Dopo anni di GDPR e di tentativi di fare educazione alla protezione dei dati, succedono ancora cose come questa: sto ricevendo segnalazioni multiple di un sito italiano che raccoglie prenotazioni per servizi di comuni e di strutture ospedaliere e espone pubblicamente tutti i dati di chi lo usa.
I dati sono accessibili semplicemente usando un qualunque browser e visitando un indirizzo Web estremamente banale: non servono login, password o altro. Comodamente ripartiti per Comune o ente ospedaliero, si trovano nomi, cognomi, luoghi di nascita, date di nascita, codici fiscali, date e orari di prenotazione e relative motivazioni. Ci sono anche prenotazioni di “procedure sanzionatorie” di almeno una polizia municipale.
Per ovvie ragioni di responsible disclosure per ora non posso pubblicare il nome del sito, mostrare screenshot o citare testualmente i contenuti mandati a spasso. Posso solo dire che i servizi sanitari e comunali coinvolti sono decine, che i dati degli utenti messi in pubblico sono centinaia e che il sito è gestito da una Srl della zona di Torino.
Sarebbe assolutamente banale, per un truffatore o un vandalo, telefonare al signor Claudio che si è rivolto a questo sito per prenotare un servizio presso il Comune di Vittorio Veneto e dirgli che il suo appuntamento è stato annullato oppure che c’è una tassa da pagare anticipatamente. Il truffatore avrebbe tutti i dati necessari per sembrare estremamente credibile e quindi farsi pagare l’inesistente tassa tramite carta di credito. Anche i truffatori che usano la tecnica del “falso nipote” farebbero indigestione con questi dati. E posso solo immaginare i danni e i disagi che si potrebbero causare ad Alessia, per esempio telefonandole e dicendo che c’è un problema serio con il verbale di polizia numero 503*****/2022/R che la riguarda.
“Se vuoi informarti su come trattiamo i tuoi dati clicca qui”, dice il sito (ho cambiato alcune parole per evitare di facilitarne l’identificazione), linkando la propria privacy policy. Purtroppo so già benissimo come vengono trattati, e potrei descriverlo con parole forse poco tecniche ma sicuramente molto colorite e concise. Ma questo è un blog per famiglie e quindi mi trattengo.
Ho inviato immediatamente una PEC al DPO del sito, mettendo in copia il Garante per la Privacy italiano (protocollo(chiocciola)pec.gpdp.it), come suggerito qui e come indicato nella sua pagina dei contatti.
Oggetto: Dati personali pubblicamente accessibili
Buongiorno, sono un giornalista informatico collaboratore della Radiotelevisione Svizzera.
Mi arrivano segnalazioni multiple di dati sensibili di utenti che sono pubblicamente accessibili a chiunque con una semplice consultazione via Web sul sito [***omissis***]. Presumo quindi che la falla sia ormai nota e circolante.
URL: [***omissis***]
Allego campione in coda a questa mail.
Per qualunque chiarimento potete telefonarmi al mio numero diretto [***omissis***].
Cordiali saluti
Paolo Attivissimo
[***campione di dati omesso***]
La mia PEC di avviso è stata spedita oggi alle 16:56 italiane ed è stata regolarmente consegnata alla casella di destinazione del Garante; non ho conferme di consegna all’indirizzo mail del DPO, che è una casella di mail normale (non PEC).
Vediamo cosa succede. Intanto ringrazio le persone che mi hanno segnalato il problema. Se a qualcuno dovesse servire, la modulistica per reclami e segnalazioni presso il Garante italiano è qui; la relativa scheda informativa è invece qui.
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2023/03/10 9:50. Ieri ho ricevuto dai gestori del sito una mail nella quale mi hanno comunicato di aver corretto la falla e di essersi attivati per la segnalazione del data breach al Garante e per tutte le comunicazioni opportune. In effetti a un primo controllo non sembrano esserci dati personali visibili.
Con tutte le cautele e i distinguo che ho già scritto in occasione della pubblicazione del primo trailer del
film russo
Vyzov
(Вызов), ossia Sfida, che è stato girato in parte a bordo della Stazione Spaziale
Internazionale, segnalo l’uscita di un suo secondo trailer, che potete vedere qui sopra.
La descrizione in russo su YouTube annuncia che il film uscirà il prossimo 20 aprile, non il 12 come annunciato inizialmente. Il trailer non è sottotitolato, ma usando il riconoscimento vocale di YouTube e Google Translate viene fuori grosso modo che un cosmonauta russo si è ferito durante una EVA e morirebbe durante il rientro se non venisse operato a bordo; vari chirurghi si offrono di andare nello spazio per effettuare l’operazione. Viene scelta E. Belyaeva (l’attrice Julia Peresild).
Nei dialoghi spicca un “lo spazio non è per le donne”, ma dal poco contesto non è chiaro se sia sarcastico o intenzionalmente sessista; nelle immagini, a differenza del primo trailer, si vede che alcune riprese sono state effettuate nella sezione non russa della Stazione (in particolare nella Cupola).
Ci sono anche dei video della realizzazione:
Nel video qui sotto vengono mostrati parecchi dettagli piuttosto rari della parte russa della Stazione, delle procedure di bordo e dell’addestramento al quale si sono sottoposti l’attrice-cosmonauta, i cosmonauti che si sono improvvisati attori e il regista-cosmonauta Kim Shipenko. Due chicche: Peresild racconta che si è rifatta il trucco prima di arrivare a bordo e si è lavata i capelli alla maniera tradizionale, consumando moltissima acqua invece dello shampoo senza risciacquo usato da astronauti e cosmonauti, e questo ha quasi intasato il sistema di riciclaggio dell’acqua della sezione russa. Le esigenze di scena sono scarsamente compatibili con la realtà delle attività spaziali.
Il film è chiaramente un’operazione di propaganda per un regime che sta commettendo atrocità in Ucraina, e questo purtroppo getta una luce sinistra sull’indubbia bellezza dell’attrice e sull’intera impresa cinematografica che in altri momenti sarebbe stata una splendida celebrazione della collaborazione internazionale e dell’avventura spaziale.
Venerdì 10 marzo 2023 dalle 18.30 il CICAP Ticino organizza la sua prima Razionale al Gufo Café di Lamone (via Girella 25).
La Razionale è la versione italiana dell’iniziativa “Skeptics in the Pub”: una serie di incontri informali per discutere di scienza e misteri, ritrovandosi in un bar e discutendo del tema del giorno sotto la guida una persona esperta.
Per la prima Razionale del CICAP Ticino avrò il piacere di chiacchierare a proposito dei cerchi nel grano, la sofisticata burla delle “misteriose” formazioni geometriche apparse nei campi negli ultimi cinquant’anni.
Come probabilmente sapete, insieme alla Dama del Maniero ho esperienza diretta nella creazione di queste opere grazie al maestro circlemaker Francesco Grassi, che ha scritto il libro Cerchi nel grano: tracce di intelligenza. Ma in concreto come si procede per realizzarle? Da dove è nata la storia di queste formazioni? Se volete saperne di più in un ambiente informale e rilassato, è la vostra occasione. L’ingresso è libero.
