot versione 7.1 parla di “Driver Assistance hardware”).
Certo, ci saranno sempre gli stupidi e gli incoscienti che ignoreranno gli avvisi e i nomi, non importa quanto siano chiari (come succede per le cinture di sicurezza, per esempio): ma se un nome meno ingannevole e una campagna promozionale meno sensazionale possono salvare delle vite, secondo me vale la pena di adottarli. Spero che Elon Musk aggiorni il software e i sensori in modo da rendere più difficili comportamenti pericolosi che abusano dell’Autopilot: per esempio con una telecamerina che riconosca i contorni del volto del conducente e si accorga se sta guardando in avanti o no.
Adoro le auto elettriche e le auto autonome/assistite e in particolare le Tesla, tanto da averne ordinata una (la Model 3): inquinano meno e promettono di ridurre gli incidenti e il tempo perso nella guida. Mi dispiacerebbe molto se un nome ingannevole come Autopilot causasse una reazione ostile alle auto di questo tipo, alimentata dall’ignoranza, dal pregiudizio e dalla disattenzione. Presentare questa tecnologia come se fosse matura, quando in realtà non lo è, è pericoloso, perché spinge a una guida eccessivamente fiduciosa e disattenta. Ed è pericoloso in generale per il futuro, soprattutto adesso che si sta discutendo, negli Stati Uniti, la normativa federale sulle auto autonome.
Siamo a una svolta decisiva in un campo tecnologico che ha un potere enorme di trasformare la nostra società: vediamo di affrontarla con prudenza e con informazioni corrette.
2016/07/06
Il Delirio del Giorno: vegani d’assalto
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/07/06 23:15.
Commento inviato al mio articolo Più batteri che cellule nel corpo umano: ne parlo su Le Scienze:
Non so neanche da che parte cominciare, per cui non comincio nemmeno e lo lascio a voi.
Aggiornamento ore 23:15. Per chi sospetta che si tratti di una trollata: è perfettamente possibile. Se lo è, è ben fatta e fa sorridere; se non lo è, fa riflettere. Capisco la vostra incredulità, e anch’io lo pubblico senza commento proprio per questo, ma se siete increduli perché pensate che nessuno possa essere così delirante, vi invito a visitare un forum di sciachimisti, ufologi, urinoterapeuti o respiriani. Vi ricrederete.
Commento inviato al mio articolo Più batteri che cellule nel corpo umano: ne parlo su Le Scienze:
parli di tutto nel tuo articolo ma quando scriverai un articolo per mettere al bando i mangiacadaveri?
visto che sei tanto scientifico perché non lo scrivi una buona volta che il latte genera autismo e distrugge le ossa dei neonati; che le uova - per le quali vengono torturate e sgozzate milioni di galline - causano la salmonella; che i vaccini vanno aboliti come tutte le medicine perché testate su animali; che la carne non è digeribile dall'organisimo umano e per tale motivo causa ulcere esplosive?
perché non le scrivi queste cose invece di limitarti a parlare di batteri, di cellule umane e di tutto ciò che è permesso dalle lobbies dei macellai e del direttorio scientifico onnovoriano?
fossi in te lo farei.
ora mi rendo conto che devi rispondere a poteri superiori e che non pubblicherai questo mio messaggio ma almeno lo leggerai e potrai riflettere e aprire gli occhi. e magari diventare sensibile ai problemi della natura, diventare vegano, costringere i tuoi figli ad esserlo.
anche se non lo publbicherai confido nella tua saggezza e nel fatto che vedrai la luce.
Non so neanche da che parte cominciare, per cui non comincio nemmeno e lo lascio a voi.
Aggiornamento ore 23:15. Per chi sospetta che si tratti di una trollata: è perfettamente possibile. Se lo è, è ben fatta e fa sorridere; se non lo è, fa riflettere. Capisco la vostra incredulità, e anch’io lo pubblico senza commento proprio per questo, ma se siete increduli perché pensate che nessuno possa essere così delirante, vi invito a visitare un forum di sciachimisti, ufologi, urinoterapeuti o respiriani. Vi ricrederete.
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