Molta gente mi dice che esagero quando parlo di metodo redazionale scadente e
disastroso ogni volta che un giornale pubblica una bufala.
"Dai, Paolo" mi dicono
"è soltanto un errore, errare è umano, gli sbagli succedono a tutti".
Certo, i refusi càpitano a tutti. Anche a me, e chi segue questo blog
lo sa bene.
Ma io sto parlando di metodo di lavoro. Ossia di abitudini
e di scelte precise quotidiane, che prima o poi portano inesorabilmente a
disastri.
È un po’ come l’elettricista che tutti i giorni taglia e giunta fili senza staccare la
corrente: è proprio un modo di lavorare, un’abitudine cementata. Per un po’
gli va liscia, ed è pure contento perché risparmia tempo e disagi al cliente.
Poi rimane folgorato, e a quel punto tutti piangono.
Per esempio, pubblicare senza rileggere, o senza far rileggere, è ormai un
metodo di lavoro consolidato in tutte le redazioni di cui vedo le
pubblicazioni. E i risultati si vedono.
Un altro esempio è il titolo che dice una cosa mentre l’articolo ne dice
un’altra, perché il titolista (ammesso che esista questa fantomatica figura)
non parla col giornalista e non capisce una cippa di quello che sta titolando.
Neanche lui rilegge. E i risultati si vedono.
Ma ci vuole un livello d’incoscienza speciale, un metodo di lavoro
particolarmente scalcinato e incurante delle conseguenze, per fare quello che
è successo oggi a Fabio Pozzo su La Stampa.
Cosa c'è che non va nel metodo di lavoro di Fabio Pozzo? Beh, oggi ha scritto
(o perlomeno ha firmato) un
pezzo
sugli armatori e sull’aumento dei prezzi delle spedizioni via nave. Quello che
vedete nell’immagine all’inizio dell’articolo e che trovate in copia
permanente qui:
archive.is/FWCKV.
In quell'articolo c’è un passaggio molto delicato, perché
“entra in un campo, quello della concorrenza, che è un nervo scoperto x gli
armatori, non vorrei si causasse qualche reazione”, dice Pozzo o chi per lui. Testuali parole.
Come faccio io a conoscere queste testuali parole? Perché
sono state scritte nel testo dell’articolo.
In altre parole, Fabio Pozzo (o chi per lui) ritiene che sia un metodo di
lavoro accettabile scrivere i promemoria interni confidenziali
nel testo dell’articolo. Agevolo screenshot. Notate niente?
La cosa tragicomica è che quel promemoria era chiaramente confidenziale:
“L’argomento sotto è molto delicato, valuta tu se dare un’impronta un po’
più sfumata in quanto si entra in un campo, quello della concorrenza, che è
un nervo scoperto x gli armatori, non vorrei si causasse qualche
reazione”.
Beh, se si scrivono e si lasciano i commenti interni negli articoli
pubblicati, sì, “qualche reazione” si causa eccome. Forse non quella
degli armatori, ma quella dei lettori.
Insomma:
-
il giornalista scrive gli appunti confidenziali nel testo dell’articolo
(primo errore fondamentale)
-
non rilegge quello che ha scritto prima di inviarlo per la pubblicazione
(secondo errore fondamentale)
-
e nessuno in redazione legge prima di pubblicare (terzo errore fondamentale)
Questo è un classico esempio di metodo di lavoro fallimentare e
sbagliato: è l'elettricista che lavora sui cavi in tensione. Qui non è un
refuso: è proprio un comportamento incosciente di una redazione. Di cui noi
lettori paghiamo le conseguenze. Per un po’ va tutto bene, si risparmiano
tempo e soldi, fino a quando va male. Come oggi.
Questo comportamento non è occasionale e non è limitato a La Stampa.
Ecco un esempio fresco fresco da l’Espresso. Edizione cartacea, quella che non si può correggere facendo finta che non sia mai successo nulla:
Sì, qui è rimasta l’istruzione “mettere la dieresi sulla “u” per favore!”. Perché nessuno rilegge.
E questo è un titolo di oggi del Corriere, che parla della nota città di News York a caratteri cubitali: nessuno rilegge.
Fabio Pozzo de La Stampa, dopo la mia
segnalazione
su Twitter, ha
corretto
l’articolo. Anche il Corriere ha cambiato il titolo (solo nella versione per desktop; la versione per smartphone lo riporta ancora). Per L’Espresso, invece, niente da fare: verba volant, scripta manent. Se le scripta sono su carta, s’intende.
Questo, sottolineo, è soltanto il bollettino dei disastri di oggi.
Speriamo che la lezione sia stata imparata, non soltanto da Pozzo,
ma da tutta la filiera di produzione. E magari anche da chi si avvicina al
giornalismo e vuole evitare queste brutte figure.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle
donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere
ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o
altri metodi.