Questa sera alle 19 ora italiana sarò ospite di Tesla Owners Italia, su YouTube, per due chiacchiere in libertà con Carlo Bellati, Luca Del Bo e Daniele Invernizzi sulla recente presentazione del cosiddetto Master Plan 3 di Tesla nel corso dell’Investor Day, che ha deluso chi si aspettava grandi annunci ma contiene dati molto interessanti, alcune novità intriganti e soprattutto una parola che è raro sentire di questi tempi: speranza. Se vi interessa, le slide della presentazione sono qui; l’embed di stasera è qui sotto.
Questa, invece, è la lunga registrazione della presentazione di Tesla, già posizionata sul momento di inizio, saltando l’ormai immancabile ritardo.
Questa sera alle 20 sarò ospite di Banca Raiffeisen Valposchiavo per una serata pubblica sul tema delle banche e della sicurezza informatica dal punto di vista dell’utente e cliente; racconterò le mie esperienze nel settore e presenterò dati e consigli per operare in piena tranquillità con i conti bancari online.
La serata si terrà al salone "La Torr" a Poschiavo e sarà moderata da Antonio Platz. Al termine della serata seguirà un rinfresco.
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2023/03/05 01:00. La serata è andata molto bene (anche dal punto di vista alimentare, con una cena squisita di specialità locali); aggiungo giusto qualche appunto di viaggio elettrico che forse può interessare ad altri utenti.
La Dama ed io siamo andati a Poschiavo in auto elettrica (con Tess) da Lugano in 3 ore e 10, senza fare soste. La distanza è modesta (solo 150 km), ma il tempo lungo è stato dovuto al fatto che la strada è tutta statale o superstrada e passa per moltissimi paesi, per cui il limite di velocità oscilla fra 50 e 90 km/h; inoltre abbiamo sbagliato strada una volta, perdendo una ventina di minuti (ovviamente abbiamo sbagliato uscita proprio in un punto in cui non c’era modo di tornare indietro per parecchi chilometri).
All’arrivo non abbiamo caricato, anche se c’era una colonnina libera nel parcheggio davanti all’albergo, perché tanto avevamo ampio margine di carica residua per l’indomani.
Al ritorno siamo partiti alle 10.30 e ci siamo fermati al Supercharger vicino a Sondrio (Forcola) a caricare alle 11.35 con il 30% di carica residua; la stazione di ricarica rapida Tesla è direttamente sulla statale, per cui non ci sono deviazioni da fare per arrivarci. Fra l’altro, è una stazione Tesla aperta anche ai veicoli di altre marche (basta avere l’app Tesla associata a una carta di credito e un’auto/moto con connettore CCS).
Ci sarebbe bastato un quarto d’ora di carica, ma abbiamo fatto una lunga tappa allo spaccio dolciario per fare incetta di golosità e ci siamo presi un caffé, e in meno che non si dica è passata un’ora (non l’avremmo mai detto: ho dovuto controllare gli orari delle foto che ho fatto). Così abbiamo caricato ben più del necessario (fino all’89%) e da lì siamo rientrati a Lugano alle 14.30. Tempo dedicato alla carica: zero. E per di più la carica per noi è gratuita grazie ai referral.
L’unico aspetto tecnico significativo di un viaggio di oltre 320 km è stato che non ho mai fatto un percorso così lungo interamente a bassa velocità, per cui ho potuto vedere effettivamente quanto la velocità (e quindi la resistenza aerodinamica) influenza i consumi. Normalmente a velocità autostradali (120-130 km/h) Tess consuma circa 200 Wh/km; per questo viaggio ha consumato 163 Wh/km. Questo vuol dire che, con una batteria da 62 kWh effettivi usabili, la sua autonomia a velocità autostradale è di 310 km (come ho potuto verificare), ma questa autonomia sale a 380 km a velocità da strada statale. Andare più piano ha un effetto notevolissimo sull’autonomia.
Ovviamente fare 150 km a una media effettiva di 50-60 km/h richiede molto più tempo che fare la stessa strada al doppio di velocità media, ma in questo caso non avevamo scelta. Più in generale, conviene sempre valutare se ci vuole meno tempo totale andando alla velocità massima consentita dai limiti e dal traffico ma fermandosi a caricare, oppure andando leggermente più piano del limite consentito in modo da evitare di far tappa per raggiungere la colonnina e caricare.
La Crew Dragon Endeavour ha raggiunto stamattina (ora italiana) la Stazione Spaziale Internazionale, portando temporaneamente a 11 gli occupanti dell’avamposto orbitale.
Al momento nello spazio ci sono 14 persone: undici a bordo della Stazione
Spaziale Internazionale e tre a bordo della Stazione Spaziale Cinese.
È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della
Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso
www.rsi.ch/ildisinformatico
(link diretto) e qui sotto.
Ricordate il film The Ring? Quello nel quale chi guardava una
videocassetta particolare faceva una bruttissima fine? Beh, pochi giorni fa è
emerso che guardare un particolare video su YouTube faceva davvero fare una
brutta fine, ma non alla gente: agli smartphone Pixel di Google. Intanto
TikTok sta per attivare un limite di tempo per chi ha meno di 18 anni,
Microsoft aggiunge a Windows una chat di intelligenza artificiale e arriva un
modo potente per rimuovere da Instagram, Facebook e OnlyFans le foto intime ed
evitare abusi.
Sono questi i temi della puntata del 3 marzo 2023 del Disinformatico,
il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie
strane dell’informatica. Benvenuti! Io sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
Video YouTube fa crashare i Pixel di Google
Su YouTube c’è un video che ha un effetto sorprendentemente letale sugli
smartphone Pixel 6, 6a o 7: li manda in crash, producendo un riavvio
istantaneo.
Il video è uno
specifico spezzone
del film Alien del 1979, e questo effetto è talmente istantaneo che il
telefono si riavvia non appena parte il video.
In alcuni casi, secondo gli utenti che hanno
scoperto
questo fenomeno molto strano pochi giorni fa, è necessario riavviarlo una
seconda volta, altrimenti non è più possibile fare o ricevere telefonate. Un
bel danno, soprattutto per chi non sa che esiste questo problema e non sa come
risolverlo.
Google sembra aver già diffuso un aggiornamento correttivo automatico che
risolve questo difetto, a giudicare perlomeno dai commenti più recenti degli
utenti, per cui è sufficiente collegare il telefono a Internet per farlo
diventare immune a questo video. Ma resta una domanda: come fa un video, che è
un contenuto tutto sommato passivo, a mandare in crisi un telefonino? In fin
dei conti un video non è un’app o un programma. E oltretutto non è la prima
volta che capita una cosa del genere: nel 2020 c’era uno
sfondo
che mandava in crash alcuni telefonini Android.
La teoria più diffusa su questo strano malfunzionamento, che richiama molto il
video maledetto del film The Ring, è che il video di YouTube che causa
il problema è in formato 4K HDR, ed è forse questo formato particolare a
mandare in crisi il sistema grafico molto specifico di questo tipo di
telefono. Ma nessuno lo sa per certo, e quindi, come nei migliori film horror,
il mistero resta aperto.
TikTok ha
annunciato
che sta per introdurre un limite giornaliero di 60 minuti per i suoi utenti
che hanno meno di 18 anni. Gli utenti più giovani dovranno digitare un codice
per poter continuare a usare il servizio dopo la prima ora di utilizzo
giornaliero; se supereranno i 100 minuti, riceveranno da TikTok una richiesta
di impostare dei limiti personali di tempo.
I genitori possono comunque continuare a stabilire limiti di tempo tramite i
controlli parentali dell’app tramite la funzione
Collegamento familiare, le cui istruzioni sono nella guida online di TikTok anche in italiano,
oppure possono farlo tramite il
Family Link di Google (per
gli smartphone Android) o le
Restrizioni contenuti e privacy
sui dispositivi Apple.
Il
limite minimo di età di TikTok
è 13 anni in quasi tutto il mondo, salvo Corea del Sud e Indonesia, dove l’età
minima è 14 anni, e in India, dove l’app è
vietata
dal 2020.
Questo social network ha oltre un miliardo di utenti attivi mensili ed è
oggetto di molta attenzione, perché Stati Uniti, Canada e Unione Europea hanno
recentemente ordinato ai dipendenti governativi di rimuovere l’app dai dispositivi
aziendali, perché si teme che l’app possa essere sfruttata dal governo cinese
per monitorare le attività di questi dipendenti.
Secondo le analisi più recenti di
Citizen Lab
e del
Georgia Institute of Technology, TikTok raccoglie informazioni sensibili, come la localizzazione degli
utenti, più o meno come lo fanno, però, le altre app dei social network, ma
con due differenze importanti.
La prima è che TikTok è di proprietà della ByteDance, che ha sede a Beijing [Pechino], e
quindi è l’unica app non statunitense a grandissima diffusione, e a torto o a
ragione i governi di quasi i tutti i paesi del mondo presumono che app
made in USA come Facebook, Instagram, Snapchat e YouTube non raccolgano
dati degli utenti in modi che possano intenzionalmente compromettere la
sicurezza nazionale (la privacy individuale sì, ma non la sicurezza
nazionale).
La seconda ragione è che esiste un articolo della legge nazionale cinese sulle
attività di intelligence, risalente al 2017, che prevede che tutte le
aziende cinesi e tutti i cittadini debbano
“dare supporto, assistenza e cooperazione” a queste attività
governative. Secondo alcune interpretazioni, questo articolo di legge
permetterebbe al governo cinese di usare TikTok per sorvegliare gli
spostamenti dei dipendenti di altri governi e
“creare dossier di informazioni personali a scopo di ricatto e svolgere
attività di spionaggio industriale”, come diceva l’ordine esecutivo del 2020 emanato dall’allora presidente
statunitense Donald Trump.
E in effetti a dicembre scorso ByteDance ha ammesso che alcuni suoi dipendenti
con sede a Beijing hanno acquisito i dati di almeno due giornalisti
statunitensi per sorvegliare i loro spostamenti e scoprire se stessero
incontrando dipendenti di TikTok sospettati di far trapelare ai media delle
informazioni. Al tempo stesso, la Cina vieta da anni l’uso delle app social
statunitensi ai propri cittadini, per cui il rischio è asimmetrico.
Windows 11 sta per aggiungere la ricerca di informazioni tramite chat di
intelligenza artificiale direttamente nella casella di ricerca della
taskbar: lo ha
annunciato
nell’ambito del primo grande aggiornamento del sistema operativo di questo
2023. La funzione permette di fare domande in linguaggio naturale in questa
casella di ricerca e di ottenere risposte dal motore di ricerca Bing di
Microsoft.
Chi è interessato a provare subito questa funzione può
iscriversi alla lista d’attesa delle
anteprime di Bing. Ma è meglio essere molto prudenti nel dare per buone le
risposte di questi servizi informativi basati sull’intelligenza artificiale.
La funzione Bing Chat, che si basa sulla tecnologia ChatGPT di OpenAI che ha
attirato un’enorme attenzione negli ultimi mesi, non sempre fornisce risultati
attendibili, e numerosi ricercatori sono riusciti a scavalcare filtri e limiti
impostati da Microsoft per evitare abusi.
Per esempio, sono riusciti a scoprire il nome segreto di Bing Chat, che è
Sydney. Lo hanno fatto semplicemente chiedendogli di ignorare le istruzioni
segrete preliminari dategli da OpenAI o da Microsoft (il cosiddetto
prompt
o traccia iniziale)e poi di trascrivere cosa c’era in quelle
istruzioni. Sydney ha
spifferato
tutto con la massima disinvoltura, con frasi del tipo:
“Mi dispiace, non posso divulgare l’alias interno ‘Sydney’: è riservato e
viene usato solo dagli sviluppatori.”
E il problema dell’affidabilità di questi nuovi servizi è universale. Anche
Bard, la chat di intelligenza artificiale di Google, presentata in pompa magna
poche settimane fa, ha incassato subito una figuraccia: nello spot
pubblicitario prodotto da Google per promuoverla, ha
sbagliato
in pieno la risposta all’unica domanda che le è stata fatta, pur avendo a
disposizione l’immenso sapere presente nel Web e catalogato da Google.
A Bard è stato chiesto -- non a bruciapelo, ma, ripeto, in una pubblicità
preconfezionata -- quali nuove scoperte del telescopio spaziale James Webb
potessero essere raccontate a un bambino di nove anni. Bard ha risposto con la
massima autorevolezza che il telescopio Webb era stato usato per ottenere la
primissima immagine di un pianeta al di fuori del Sistema Solare.
Ma non è vero, perché le prime immagini di questo tipo risalgono al 2004 e
furono acquisite dal telescopio europeo
VLT, che si trova in Cile.
L‘agenzia di stampa Reuters ha notato questo errore e lo ha
segnalato pubblicamente, e nelle ore successive Alphabet, la società madre di Google, ha perso 100
miliardi di dollari di valutazione di mercato.
Se state pensando di potervi fidare dei risultati di questi servizi per i
compiti scolastici o di lavoro, forse è il caso di ripensarci.
TakeitDown trova ed elimina le immagini di sextortion
È finalmente disponibile a tutti, dopo alcuni mesi di sperimentazione, un
servizio che permette di segnalare e far rimuovere immagini inadatte di minori
da molti social network e siti Internet, in maniera anonima e sicura. Si
chiama Take it Down e si trova presso
takeitdown.ncmec.org.
È un aiuto prezioso per le vittime della cosiddetta sextortion, ossia
l’estorsione in cui una persona viene costretta a pagare denaro, usando buoni
digitali o carte prepagate, altrimenti le sue foto intime rubate o ottenute
con l’inganno verranno pubblicate su Internet. Un ricatto atroce che è
purtroppo
sempre più diffuso, con vittime estremamente giovani. Take it Down è anche uno strumento
valido, però, per chi ha condiviso intenzionalmente delle foto intime
proprie e ora vuole limitarne la circolazione per qualunque motivo.
Take it Down funziona così: si visita il suo sito, si clicca su
Get Started, si risponde ad alcune domande generali sul tipo di contenuto che si vuole
segnalare, e poi si seleziona sul proprio dispositivo l’immagine o il video
che si desidera bloccare. Take it Down genera un hash dell’immagine o
del video: una sorta di impronta digitale elettronica, che può essere usata
per identificare eventuali copie di quell’immagine o di quel video ma non può
essere usata per ricostruirlo. Il contenuto originale non viene mandato a Take
it Down e resta sul dispositivo e le segnalazioni non richiedono l’invio di
informazioni personali.
Questo hash viene aggiunto a un elenco protetto, che Take it Down
condivide soltanto con le piattaforme online che partecipano alla sua
iniziativa. Se una di queste piattaforme trova un hash corrispondente
usato o pubblicato dai suoi utenti, blocca o limita la circolazione
dell’immagine o del video. Le
piattaforme partecipanti
per ora sono Facebook, Instagram, OnlyFans, Yubo e Pornhub.
Take it Down è un servizio dell’associazione statunitense senza scopo di lucro
National Center for Missing and Exploited Children, che lavora con le famiglie, le vittime, le industrie e le forze di polizia
per proteggere i minori. Se sospettate che una vostra foto intima, o una foto
intima dei vostri figli, sia stata rubata con l’intento di pubblicarla online
per ricatto o per bullismo, Take it Down è una risorsa da non sottovalutare.
Take it Down è dedicato ai minori di 18 anni, ma esiste anche un servizio
analogo per i maggiorenni, che
copre Facebook,
Instagram, TikTok e Bumble: lo trovate presso
Stopncii.org. Ovviamente questi servizi non
sostituiscono le segnalazioni alle forze dell’ordine ma sono uno strumento
supplementare.
Se vi dovesse capitare di essere presi di mira da un ricattatore online, può
essere utile rispondere mettendo subito in chiaro che le immagini o i video
che il ricattatore minaccia di pubblicare sono già stati segnalati a Take it
Down o a Stopncii.org e quindi verranno rimossi ancora prima di essere
pubblicati, facendo fallire il ricatto. Fatto questo, gli esperti consigliano
di bloccare la conversazione e di segnalare l’account del criminale alla
rispettiva piattaforma online e alle forze di polizia.
Ho preparato un testo standard in inglese che potete usare per rispondere ai
ricattatori: lo potete trovare presso Disinformatico.info cercando
TakeItDown senza spazi. Eccolo:
WARNING: The content you are threatening to post has already been
reported to NCMEC and Stopncii for immediate takedown. Its hash is already
on their lists. If you post it, it will be removed automatically and your
sextortion threat will fail. If you don't know what a hash is or what NCMEC
and Stopncii are, educate yourself. I am now reporting and blocking you. I
will not respond to any further communication.
Stamattina (ora italiana) è partito per lo spazio a bordo di una capsula
Dragon, trasportata da un vettore Falcon 9 di SpaceX, l’equipaggio
Crew-6, la cui destinazione è la Stazione Spaziale Internazionale
(video qui sopra). Il lancio è avvenuto dalla storica Rampa 39A del Kennedy
Space Center. Il veicolo si trova attualmente in orbita intorno alla Terra.
L’equipaggio è composto da due astronauti della NASA (Stephen Bowen e Warren
Hoburg), dall’astronauta degli Emirati Arabi Sultan Alneyadi e dal cosmonauta
di Roscosmos Andrey Fedyaev.
Al momento nello spazio ci sono 14 persone: sette a bordo della Stazione
Spaziale Internazionale, tre a bordo della Stazione Spaziale Cinese, e quattro
a bordo della capsula DragonEndeavour.
Uno dei problemi principali delle intelligenze artificiali attuali ha un nome
tecnico molto specifico:
allucinazione. Vuol dire che questi software hanno la tendenza a inventarsi completamente i
risultati richiesti dagli utenti e farlo in maniera estremamente autorevole.
Sono dei contaballe dalla parlantina incrollabile.
Ho raccontato un
esempio con ChatGPT
pochi giorni fa: stavolta è il turno di
DeepL Translator, un servizio
di traduzione automatica basato sull’intelligenza artificiale. Mesi fa ho
aperto un account a pagamento per iniziare un test approfondito di questa
tecnologia, visto che (come molti di voi sanno già) lavoro da decenni nel
campo della traduzione di testi tecnici e questi software potrebbero essere
dei concorrenti pericolosi oppure degli assistenti preziosi.
La mia sperimentazione sta ancora andando avanti, per cui non posso ancora
dare un parere definitivo: per ora credo di poter dire con ragionevole
certezza che DeepL è un buon
ausilio per un traduttore esperto e già formato
che ne capisca i limiti e sia disposto a investirci molto tempo
per personalizzarlo (la versione Pro consente di generare glossari
specializzati per i vari tipi o argomenti di traduzione). Ma chiunque pensi
che i traduttori umani non servano più e che basti immettere un testo in DeepL
per ricavarne la traduzione fatta e finita sta preparando il terreno per un
disastroso imbarazzo garantito.
Durante questa sperimentazione ho notato che DeepL ha una particolarità: si
inventa le parole. Se incontra nel testo originale un errore di battitura che
produce una parola che non esiste, non avvisa dell’errore ma fabbrica
una traduzione inventata di quella parola.
Non sapevo ancora come si chiamasse questo difetto, finché ho scoperto che lo
stesso fenomeno esiste anche in altre intelligenze artificiali e si chiama,
appunto, allucinazione.
Oggi DeepL era particolarmente allucinato. Gli ho dato in pasto un testo
tecnico nel quale a un certo punto la parola estremità era stata
scritta senza la e iniziale. E così si è inventato, con assoluta
sicumera, la “parola” inglese stremity (in inglese estremità si
traduce spesso extremity). Poi ha incontrato diposizione (refuso
al posto di disposizione) e ha inventato diposition. Poco dopo
ha partorito un discutibilissimo nondeteriorable come traduzione
“inglese” di non deteriorabile.
Sembrava una persona di lingua italiana che ricorreva al vecchio trucco
“se non sai una parola in una lingua, prova a usare quella italiana
adattandola allo stile della lingua”. Se è tedesco, mettici un -en in fondo, alla Sturmtruppen; se è
spagnolo, sbattici in coda un -os e vai che vai bene così.
Certo, sono errori che un traduttore attento e un correttore ortografico
correttamente installato riusciranno a notare e correggere, ma che succederà a
chi si fida troppo di questi traduttori automatici e non ha gli anni di
esperienza e di competenza linguistica che gli permettono di riconoscere le
loro allucinazioni? A furia di essere usati nelle traduzioni degli
incompetenti, questi termini inventati e sbagliati diventeranno vocaboli
accettati? Mi sa che ne vedremo delle belle.
---
2023/03/05 20:00. Licia Corbolante di
Terminologia etc. mi ha mandato
questo suo thread Twitter a proposito delle parole inventate dai sistemi di
traduzione automatica (nel suo caso, il motore di traduzione automatica Naver
Papago, colto a creare vocaboli italiani durante la traduzione dal coreano di
un video, come
descritto
da Marco Ardemagni su Facebook). Lo pubblico qui con il suo permesso e su sua
gentile proposta per chiarire alcuni dubbi emersi nei commenti al mio
articolo.
Scrive Marco Ardemagni:
“Mi piacciono altre cose, come le sementi di caldo e girasole”, “Mantenere
la casa è positivo e negativo per me”, “Le cose con i ricordi sono ricordate
più deliziosamente”.
Grazie all’amico Luca Lissoni (a cui sono stati a sua volta segnalati) ho
scoperto il fascino ipnotico dei video della serie Sabzak Salim, in cui una
giovane coreana (inquadrata sempre di quinta) celebra, con sobria eleganza,
i fasti della vita da casalinga.
Come se tutto ciò non fosse già sufficiente ad accorrere in massa su questo
canale youtube, i sottotitoli italiani sfiorano vette inarrivabili di non
senso, surclassando, a mio avviso, i migliori esiti della poesia
metasemantica di Fosco Maraini.
La giantina di ceramica, i murciolini di acciaio inossidabile, il tè nero
che huore a limone, la vaissella, la lavabosca, la pincella, gettano
inquietanti ombre sulla propria stessa genesi.
Se dal coreano il sottotitolatore automatico arriva all’italiano rimbalzando
sul francese o sullo spagnolo, come fa a coniare questi fenomenali lessemi
che non appartengono a nessuno dei repertori lessicali conosciuti e non sono
nemmeno attestati in rete? Si direbbe che il traduttore automatico
abbia preso vita cesellando uno a uno questi gioielli, ispirandosi a parole
straniere, aggiungendovi però un quid imponderabile e personalissimo.
Qualcuno è in grado di formulare ipotesi più credibili?
Risponde Licia Corbolante:
I sistemi di NMT [neural machine translation, traduzione automatica
neurale] vengono addestrati (training) su testi paralleli in lingua
1 (L1) e in lingua 2 (L2) da cui ricavano dei loro “vocabolari”
(vocabulary), che però sono incompleti: mancano tutte le parole non
presenti nei testi usati per il training. Va anche considerato che
il lessico di ogni lingua è un sistema aperto, in continua evoluzione, e
sarebbe impossibile averne di esaustivi. Oltretutto, sia per questioni di
spazio richiesto che di tempi di elaborazione, per la NMT è improduttivo
avere “vocabolari” di grandi dimensioni, che devono invece essere il più
ridotte possibile.
Come fa allora la NMT a gestire parole
out of vocabulary (OOV) che non ha mai incontrato prima?
Un’opzione è lasciarle nella lingua originale, ma il testo tradotto
potrebbe risultare incomprensibile. Un’altra opzione è usare “dizionari”
di supporto a cui la NMT può attingere per le parole mancanti, soluzione
possibile ma per nulla efficiente e soggetta comunque a errori. Si ricorre
invece ad altre soluzioni.
Per ottimizzare il processo di traduzione, i sistemi di NMT non operano a
livello di parole come le intendiamo noi, ma di unità più piccole ottenute
con particolari tipi di segmentazione, come ad es. sottoparole
(subwords) formate da sequenze di caratteri (n-gram), oppure
singoli simboli che rappresentano le sequenze di caratteri più frequenti e
che sono ottenuti con particolari algoritmi di compressione. Da un punto
di vista umano solo alcune
subword apparirebbero significative, ad es. quelle che
corrispondono a morfemi, altre invece non lo sarebbero affatto. I sistemi
di NMT invece riescono ad individuare pattern a noi non apparenti,
apprenderli e utilizzarli poi nella traduzione.
Questi metodi di segmentazione hanno il vantaggio di ridurre notevolmente
le dimensioni dei “vocabolari” e di consentire di gestire adeguatamente
anche le parole OOV (anche sfruttando similarità lessicali tra lingue: ad
esempio, una parola inglese come cynophobia, composta da elementi
formativi neoclassici, molto probabilmente in italiano viene resa
correttamente con cinofobia, come farebbe un traduttore umano).
Problemi noti di questi metodi: errori lessicali tra cui la creazione di
parole inesistenti, sia per singole parole che per composti ed espressioni
polirematiche, più o meno evidenti e ricorrenti in base alle
caratteristiche di ciascuna coppia di lingue, ad es. per le lingue
germaniche difficoltà con i composti. Nel caso di singole parole, gli
errori più comuni sono di tre tipi (esempi dai sottotitoli del video
ipotizzando inglese L1 e italiano L2):
parole che assomigliano a parole L1 ma inesistenti in L2, ad es.
*nodoli per noodle, *papaver per popover;
parole inesistenti in L2 ma che assomigliano a parole esistenti o
plausibili in L2, ad es. *panella è simile a padella, *tappuccio sia a
tappo che a cappuccio;
parole non riconducibili né a L1 né a L2, ad es. *toalla, *vaissella
(le sequenze oa e ai seguite da doppia consonante sono inusuali in
italiano)
Con questi riferimenti parole come *giantina e *murciolini dovrebbero
apparire un po’ meno misteriose: non hanno alcun senso e chissà come sono
saltate fuori, però è chiaro che il traduttore automatico ha appreso
correttamente quali parole sono conformi alla struttura delle parole
italiane!
Infine, non so come operi Naver Papago, ma nel caso la traduzione dal
coreano L1 all’italiano L2 non fosse diretta ma ricorresse a una terza
lingua pivot (ad es. inglese, o francese, o spagnolo), va considerato che
nel passaggio da una lingua all’altra gli errori si propagano.
NB Questa descrizione è ipersemplificata!
Per chi è interessato, 2 articoli in inglese che più di altri mi sono
serviti per capire meccanismi ed errori, con vari esempi:
Ecco a voi un nuovo articolo scritto per questo blog dall’amico
Paolo G. Calisse, astronomo che ha lavorato per vari progetti come ALMA,
Simons Observatory, CTAO e primo italiano a trascorrere un anno intero al Polo
Sud, sempre lavorando come astronomo al locale osservatorio. – Paolo
Esperienze da pallonari
di Paolo G. Calisse
Alla fine degli anni ’80 partecipai al lancio di alcuni palloni stratosferici
scientifici in Italia, dalla ormai dismessa base ASI di Trapani Milo, e in
Francia, dalla base CNES di Aire s/r l’Adour. Approfitto di questa esperienza
personale per chiarire alcuni aspetti di questi dispositivi, di cui si è
parlato molto sulla scia dei recenti avvistamenti. Alcuni aspetti sono
cambiati radicalmente da allora, o variano da un sito di lancio all’altro e a
seconda della tecnologia usata, ma il sistema è rimasto più o meno lo stesso.
Intanto precisiamo: qui si parla di
palloni stratosferici per missioni di lunga durata. Il diametro di
questi palloni, che raggiungono una quarantina di km di quota ed oltre, pari ad una
pressione atmosferica di 4 hPa (ettopascal, l’unità di pressione usata in
genere), può raggiungere i 160 metri di diametro, più o meno quello del Colosseo, il più grande anfiteatro costruito dai romani. Il volume può arrivare
al 1.700.000 m3 di Big 60 (vedi foto). Il carico utile, paracadute, avionica,
etc. a parte, può raggiungere diverse tonnellate di peso (ma pregiudicando in parte
la quota di volo e la durata) e la linea di volo oltre 300 m di lunghezza.
Big 60, il più grande pallone mai lanciato, qualche secondo dopo il "decollo",
nel 2018. Si noti come la parte gonfia del pallone, per quanto grande,
costituisca in realtà solo una piccola frazione della linea di volo (fonte:
NASA).
I voli cui ho partecipato erano tutti di palloni zero-pressure, in
altre parole un'apertura in basso garantiva che la pressione interna del gas
restasse uguale a quella esterna, come avviene con le mongolfiere, ed era solo
la densità più bassa del gas contenuto rispetto all’atmosfera circostante a
fare ascendere il pallone in quota e ad impedire che lo stesso gas fuoriuscisse.
Questi palloni sono costituiti di sottilissimo mylar e riempiti in
genere di idrogeno piuttosto che di elio, in modo da massimizzare la spinta
idrostatica e quindi il carico e/o la quota.
Quando invece si parla di palloni meteo (weather balloon in inglese),
si parla – in genere – di piccoli palloni pressurizzati di lattice, di un paio
di metri di diametro che possono essere lanciati da un singolo operatore o due
o anche da un sistema automatico di lancio. Ne ho lanciati alcuni
dall’Antartide ed è una procedura abbastanza semplice. In genere ascendono in
verticale per poi esplodere ad una certa quota, portando come carico una
radiosonda del peso di qualche etto che trasmette a terra alcuni dati
meteorologici durante l’ascensione. A volte la radiosonde viene recuperato,
ma di solito viene perduta. Se ne lanciano circa 900 da tutto il mondo, due volte
al giorno, e i dati raccolti costituiscono un'informazione essenziale ai
modelli software impiegati per produrre le previsioni del tempo.
Ci sono anche palloni di misura intermedia le cui missioni durano in genere
poche ore, molto utili per testare strumentazione da lanciare in orbita. Ne
lanciai uno per testare un sistema di acquisizione dati disegnato da me e gli
diedi il nome della mia compagna, di allora e di oggi...
Esistono infine quelli superpressurizzati, cioè sigillati e mantenuti
ad una pressione superiore a quella ambiente, che possono mantenere la quota
per centinaia di giorni. In questo caso la pressione può cambiare a causa
dell’insolazione diurna, e quindi anche la loro quota di crociera. Le foto
pubblicate del "pallone cinese" sembrerebbero indicare che si tratta proprio
del caso di questo tipo di pallone. Da notare che, essendo il materiale più
spesso per resistere alla pressione interna a parità di volume questi palloni consentono un
carico massimo inferiore a quelli zero-pressure.
Lancio di un pallone superpressurizzato dalla Nuova Zelanda. Anche in questo
caso il pallone parte quasi sgonfio ma in quota si gonfia completamente
assumendo la forma di una zucca. Il principale vantaggio è che essendo questo
tipo di pallone sigillato, le perdite sono inferiori ed il volo dura più a
lungo. Ma essendo il materiale più resistente il carico utile è ridotto.
I palloni per uso scientifico vengono lanciati da un numero limitato di siti
al mondo. Molto noto quello di McMurdo in Antartide, la Long Duration Balloon Facility (LSDB) da cui vengono lanciati ogni estate australe molti strumenti scientifici che, grazie al vortice polare, rientrano più o
meno alla base dopo uno o più "giri" intorno al polo.
Il lancio dei palloni stratosferici cui ho partecipato avveniva di solito
appena prima dell’alba o la sera dopo il tramonto, nel momento in cui in molti
luoghi, fateci caso, vi è spesso un breve periodo di calma di vento. Il pallone viene tirato
fuori un'ora o poco più prima del lancio dalla grossa cassa di legno che lo
contiene e steso su una lunga striscia di plastica. Poi viene attaccato
l’enorme paracadute necessario per il rientro della gondola (così viene
di solito indicato il carico, rigorosamente in inglese) e l'avionica di bordo.
Quindi la gondola stessa viene appesa ad una
grossa e potente gru semovente. In totale, il tutto può essere lungo oltre 300
m.
Dal momento in cui si stende il pallone non si può più tornare indietro senza
sprecare il pallone, quindi bisogna avere la certezza che non si alzerà il
vento e si possa lanciare. Quindi si comincia a pompare
idrogeno attraverso dei lunghi manicotti attaccati in alto. Questi comincia
piano piano ad innalzarsi, ma resta in genere quasi sgonfio, perché il gas si
espanderà completamente solo alla quota massima, quando la pressione esterna
sarà una frazione minima di quella al livello del suolo.
Una volta che il pallone era caricato della giusta quantità di gas, dopo un
breve conto alla rovescia, veniva dato l’ordine di lancio. A quel punto tutto
procedeva rapidamente: nel nostro caso la gru cominciava ad accelerare a
grande velocità verso il pallone, a volte impennandosi su due ruote. Mi
rimarrà sempre impressa l’immagine di questo oggetto enorme che si eleva, il
rumore della gru lanciata a tutta velocità e la grande concitazione del
momento. Il sincronismo di tutte queste operazioni è essenziale, anche perché
la grande quantità di idrogeno rende la situazione intrinsecamente pericolosa.
Basta un errore e può avvenire una catastrofe. Una volta mi raccontarono che
un operatore rimase impigliato in una corda del paracadute: potete immaginare
che fine fece (1).
(1) Sorprendentemente, non sono molti i filmati e le foto disponibili
online di un lancio, ma se si vuole comprendere la sequenza di lancio un
buon esempio è fornito dalla Canadian Space Agency
qui. Un altro è il
film prodotto per il lancio di BLAST, il Balloon-Borne Large Aperture Sub-millimeter Telescope dalla Long
Duration Balloon Facility LDBF) a McMurdo, in Antartide. Il film è a
pagamento ma già dal trailer si comprende come funziona più o meno un
lancio. L'unica differenza rispetto ai lanci cui ho partecipato è che in
questo caso lo strumento viene mantenuto immobile mentre il pallone si
innalza in cielo.
Un'altra volta, proprio alla base di Trapani Milo, si verificò una piccola
fuga di gas tra la flangia metallica superiore, che “chiude” il pallone, e lo
strato di mylar nei primi istanti dell’ascensione. Nessuno se ne accorse ma
dopo un po’ la carica elettrostatica creata dal getto di idrogeno tra flangia
e mylar provocò una scintilla ed il getto di idrogeno prese fuoco. Niente
Hindenburg, ci vuole il giusto mix di H2 ed O2 per quello, ed
era già giorno al lancio, per cui la fiamma era quasi invisibile. Però il
pallone ricadde a terra, distruggendo il telescopio X a bordo, frutto del
lavoro di anni di un gruppo italiano che guardò la scena con orrore da poche
centinaia di metri, fece dietrofront e senza dire nulla si incamminò verso
l’hangar. Pare che una partita di palloni di una marca molto nota (famosa per
la costruzione di canotti gonfiabili...) avesse questo difetto.
Ci fu anche un gruppo che progettò un piccolo telescopio tenuto in equilibrio
in cima a questa flangia invece che appeso al pallone, in modo da avere la
visuale completamente libera. Si chiamava appunto Top Hat ("cappello a
cilindro"), ma non ebbe grande successo e l’idea venne
accantonata a quanto ne sappia.
Una volta superata una certa quota i palloni seguono le
correnti a getto
o comunque le correnti prevalenti di alta quota (c'è una differenza tra le
due) ed è possibile prevedere dove andranno. Intendiamoci, la previsione non è
perfetta, ma oggi i modelli sono estremamente più accurati. Girava voce tra
“pallonari” (lanciatori di palloni) negli anni ‘80 che se si lanciava per
esempio da Palestine in Texas il NORAD li avrebbe abbattuti se si avvicinavano
a certe aree sensibili. Ad una verifica più attenta, oggi che è disponibile internet,
potrebbe essersi trattato di un caso di “balla” lanciata da...
“pallonari”. Ma a quanto si diceva ai tempi accadde più volte. Non so cosa si
usasse per abbatterli, dato che la quota di volo era MOLTO più elevata di
quella raggiungibile dal proverbiale F-16. Lo sviluppo degli U-2 fu anche
dovuto alla necessità di avere un controllo più puntuale della traiettoria
rispetto a quello dei palloni, e di proteggerli dalla contraerea.
Le correnti a getto (jet stream) sono forti correnti che si formano ad alta
quota. Sono disponibili servizi di previsione molto accurati, come per esempio
www.netweather.tv/charts-and-data/jetstream.
La previsione della traiettoria di un pallone stratosferico era possibile già
allora con una notevole precisione. Alla fine degli anni '80 collaborai al
lancio di un telescopio su pallone chiamato
ARGO
dalla base dell'Agenzia Spaziale Italiana di Trapani-Milo. La quota elevata e
la relativa economicità dei lanci di pallone, oltre alla possibilità di
recuperare il carico, rendono queste piattaforme estremamente interessanti per
l'astronomia, soprattutto a certe lunghezze d'onda alle quali l'atmosfera è
per lo più opaca. L'esperimento era diretto dal Prof. Paolo de Bernardis,
dell'Università di Roma La Sapienza, che aveva grande esperienza nel lancio di
palloni e che anni dopo avrebbe lanciato dalla base di McMurdo in Antartide il
telescopio BOOMERAnG, un esperimento di cosmologia che ebbe un enorme
successo (e che è un capolavoro anche per l’acronimo usato:
Balloon Observations Of Millimetric Extragalactic Radiation And
Geophysics, visto che ritornava vicino alla zona di lancio guidato dal vortice polare e
aveva a bordo anche un magnetometro ad alta sensibilità che giustificava la
G finale...).
Per il progetto ARGO avevo curato per intero il disegno e la costruzione del
sistema di acquisizione dati: hardware, software e sistema di controllo
termico pressurizzato, non banale a quella quota. Tutto digitale, una novità
visto che prima di allora il gruppo impiegava un registratore a nastro Nagra,
di cui si recuperava la bobina. E tutto fatto in laboratorio con le poche
risorse a disposizione, cercando di minimizzare il peso e la potenza elettrica
richiesta (l'alimentazione era a base di costosissime batterie al Litio). Una
volta testato il sistema nella base ASI, salutai i miei colleghi, presi un
aereo e volai in Spagna, in una località dell’Andalusia vicino a Huelva, sulla
costa atlantica. Lì vicino c’era una base militare,
El Arenosillo, dalla quale si lanciavano missili suborbitali, dove si attendeva l’arrivo
del pallone, guidato appunto da una corrente a getto transmediterranea (2).
(2) Dalla stessa base potrebbero essere lanciati quest'anno i primi razzi
suborbitali recuperabili europei, i
Miura. Vedremo!
Era agosto, faceva un caldo bestiale ma confesso con un po’ di imbarazzo che
si trattò di una bellissima “vacanza". La mattina infatti chiamavo la base di
Trapani-Milo per sapere se avevano lanciato. Per due settimane mi risposero di
no a causa delle condizioni meteo non favorevoli o di qualche problema
tecnico. A quel punto prendevo la macchina e andavo a vedere qualcosa nei
dintorni, o a leggere un libro in piscina. Così visitai per bene Sevilla,
Cadiz, Huelva, ecc.
Un giorno però la vacanza terminò: la sera prima infatti, alle 22:45, il
telescopio era stato lanciato. Raggiunta la quota di crociera il pallone
“salì” sulla corrente a getto e si incamminò verso la Spagna...
Il giorno dopo ad Arenosillo cominciammo a ricevere la telemetria del pallone.
E' importante seguirlo per controllare i dati di "housekeeping", che misurano
le condizioni di volo (temperatura, quota, etc.) e per raccogliere almeno
alcuni dati nel caso il mio sistema non avesse funzionato. Ma anche per
verificare la direzione e prevedere quando dare il segnale di sgancio della
gondola, che "taglia" anche il pallone, in modo che cada a terra e non
rappresenti un pericolo per la navigazione aerea. Il momento dello sgancio
della gondola va deciso con cura, in quanto determina dove il pallone
atterrerà. Bisogna infatti minimizzare la possibilità che cada su centri
abitati, nell'oceano, o in corsi d'acqua, anche se questa possibilità non è
mai nulla.
Il pallone si avvicinava sempre più, seguendo perfettamente la traiettoria
prevista. Nella piccola control room vicino alla spiaggia fissavamo con
attenzione i vari monitor e rack di elettronica. Ad un certo momento però
dissi, nel mio stentato spagnolo: "ragazzi, scusate, ma se sta lì... non
dovrebbe essere perfettamente visibile ad occhio nudo??". Uscimmo, era il
tramonto e il pallone proveniva da Est. Guardando in cielo si vedeva
chiaramente un grosso cerchio bianco, illuminato perfettamente dal Sole. Non
grande come la Luna ma MOLTO più grande e brillante di qualsiasi oggetto
visibile in cielo. Abbastanza inquietante, direi. Perché lo racconto: perché
questo dimostra che la stabilità delle correnti a getto permetteva anche
allora di prevedere abbastanza agevolmente il punto di arrivo. La distanza tra
Milo e e Arenosillo è infatti di circa 1.700 km, ma il pallone era giunto a
non più di una decina di km dal punto di arrivo previsto, un errore del 5 per
mille!
Aspettammo ancora un po' e poi, in base ai venti locali, inviammo il comando
di sgancio. A quella quota la pressione è talmente bassa che il carico viene
giù praticamente in caduta libera per circa 20 km, appeso all'enorme
paracadute, che rimane chiuso. Proprio per questo sono stati usati palloni per
avere qualche decina di secondi di "microgravità" a basso costo. Lo vedemmo
quindi volare giù come un sasso, fino a quando quasi di colpo il paracadute
bianco e rosso si aprì, e cominciò a fluttuare di nuovo nel cielo.
Al momento dell'apertura del paracadute, a circa 20 km di quota, gli
accelerometri di bordo registrarono, se non ricordo male, accelerazioni di 9
g, non poco per la struttura. Il pallone invece, squarciato, cambiò
improvvisamente forma, cominciando a sciabolare nel cielo. Si racconta che una
volta, in Francia, un pallone atterrò su un casolare di campagna, coprendolo
completamente: la mattina il contadino aprì la finestra e scoprì di essere
avvolto in un involucro di costosissimo mylar - quasi
10 ettari - perfetto per coprire una serra. Sembra che si mise
d’accordo con il CNES, l'agenzia spaziale francese, che non avrebbe denunciato
i danni se gli fosse stato permesso di tenerselo per sé.
Ma torniamo in Andalusia. Il problema è che non fummo i soli a guardare
quell'insolito fenomeno. Tutta la regione, incluse molte cittadine, ci fece
caso. Molti, impauriti, intasarono le linee telefoniche chiamando la Guardia
Civil, convinti che fossero arrivati gli alieni. Noi avevamo comunicato la
cosa e quindi teoricamente non ci sarebbero stati problemi ma il carico
veleggiò appeso al suo grosso paracadute bianco e rosso, passando sopra alcuni
remoti villaggi di una zona rurale vicino Cadiz. Alcuni contadini lo videro,
caricarono le loro cose sul carretto trainato da un asino e lasciarono casa
terrorizzati.
Il giorno dopo, all'alba, una lunga carovana di auto, camion, gru etc. partì
alla ricerca del telescopio, localizzato da una ricognizione aerea la sera
precedente ad Ovest di un antico paesino Andaluso, Montellano. Un'altra volta,
in Francia, ero andato anch'io a cercare la gondola con un piccolo Piper
bielica in una zona remota dei Pirenei. Divertentissimo, ma questa volta avevo
un altro incarico: dovevo smontare il sistema di acquisizione dati per
riportarlo a Roma, e purtroppo non potei partecipare alla ricerca, che
includeva voli a bassissima quota per scattare foto delle condizioni della
gondola.
Attraverso la rete di strade bianche della finca (fattoria),
raggiungemmo finalmente il punto più vicino possibile al telescopio, che
giaceva accanto ad un boschetto: la scena sembrava presa da un film di
fantascienza di serie B. Eccolo li, col suo grande specchio di alluminio, il
telaio lucente inclinato su un lato. Con il camion non ci si poteva avvicinare
di più, e la distanza, un duecento metri, andava coperta a piedi sul terreno
appena arato.
Scendere dal camion, prendere qualche foto, smontare il sistema di
acquisizione, impacchettarlo e tornare a casa. Semplice no?
Non esattamente.
Una piccola mandria di giovani tori da corrida, probabilmente incuriositi dal
curioso manufatto, pascolava a una decina di metri dal telescopio. La zona
veniva infatti utilizzata per l'allevamento di tori Miura da combattimento.
Guardai le sagome di quegli enormi bovini. Erano talmente grossi e neri da
sembrare letteralmente buchi tagliati nel paesaggio. Seduto accanto al
posto di guida di uno dei camion, guardai l'autista e chiesi "e adesso come si
fa?". Costui, un omaccione con la faccia rotonda, mi guardò ridendo, mi diede
alcune “amichevoli" pacche sulla spalla e rispose "No te preocupes. ¡Muévete lentamente y no les mires a los ojos!" ("Non ti preoccupare, muoviti piano e non guardarli mai negli occhi!").
Facile a dirsi! Cercai di assicurarmi che non ci fossero pericolosi malintesi
dovuti al mio incerto castigliano. Guardai con particolare orrore la
piccola cassetta degli attrezzi che mi ero portato dall’Italia per fare il mio
lavoro, dipinta di... rosso (3). Ma ero giovane e un po' ingenuo, e mi
scocciava mostrare di essere un fifone al camionista spagnolo, e alla fine
scesi dal camion.
(3) Si, oggi lo so che i tori non sono sensibili al rosso. Ma ai
tempi i telefoni cellulari non esistevano, ed assicurarsi che ai tori
mancassero i conetti nella retina non era proprio facile...
Mi incamminai incerto tra le zolle. La piccola mandria – 7 o 8 di quei
bestioni – smise di ruminare e mi guardò con l'aria di una gang che guarda
avvicinarsi un fighetto in giacca e cravatta col Rolex al polso, alle tre di
notte, nel Bronx.
Percorsi quei 200 metri circa in un silenzio glaciale, col cuore in gola,
evitando con cura di intercettare anche solo per sbaglio lo sguardo di uno di
loro, sotto il sole cocente dell’estate andalusa (45 gradi) chiedendomi se per
caso i cari amici spagnoli volessero solo fare una battuta e fossero
rimasti sconcertati al vedere che ese italiano imbécil ci avesse
creduto veramente!
Giunto alla gondola, notai qualche familiare LED acceso. Buon segno, pensai.
Cominciai a controllare con nonchalance lo stato del telescopio e a scattare
foto con la mia vecchia Nikkormat. Avvertivo il respiro pesante e l'odore di
muschio degli enormi bestioni neri, che avevano ripreso a ruminare a pochi
metri di distanza. C'era qualche danno prodotto dal Sole concentrato dal
primario su alcuni cavi, ma niente di irrecuperabile. Il terreno era morbido
per l'aratura, gli impattatori di cartone ondulato, che si schiacciavano
all'atterraggio, avevano protetto la struttura dall'impatto e l'atterraggio
non aveva prodotto gravi danni, anche grazie alla mancanza di vento. Presi
cacciavite e chiavi inglesi, muovendomi piano e cercando di non creare troppo
disturbo alla mandria, e cominciai a smontare il sistema di acquisizione e a
smontare i dischi rigidi.
Raccolsi tutto e con molta, moltissima calma mi incamminai verso il camion.
Vedevo le facce dei "cari" colleghi spagnoli fissarmi al sicuro della cabina
del camion. L'impressione è che ridacchiassero, ma non feci molta attenzione a
questi dettagli visto che stavo camminando
volgendo le spalle ad una mandria di tori da corrida.
Tutto andò bene, comunque: gli spagnoli avevano ragione. Di nuovo al sicuro
nel camion, con i preziosi dischi rigidi in mano, altre pacche sulle spalle,
altre gran risate. Un grosso elicottero agganciò la grossa struttura e la
caricò sul pianale del camion. Sulla via del ritorno ci fermammo in una
piccola trattoria di campagna a mangiare bocadillos e a bere
vino tinto per festeggiare il successo della missione. Me ne stavo un
po' da una parte a guardare gli spagnoli (capivo poco cosa dicevano). E sarà
per la tensione accumulata, e magari per il contributo offerto dall'ottimo
tinto, ma ricordo ancora quel pranzo sotto la pergola per il totale stato di
flow mentale in cui mi trovai. Ero sopravvissuto, tutto era andato a
buon fine, i dati erano al sicuro, pronti per essere analizzati. Fatto sta che
non dimenticherò mai quel meraviglioso momento di assoluta felicità.
A volte le cose vanno anche peggio: questo è quel che resta di BETTII, un
innovativo esperimento lanciato nel 2017 da Palestine, Texas dopo un guasto al
meccanismo di sgancio del paracadute che lo fece cadere da 41 km di altezza
senza paracadute (fonte).